Si
conclude - con questo terzo volume - la trilogia sulla favola
dell'amicizia - iniziata con Rock and roll, proseguita con Beat,
utopia di quei favolosi anni 'cinquanta e 'sessanta. Un
libro piano, allegro, triste, facile, vero, fantasioso,
indubbiamente poetico - e non soltanto perché l'autore continua
a tradurre in prosa i suoi molteplici stati d'animo - felice,
accorato, esuberante, ipocondriaco quanto basta, e sufficiente -
sempre quanto basta - a illustrare un personaggio costantemente
alla rincorsa dei suoi dubbi e delle sue insoddisfazioni.Lo si
evince - senz'ombra di perplessità - da questi racconti vissuti
sul filo del 'Come eravamo', di cui l'autore è ameno e
ideale cronista:
', ... nelle stanze di quegli alberghi, impersonali, senza
passato nè futuro, diventate la sua vera casa. Nel tempo che vi
trascorreva - attraverso mutande sporche trovate in vecchi
cassetti, spazzolini spelacchiati lasciati marcire in stipetti
rugginosi, lavandini scrostati dove si ergevano sculture di
saponi semidisciolti e caccole rinsecchite, calze sfilacciate
che un giorno avevano rivestito chissà quali carnalità, cacche
incrostate nei water, incartapecoriti giornali, ingialliti nella
loro ormai anacronistica funzione di verbali del mondo:
(<E' morto Arturo Tascanini>, avrebbe riportato - forse
in eterno - la prima pagina del quotidiano La Notte, del
'cinquantasette, stazionante su un vecchio armadio) - imparava
il grado di evoluzione della sua gente; fuori, tutta colori e
raffinate toilettes, dentro invece, nascondeva ingenuamente i
propri scheletri... "
Don Backy - conducendoci per mano nel suo vagabondare da
menestrello continua a farci intrufolare fin negli anfratti più
nascosti della nostra memoria (come guardare se stessi dal buco
della serratura), mostrandoci - simile a un'esplosione colorata
di imprevedibili fuochi d'artificio - uno spaccato d'epoca, che
non potrebbe essere stato più reale e rivelatore.
|