di
Emilio Cerasani San Bonifacio prima di lasciare la sua città natale il Pontefice
donò la casa paterna e quanto altro possedeva ai frati Benedettini
che vi fondarono un monastero, provvedendolo di tutti i beni necessari
al culto e al sostentamento dei monaci che ivi rimasero anche dopo la
riforma cistercense, cioè fino al 1367.
Il monastero che sovrastava la chiesa detta di S. Benedetto, dove le acque
del Fucino salivano spesso a fugare i pochi abitanti, divenne ben presto
fiorentissimo per la presenza sempre più numerosa dei monaci che
vi accorrevano in aiuto di quelle popolazioni in balìa di un avverso
destino. Tutto intorno, nei campi intersecati da piccoli corsi d'acqua,
incominciarono a prodursi abbondanti ortaggi e squisitissimi frutti, grazie
al clima mite e alla laboriosità degli abitanti e dei monaci che
si alternavano al lavoro, in quella fertile ed amena pianura, ove aleggiava,
un'aria leggera e pura che ricreava lo spirito, in una sovrana pace, ispirata
ad un intenso anelito di vita umana e cristiana. Intanto, tutta una serie
di rapporti giuridici nascenti da un'intrapresa economia organizzata al
fine della produzione e dello scambio di beni o di servizi incominciarono
a farsi sentire nei diversi campi del commercio, delle attività
artigiane, industriali e dell'edilizia urbana.
Per prima cosa, ogni abate tese la mano alle tante famiglie concedendo
loro un piccolo sito per costruirvi la propria abitazione ed un esiguo
campo, fuori del nucleo abitato, per potervi allevare animali e tenere
altri beni, dietro pagamento di un modesto canone annuo.
Si avvertì pure il bisogno di operai edili per apprestar opere
di difesa e per la costruzione di case. Da questa necessità ebbe
origine il primo aggregato urbano con i servizi indispensabili alla vita
comunitaria e, conseguentemente incominciarono a sorgere altre attività.
Si organizzava tosi, a poco a poco, la vita cittadina da cui ebbero origine
le "Universitas Civium", piccole comunità amministrative
che produssero un risveglio di libertà ovunque e fu questa, indubbiamente,
una grande conquista, anche se come scrive il Brogi "le aggravasse
la dispotica supremazia della Curia Baronale".
Gli statuti municipali non furono tutti uguali, tuttavia erano legati
e rapportati alle necessità o consuetudini locali. Contenevano
prescrizioni e divieti relativi alla polizia urbana e rurale, all'igiene,
all'edilizia e all'esercizio delle attività artigiane ed economiche.
Insomma ci troviamo di fronte ad un quadro, tra i più completi,
di vita pubblica e privata, certamente non facile per quei lontani tempi.
Dopo questa breve, ma necessaria parentesi, é il momento di ritornare
al nostro assunto. Il Gavini che visitò il paese dopo il terremoto
del 13 gennaio 1915, così ci descrive la chiesa e l'annesso Cenobio:
"L'edificio, benché più volte ricostruito e sopraelevato,
serbava ancora le tracce della costruzione benedettina del X set. L'aula
non era grande, ma divisa in tre navi mediante quattro piloni di pietra
concia per ogni lato. La cortina in apparecchio di conci, era allo scoperto
in qualche parte di quei sostegni i quali, intonacati di recente, avevano
perduto ogni carattere. Soltanto nei capitelli s'indovinava l'applicazione
della cornice benedettina, allo stesso modo come si vedeva al di sopra
delle colonne fiancheggianti, l'abside maggiore. In questi piedritti si
riconosceva la sagoma ormai cognita, con i suoi ovali, dentelli e tortiglioni,
risvolta ai fianchi profilando regolarmente. Le basi invece giravano in
tondo con i fusti ed erano a quarto di cerchio orizzontalmente rigato
su alta zoccolatura. Nella fiancata di destra, la chiesa presentava un
lungo tratto della vecchia cortina posata su massi tagliati a grandi parallelepipedi
e coronate da cornice alla linea di gronda della navatella, innalzata
in tempo recente con sovrapposta muratura."
"Rimanevano in questo lato due aperture: un arco di scarico circondato
da archivolto sporgente sagomato a gola dritta, le cui estremità
impostavano su mensoline; all'arco era sottoposto un vano di porta. Un
finestrino a strombo di for ma originalissima e di perfetta esecuzione.
La luce di questa feritoia era coperta da un masso in cui era scavato
l'archetto e il relativo strombo conico sagomato a cuffia trilobata.
"Il coronamento della parete era formato dagli elementi che già
conosciamo, e con maggiore semplicità perchè, escluse le
lesene di rinforzo, le arcatelle erano ridotte ad una serie di piccoli
sesti semicircolari incassati nel vivo della cortina. La cornice manteneva
la delicatezza dell'intaglio e nella sagoma, affermatasi a S. Liberatore
a Maiella, un nuovo aggruppamento degli elementi classici. Si componeva
di dentello, tortiglione, ovolo, capovolto e listello superiore fortemente
aggettoso.
"Nella fiancata di sinistra la muraglia a cortina poggiava egualmente
su massi tolti da monumenti pagani ed egualmente mostrava un archivolto
di scarico su vano di porta; l'ingresso in questo caso sprovvisto della
gola sporgente aveva sostenuto mensole sotto il forte architrave. In alto
la muraglia terminava al piano nella cornice strappata in più tratti
per aprire finestre moderne. Delle tre absidi rimanevano la centrale e
quella di sinistra, girate a cortina con materiale tolto a Marruvium e
con la cornice benedettina eguale a quella dei fianchi. L'abside di destra
era stata già soppressa. L'esame del monumento prima della distruzione
mi ha convinto che esso poteva considerarsi come una delle opere che più
direttamente discesero da S. Liberatore per sistema costruttivo e decorativo
insieme, bensì nella pianta ai piloni rettangolari fossero sostituiti
i piloni cilindrici. Fu questo forse il primo passo della grande scuola
nei paesi della Marsica. Ma qui l'uso della cornice benedettina se mantenne
il suo posto nei coronamenti e nei capitelli delle colonne, cedette anche
il passo a nuovi principi decorativi che cominciavano ad infiltrarsi nel
rigido schema della chiesa latina. E questi principi dovetti riconoscere
nella eccentricità dell'arco di scarico con la curva dell'archivolto
la quale apparve alquanto rialzata sull'imposta, nell'uso della mostra
sporgente anziché rientrante, in una appena sensibile interruzione
dell'arco tondo che sembrò iniziare lo spezzamento in chiave; e
finalmente nell'introduzione originalissima dell'arco trilobo nello strombo
della feritoia. Tutti questi accenni ad una maggiore libertà di
forme, dimostrano che la modesta chiesa abbaziale sorgeva quando 1a scuola
di S. Liberatore cominciava a subire l'influsso di quell'avanzamento stilistico
che si pronunciava nelle maggiori costruzioni benedettine."
Dallo storico e letterato abruzzese Vincenzo Bindi sappiamo che il nostro
Paese oltre alla chiesa abaziale di S. Benedetto "in Civitate",
sorta sulle rovine di Marruvium e precisamente, nel luogo ove era la casa
di S. Bonifacio, aveva l'altra insigne costruzione religiosa di S. Sabina
che, con la precedente, formava il complesso templare benedettino.
Successivamente, ma sempre nello stile del tempo, fu aggiunta una nuova
fabbrica che determinò l'imponente monastero di cui dura la memoria
per essere stato descritto ed illustrato, con dovizia di particolari,
dagli storici locali, suscitando grande ammirazione nei viaggiatori stranieri
richiamati, come nel caso di Augustin Lubin detto "il Franzese"
(sec. XVII) dalla imponenza di quelle meravigliose strutture eseguite
con reperti provenienti dalla precedente civiltà.
Questo Cenobio fu posseduto prima dalla Congregazione Cassinese e poi
dai Cistercensi che vi rimasero fino al 1367, come si è detto dianzi.
Lo stesso Lubin, or ora citato, riferisce nella sua nota opera "Abbatiarum
Italiae" che il monastero era già in piedi ai primordi del
sec. X e precisamente, tra il 905 e il 907, come risulta dal Chronicon
Cassinese, lib. 2, cap. 34, pp. 205, 207.
In seguito il grandioso edificio decadde sempre più, tanto che,
nel 1800, non ne restava che la facciata laterale ed il muro in cortina
di costruzione monastica, con applicazione di una cornice che evocava
la decadenza dell'arte romana.
Agli inizi del 1900, in quello stesso luogo, fu costruita una chiesetta
dall'Abate Maceroni di Aielli con il concorso di altri sacerdoti e della
popolazione. Il piccolo tempio assunse, ben presto, un aspetto decente
anche se poveri e scarsi erano i suoi arredi a causa delle ristrettezze
economiche in cui vivevano gli abitanti. Il terremoto del 13 gennaio 1915
fece scomparire ogni traccia della nuova come dell'antica fabbrica, ad
eccezione della pavimentazione di lastre in pietra e di alcuni robusti
pilastri di forma rettangolare di cui più nulla resta, tranne il
ricordo nei pochi abitanti ai quali, altro non rimane che erigere, in
quel sito, una lapide con questa memoria: "Qui anche le ruine perirono!..."
Ma ben più grave è l'oscurantismo che avvolge l'area del
sacro tempio di "S. Benedetto" in Civitate , ove, secondo una
costante tradizione, esisteva un sepolcreto che custodiva gelosamente
le ossa dei primi martiri cristiani, ricoperto da una pesante pietra a
forma di parallelepipedo.
Si vuole che nel passato si fossero fatti vari tentativi per sollevare
il coperchio del sepolcro, anche con l'aiuto di un paio di buoi, ma senza
alcun risultato. Pare invece, che in epoca successiva il blocco di pietra
sia stato sollevato nel modo più semplice e naturale, senza opporre
nessuna occulta resistenza alla rimozione e al suo trasporto nel locale
cimitero.
....e questo il desolante spettacolo di
quello che restava negli anni sessanta
dellaa Chiesa Benedettina
Recentemente, nello stesso sito, è
sorto un edificio, l'asilo d'infanzia, di stile moderno, molto abusato
e ripetitivo.
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