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non ha ancora
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LETTERATURE COMPARATE
LINGUISTICA E LETTERATURA
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C’è da sottolineare che il
provenzale sconfinava con isole linguistiche o opere di trovatori nella padania
fino a Venezia e a nord della Toscana, raggiungendo ad occidente il Portogallo
sconfinando con la Francia e l’Inghilterra.
La lingua provenzale si iniziò
a diffondere anche per iscritto a fini non poetici intorno al ‘900 ma i primi
trovatori iniziarono a comporre intorno al 1100. Domanda: come si è data nobiltà
al romanzo rispetto alla lingua latina?
Nel 743 erano state bandite
dalla chiesa perché giudicate non acconce, il canto profano, la danza e la
musica strumentale: “Maxima iniquitas coram Deo: Anatheme fit!” (Concilio
Romano). Ma come abbiamo esposto in “Il medioevo Musicale”, il tropo, l’inno e
la sequenza iniziarono ad essere accettate nelle funzioni e da taluni
incoraggiate anche in lingua corrente.
Qualche notizia si ha inoltre
dei giullari intorno all’anno mille, la cui presenza è non proprio accettata ma
sopportata.
In genere si trattava di
saltimbanchi, prestigiatori, mimi, ballerini, attori, cantanti, poeti e
musicisti.[6]
Dal XI secolo latino e
volgare spesso si mischiarono e sono rimasti documenti di monaci, clerici e
clerici vagantes, senza dimenticare i goliardi delle Università (Bologna
fondata nel 1158), i Planctus, i carmina, il contrafactum.
E si può aggiungere il
Dramma Sacro, o le Sacre Rappresentazioni e la lauda.[7]
Insomma prima di tutto
non si esce da secoli bui e oscurantisti per arrivare ai trovatori e ai romanzi
in genere. Come ci insegna il Bachtin i generi e le forme d’arte più umili
vengono assunte dalle forme colte per essere casomai poi rovesciate. Nel nostro
caso si è trattato di un fenomeno di sincretismo a doppio binario.
Latino-romanzo/romanzo-latino. Riportiamo un documento di Limoges del XI sec. In
latino e provenzale:
In hoc anni circulo
vita datur seculo
nato vobis parvulo
DE VIRGINE MARIA
Mei amic e miei fiel,
laisat estar lo gazel;
aprendet u so noel
DE VERGINE MARIA
[In questa ricorrenza
annuale è data la vita al mondo, perché è nato per noi il figlio della Vergine
Maria. Amici miei e fedeli miei, smettete di chiacchierare; imparate una nuova
canzone sulla Vergine Maria].
[8]
Questa preghiera proveniente dall’Abazia di San Marziale potrebbe anche
essere l’unica pervenutaci di un gruppo o addirittura una usanza tradizionale.
Ma non deve ingannarci su quelli che erano i rapporti di potere e le classi
culturali. Nelle “vidas” apprendiamo che alcuni trovatori, per volere o per
forza, a un certo punto della loro vita sono diventati degli ecclesiastici,
ripudiando innanzitutto la previa produzione artistica e facendo voto di non “trobar”
in seguito.
Insomma, è sostenibile che esista non una cesura ma una continuità con
la cultura aulica ed ecclesiastica che però non fu una commistione o filiazione,
piuttosto un accostamento. Ricordiamo con Fernand Braudel[9].
«… che la storia accetta, scopre spiegazioni molteplici, da un «ripiano»
temporale a un altro, in verticale. E su ciascun ripiano vi sono anche nessi in
orizzontale».
Prendiamo ad esempio l’accostamento latino-romanzo. Non è certo l’unico
fenomeno di lunga durata che gioca a favore di una nascita dei trovatori
graduale. Anche il fenomeno dei giullari, saltimbanchi, menestrelli ha la sua
importanza. «[la] diversità della condizione sociale… si manifesta una diseguale
partecipazione dei diversi strati sociali alla produzione e fruizione dei beni
culturali».[10]
La pluralità dei piani e l’incontro in orizzontale dei fenomeni
giustifica ulteriormente una lenta comparsa del fenomeno dei trovatori: «tutte
le forme drammatiche, popolari o colte, profane o sacre, traggono origine dalle
«grandi feste annuali e stagionali di rinnovamento e di propiziazione»[11].
Questi due grandi fiumi culturali
allora precipitarono come una cascata? Non fu così probabilmente. Basta pensare
alla circolazione del manoscritto nel medioevo e di ciò che vi era contenuto.
Il più antico dei poeti provenzali di cui si conservino componimenti è
Guglielmo d’Aquitania. Nominalmente “Principe” ma che in effetti aveva
possedimenti di gran lunga superiori a quelli del Re. Due volte sposato, due
volte scomunicato, due volte perdonato, due volte crociato in Terrasanta e in
Spagna contro i Mori…
insomma un personaggio veramente di grande spessore nella vita e
nell’arte. La nostra ipotesi è che i fogli volanti trobadorici precedenti il
1090 siano stati fatti sparire, o meglio riciclati, per lasciare come primo
Campione Cavaliere e Poeta il Principe Guglielmo d’Aquitania. Una captazio
benevolentiae multifocale che avrebbe giustificato l’eliminazione di una
gran mole di produzione occitanica e latina, sublime o volgare, importante o
umile per un degno incipit al di fuori di ogni “discussione”.
Sappiamo bene che la diatriba
sugli esordi è molto articolata. Dal Salmeri[12]
vengono esaminate, con dovizia di notizie bibliografiche, le seguenti
esposizioni:
La tesi di derivazione mediolatina
La tesi di origine araba
La tesi delle origini popolari
La tesi storico-sociologica
soprattutto dal punto
di vista della filologia romanza. Ci sembra corretto indicarle per una eventuale
approfondimento in quella direzione.
Per quanto ci riguarda rimaniamo dell’avviso che i piani in movimento
che abbiamo esposto, siano la miglior risposta alla domanda sulla nascita della
Koinè trobadorica.
Sulla sua fine è la
storia evenemenziale che ha il sopravvento e attua la cesura.
“La crociata contro gli
albigesi (1208 – 1229), bandita da Innocenzo III e guidata da Simon de Montfort
alla testa di truppe in gran parte settentrionali, con i suoi massacri di
eretici veri e presunti e le sue devastazioni, travolse il delicato sistema
feudale delle corti del Sud [provenzali],[13]
facendo venir meno le condizioni stesse di questa poesia [trobadonica][14]
…la repressione assunse la portata di un genocidio.”[15]
La pace siglata nel 1229 col
trattato di Parigi annesse vasti territori e feudi al Re di Francia lasciando i
territori occitani in profondo dissesto. Come atto finale nell’anno 1539
Francesco I, vietò per editto l’uso della lingua d’oc, se non come
parlata locale. Fu come infierire su un cadavere.
Per inciso, è noto che la
lingua italiana è nata come lingua eminentemente letteraria. Non così fu per il
francese. La parlata d’oil si affermò più che col giglio con la spada,
con successive e decisive esclusioni e imposizioni.
Abbiamo esposto gli inizi e la
decadenza. Brevemente vorremmo esporre alcune costanti che si dipanarono
dall’inizio alla fine. Prima di tutto la base economica necessaria era una corte
fiorente, che potesse “permettersi” il trobar. Oltre al trovatore si
doveva avere sul libro paga un giullare, che cantava il componimento, e per le
corti più ricche, dei suonatori che accompagnavano il giullare. Di lirica si
trattava, talvolta accompagnata anche dal ballo ma che in realtà diventava la
“scena” della corte e della epifania della sua potenza.
LA LETTERATURA
COMPARATA
“NATURALITER CONSTITUTA”
Nel XIII secolo era
già iniziato un certo interesse per le lingue volgari alimentato a nostro avviso
dalla loro caratteristica romanza. Dante annunciò:
Di questo si parlerà altrove
più compiutamente in uno libello che io intendo di fare, Dio concedente, di
Volgare Eloquenza.
Convivio I, V, 10[16]
Il testo stesso si da il titolo già
anticipato come «doctrina De Vulgari Eloquentia» ma ha solo due libri completi e
uno spezzone sulla “canzone” (mancano la ballata e il madrigale preannunciati).
Dante parte dall’unica lingua
primigenia, l’ebraico, da cui dopo la torre di Babele si son formati tre ceppi
di agglomerati linguistici. A Sud-Est il greco, il franco-provenzale-italiano al
centro e infine le lingue nordiche.
Il ceppo centrale è tripartito a
seconda di come si pronunci la particella affermativa: oil in Francia,
oc in provenza e si in Italia.
In Italia riconosce quattordici
varietà di idiomi e afferma che il volgare superiore agli altri è quello
italiano. Ha infatti i caratteri “di illustre, perché perfetto e nobilitato
dall’uso artistico; cardinale, perché deve essere cardine attorno a cui girano
tutti i volgari locali; aulico, perché degno di essere parlato in una reggia;
curiale, perché deve essere preciso ed equilibrato”[17].
Ma quando parla del provenzale, ne
riconosce l’antichità e il primato letterario: «vulgares eloquentes in ea
[lingua d’oc] primitus poetati sunt».[18]
L’eccellenza dei poeti provenzali è
ancora più di valore in quanto discende da un’analisi delle lingue e di quelle
romanze in particolare fatta da Dante, in veste di “grammatico” e che nel
presunto periodo di stesura del manoscritto oggi chiamato “De Vulgari eloquentia”
dal 1306 al 1309, poteva ben giudicare il fenomeno dei trovatori, che già
volgeva a tramontare, piuttosto diremmo quasi giunto ai suoi epigoni. Inoltre
poteva vantare quasi venti anni di produzione poetica in volgare e aveva quindi
la situazione storica e la capacità affinata del poetare a sua disposizione per
affidarci la sua lectio.
Per concludere questa sezione notiamo
che si assiste oggi a «una rivalutazione di Dante come linguista nel suo De
Vulgari eloquentia …dopo un’analisi comparativa… la sua attenzione si
restringe alle tre lingue [romanze].[19]»
Con le conclusioni che
abbiamo appena esposto.
Ernst Robert Curtius
nel suo “Letteratura europea e Medio Evo latino”[20]
individua nella cultura occidentale un collante indiscutibile che ne dimostra
l’unità; il latino. «Il latino è stato la lingua della cultura nei tredici
secoli che intercorrono tra Virgilio e Dante»[21]
Parlando di retorica antica
spiega “ciascun autore si propone in partenza che il lettore sia ben disposto
verso di lui; perciò in tutti i tempi, fino al grande rivolgimento letterario
del Settecento, è sempre stato esortato ad iniziare con un certo tono modesto e
cortese. Dopo di che egli doveva far conoscere l’argomento della trattazione:
per questo exordium esisteva una determinata topica; altrettanto per la
chiusa”[22].
Nei trovatori del fin amour
troveremo in romanzo la stessa struttura retorica sovradescritta in
latino-occidentale. Inoltre un’analisi tematica sul “locus amoenus”
sempre come costante latino-occidentale sarà nei trovatori indissolubile dall’esordium
ma in ambiente romanzo.[23]
Siamo già entrati in argomento su
quello che abbiamo definito “accostamenti” ma vorremmo aggiungere una nostra
notazione. Nel saggio sul “Sogno nell’Antichità Classica” abbiamo messo in luce
la creazione di un canone di lunga durata nel “contatto” bilaterale fra fedele e
Assoluto. Ebbene nel fin amour c’è una medesima struttura bilaterale e
sbilanciata tra il trovatore iniziato all’amor cortese e la
midons[24].
E questo canone attraversa l’ebraico, il greco, il latino.
Le conseguenze con
Dante e Petrarca, che ecclesiastico, in particolare giudicava di trar gloria
dalle sue opere scritte in latino, e invece fondò un canone romanzo cristallino
e fecondo tanto che non c’è poeta fino ad oggi che non porti “sottobraccio” le
sue opere e i suoi stilemmi.
Queste premesse ci
permetteranno una lettura guidata, retorica e tematica di alcuni testi fin’ora
pubblicati senza e con testo a fronte.[25]
La maggior parte dei
componimenti c’è un incipit, che con le funamboliche pratiche del trobar
claus può anche non essere posto proprio all’inizio, ma leggermente
spostato:
“Ab la dolchor del temps novel
foillo li bosc, e li aucel
chanton, chascus en lor lati
segon lo vers del novel chan:”[26]
[Quando la dolcezza del nuovo tempo/ son verdi i boschi, e gli uccelli cantano,
ognuno nella sua lingua/ seguendo il verso del canto novello.]
“Quan lo rius de la fontana
s’esclarzis, si cum far sol,
e par la flors aiglentina,
e·l rossinholetz el ram
volf e refranh ez aplana
son dous chantar et afina
dreitz es qu’ieu lo mieu refranha.”[27]
[Quando il ruscello della fonte/
si rischiara, così come suole fare/
e s’apre il fiore della rosa silvestre/
e l’usignolo nei rami/
canta e modula e varia/
il suo dolce canto e la raffina,/
è giusto che io il mio rinfranchi].
“Quant l’aura doussa s’amarzis
e·l fuelha chai de sus verjan
e l’auzelh chanjan lor latis,
et ien de chai sospir e chan
d’Amor que·m te lassat e pres,
que eu anc non l’aic en poder”.[28]
[Quando l’aura dolce s’inasprisce/ e la foglia cade dal suo ramo/e gli uccelli
cambiano la loro lingua/e io di qua sospiro e canto/d’Amore che mi ha lasciato e
preso,/che non una volta lo ebbi in potere].
Ci fermiamo con gli esempi dei
trovatori per ricordare col Curtius che «nell’Iliade accanto agli Dei
dell’Olimpo, si invocano anche la terra, il cielo, i fiumi»[29]
e questo in Eschilo e Sofocle, dal poeta tardo ellenistico Bione.
Nella poesia latina Stazio,
mentre nella tarda antichità romana, gli elementi presi in considerazione furono
i quattro principali.
Facendo un ultimo passo, nella
Bibbia, si trova nella Vulgata 95, II ss.
Ogni creatura di Cristo: sole,
stelle, luna,
colline e montagne, valli,
mare, fiumi, fonti,
tempeste, piogge, nuvole,
vento, procelle,
calura, brina, gelo, ghiaccio,
neve, fulmini, rocce,
prati, boschi, fronde, arbusti,
erbe, fiori,
gridando: salve! Canti con me
nel più dolce dei modi.
Il topos si rinnoverà nel
classicismo francese con Maynard; Racan; La Fontane.
In Spagna Calderon si esibirà in elenchi minuziosi[30].
Questi piani Tematici e Retorici che
abbiamo esposto sono il collante dell’accostamento a più piani dello svolgersi
temporale del difficile affermarsi romanzo nel tempo, in particolare riferimento
all’occitanico.
Cambiamo
argomento per dar nota delle funzioni di chiusa che nella poesia occitanica
hanno un carattere “tipico”: quello della “spedizione”. E’ come se la
consorteria trobadorica con questi finali volesse stringersi a sé stessa in una
unicità d’intenzioni. Non è difficile rintracciarle perché, come spesso capita
ad un topoi rimane affatto distaccato dal corpus del componimento.
…“Fait ai lo vers, no sai de cui;
e tramerai lo a celui
que lo·m trametra per autrui
envers Peitau,
que·m tramezes del sieu estui
in contraclau.”[31]
[Fatto è il verso, non so su chi
e lo trasmetterò a colui
che lo manderà per altrui
verso il Peitau,
affinché mi mandi del suo astuccio
la controchiave].
…“Mas so q’ieu vuoill m’es tant ahis!
totz sia mandiz lo pairis
qe·m fadet q’ieu non foz amatz!”.[32]
[Ma so che vorrei nel mio tanto ahimè
tutto sia maledizione al padrino
che fece in modo che non fossi amato].
… “Mas, cui que plass’o que pes,
elha·m pot, si·s vol, retener.
Cercamons ditz: «Greu er cortes
hom que d’amor se desesper»”[33].
[Ma a chi piaccia o no
ella può, se vuol, tenermi.
Cercamon dice: Difficile alla cortesia
l’uomo che dell’amore dispera].
… “Eu aqest vers sapcha vilans, Audries,
que d’Alvernge manda c’om se dompneis
no val ren plus que bels malvatz espics”[34].
[Da questi versi l’ignorante sappia, di Aldrico,
che quel d’Alvernge assicura che senza servizio (d’amore)
non si vale che una spiga ben malvagia].
… “A mo Cortes, lai on ilh es,
tramet lo vers, e ja no·lh pes
car n’ai estat tan lonjamen.”[35]
[Al mio Cortese, là dov’è
spedisco il mio canto, e non si doglia
che son stato tanto lungamente].
… “Garsio, ara·m chantat
ua chanso, e la·m portat
a mo Messager, qu’i fo,
qu’e·lh quer cosselh qu’el me do.”[36]
[A Garcio, ora cantate
il mio canto, e portatelo
al mio Messaggero cui
qualche consiglio ch’egli mi dia].
… “Vas Nems t’eu vai, chansson, qui qe·s n’azire,
que gauch n’auran, per lo meu escien,
las tres donnas a cui ieu te present”[37].
[Va a Nîmes, vai canzone a/chi se ne dolga
chi ne gioisca, secondo mia scienza,
le tre signore a cui l’ho dedicata].
… “Armanz tramet son chantar d’ongl’e d’oncle
a grat de si qui de sa verj’a l’arma
son Desirat cui prez en chambra intra”[38].
[Arnault manda il suo canto d’unghia e di zio
e grata a colei che ha il filone dell’arma,
il suo Desiderato, la cui virtù entra in camera].
Queste chiuse sono “tipiche” per la loro caratteristica di rimando, contatto, spedizione, ma sono “norma”, “stile”, “retorica”, medioevale e traggono origine nell’antichità greco-latina. Piuttosto si sarà potuto notare la tensione erotismo vs. cortesia che si risolve comunque in espressione raffinata e colta del contenuto che tende al sublime sia nei passi di “fin amour”, sia in quelli dialogici di manifestazione del desiderio.
E’ indispensabile
mettere in una corretta ottica il concetto di cortesia. Lo facciamo citando un
poemetto provenzale di Garin Lo Brun del XII secolo; «… Cortesia consiste in
ciò, se volete saperlo: chi sa opportunamente parlare ed agire, per cui lo si
debba prediligere, e si guarda da malcreanza; cortese può essere inoltre chi sa
discernere stoltezza e schivare sconvenienza e fare quanto è gradito agli altri:
cortesia lo diletta.
… Di cortesia è facile il parlare e difficile il possesso, perché si diversifica
in molte guise e in diverso modo.
… Nessuno è compiutamente cortese: gli uni ne hanno ricca porzione e gli altri
scarsa.
… Cortesia consiste nell’abbigliarsi e nel ricevere gentilmente; cortesia sta
nel fare onore e nel gentil parlare; cortesia sta nello svago ed è quella che
più mi piace… »[39].
Il Wehstein[40]
chiosa che «La courtoisie des moralistes n’est que la forme sociale de la vertu»
e Bloch puntualizza come «era naturale che una classe così nettamente definita
dal genere di vita e dalla supremazia sociale finisse col dare a se stessa un
proprio codice di vita»[41].
Jacques Le Goff stigmatizza con potenza «… la forza persistente dei
modelli aristocratici rafforzati dalla formazione dell’ideale cortese, [sono il]
primo codice propriamente occidentale di vita civile…»[42].
Cortesia è la virtù che diventa codice che essendo limitato fa
diventare la virtù irraggiungibile in una scena diversificata dove le norme sono
presto appunto aggiustate alle convenienze.
Nei trovatori la sublimazione della passione amorosa, intellettuale e
cortese, non significa che non possa nobilitare a seconda dei casi, il volgare e
il carnale. In generale il rapporto trovatore-midons è sempre velato
dalla cortesia, dalla distanza, dalla lontananza, dalla virtù da un vissuto di
perdita.
Huizinga ci ricorda che «certo, anche l’antichità aveva cantato gli
spasmi e i tormenti d’amore [però] … l’emozione dolorosa non era provocata
dall’insoddisfazione erotica, ma dal triste destino. Soltanto nell’amore cortese
dei trovatori il desiderio non appagato è diventato il tema centrale.»[43]
BERTRAND DE BORN
…
Poiché di me non v’importa, signora
e m’avete respinto da voi
senza avere ragione di sorta,
non so da che parte cercare,
perché giammai
sì grande gioia sarà mai recuperata
da me, e qualora all’aspetto
non trovi danza che mi soddisfi
e valga voi, che ora ho perduta,
mai più amante desidero avere.[44]
…
Falsi, invidiosi, spergiuri pettegoli,
poiché con midons mi fate fare lite
ben gradirei che mi lasciaste stare.[45]
E la riservatezza e il dubbio non meno angoscioso in ARNAUT DE MARUELH:
La gran bellezza e il fine contegno,
il pregio vero e le amabili lodi,
il dir gentile e l’incarnato fresco
che sono in voi, nobil dama valente,
maestria mi danno di cantare e ingegno,
ma mi van via per gran sbigottimento:
non oso dir che di voi canto, donna
e nulla so se a danno o pro mi venga.
…
ma il servizio d’amor tutto trasfigura:
[almeno]
que nos servirs vos plass’e·us sia bos.[46]
[vi possano compiacere i miei servizi]. (d’amore)
La NASA per
quanto riguarda gli UFO ha messo a punto la seguente classificazione:
avvistamento, avvicinamento, contatto.
Traslando, non è escluso il contatto:
ARNAULT DANIEL
…
La prima volta io non mi persi…
La prima volta che baciai midon·s
e scudo mi fece col suo manto azzurro…[47]
anche se in una soffusa nuvola fiabesca, talvolta, anche se non in discorso piano ci si fa più espliciti e sfacciati:
GUILHEM DE PEITIEU
…
tramite altri lo spedirà
verso il Poitou
perché mi mandi la controchiave
del proprio astuccio[48]
il cui significato degli ultimi due versi si potrebbe tradurre con il detto siciliano: “tu sì fodera eo cutieddo”.
E ancora GUILHEM DE PEITIEU
…
e lei mi dette dono così grande:
l’amore pieno insieme con l’anello.[49]
Con gran cortesia,
dopo avere pianto di servitù d’Amore racconta pacatamente delle sue conquiste.
Su un piano diverso si pone il
nucleo focale del fin amour, della servitù d’amore; sul piano
dell’inappagato, dell’amore delle mancanze della pur vistosa classe subalterna
che può solo sognare alcune virtù: innanzitutto la nobiltà.
BERNART DE VENTADORN
… La mia speranza ho riposto assai bene
quando il bel volto mi mostra colei
che più desidero e voglio vedere,
dolce e sincera, nobile e leale,
in cui il Re avrebbe appagamento.
Bella, aggraziata, dal corpo leggiadro,
ella m’ha reso, dal nulla, patrizio [ric ome][50].
… Donna gentile null’altro vi chiedo
se non che mi prendiate a servitore:
vi servirò come un buon signore [senhor]
… eccomi al vostro comando, creatura
dolce e leale e gioiosa e cortese.[51]
PEIRE D’ALVERNHA
… servizio d’amore, il quale in lei cresce e s’espande
pien di dolcezza, bianco e verde, come la neve;[52]
… mi piace l’apparire d’un amore lontano e separato,
che poco val l’alzarsi e il giacere…[53]
JAVFRE RUDEL
… Non si stupisca nessuno di me
se amo quella che mai mi vedrà.[54]
… Amore di terra lontana
per voi tutto il cuore mi duole,
e non posso trovar rimedio
se non accorro al suo richiamo…[55]
… Già dell’amore non sarò più lieto
se non godrò di questo amor lontano
perché non so più eletta e più gentile
in nessun luogo, prossimo o lontano.[56]
MACABRU
… Sa l’Amore come frantuma:
- Ascoltate! -
sì che giammai ne amò nessuna
e da nessuna fu mai amato.[57]
CERCAMON
… così m’incanto quando son con lei
che non so dirle il mio desiderio,
e nell’andarmene a me pur sembra
che tutto perda il sapore e il senno.[58]
RIGAUT DE BERBEZILH
… I dodici regni, Bel Paradiso, interi
avrebbero pro del vostro insegnamento.[59]
RAIMBAUT D’AURENGA
… Per voi son lieto ma pieno di tristezza
e triste-allegro mi fate ritrovare
mi sono distolto da tre che sulla terra,
salvo voi stessa, non hanno lor pari;
e
son cantore stolido di corte
tanto da essere chiamato giullare.[60]
Il trovatore patisce
una isteresi tra patrizio e giullare nella sua devota posizione di
letterato-curtense.
E’ un atteggiamento letterario che
investiva con pari senso di aristocratica consapevolezza intellettuale sia
uomini di umile provenienza sia uomini di discendenza nobile.[61]
La servitù d’amore e la scena cortese sono proprio quel
«magistero occitanico»[62],
che impressionò, come in un negativo, l’Europa romanza e in particolare, il
Dolce Stil Nuovo, Dante e Petrarca. Non scevro da questa impressione Petrarca e
il suo Canzoniere secondo Bloom fondarono un canone, la poesia Rinascimentale,
che fu retorica e scuola “per la poesia lirica… che culminò…” in Goethe.[63]
Ma per quanto riguarda le forme, i temi e i tropi noi non abbiamo tema di
affermare che quella scuola ha permeato e continua a permeare di se, la lirica e
l’elegia.
Da un punto di vista filosofico vorremmo
chiudere con le osservazioni acute di un filosofo-storico: Huizinga. Nel
medioevo si tendeva a «trasformare la vita amorosa in un bel gioco con nobili
regole… era necessario inquadrare le emozioni entro forme fisse. Per le classi
inferiori della società la disciplina delle passioni era affidata alla Chiesa…
L’Aristocrazia che si sentiva già indipendente di fronte alla Chiesa, perché
possedeva ancora un po’ di cultura non ecclesiastica, si diede da sé, con l’ingentilimento
dell’amore, un freno per i suoi impulsi».[64]
Tali considerazioni possono essere,
con buona approssimazione, attagliarsi ai 200 anni di Koinè trobadorica,
come ulteriore accostamento dei piani in movimento che via via abbiamo offerto
al vostro giudizio.
[1]
Enciclopedia Universale Rizzoli Larousse
[2]
Per una trattazione delle scansioni temporali cfr. CESARANI Remo – DE
FEDERICIS LIDIA, Il materiale e l’immaginario, vol. ½, LOESCHER EDITORE,
Torino 1979 p. 202 – 207.
[3] Qualche
tentativo è stato fatto: suggeriamo il sito multimediale: Poeti Provenzali –
http://www.criad.unibo.it/~galarico/arts/cantastorie/Kalenda.htm
[4]
Per quanto riguarda i manoscritti, le presenti ascendenze, i mancanti
ma verosimili, vedasi S. SANTANGELO: Dante e i trovatori provenzali,
SLATKINE, Geneve, Paris, 1982.
[5]
Ulrich Mölk, La lirica dei trovatori, Il Mulino tr. 1986 dal tedesco
p. 46
[6]
http://utenti.lycos.it/agora/tesi8.html
E’ l’unica testimonianza di monodia con testo romanzo esistente anche se non
è rimasto alcun documento.
[7] Ib.
[8]
Mölk ib. P. 47
[9] BRAUDEL
FERNAND – Civiltà e Imperi nel Mediterraneo nell’età di Filippo II. Genova
ed. EINAUDI 1976, p. XXV
[10]
CIRESE A. M. – Cultura Egemonica e Cultura Subalterna – Palumbo –
Palermo 1973 p. 12
[11]
TOSCHI – Le origini del teatro in Italia, 1955
[12]
Salmeri Filippo – La lirica trobadorica C.U.E.C.M. 1994 pagg. 26-41
[13]
n.d.r.
[14]
n.d.r.
[15]
Costanzo Di Girolamo, I trovatori, Bollati Boringhieri, Torino, 1996
[16]
Opere di Dante, testo critico della Società dantesca italiana,
Firenze 1921
[17]
http://ecs.net/scrivere/DANTE/INFO/DEVE.htm
[18]
Dante, ib. 1921
[19] EINAUDI.
Storia della Lingua Italiana I vol. – I luoghi della codificazione,
Marazzina. Le teorie. Vedasi anche Einaudi ib. II vol. SCRITTO E PARLATO,
Marco Mancini. Oralità e Scrittura nei testi delle origini, e Paolo
d’Achille: l’Italiano dei semicolti.
[20] Curtius
E. R., Letteratura europea e Medio Evo latino, I^ ed. in tedesco, Bern,
Verlag, 1948: poi CURTIUS
[21]
CURTIUS p. 7
[22] CURTIUS
p. 93 - 187
[23] CURTIUS
p. 208-226
[24]
Midons era letteralmente “Signore” ma è utilizzato dai trovatori per
appellarsi alla “signora”
[25] SANSONE
E. GIUSEPPE – Testi didattico cortesi di Provenza, Adriatica Editrice –
Bari, con glossario, 1977, poi A - La poesia dell’antica Provenza, Guanda,
1984, poi B – La poesia dell’antica Provenza (ampliata), Biblioteca della
Fenice, Guanda 1999, poi C
[26]
C, p. 76 – Guilhem de Peitieu
[27]
C, Raudel p. 88
[28] C,
Cercamon, p. 120
[29]
CURTIUS, 107
[30]
Huizinga Johan, L’Autunno del Medioevo, Sansoni, Firenze, 1978 p. 413:
«L’amore della natura appartiene [nei trovatori]… pure a questo
atteggiamento. La sua espressione poetica è del tutto convenzionale; la
natura era un elemento prezioso nel grande gioco di società della cultura
erotico-cortese».
[31] B, DE PEITIEU p. 73
[32] B, RUDEL, p. 95
[33] B, CERCAMON, p. 123
[34] B, D’ALVERNHA, p. 156
[35] B, DE VENTADORN, p. 176
[36] B, id, p. 196
[37] B; FOLQUET, p. 268
[38] B; ARNAULT, p. 288
[39] A, p. 81
[40] Wehstein, Mezura, p. 47
[41] Bloch; La società feudale, p. 464
[42] Le Goh, EINAUDI, Torino, 1981, p. XXVI
[43] Huizinga - op. cit. p. 147
[44] B, p. 303
[45] B, p. 319
[46] B, p. 292
[47] B, 283
[48] B, 73
[49] B, 77
[50] B, p. 181
[51] B, p. 177
[52] B, P. 157
[53] B, p. 155
[54] B, p. 87
[55] B, p. 89
[56] B, p. 91
[57] B, p. 111
[58] B, p. 121
[59] B, p. 149
[60] B, p. 213
[61] C, p.21
[62] C, p. 23
[63] Harold Bloom, Il Canone Occidentale,
Bompiani, 1994, p. 215
[64] Huizninga op. cit. p. 149