LETTERATURE COMPARATE
 Linguistica e Letteratura Comparata 2004
TROVATORI OCCITANI E SERVITU' D'AMORE
di Massimo Marongiu
 

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... un altro contributo alla scienza comparatistica che nelle lettere non ha ancora
una vera e propria "scuola" italiana: ... nell'Insegnamento di "Letterature Moderne Comparate" tenuto dal Prof. Dott. Sandro Maxia, Facoltà di Lettere della Università degli Studi di Cagliari.




Tutti i diritti riservati © 2003 Massimo Marongiu
Deposito S.I.A.E. 2003

 

LETTERATURE COMPARATE

 

LINGUISTICA E LETTERATURA
COMPARATA 200
4

 

 Trovatori Occitani e Servitù d'Amore"

  

Iniziamo il nostro lavoro con una serie di definizioni e di distinguo necessari per delimitare il nostro intento e fissare alcuni punti focali nella pluralità di conclusioni degli studi disponibili sino a questo momento.
        Ci si trova a doversi porre, in una situazione pur sempre dubbia in un atteggiamento con diversi corollari dichiarati e dove le ipotesi numerose si collocano in un quadro generale che tende sì, alla certezza.
         Innanzitutto facciamo una notazione: gli studi sui trovatori sono quasi tutti in lingua francese. I francesi che per secoli fin’oltre il 1750, hanno ignorato questo patrimonio autoctono ora lo porgono al centro degli studi romanzi.
         “Trovatore (dal provenzale trobador) è un poeta lirico in lingua d’oc dei secoli XI – XIV, di varia appartenenza sociale ma legato prevalentemente ad ambienti di corte…[1].
         E qui affrontiamo il primo nodo. Da molti il nome trovatore, è usato indifferentemente con troviere. E ci sono buoni motivi. Il troviere è un poeta che segue le regole del trobar in modo simile al trovatore ma in lingua d’oil. Ma questa differenza linguistica non è neutra e ci induce a tener separati i due termini e le due figure in modo netto.
           Inoltre i trovieri in lingua d’oil oltre alle liriche d’imitazione (circa 2000) annoverano opere di grande respiro:
dal 1090 ca. – La canzone di Rolando (Turoldo)
1050 – Le canzoni di Gesta (Anonime)
1100 – Ciclo del Re di Francia
           Ciclo di Garin de Monglane
            1° Ciclo Bretone in latino
            Romanzi di materia greco-latina
            Romanzi di Chrétien de Troies (ciclo bretone)
1200 – 150 Fabliaux

1250 – Roman de la Rose
[2]
           Dei trovatori ci sono pervenuti circa 2500 componenti di ca. 400 autori, per molti dei quali si conosce soltanto il nome.

          Per 260 componimenti è pervenuta anche la notazione musicale senza misure e accenti, che permette di riprodurli più che altro come ipotesi
[3] e con arrangiamenti che utilizzano i modi del successivo periodo dell’Ars Nova.
           Ci sono altri tre nodi principali:
- ci siamo posti la domanda perché la civiltà delle lettere dei provenzali durò circa 200 anni con inizio e fine altrettanto repentini;
- la diffusione geografica e gli incipit di una cultura romanza, non all’oscuro della vivacità provenzale, ha di fatto posto l’episteme di una letteratura comparata naturaliter composita;
- il fin amour, la poesia cortese, tesse su antichi canoni il proprio statuto: un fenomeno di lunga durata rinvenibile nella storia della poesia occidentale fin nei nostri poeti contemporanei come un canone niente affatto dimenticato.
[4]

 

Gli esordi

 

Per dare un’idea della Langue geografica, riportiamo una cartina, [5] che è con la linea tratteggiata uno schema non fisso dell’espansione della lingua occitanica e del francese intorno al 1200.

C’è da sottolineare che il provenzale sconfinava con isole linguistiche o opere di trovatori nella padania fino a Venezia e a nord della Toscana, raggiungendo ad occidente il Portogallo sconfinando con la Francia e l’Inghilterra.
         La lingua provenzale si iniziò a diffondere anche per iscritto a fini non poetici intorno al ‘900 ma i primi trovatori iniziarono a comporre intorno al 1100. Domanda: come si è data nobiltà al romanzo rispetto alla lingua latina?
         Nel 743 erano state bandite dalla chiesa perché giudicate non acconce, il canto profano, la danza e la musica strumentale: “Maxima iniquitas coram Deo: Anatheme fit!” (Concilio Romano). Ma come abbiamo esposto in “Il medioevo Musicale”, il tropo, l’inno e la sequenza iniziarono ad essere accettate nelle funzioni e da taluni incoraggiate anche in lingua corrente.
         Qualche notizia si ha inoltre dei giullari intorno all’anno mille, la cui presenza è non proprio accettata ma sopportata.
          In genere si trattava di saltimbanchi, prestigiatori, mimi, ballerini, attori, cantanti, poeti e musicisti.
[6]
          Dal XI secolo latino e volgare spesso si mischiarono e sono rimasti documenti di monaci, clerici e clerici vagantes, senza dimenticare i goliardi delle Università (Bologna fondata nel 1158), i Planctus, i carmina, il contrafactum.
          E si può aggiungere il Dramma Sacro, o le Sacre Rappresentazioni e la lauda.
[7]
          Insomma prima di tutto non si esce da secoli bui e oscurantisti per arrivare ai trovatori e ai romanzi in genere. Come ci insegna il Bachtin i generi e le forme d’arte più umili vengono assunte dalle forme colte per essere casomai poi rovesciate. Nel nostro caso si è trattato di un fenomeno di sincretismo a doppio binario. Latino-romanzo/romanzo-latino. Riportiamo un documento di Limoges del XI sec. In latino e provenzale:

In hoc anni circulo

vita datur seculo

nato vobis parvulo

DE VIRGINE MARIA  

Mei amic e miei fiel,

laisat estar lo gazel;

aprendet u so noel

DE VERGINE MARIA

[In questa ricorrenza annuale è data la vita al mondo, perché è nato per noi il figlio della Vergine Maria. Amici miei e fedeli miei, smettete di chiacchierare; imparate una nuova canzone sulla Vergine Maria]. [8]
         Questa preghiera proveniente dall’Abazia di San Marziale potrebbe anche essere l’unica pervenutaci di un gruppo o addirittura una usanza tradizionale. Ma non deve ingannarci su quelli che erano i rapporti di potere e le classi culturali. Nelle “vidas” apprendiamo che alcuni trovatori, per volere o per forza, a un certo punto della loro vita sono diventati degli ecclesiastici, ripudiando innanzitutto la previa produzione artistica e facendo voto di non “trobar” in seguito.
         Insomma, è sostenibile che esista non una cesura ma una continuità con la cultura aulica ed ecclesiastica che però non fu una commistione o filiazione, piuttosto un accostamento. Ricordiamo con Fernand Braudel
[9].
«… che la storia accetta, scopre spiegazioni molteplici, da un «ripiano» temporale a un altro, in verticale. E su ciascun ripiano vi sono anche nessi in orizzontale».
         Prendiamo ad esempio l’accostamento latino-romanzo. Non è certo l’unico fenomeno di lunga durata che gioca a favore di una nascita dei trovatori graduale. Anche il fenomeno dei giullari, saltimbanchi, menestrelli ha la sua importanza. «[la] diversità della condizione sociale… si manifesta una diseguale partecipazione dei diversi strati sociali alla produzione e fruizione dei beni culturali».
[10]
         La pluralità dei piani e l’incontro in orizzontale dei fenomeni giustifica ulteriormente una lenta comparsa del fenomeno dei trovatori: «tutte le forme drammatiche, popolari o colte, profane o sacre, traggono origine dalle «grandi feste annuali e stagionali di rinnovamento e di propiziazione»
[11].        
        Questi due grandi fiumi culturali allora precipitarono come una cascata? Non fu così probabilmente. Basta pensare alla circolazione del manoscritto nel medioevo e di ciò che vi era contenuto.
         Il più antico dei poeti provenzali di cui si conservino componimenti è Guglielmo d’Aquitania. Nominalmente “Principe” ma che in effetti aveva possedimenti di gran lunga superiori a quelli del Re. Due volte sposato, due volte scomunicato, due volte perdonato, due volte crociato in Terrasanta e in Spagna contro i Mori…
         insomma un personaggio veramente di grande spessore nella vita e nell’arte. La nostra ipotesi è che i fogli volanti trobadorici precedenti il 1090 siano stati fatti sparire, o meglio riciclati, per lasciare come primo Campione Cavaliere e Poeta il Principe Guglielmo d’Aquitania. Una captazio benevolentiae multifocale che avrebbe giustificato l’eliminazione di una gran mole di produzione occitanica e latina, sublime o volgare, importante o umile per un degno incipit al di fuori di ogni “discussione”.
         Sappiamo bene che la diatriba sugli esordi è molto articolata. Dal Salmeri
[12] vengono esaminate, con dovizia di notizie bibliografiche, le seguenti esposizioni:

La tesi di derivazione mediolatina

La tesi di origine araba

La tesi delle origini popolari

La tesi storico-sociologica

soprattutto dal punto di vista della filologia romanza. Ci sembra corretto indicarle per una eventuale approfondimento in quella direzione.
         Per quanto ci riguarda rimaniamo dell’avviso che i piani in movimento che abbiamo esposto, siano la miglior risposta alla domanda sulla nascita della Koinè trobadorica.          

 

  

IL DECADIMENTO

 

Sulla sua fine è la storia evenemenziale che ha il sopravvento e attua la cesura.
         “La crociata contro gli albigesi (1208 – 1229), bandita da Innocenzo III e guidata da Simon de Montfort alla testa di truppe in gran parte settentrionali, con i suoi massacri di eretici veri e presunti e le sue devastazioni, travolse il delicato sistema feudale delle corti del Sud [provenzali],
[13] facendo venir meno le condizioni stesse di questa poesia [trobadonica][14] …la repressione assunse la portata di un genocidio.”[15]
         La pace siglata nel 1229 col trattato di Parigi annesse vasti territori e feudi al Re di Francia lasciando i territori occitani in profondo dissesto. Come atto finale nell’anno 1539 Francesco I, vietò per editto l’uso della lingua d’oc, se non come parlata locale. Fu come infierire su un cadavere.
         Per inciso, è noto che la lingua italiana è nata come lingua eminentemente letteraria. Non così fu per il francese. La parlata d’oil si affermò più che col giglio con la spada, con successive e decisive esclusioni e imposizioni.
         Abbiamo esposto gli inizi e la decadenza. Brevemente vorremmo esporre alcune costanti che si dipanarono dall’inizio alla fine. Prima di tutto la base economica necessaria era una corte fiorente, che potesse “permettersi” il trobar. Oltre al trovatore si doveva avere sul libro paga un giullare, che cantava il componimento, e per le corti più ricche, dei suonatori che accompagnavano il giullare. Di lirica si trattava, talvolta accompagnata anche dal ballo ma che in realtà diventava la “scena” della corte e della epifania della sua potenza.

 

  

LA LETTERATURA COMPARATA
“NATURALITER CONSTITUTA”

 

Nel XIII secolo era già iniziato un certo interesse per le lingue volgari alimentato a nostro avviso dalla loro caratteristica romanza. Dante annunciò:
         Di questo si parlerà altrove più compiutamente in uno libello che io intendo di fare, Dio concedente, di Volgare Eloquenza.
                                                   Convivio I, V, 10
[16]
        Il testo stesso si da il titolo già anticipato come «doctrina De Vulgari Eloquentia» ma ha solo due libri completi e uno spezzone sulla “canzone” (mancano la ballata e il madrigale preannunciati).
         Dante parte dall’unica lingua primigenia, l’ebraico, da cui dopo la torre di Babele si son formati tre ceppi di agglomerati linguistici. A Sud-Est il greco, il franco-provenzale-italiano al centro e infine le lingue nordiche.
        Il ceppo centrale è tripartito a seconda di come si pronunci la particella affermativa: oil in Francia, oc in provenza e si in Italia.
        In Italia riconosce quattordici varietà di idiomi e afferma che il volgare superiore agli altri è quello italiano. Ha infatti i caratteri “di illustre, perché perfetto e nobilitato dall’uso artistico; cardinale, perché deve essere cardine attorno a cui girano tutti i volgari locali; aulico, perché degno di essere parlato in una reggia; curiale, perché deve essere preciso ed equilibrato”
[17].
       Ma quando parla del provenzale, ne riconosce l’antichità e il primato letterario: «vulgares eloquentes in ea [lingua d’oc] primitus poetati sunt».
[18]
        L’eccellenza dei poeti provenzali è ancora più di valore in quanto discende da un’analisi delle lingue e di quelle romanze in particolare fatta da Dante, in veste di “grammatico” e che nel presunto periodo di stesura del manoscritto oggi chiamato “De Vulgari eloquentia” dal 1306 al 1309, poteva ben giudicare  il fenomeno dei trovatori, che già volgeva a tramontare, piuttosto diremmo quasi giunto ai suoi epigoni. Inoltre poteva vantare quasi venti anni di produzione poetica in volgare e aveva quindi la situazione storica e la capacità affinata del poetare a sua disposizione per affidarci la sua lectio.
        Per concludere questa sezione notiamo che si assiste oggi a «una rivalutazione di Dante come linguista nel suo De Vulgari eloquentia …dopo un’analisi comparativa… la sua attenzione si restringe alle tre lingue [romanze].
[19]»
          Con le conclusioni che abbiamo appena esposto.

 

  

GLI STATUTI CANONICI

 

Ernst Robert Curtius nel suo “Letteratura europea e Medio Evo latino”[20] individua nella cultura occidentale un collante indiscutibile che ne dimostra l’unità; il latino. «Il latino è stato la lingua della cultura nei tredici secoli che intercorrono tra Virgilio e Dante»[21]
         Parlando di retorica antica spiega “ciascun autore si propone in partenza che il lettore sia ben disposto verso di lui; perciò in tutti i tempi, fino al grande rivolgimento letterario del Settecento, è sempre stato esortato ad iniziare con un certo tono modesto e cortese. Dopo di che egli doveva far conoscere l’argomento della trattazione: per questo exordium esisteva una determinata topica; altrettanto per la chiusa”
[22].
         Nei trovatori del fin amour troveremo in romanzo la stessa struttura retorica sovradescritta in latino-occidentale. Inoltre un’analisi tematica sul “locus amoenus” sempre come costante latino-occidentale sarà nei trovatori indissolubile dall’esordium ma in ambiente romanzo.
[23]
        Siamo già entrati in argomento su quello che abbiamo definito “accostamenti” ma vorremmo aggiungere una nostra notazione. Nel saggio sul “Sogno nell’Antichità Classica” abbiamo messo in luce la creazione di un canone di lunga durata nel “contatto” bilaterale fra fedele e Assoluto. Ebbene nel fin amour c’è una medesima struttura bilaterale e sbilanciata tra il trovatore iniziato all’amor cortese e la
midons
[24]. E questo canone attraversa l’ebraico, il greco, il latino.
           Le conseguenze con Dante e Petrarca, che ecclesiastico, in particolare giudicava di trar gloria dalle sue opere scritte in latino, e invece fondò un canone romanzo cristallino e fecondo tanto che non c’è poeta fino ad oggi che non porti “sottobraccio” le sue opere e i suoi stilemmi.
           Queste premesse ci permetteranno una lettura guidata, retorica e tematica di alcuni testi fin’ora pubblicati senza e con testo a fronte.
[25]

 

 

LA RETORICA

 

La maggior parte dei componimenti c’è un incipit, che con le funamboliche pratiche del trobar claus può anche non essere posto proprio all’inizio, ma leggermente spostato:
“Ab la dolchor del temps novel

foillo li bosc, e li aucel

chanton, chascus en lor lati

segon lo vers del novel chan:”
[26]
[Quando la dolcezza del nuovo tempo/ son verdi i boschi, e gli uccelli cantano, ognuno nella sua lingua/ seguendo il verso del canto novello.]
“Quan lo rius de la fontana

s’esclarzis, si cum far sol,
e par la flors aiglentina,

e·l rossinholetz el ram

volf e refranh ez aplana
son dous chantar et afina

dreitz es qu’ieu lo mieu refranha.”
[27]
[Quando il ruscello della fonte/
si rischiara, così come suole fare/
e s’apre il fiore della rosa silvestre/
e l’usignolo nei rami/
canta e modula e varia/
il suo dolce canto e la raffina,/
è giusto che io il mio rinfranchi].

“Quant l’aura doussa s’amarzis
e·l fuelha chai de sus verjan
e l’auzelh chanjan lor latis,
et ien de chai sospir e chan
d’Amor que·m te lassat e pres,

que eu anc non l’aic en poder”.
[28]

[Quando l’aura dolce s’inasprisce/ e la foglia cade dal suo ramo/e gli uccelli cambiano la loro lingua/e io di qua sospiro e canto/d’Amore che mi ha lasciato e preso,/che non una volta lo ebbi in potere].
         Ci fermiamo con gli esempi dei trovatori per ricordare col Curtius che «nell’Iliade accanto agli Dei dell’Olimpo, si invocano anche la terra, il cielo, i fiumi»
[29] e questo in Eschilo e Sofocle, dal poeta tardo ellenistico Bione.
         Nella poesia latina Stazio, mentre nella tarda antichità romana, gli elementi presi in considerazione furono i quattro principali.
         Facendo un ultimo passo, nella Bibbia, si trova nella Vulgata 95, II ss.
         Ogni creatura di Cristo: sole, stelle, luna,
         colline e montagne, valli, mare, fiumi, fonti,
         tempeste, piogge, nuvole, vento, procelle,
         calura, brina, gelo, ghiaccio, neve, fulmini, rocce,
         prati, boschi, fronde, arbusti, erbe, fiori,
         gridando: salve! Canti con me nel più dolce dei modi.
        Il topos si rinnoverà nel classicismo francese con Maynard; Racan; La Fontane.
         In Spagna Calderon si esibirà in elenchi minuziosi
[30].
        Questi piani Tematici e Retorici che abbiamo esposto sono il collante dell’accostamento a più piani dello svolgersi temporale del difficile affermarsi romanzo nel tempo, in particolare riferimento all’occitanico.

 

 

LA CHIUSA

 

         Cambiamo argomento per dar nota delle funzioni di chiusa che nella poesia occitanica hanno un carattere “tipico”: quello della “spedizione”. E’ come se la consorteria trobadorica con questi finali volesse stringersi a sé stessa in una unicità d’intenzioni. Non è difficile rintracciarle perché, come spesso capita ad un topoi rimane affatto distaccato dal corpus del componimento.
…“Fait ai lo vers, no sai de cui;
    e tramerai lo a celui
    que lo·m trametra per autrui
        
envers Peitau,
    que·m tramezes del sieu estui
        
in contraclau.”
[31]

[Fatto è il verso, non so su chi

e lo trasmetterò a colui

che lo manderà per altrui

     verso il Peitau,

affinché mi mandi del suo astuccio

la controchiave].

…“Mas so q’ieu vuoill m’es tant ahis!

totz sia mandiz lo pairis

qe·m fadet q’ieu non foz amatz!”.[32]

[Ma so che vorrei nel mio tanto ahimè

tutto sia maledizione al padrino

che fece in modo che non fossi amato].

… “Mas, cui que plass’o que pes,

elha·m pot, si·s vol, retener.

Cercamons ditz: «Greu er cortes

hom que d’amor se desesper»”[33].

[Ma a chi piaccia o no

ella può, se vuol, tenermi.

Cercamon dice: Difficile alla cortesia

l’uomo che dell’amore dispera].

… “Eu aqest vers sapcha vilans, Audries,

que d’Alvernge manda c’om se dompneis

no val ren plus que bels malvatz espics”[34].

[Da questi versi l’ignorante sappia, di Aldrico,

che quel d’Alvernge assicura che senza servizio (d’amore)

non si vale che una spiga ben malvagia].

… “A mo Cortes, lai on ilh es,

tramet lo vers, e ja no·lh pes

car n’ai estat tan lonjamen.”[35]

[Al mio Cortese, là dov’è

spedisco il mio canto, e non si doglia

che son stato tanto lungamente].

… “Garsio, ara·m chantat

ua chanso, e la·m portat

a mo Messager, qu’i fo,

qu’e·lh quer cosselh qu’el me do.”[36]

[A Garcio, ora cantate

il mio canto, e portatelo

al mio Messaggero cui

qualche consiglio ch’egli mi dia].

… “Vas Nems t’eu vai, chansson, qui qe·s n’azire,

que gauch n’auran, per lo meu escien,

las tres donnas a cui ieu te present[37].

[Va a Nîmes, vai canzone a/chi se ne dolga

chi ne gioisca, secondo mia scienza,

le tre signore a cui l’ho dedicata].

… “Armanz tramet son chantar d’ongl’e d’oncle

a grat de si qui de sa verj’a l’arma

son Desirat cui prez en chambra intra”[38].

[Arnault manda il suo canto d’unghia e di zio

e grata a colei che ha il filone dell’arma,

il suo Desiderato, la cui virtù entra in camera].

Queste chiuse sono “tipiche” per la loro caratteristica di rimando, contatto, spedizione, ma sono “norma”, “stile”, “retorica”, medioevale e traggono origine nell’antichità greco-latina. Piuttosto si sarà potuto notare la tensione erotismo vs. cortesia che si risolve comunque in espressione raffinata e colta del contenuto che tende al sublime sia nei passi di “fin amour”, sia in quelli dialogici di manifestazione del desiderio.

 

 

LA SERVITU’ D’AMORE

 

E’ indispensabile mettere in una corretta ottica il concetto di cortesia. Lo facciamo citando un poemetto provenzale di Garin Lo Brun del XII secolo; «… Cortesia consiste in ciò, se volete saperlo: chi sa opportunamente parlare ed agire, per cui lo si debba prediligere, e si guarda da malcreanza; cortese può essere inoltre chi sa discernere stoltezza e schivare sconvenienza e fare quanto è gradito agli altri: cortesia lo diletta.
… Di cortesia è facile il parlare e difficile il possesso, perché si diversifica in molte guise e in diverso modo.
… Nessuno è compiutamente cortese: gli uni ne hanno ricca porzione e gli altri scarsa.
… Cortesia consiste nell’abbigliarsi e nel ricevere gentilmente; cortesia sta nel fare onore e nel gentil parlare; cortesia sta nello svago ed è quella che più mi piace… »
[39].
         Il Wehstein
[40] chiosa che «La courtoisie des moralistes n’est que la forme sociale de la vertu» e Bloch puntualizza come «era naturale che una classe così nettamente definita dal genere di vita e dalla supremazia sociale finisse col dare a se stessa un proprio codice di vita»[41].
         Jacques Le Goff stigmatizza con potenza «… la forza persistente dei modelli aristocratici rafforzati dalla formazione dell’ideale cortese, [sono il] primo codice propriamente occidentale di vita civile…»
[42].
         Cortesia è la virtù che diventa codice che essendo limitato fa diventare la virtù irraggiungibile in una scena diversificata dove le norme sono presto appunto aggiustate alle convenienze.
         Nei trovatori la sublimazione della passione amorosa, intellettuale e cortese, non significa che non possa nobilitare a seconda dei casi, il volgare e il carnale. In generale il rapporto trovatore-midons è sempre velato dalla cortesia, dalla distanza, dalla lontananza, dalla virtù da un vissuto di perdita.
         Huizinga ci ricorda che «certo, anche l’antichità aveva cantato gli spasmi e i tormenti d’amore [però] … l’emozione dolorosa non era provocata dall’insoddisfazione erotica, ma dal triste destino. Soltanto nell’amore cortese dei trovatori il desiderio non appagato è diventato il tema centrale.»
[43]

BERTRAND DE BORN

Poiché di me non v’importa, signora

e m’avete respinto da voi

senza avere ragione di sorta,

non so da che parte cercare,

       perché giammai

sì grande gioia sarà mai recuperata

da me, e qualora all’aspetto

non trovi danza che mi soddisfi

e valga voi, che ora ho perduta,

mai più amante desidero avere.[44]

Falsi, invidiosi, spergiuri pettegoli,

poiché con midons mi fate fare lite

ben gradirei che mi lasciaste stare.[45]

E la riservatezza e il dubbio non meno angoscioso in ARNAUT DE MARUELH:

La gran bellezza e il fine contegno,

il pregio vero e le amabili lodi,

il dir gentile e l’incarnato fresco

che sono in voi, nobil dama valente,

maestria mi danno di cantare e ingegno,

ma mi van via per gran sbigottimento:

non oso dir che di voi canto, donna

e nulla so se a danno o pro mi venga.

ma il servizio d’amor tutto trasfigura:

[almeno]

que nos servirs vos plass’e·us sia bos.[46]

[vi possano compiacere i miei servizi]. (d’amore)

         La NASA per quanto riguarda gli UFO ha messo a punto la seguente classificazione: avvistamento, avvicinamento, contatto.
         Traslando, non è escluso il contatto: 

ARNAULT DANIEL

La prima volta io non mi persi…

La prima volta che baciai midon·s

e scudo mi fece col suo manto azzurro…[47]

anche se in una soffusa nuvola fiabesca, talvolta, anche se non in discorso piano ci si fa più espliciti e sfacciati:

GUILHEM DE PEITIEU

tramite altri lo spedirà

verso il Poitou

perché mi mandi la controchiave

del proprio astuccio[48]

il cui significato degli ultimi due versi si potrebbe tradurre con il detto siciliano: “tu sì fodera eo cutieddo”.

E ancora GUILHEM DE PEITIEU

e lei mi dette dono così grande:

l’amore pieno insieme con l’anello.[49]

Con gran cortesia, dopo avere pianto di servitù d’Amore racconta pacatamente delle sue conquiste.
         Su un piano diverso si pone il nucleo focale del fin amour, della servitù d’amore; sul piano dell’inappagato, dell’amore delle mancanze della pur vistosa classe subalterna che può solo sognare alcune virtù: innanzitutto la nobiltà.

BERNART DE VENTADORN

… La mia speranza ho riposto assai bene

quando il bel volto mi mostra colei

che più desidero e voglio vedere,

dolce e sincera, nobile e leale,

in cui il Re avrebbe appagamento.

Bella, aggraziata, dal corpo leggiadro,

ella m’ha reso, dal nulla, patrizio [ric ome][50].

… Donna gentile null’altro vi chiedo

se non che mi prendiate a servitore:

vi servirò come un buon signore [senhor]

… eccomi al vostro comando, creatura

dolce e leale e gioiosa e cortese.[51]

PEIRE D’ALVERNHA

… servizio d’amore, il quale in lei cresce e s’espande

pien di dolcezza, bianco e verde, come la neve;[52]

… mi piace l’apparire d’un amore lontano e separato,

che poco val l’alzarsi e il giacere…[53]

JAVFRE RUDEL

… Non si stupisca nessuno di me

se amo quella che mai mi vedrà.[54]

… Amore di terra lontana

per voi tutto il cuore mi duole,

e non posso trovar rimedio

se non accorro al suo richiamo…[55]

… Già dell’amore non sarò più lieto

se non godrò di questo amor lontano

perché non so più eletta e più gentile

in nessun luogo, prossimo o lontano.[56]

MACABRU

… Sa l’Amore come frantuma:

- Ascoltate! -

sì che giammai ne amò nessuna

e da nessuna fu mai amato.[57]

CERCAMON

… così m’incanto quando son con lei

che non so dirle il mio desiderio,

e nell’andarmene a me pur sembra

che tutto perda il sapore e il senno.[58]

RIGAUT DE BERBEZILH

… I dodici regni, Bel Paradiso, interi

avrebbero pro del vostro insegnamento.[59]

RAIMBAUT D’AURENGA

… Per voi son lieto ma pieno di tristezza

e triste-allegro mi fate ritrovare

mi sono distolto da tre che sulla terra,

salvo voi stessa, non hanno lor pari;

e son cantore stolido di corte
tanto da essere chiamato giullare
.
[60]

Il trovatore patisce una isteresi tra patrizio e giullare nella sua devota posizione di letterato-curtense.
       E’ un atteggiamento letterario che investiva con pari senso di aristocratica consapevolezza intellettuale sia uomini di umile provenienza sia uomini di discendenza nobile.
[61]
     La servitù d’amore e la scena cortese sono proprio quel «magistero occitanico»
[62], che impressionò, come in un negativo, l’Europa romanza e in particolare, il Dolce Stil Nuovo, Dante e Petrarca. Non scevro da questa impressione Petrarca e il suo Canzoniere secondo Bloom fondarono un canone, la poesia Rinascimentale, che fu retorica e scuola “per la poesia lirica… che culminò…” in Goethe.[63] Ma per quanto riguarda le forme, i temi e i tropi noi non abbiamo tema di affermare che quella scuola ha permeato e continua a permeare di se, la lirica e l’elegia.
       Da un punto di vista filosofico vorremmo chiudere con le osservazioni acute di un filosofo-storico: Huizinga. Nel medioevo si tendeva a «trasformare la vita amorosa in un bel gioco con nobili regole… era necessario inquadrare le emozioni entro forme fisse. Per le classi inferiori della società la disciplina delle passioni era affidata alla Chiesa… L’Aristocrazia che si sentiva già indipendente di fronte alla Chiesa, perché possedeva ancora un po’ di cultura non ecclesiastica, si diede da sé, con l’ingentilimento dell’amore, un freno per i suoi impulsi».
[64]
        Tali considerazioni possono essere, con buona approssimazione, attagliarsi ai 200 anni di Koinè trobadorica, come ulteriore accostamento dei piani in movimento che via via abbiamo offerto al vostro giudizio.

 

 

 


 

[1] Enciclopedia Universale Rizzoli Larousse
[2] Per una trattazione delle scansioni temporali cfr. CESARANI Remo – DE FEDERICIS LIDIA, Il materiale e l’immaginario, vol. ½, LOESCHER EDITORE, Torino 1979 p. 202 – 207.
[3] Qualche tentativo è stato fatto: suggeriamo il sito multimediale: Poeti Provenzali – http://www.criad.unibo.it/~galarico/arts/cantastorie/Kalenda.htm
[4] Per quanto riguarda i manoscritti, le presenti ascendenze, i mancanti ma verosimili, vedasi S. SANTANGELO: Dante e i trovatori provenzali, SLATKINE, Geneve, Paris, 1982.
[5] Ulrich Mölk, La lirica dei trovatori, Il Mulino tr. 1986 dal tedesco p. 46
[6] http://utenti.lycos.it/agora/tesi8.html
E’ l’unica testimonianza di monodia con testo romanzo esistente anche se non è rimasto alcun documento.

[7] Ib.
[8] Mölk ib. P. 47
[9] BRAUDEL FERNAND – Civiltà e Imperi nel Mediterraneo nell’età di Filippo II. Genova ed. EINAUDI 1976, p. XXV
[10] CIRESE A. M. – Cultura Egemonica e Cultura Subalterna – Palumbo – Palermo 1973 p. 12
[11] TOSCHI – Le origini del teatro in Italia, 1955
[12] Salmeri Filippo – La lirica trobadorica C.U.E.C.M. 1994 pagg. 26-41
[13] n.d.r.
[14] n.d.r.
[15] Costanzo Di Girolamo, I trovatori, Bollati Boringhieri, Torino, 1996
[16] Opere di Dante, testo critico della Società dantesca italiana, Firenze 1921
[17] http://ecs.net/scrivere/DANTE/INFO/DEVE.htm
[18] Dante, ib. 1921
[19] EINAUDI. Storia della Lingua Italiana I vol. – I luoghi della codificazione, Marazzina. Le teorie. Vedasi anche Einaudi ib. II vol. SCRITTO E PARLATO, Marco Mancini. Oralità e Scrittura nei testi delle origini, e Paolo d’Achille: l’Italiano dei semicolti.
[20] Curtius E. R., Letteratura europea e Medio Evo latino, I^ ed. in tedesco, Bern, Verlag, 1948: poi CURTIUS
[21] CURTIUS p. 7
[22] CURTIUS p. 93 - 187
[23] CURTIUS p. 208-226
[24] Midons era letteralmente “Signore” ma è utilizzato dai trovatori per appellarsi alla “signora”
[25] SANSONE E. GIUSEPPE – Testi didattico cortesi di Provenza, Adriatica Editrice – Bari, con glossario, 1977, poi A - La poesia dell’antica Provenza, Guanda, 1984, poi B – La poesia dell’antica Provenza (ampliata), Biblioteca della Fenice, Guanda 1999, poi C
[26] C, p. 76 – Guilhem de Peitieu
[27] C, Raudel p. 88
[28] C, Cercamon, p. 120
[29] CURTIUS, 107
[30] Huizinga Johan, L’Autunno del Medioevo, Sansoni, Firenze, 1978 p. 413: «L’amore della natura appartiene [nei trovatori]… pure a questo atteggiamento. La sua espressione poetica è del tutto convenzionale; la natura era un elemento prezioso nel grande gioco di società della cultura erotico-cortese».
[31] B, DE PEITIEU p. 73
[32] B, RUDEL, p. 95
[33] B, CERCAMON, p. 123
[34] B, D’ALVERNHA, p. 156
[35] B, DE VENTADORN, p. 176
[36] B, id, p. 196
[37] B; FOLQUET, p. 268
[38] B; ARNAULT, p. 288
[39] A, p. 81
[40] Wehstein, Mezura, p. 47
[41] Bloch; La società feudale, p. 464
[42] Le Goh, EINAUDI, Torino, 1981, p. XXVI
[43] Huizinga  - op. cit. p. 147
[44] B, p. 303
[45] B, p. 319
[46] B, p. 292
[47] B, 283
[48] B, 73
[49] B, 77
[50] B, p. 181
[51] B, p. 177
[52] B, P. 157
[53] B, p. 155
[54] B, p. 87
[55] B, p. 89
[56] B, p. 91
[57] B, p. 111
[58] B, p. 121
[59] B, p. 149
[60] B, p. 213
[61] C, p.21
[62] C, p.  23
[63] Harold Bloom, Il Canone Occidentale, Bompiani, 1994, p. 215
[64] Huizninga op. cit. p. 149