1) Michele e l’omino di carta (prima puntata)
2) Michele e l’omino di carta (seconda puntata)
3) Michele e l’omino di carta (terza puntata)
fiaba
(prima puntata)
Quel giorno pioveva a dirotto e a uscire di casa ci sarebbe stato da bagnarsi come pulcini.
Così Michele se ne stava in casa e, per passare il tempo, prese un bel foglio di carta bianca e cominciò a disegnarci sopra un omino. Prima fece il viso, con due begli occhini celesti, un nasino proprio ben fatto e una bocca di un bel rosso vivo. Poi fece il torace e le braccia, vestiti da una bella maglietta blu.
Infine fece le gambe, coperte da un paio di calzoncini lunghi color arancia. Gli scarponcini li colorò di marrone.
Oggi il disegno gli veniva proprio bene ed era soddisfatto del suo lavoro. Così decise di ritagliare il suo omino e di attaccarlo alla porta della sua cameretta.
Andò a prendere le forbici in cucina e, ritornato in camera sua, si accinse a ritagliare il suo bel disegno.
Prese in mano il foglio e dette un’occhiata compiaciuta al suo capolavoro. Guardò e riguardò il disegno sempre più perplesso. Infatti la bocca dell’omino era sorridente e mostrava una bella fila di denti bianchissimi.
- Eppure mi pareva di aver disegnato la bocca chiusa – disse fra sé e sé, e rimase col foglio in mano senza far nulla. Ma alla fine pensò di essersi sbagliato e, dopo aver scosso la testa, prese a ritagliare la figura.
Ritagliava
con molta attenzione per essere il più preciso possibile e, in effetti, il
lavoro gli riusciva alla perfezione.
Quando ebbe finito posò l'omino sul tavolo e
lo guardò compiaciuto. Poi andò a cercare il nastro adesivo col quale intendeva
fissarlo alla porta della sua cameretta.
Ma proprio in quel momento la mamma lo chiamò
: - Michele, cosa hai da fare di compiti ? - Allora Michele prese la borsa di
scuola e andò dalla mamma in sala da pranzo. Qui tirò fuori il diario e lesse
quello che doveva fare: una scheda di grammatica e otto operazioni.
- E' meglio che ti ci metti subito, così dopo
giochi tranquillo - disse la mamma. E Michele fu d'accordo. Così tirò fuori il
necessario e cominciò a fare la scheda. Era facile e fece presto a finire. Per
le operazioni, però, ci volle un po' più di tempo. Dopo poco più di mezz'ora,
comunque, aveva finito. La mamma controllò che andasse tutto bene, dopo di che
Michele mise a posto la roba nella cartella e, trovato il nastro adesivo, tornò
in camera sua.
Subito si avvicinò al tavolo dove aveva
lasciato l'omino e....rimase di stucco. Si stropicciò gli occhi per vedere
meglio e si chinò sull'omino per vederlo più da vicino.
Guardò e riguardò. Non c'erano dubbi: il bel
celeste degli occhi dell'omino non si vedeva più, per il semplice motivo che
l'omino aveva chiuso gli occhi.
- O che mistero è questo ? - disse fra sé
Michele - prima la bocca sorridente e ora gli occhi chiusi. Questa volta sono
sicurissimo di avergli disegnato gli occhi aperti - Infatti il pennarello
celeste era ancora fuori dall'astuccio insieme agli altri che aveva usato per
colorare l'omino.
Rimase un bel po' a fissare l'omino, con un
misto di curiosità e di paura. Poi allungò una mano e tirò su l'omino.
Meraviglia !!
Appena l'ebbe preso in mano l'omino aprì gli
occhi e fece un bel sorriso. Michele, colto di sorpresa, spaventatissimo lasciò
andare l'omino che cadde giù. Per fortuna Michele era proprio davanti al tavolo
e l'omino cadde su quello.
Spaventato ma anche molto incuriosito
Michele, che aveva fatto un salto indietro, si avvicinò di nuovo al tavolo e
guardò l'omino.
Meraviglia delle meraviglie !! Stava seduto
e con una manina si grattava la testa, che aveva battuto sul tavolo, cadendo.
E non basta. Michele si accorse che stava
muovendo velocemente le labbra come se parlasse.
- Ma....- balbettò Michele - quest'omino sta
parlando ! -
- Certo che sto parlando -
Michele fece di nuovo un salto indietro. Non
sognava. Era sicuro di aver sentito una vocina debole debole, appena
percettibile, che aveva detto così.
Si avvicinò di nuovo. L'omino stava ancora
muovendo la bocca, ma non si sentiva nulla. Allora Michele si rivolse proprio
all'omino e gli disse: - Ma sei proprio tu che hai parlato ? -
L'omino chiuse gli occhi e con le mani si
tappò le orecchie. Poi cominciò a muovere di nuovo la bocca come se gridasse. E
Michele sentì la vocina sottile che diceva: - Parla più piano, per favore, se
no mi rompi i timpani -
- Va bene - disse allora Michele parlando
pianissimo - tu invece prova a parlare più forte, se no non ti sento -
- Proverò - rispose l'omino - ma tu avvicina
l'orecchio, perchè io non posso mica gridare a squarciagola per tutto il tempo
-
Michele, ora che la curiosità aveva
sopraffatto la paura, sempre parlando pianissimo riprese a dire : - Va bene. Ma
dimmi : che mistero è questo, che un omino di carta parla e si muove come se
fosse vivo? -
Poi si chinò e avvicinò l'orecchio alla bocca
dell'omino.
E l'omino cominciò a parlare. Ora Michele
poteva sentirlo e ascoltava con grande attenzione.
- Devi sapere, caro mio, che gli omini di carta
come me non sono altro che i personaggi delle favole e, come ben sai, i
personaggi delle favole sono vivi e vegeti come te. Solo che vivono nel loro
mondo, che, appunto, è quello delle favole. Ora: quando tu leggi o ascolti una
favola, i personaggi li senti vivere come persone del tuo mondo. Ma quando
guardi le illustrazioni dei libri non ci credi più e li credi solo delle figure
di carta -
Fece una pausa.
- E' vero -
disse Michele - ma il fatto è che i personaggi disegnati nelle figure stanno
fermi e non parlano certo come fai tu. Coma mai tu, invece, parli e ti muovi ?
-
- Credo sia
dipeso dal fatto che tu, mentre mi disegnavi, mi immaginavi come il personaggio
di una storia. Secondo me tu sei un bambino cui piacciono molto le storie. Non
è così ? -
- Sì, è vero
- disse Michele sopra pensiero - E sono veramente contento di averti disegnato
e di averti qui. Ma tu sei contento ? Ti piace il mio mondo ? Riuscirai a
vivere qui ? -
L'omino tacque per un po', e si vedeva che
stava pensando intensamente. Poi disse : - Non ti so rispondere, perchè il tuo
mondo lo conosco poco. Perchè non me lo fai conoscere meglio ? -
- Benissimo
! - disse Michele allegro - cominciamo subito. Anzitutto ti farò visitare la
mia nuova casa -. Detto questo prese l'omino delicatamente, sempre
delicatamente infilò le sue gambe nel taschino del suo giubbotto in modo che
l'omino sporgesse fuori dal taschino dalla vita in su, quasi fosse affacciato a
una finestra, poi disse:
- Da qui
potrai vedere bene tutte le cose. Cominciamo la visita. -
E, detto fatto, cominciò a girare per le
stanze della casa spiegando ad alta voce le cose che si vedevano. Quando
arrivarono in cucina la mamma si incuriosì : - Si può sapere con chi stai
parlando ? -
E Michele: - Con questo omino di carta che ho
disegnato, che parla e si muove come una persona viva -
La mamma pensò che tutto ciò facesse parte di
un gioco e disse scherzosamente: - Che bella cosa ! Penso che il tuo omino
dovremo invitarlo a cena -
Michele aprì la bocca per spiegare alla mamma
che non era un gioco ma una cosa vera, ma proprio in quel momento l'omino si
sporse verso l'orecchio di Michele e gli disse: - Zitto ! E' meglio che nessuno
sappia che io sono vivo. Poi ti spiego perchè -
Allora Michele tacque e continuò il suo giro.
Alla fine chiese all'omino se gli era piaciuto.
- E' una
bella casa - disse l'omino - ma è tutto nuovo, chiaro e pulito. Non è il posto
dove si possono avere delle grandi avventure. E tu sai che noi personaggi delle
favole dobbiamo sempre avere delle avventure. Ci vorrebbe qualche posto un po'
più misterioso. Non ne conosci ? -
Michele ci pensò un po' : - Potrei farti
visitare la casa di mio nonno. Non ci abita più nessuno e c'è una soffitta
piena di vecchie cianfrusaglie -
- Andiamo a vedere - disse l'omino, subito
interessato.
Così andarono alla vecchia casa, Michele
prese la chiave che era nascosta sotto una piastrella su una finestra, aprì la
porta e entrarono. La vecchia porta si era aperta a fatica, cigolando.
All'interno tutto era silenzio e c'era, effettivamente, una certa aria di
mistero. A un tratto la porta del sottoscala si spalancò da sola e l'omino
sobbalzò nel taschino: - Chi c'è là dentro ? - chiese allarmato. Ma Michele lo
tranquillizzò: - Non c'è nessuno. E' la porta che non sta chiusa e basta il più
piccolo movimento nella casa che lei subito si spalanca -
- Bene, bene - fece l'omino - però il posto
mi piace. Visitiamolo -
Visitarono accuratamente tutto il piano
terreno, sottoscala compreso, e anche il piano di sopra. L'omino era molto
attento e, ogni tanto, faceva segno di fermarsi e di tacere, e tendeva
l'orecchio per sentire se si udivano scricchiolii, cigolare di vecchie porte,
lamenti o altri rumori misteriosi. Ma non udirono nulla.
Alla fine salirono in soffitta. L'omino era
interessatissimo. Lassù erano ammucchiate un po' alla rinfusa vecchie cose in
disuso : reti di letti, una vecchia stufa a legna, vecchi armadietti pieni di
cianfrusaglie....
L'omino era eccitato, e tendeva l'orecchio
per sentire se udiva rumori. Il suo desiderio di avere qualche avventura gli
faceva immaginare fate e gnomi nascosti negli angoli bui o dentro i vecchi
mobili, giovani cavalieri condannati da qualche incantesimo a vivere in quella
soffitta e cose del genere.
Michele si divertiva a vedere l'omino così
eccitato, ma sapeva bene che lassù non c'era nulla di quello che l'omino
immaginava.
A un tratto, però, si udì un rumore
indistinto. Subito l'omino si irrigidì e fece segno di tacere.
- Deve essere uno gnomo delle soffitte -
disse piano.
Rimasero in ascolto. Dopo un po' si udì di
nuovo il rumore. Era una specie di fruscio che proveniva da una cassa di legno
appoggiata al muro esterno.
- Ecco, lo gnomo deve essere dentro quella
cassa - disse l'omino.
Michele stette al gioco: - Bene, andiamo a
vedere -
- Lascia
parlare me, però - disse l'omino - io so come parlare con gli gnomi -
Spostarono delicatamente la cassa e videro,
all'interno del foro che si apriva verso l'esterno, non uno gnomo ma un rondone
infreddolito che lì aveva cercato riparo.
- Toh ! Un
rondone - esclamò Michele
- Si tratta
certamente di un principe vittima di un incantesimo maligno. Ho conosciuto
diversi principi trasformati in animali da
fate o maghi cattivi. Mettimi giù che voglio parlargli. Vedremo cosa
possiamo fare per aiutarlo. -
Michele lo trasse fuori dal taschino e lo
depose a terra. L'omino si avvicinò al rondone, fece un inchino e disse: -
Salve principe, io e questo mio amico umano siamo qui per aiutarvi. Diteci cosa
possiamo fare. -
Il rondone, che al suo avvicinarsi aveva già
dato segni di inquietudine, quando sentì la vocetta dell'omino, spiccò il volo
e se ne andò.
- Quello non era un principe. Quello era
solo un rondone bagnato - disse Michele con un po' di ironia.
L'omino, deluso, non disse nulla e si fece
rimettere nel taschino.
Michele si dispiacque della delusione
dell'omino e, per cercare di mostrargli qualcosa che potesse piacergli,
approfittando del fatto che in quel momento aveva smesso di piovere, lo portò
fuori e gli fece visitare alcuni boschetti che si trovavano lì vicino.
Naturalmente l'omino fu di nuovo molto
interessato e sperò di trovare nei boschetti qualche avventura. Effettivamente
nei boschetti si udivano molti rumori, prodotti dagli animaletti che li
popolavano. Ma di fate, di gnomi e di principi non ne trovarono proprio.
Intanto aveva ripreso a piovere e i due
rientrarono in casa. E qui successe davvero, per l'omino, un'avventura che
poteva costargli la vita.
Accadde, dunque, che il papà di Michele aveva
acceso il caminetto, e Michele, che si era un po' bagnato, vi si sedette
davanti per asciugarsi. Levò l'omino dal taschino e lo posò su una sedia, poi
si sfilò il giubbetto per farlo asciugare e, prima di metterlo alla spalliera
di una sedia, lo scosse per far andar via le goccioline d'acqua.
Non l'avesse mai fatto !!
Lo scuotimento del giubbetto produsse una
corrente d'aria che fece volare via l'omino. Michele se ne avvide subito e,
lasciato cadere il giubbetto che teneva ancora in mano, si precipitò per
afferrare al volo l'omino. Purtroppo non ci riuscì e l'omino, terrorizzato,
andò a finire proprio sulla fiamma del caminetto. Michele lanciò un urlo e,
gettatosi avanti, afferrò l'omino proprio sulla fiamma, bruciandosi anche un
po' la mano, e lo tirò fuori. Purtroppo un piede dell'omino stava già bruciando
e Michele, piangendo forte, strinse il piede dell'omino fra le dita e spense la
fiamma. Ma al posto del piede era rimasta solo un pezzo di gamba
sbruciacchiata.
La mamma e il papà di Michele, sentendolo
piangere, corsero temendo che si fosse bruciato. Quando videro cosa era
successo si arrabbiarono un po' e dissero che era uno sciocchino a piangere per
così poco.
Ma Michele non ascoltava neppure. Corse in
camera sua, chiuse la porta e si rivolse ansiosamente all'omino: - Come stai ?
Ti fa male la gamba ? - chiese.
- Non ti preoccupare - rispose l'omino
abbastanza tranquillo - noi omini di carta non sentiamo il dolore. Però dovrai
rifarmi il piede, se no non potrei camminare -
- Te lo rifaccio subito - disse Michele,
felice di sapere che l'omino stava bene. E in quattro e quattr'otto gli rifece
un pezzo di gamba e il piede e glielo incollò così bene che non si vedeva
neppure l'aggiuntatura. Poi lo mise sul tavolo, appoggiò un libro sopra la
gamba incollata affinchè aderisse bene e disse: - Stai qui fermo per un po',
finchè la colla sarà asciutta. Io, intanto, andrò a cena -
- Bene - disse l'omino - ci vediamo dopo -
Michele cenò in fretta e, dopo poco, disse
che andava a letto perchè era stanco. Dette la "buona notte" a mamma
e papà, poi si chiuse in camera. Trovò l'omino tranquillo. Tolse il libro da
sopra la gamba dell'omino perchè la colla era, ormai, secca, e l'omino si mise
a sedere. E parlò.
Disse : - Ho capito che questo mondo non fa
per me. Perciò tu mi devi aiutare a ritornare nel mondo delle fiabe, che è il
mio mondo -
- Sì, ma
come posso fare ? -
- Ti dirò io
cosa devi fare: Prendi un bel foglio di carta grande e disegnaci il paesaggio
di una storia che conosci. Lo devi disegnare bene, con tutti i particolari,
facendo attenzione di coprire con i colori proprio tutto il foglio. Solo in un
angolo del foglio devi lasciare uno spazio rotondo, grande come una moneta da
due Euro, senza colori, cioè perfettamente bianco. Hai capito ? -
Michele disse che aveva capito, e rimase a
pensare per un po' a quello che avrebbe potuto disegnare. Dopo molto pensare,
decise di disegnare una scena di una favola di Dario, Pino e Lino. Quelle erano
le favole che gli narrava il nonno e che lui ascoltava sempre volentieri. Così
disse all'omino cosa aveva deciso e l'omino disse che andava bene.
Michele, allora, prese un bel foglio e i
pennarelli e si mise all'opera. Disegnò il boschetto vicino al paese dei tre
ragazzi, le colline e le valli e la famosa fontanina con i tre ragazzi seduti.
E in lontananza, sopra una montagna, un grosso castello con cinque torri, su
ciascuna delle quali sventolava una bandiera. Nell'angolo in basso a destra
aveva disegnato un cespuglio di rose e, proprio in mezzo al cespuglio, aveva
lasciato uno spazio rotondo perfettamente bianco.
Quando dette l'ultimo tocco di pennarello
guardò la sveglia: erano le dieci e mezzo. L'omino disse che era perfetto e
disse anche che ormai era tempo per lui di partire.
Michele fece una faccia addolorata. Si era
affezionato all'omino e l'idea di perderlo lo faceva soffrire.
- Non ti vedrò mai più ? - chiese con il
pianto nella voce.
L'omino si
intenerì e sfiorò la mano di Michele con una carezza : - Non sarà una cosa
facile. Ma, forse, potrà accadere di nuovo se mi disegnerai ancora con amore,
credendo in me - Fece una pausa, poi riprese: - Mi viene un'idea. Ti piacerebbe
fare una visitina nel mio mondo ? Forse riuscirò a portartici, se lo vuoi -
Michele rispose con impeto: - Sì, sì, portami
con te -
- E i tuoi
genitori ? La tua casa ? -
- Dovrei
lasciarli per sempre ? - Michele ora era dubbioso.
Ma l'omino sorrise : - Non sarebbe giusto.
Stai tranquillo. Ti farò vivere una bella avventura, poi tornerai a casa tua -
- Quando
partiremo ? -
- Subito -
- E quando
potrò tornare ? -
- Prima di
domattina. Devi sapere che il tempo nel mio mondo non è uguale al vostro tempo.
Due o tre giorni del nostro tempo equivalgono a circa mezz'ora del vostro.
Quindi stai tranquillo. -
Ora stavano davanti al disegno ricco di
colori.
- Dammi la
mano - disse l'omino di carta - e fai come faccio io -
Michele gli dette la mano e stranamente ebbe
la sensazione di stringere una mano vera, una mano di carne. L'omino si
avvicino al disco bianco del disegno, quindi si voltò ancora verso Michele e
gli chiese:
- Sei pronto
? -
- Sì -
- Allora
andiamo ! -
E così dicendo introdusse la testa nel disco
bianco come se fosse un foro.
In quattro e quattr'otto l'omino era sparito
dentro il foro. Era rimasta fuori soltanto la mano che stringeva quella di
Michele e Michele si sentiva tirato con forza, anche lui, verso quel foro.
Ma come avrebbe potuto, lui, passare per un
foro grande come una moneta da due Euro ?
(fine della prima puntata)
(seconda puntata)
Eppure fece
appena a tempo a pensare questa cosa che la sua mano era scomparsa dentro al
foro e poi il suo braccio e poi......
E poi si ritrovò dentro un cespuglio di rose,
quel cespuglio che lui aveva disegnato poco prima. L'omino era accanto a lui
ma......Meraviglia !! Ora l'omino era grande come lui e pareva fatto di carne
ed ossa come un uomo vero.
Erano tante le cose che Michele non capiva e
che voleva chiedere, che non sapeva da dove cominciare.
Così fu l'omino a parlare : - Anzitutto
guarda bene dietro questo cespuglio. Vedrai un foro abbastanza grande per
poterci passare. Quando vorrai tornare a casa, entra in quel foro grigio (pareva
pieno di nebbia) e subito tornerai da dove sei venuto.
Ti devo anche dire che non ti devi stupire di
nulla, perchè qui siamo nel mondo della fantasia e qui è vero tutto quello che
vedi. Così è vero che io sono un bambino come te, è vero questo boschetto, è
vero il castello e tutto il resto. Perciò stai tranquillo e goditi in pace
questa bella avventura -
Michele fu abbastanza tranquillizzato e
disse: - Ma allora conoscerò anche Dario, Pino e Lino ? -
- Certo - rispose l'omino sorridendo. - Si
può dire che siamo venuti per questo. Anzi, avviamoci, che ci stanno aspettando
alla fontanina.-
E così si misero in marcia. Attraversarono il
boschetto dove c'era l'albero che pareva un mostro con le braccia aperte,
salirono alcune colline e discesero alcune valli, finchè giunsero alla
fontanina.
Dario, Pino e Lino, quando li videro, si
alzarono in piedi e salutarono l'omino con grandi effusioni : - Ciao, Matteo,
siamo contenti di vederti -
Matteo rispose ai saluti, poi fece le
presentazioni: - Questo bambino è Michele, che mi ha accompagnato in questa
avventura perchè voleva conoscervi di persona. Egli conosce le vostre storie e
si considera vostro amico -
- Ciao, Michele - dissero i tre festosamente
- siamo felici di conoscerti. E siamo contenti che tu stia un po' con noi. Oggi
verrete tutti e due con noi al castello dei ragni giganti e ci aiuterete nella
nostra avventura. -
Mentre erano lì videro Dario che si era fatto
un po' in disparte e che stava pensando intensamente, con gli occhi chiusi.
Dopo un attimo la fatina era comparsa in
mezzo a loro.
Essa salutò tutti, compreso Michele, al quale
fece una carezza sulla testa, poi si appartò con Dario e parlò a lungo con lui.
Gli dette anche delle cose che lui mise nel suo zainetto.
Quando ebbero finito la fatina salutò tutti e
sparì.
Dario, allora, disse che la fatina gli aveva
spiegato quello che dovevano fare e che lui li avrebbe informati strada
facendo.
Così, dopo aver fatto una bella bevuta alla
fontanina, partirono.
Attraversarono un fitto bosco, seguendo un
sentiero che passava fra gli alberi, finchè, sbucati dal bosco, si trovarono
all'inizio di una valle pure molto boscosa.
Dario si fermò e disse: - Questa è la prima
valle che dobbiamo attraversare. E' la valle delle cicogne urlatrici. Se si
ascoltano i loro urli fortissimi si può impazzire. Perciò mettetevi questi - e
dette a ciascuno due tappi di cera da mettere nelle orecchie che aveva tratto
fuori dal suo zainetto.
Tutti ubbidirono in silenzio, poi ripresero
il cammino.
Appena entrati nella valle furono circondati
da moltissime cicogne col becco spalancato, che emettevano urli laceranti. I
ragazzi, però, non li sentivano e camminavano spediti. Prima veniva Dario, poi
Pino. poi Lino. Quindi Michele e infine Matteo.
Avevano già percorso una buona metà della
valle quando Michele vide Lino che si metteva le mani alla testa come per
ripararsi, poi fece un urlo e cadde a terra come morto. Michele, che era subito
dietro, accorse per prestare aiuto e notò subito, vicino alla testa di Lino, in
terra, un tappo di cera. Subito capì cosa era successo e, veloce come un razzo,
prese il tappo e lo rimise a posto nell'orecchio di Lino, da dove era caduto.
Intanto anche gli altri si erano fermati e, visto che Lino restava a terra
immobile, Dario disse: - E' svenuto, aiutatemi - E, con l'aiuto degli altri, se
lo caricò sulle spalle e riprese la strada di buon passo.
Non ci furono altri guai e, in poco più di
mezz'ora, erano fuori dalla valle.
Posato a terra Lino, gli spruzzarono sul viso
un po' d'acqua e lui subito si riprese. Era un po' intontito e diceva che gli
doleva l'orecchio, ma si stava riprendendo in fretta.
Così Dario disse : - Bisogna ripartire -
Tutti i ragazzi si alzarono in piedi e Dario
continuò : - Ora dobbiamo attraversare la valle delle beccacce dagli occhi
rossi. Le beccacce sono uccelli abbastanza piccoli ma questi con gli occhi
rossi sono pericolosi perchè sono golosi di occhi umani. Se non ci si protegge,
questi uccelli col loro lungo e forte becco ti levano gli occhi e se li
mangiano. Così mettetevi questi. - E consegnò a ciascuno un bel paio di
occhiali da motociclista, di vetro spesso, con un bel cintolino per fissarli
alla testa in modo sicuro.
Quando tutti si furono sistemati ben bene gli
occhiali, i cinque ragazzi entrarono nella valle. Era una valle stretta e sul
fondo scorreva un torrente impetuoso, che trascinava con sè dei grossi tronchi
d'albero strappati dalle rive. Il terreno era in forte pendio e bisognava stare
attenti di non scivolare, giacchè il terreno era bagnato e molto scivoloso.
Intanto le beccacce dagli occhi rossi avevano
cominciato a tormentarli. A stormi si gettavano sui ragazzi e davano delle
forti beccate agli occhiali che, però, proteggevano egregiamente gli occhi dei
ragazzi. Tuttavia qualche beccata arrivava anche sul viso e non faceva per
nulla bene, anzi ! A volte, poi, i loro piccoli artigli rimanevano impigliati
nei capelli, e allora svolazzavano freneticamente sopra la testa dando dei
colpi con le ali, finchè non riuscivano a liberarsi. Insomma erano proprio
noiose e impedivano ai ragazzi di stare attenti a dove mettere i piedi per non
scivolare.
Accadde, così, che Michele, infastidito da
ben tre beccacce contemporaneamente, si distrasse un momento e non vide il
tratto di strada in forte pendio e particolarmente scivoloso.
Fu un attimo: entrambi i piedi scivolarono e
Michele, caduto lungo e disteso, si sentì scivolare inesorabilmente verso il
torrente. I suoi tentativi di aggrapparsi a qualcosa furono vani e, in men che
non si dica, si ritrovò nell'acqua turbinosa del torrente.
- Aiuto !! - gridò, ma nessuno poteva fare
nulla e, allora, il povero Michele ebbe veramente paura. Sapeva nuotare, per
cui riusciva in qualche modo a tenersi a galla, ma la corrente impetuosa lo
trascinava sballottandolo di qua e di là.
A un tratto vide passare vicino un grosso
albero ramoso che la corrente trascinava insieme a tutto il resto e, lesto come
un fulmine, afferrò un ramo. Poi, piano piano, riuscì a issarsi sopra il
tronco.
Si guardò intorno. Le rive scorrevano velocemente
all'indietro, lambite dall'acqua limacciosa del torrente e Michele pensò con
terrore: - E adesso ? Dove andrò a finire ? -
Si volse all'indietro e vide, ormai lontani,
i suoi amici che si agitavano sulla riva. Poi il torrente fece una curva e non
li vide più. Passò ancora un po' di tempo e l'angoscia attanagliava sempre più
il povero Michele. Aveva voglia di piangere, ma si tratteneva perchè sapeva che
non sarebbe servito a nulla.
Ma, a un tratto, vide davanti a sè un
groviglio di alberi ramosi che ostruivano il corso del torrente formando una
specie di diga. In pochi attimi anche l'albero su cui era Michele raggiunse lo
sbarramento e si fermò accostandosi agli altri alberi. L'acqua ruggiva in mezzo
ai rami e cercava di aprirsi la strada premendo su quel groviglio di legname.
Michele rimase un attimo incerto sul da
farsi, ma poi prese a spostarsi, passando da un albero all'altro, verso la
riva, che non era poi tanto lontana. Si muoveva con cautela, cercando di non
cadere, ma cercava di fare presto, perchè sentiva che l'acqua avrebbe presto
travolto la diga riprendendo il suo corso.
Era, ormai, a un passo dalla riva, allorchè
l'ammasso di tronchi e di rami cominciò a cedere. Michele ebbe paura di non
farcela e si mosse più velocemente. Era ormai vicinissimo quando sentì sotto i
suoi piedi l'albero che partiva. Allora si buttò in acqua afferrandosi a un
ramo che sporgeva dalla riva. L'acqua tentava di trascinarlo via ma lui si
tenne ben stretto e, con un ultimo sforzo, si tirò sù e si ritrovò al sicuro sulla
riva.
La tensione e la fatica lo avevano spossato,
cosicchè si sdraiò supino e riprese fiato.
Proprio mentre stava pensando a come
ritrovare i suoi amici, ecco che li sentì vociare vicino e, dopo poco, li vide
apparire affannati. Appena lo videro gridarono di gioia e corsero tutti ad
abbracciarlo. Poi vollero sapere come aveva fatto a salvarsi e dissero che era
stato proprio in gamba.
- Ma è tutto bagnato - disse a quel punto
Lino - E' vero che non è freddo ma così bagnato si prenderà un malanno -
- E' vero - disse Dario. E rivolto a Michele
: - Su, levati tutta quella roba bagnata. Ognuno di noi ti darà qualcosa per
cambiarti. Al ritorno riprenderemo i tuoi vestiti che, nel frattempo, si
asciugheranno. -
Così Dario tirò fuori dallo zainetto un paio
di pantaloni che teneva sempre di ricambio, Pino si levò la camicia e rimase in
canottiera, Lino si levò le calze e
Matteo si levò la canottiera e rimase con la sola camicia.
- Dovrai
tenere le tue scarpe bagnate, ma con le calze asciutte non sentirai il bagnato
- disse ancora Dario.
Michele svelto svelto si tolse tutta la roba
bagnata e la stese ad asciugare su dei rami bassi, ben esposti al sole. Poi si
rivestì in fretta con la roba dei suoi amici.
- Sono pronto - disse.
- Bene, allora usciamo da questa valle -
disse Dario. E si avviarono.
Erano quasi in fondo, tanto è vero che di
beccacce, ormai, se ne vedevano più poche. E dopo dieci minuti erano fuori, su
un bel pianoro erboso.
Qui Dario li fece sedere sull'erba perchè,
disse, doveva dire delle cose.
Tutti si fecero attenti e Dario parlò:
- Ora dobbiamo attraversare ancora una valle.
Si chiama la valle del Diavolo, perchè proprio a metà di questa valle si trova
un antro abitato da un vero drago. E' tutto rosso, ha le corna e sputa lunghe
fiammate dalla bocca. Per questo gli antichi credevano che fosse il diavolo.
Purtroppo bisogna per forza passare davanti al suo antro e la cosa è molto
pericolosa, perchè se si viene colpiti da una delle sue fiammate si muore
arrostiti. L'unico modo per passare è questo: bisogna nascondersi vicino
all'antro e attendere che il drago entri dentro per fare un pisolino. A quel
punto bisogna correre veloci come il vento, sperando che il drago non si svegli
o, comunque, non faccia in tempo ad uscire e a sputare le sue fiamme. -
A questo punto fece una pausa, guardò Michele
e Matteo e riprese: - Ora Pino, Lino ed io dobbiamo passare per forza per
compiere la missione che la fatina ci ha affidato. Voi due, però, non siete
obbligati a venire. Se volete potete aspettarci qui al sicuro e attendere il
nostro ritorno. Non vorrei che vi succedesse qualcosa. -
Tutti rimasero in silenzio. Michele era un
po' impressionato dalla descrizione del drago, però aveva un forte desiderio di
vedere il castello a cinque torri che, fra l'altro, era proprio quello che lui
aveva disegnato. Così, dopo averci pensato un po', disse: - Io vengo con voi -
Allora anche Matteo disse che sarebbe venuto anche lui, perchè voleva stare
vicino a Michele fino alla fine dell'avventura.
E si incamminarono.
Fecero metà del cammino senza intoppi, perchè
quella valle, a parte il drago, non aveva altri pericoli. Ma, giunti proprio
alla metà della valle, sentirono un rumore come di tuono e, nascosti in mezzo
agli alberi, videro il drago. Era alto come una casa a due piani, aveva delle
zampe grandi come alberi, era tutto rosso color fuoco, con due corna più lunghe
di quelle di un bufalo e dalla bocca spalancata sputava fiammate che arrivavano
dall'altra parte della valle.
- Ma qui siamo al sicuro ? - chiese Lino con
voce tremebonda.
- Si, se stiamo ben nascosti e zitti e non ci
facciamo scoprire dal drago - disse Dario. E tutti si azzittirono e rimasero
ben nascosti.
Passò più di mezz'ora, poi il drago smise di
gridare e di sputare fiamme.
- Ecco, ora dovrebbe rientrare - disse Pino
sottovoce. E rimasero in attesa. Il drago rimase ancora un po' davanti alla sua
grotta emettendo ogni tanto un cupo brontolio, poi si girò ed entrò lentamente
dentro.
Dario li fece aspettare ancora cinque minuti
poi dette il segnale di partenza, raccomandando di fare il meno rumore
possibile e di correre il più velocemente possibile.
Primo era Dario, poi Pino, poi Lino, poi
Michele e, infine Matteo.
Corsero alla disperata e in un attimo furono
davanti alla grotta. I primi tre passarono, ma proprio mentre stava
sopraggiungendo Michele si sentì un urlo e il drago uscì dalla grotta urlando e
sputando fuoco e fiamme. Michele e Matteo di arrestarono e corsero subito
indietro per non essere investiti dalle fiammate. Per fortuna il drago era
rivolto verso i tre che erano passati e non vide gli altri due che poterono di
nuovo nascondersi. Intanto i tre stavano correndo alla disperata per non essere
raggiunti dal drago che si era dato ad inseguirli. Però, data la sua gran mole,
era lento e rinunciò ben presto. Michele e Matteo lo videro tornare indietro
brontolando. Ma aveva già smesso di sputare fiamme.
- Deve aver sonno - disse Michele. Infatti il
drago rientrò quasi subito nella grotta.
- Bisogna aspettare un bel po', per essere
sicuri che sia addormentato - disse ancora Michele. E Matteo fu d'accordo.
Così aspettarono dieci minuti buoni, poi, con
cuore che batteva forte, presero la corsa. Correvano silenziosamente ma molto
velocemente. Quando furono davanti alla grotta il cuore batteva ancora più
forte e, sempre correndo, gettarono un'occhiata dentro e....tirarono un sospiro
di sollievo. Tutto era silenzio e del drago non c'era traccia.
Comunque continuarono a correre all'impazzata
senza fermarsi, finchè sentirono la voce di Lino: - Che corridori ! Voi due
potreste andare alle Olimpiadi ! - Allora capirono di avere raggiunto gli amici
e di essere al sicuro. Così si fermarono.
Dario fece molti elogi a Michele e a Matteo
per come si erano comportati. - Bravi - disse - prontezza e decisione, ecco che
cosa ci vuole. Credo proprio che voi due possiate partecipare a tutte le nostre
avventure, perchè avete dimostrato, appunto, prontezza e decisione. E anche
coraggio. Ora usciamo dalla valle, poi vi spiegherò cosa dobbiamo fare.
Quando furono fuori dalla valle videro,
proprio davanti a loro, su una collina tutta coperta da foreste, un magnifico
castello a cinque torri, e Michele riconobbe il castello da lui stesso
disegnato.
Dario parlò : - Questo è il castello dei
ragni giganti. Sono creature orribili, grandi e pelosi come un gorilla, che
tendono tutto intorno al castello delle grandi ragnatele con le quali
acchiappano uomini e animali che, poi, divorano. Il vecchio padrone del
castello è il principe Gualtiero, che viene tenuto prigioniero nei sotterranei
del castello. Se potesse liberarsi e raggiungere la torre più alta del suo
castello, avrebbe il potere di distruggere i ragni con un incantesimo che la
fatina gli ha insegnato. Ma i ragni fanno buona guardia. Essi sono stati
prodotti da un mago cattivo e sanguinario, il mago Krax, che si serve di loro
per avere i cervelli degli uomini catturati, con i quali pensa di poter
accrescere il suo potere. I ragni giganti hanno vita breve, appena due ore, ma
nei sotterranei il mago ha un laboratorio dove riesce a produrre un ragno
gigante ogni minuto. Perciò i ragni continuano ad aumentare e presto potrebbero
invadere anche i territori circostanti. Perciò la fatina ci ha chiesto di
intervenire -
- Ma noi che possiamo fare ? - piagnucolò
Lino - io non vorrei servire da spuntino per un ragno gigante -
- Non ti preoccupare - disse Dario - la
fatina mi ha dato le necessarie istruzioni. Voi seguitemi e fate quello che vi
dico. Anzitutto dobbiamo avvicinarci al castello senza essere visti. Poi
cercheremo di entrare nel laboratorio del mago -
Ben presto furono vicinissimi al castello, il
cui ingresso era guardato da due enormi ragni. Erano nascosti in un grosso
cespuglio e Dario disse: - Io posso neutralizzare un ragno ma l'altro
bisognerebbe distrarlo. Maledizione ! Pensavo che ci sarebbe stato un solo
ragno di guardia. -
- Aspetta un momento - disse allora Michele -
se non ricordo male io ho disegnato anche un piccolo passaggio su quest'altro
lato del castello. Può darsi che non sia sorvegliato. -
Dario, a sentire quelle parole, lo abbracciò
: - Che tu sia benedetto. Questo risolverebbe tutti i nostri problemi ! Andiamo
-
Sempre nascondendosi fra i cespugli si
spostarono sulla destra e videro subito il piccolo passaggio che conduceva
direttamente nei sotterranei. Proprio davanti ad esso, però, c'era un ragno
ancora più grosso degli altri due. Ma Dario disse che ci avrebbe pensato lui.
Infatti tirò fuori una cerbottana e un proiettile di carta che recava sulla
punta un ago. Poi tirò fuori una bottiglietta, la aprì e ci intinse l'ago. Poi
caricò la cerbottana e disse: - Voi aspettate qui -
Si avvicinò il più possibile al ragno, quindi
puntò la cerbottana, ci soffiò dentro e.....quasi subito il ragno cadde a terra
profondamente addormentato. L'ago lo aveva colpito e aveva iniettato il suo
potente sonnifero.
Dario, allora, fece cenno agli altri di
venire, e tutti si precipitarono. Purtroppo le cose non andarono lisce. Mentre
correva Lino fece un grosso scivolone e andò a cadere sotto un poggio. Per sua
disgrazia proprio lì era tesa una grossa ragnatela e Lino vi rimase
imprigionato come una mosca.
- Aiuto ! - gridò
Dario corse subito e lo fece tacere, se no
tutti i ragni sarebbero accorsi e la missione sarebbe fallita.
- Noi
dobbiamo fare in fretta. Tu rimani calmo. Come vedi non ci sono ragni in giro.
Torneremo subito a liberarti non appena fatto ciò che dobbiamo fare -
Lino piagnucolava, ma capì che bisognava fare
come diceva Dario.
Intanto
Dario e gli altri erano entrati dal passaggio e si ritrovarono direttamente nel
laboratorio. Qui c'era una grande vasca piena di un liquido gelatinoso color
del miele. Da un piccolo tubo posto sopra di essa cadeva, ogni minuto, un uovo
di ragno che, appena toccato il liquido della vasca, si apriva e ne usciva un
ragnetto. Questo ragnetto entrava subito in un altro tubo un po' più grande che
conduceva in un'altra stanza dove, in una specie di forno, i ragnetti
crescevano fino a diventare grandi come un gatto. A questo punto uscivano
all'aperto dove sarebbero cresciuti ancora fino alla grandezza massima. I
ragazzi guardavano con disgusto tutta quella robaccia, ma Dario sapeva cosa
doveva fare. Trasse fuori una bottiglia grande come quelle della Coca Cola, la
stappò e versò il contenuto nella vasca. Subito si sprigionò un fumo denso e il
liquido cambiò colore e divenne grigio scuro, quasi nero. Immediatamente dalla
vasca non uscì più alcun ragnetto. Ogni uovo che cadeva dal tubicino faceva una
piccola fumata e spariva dentro al liquido scuro.
- Bene - disse Dario - abbiamo bloccato la
nascita dei ragni. Ora dobbiamo pensare al principe. E si diresse decisamente
verso l'interno, a cercare la stanza dove il principe era tenuto prigioniero.
La trovarono presto, ma la porta era chiusa da un grosso lucchetto e c'era un
ragno di guardia.
Che fare ? Mentre pensavano a come risolvere
il problema una voce chiamò dal piano di sopra e il ragno, data un'occhiata al
lucchetto che era ben chiuso, si allontanò rapidamente verso le scale.
Allora Dario, tratto fuori un grimaldello che
gli aveva dato la fatina, si avvicinò, aprì il lucchetto e spalancò la porta.
Il principe era lì, magro e con la barba lunga, e Dario cominciò a spiegargli
chi era e perchè era lì.
Ma proprio in quel momento sentirono la voce
del ragno guardiano che stava scendendo. Allora Dario fece uscire il principe,
richiuse la porta con il lucchetto e tutti si nascosero dietro un angolo del
corridoio. Il ragno non si accorse di nulla e si rimise a far la guardia alla
prigione vuota.
Rapidamente Dario spiegò al principe tutta la
storia e il principe ringraziò tutti calorosamente. Ma bisognava far presto a
raggiungere la torre. Il principe conosceva un passaggio non sorvegliato, così
raggiunsero in fretta la torre più alta ed entrarono nella stanza segreta del
principe. Qui egli prese da un armadio un grosso libro, un fornellino a
spirito, una padellina e alcuni flaconcini.
Accese il fornellino, versò nella padellina
il contenuto dei flaconi, poi aprì il libro e, mentre poneva la padellina sul
fornello, lesse alcune frasi incomprensibili.
Subito dalla padellina uscì una densa nube di
fumo profumatissimo che si diffuse ovunque.
- E' fatta - disse il principe - questo
incantesimo annulla quello del mago cattivo e gli toglie tutti i poteri -
In quel momento si spalancò la porta ed entrò
furibondo il mago Krax brandendo una bacchetta magica e gridando:- Maledetti,
vi trasformerò tutti in mosche giganti da dare in pasto ai miei ragni ! -
Ma non successe nulla. I suoi poteri non
esistevano più.
- Hai finito
la tua carriera di mago cattivo - sogghignò il principe. Ora pagherai per i
tuoi misfatti -
Krax, resosi conto di non aver più poteri,
tentò di svignarsela, ma i ragazzi gli saltarono addosso, lo fecero cadere a
terra e qui lo legarono come un salame. Mentre Dario e Pino lo tenevano fermo,
Michele gli legò le mani dietro la schiena e Matteo gli legò i piedi.
Poi lo chiusero in una stanza e il principe
disse: - Deciderà la fatina cosa dobbiamo fare di lui -
A quel punto i ragazzi si ricordarono di Lino
e si precipitarono per liberarlo. Ma quale non fu la loro sorpresa quando,
giunti sulla porta del castello, se lo videro venire incontro sorridendo.
- Come hai fatto a liberarti da solo ? - gli
chiesero.
E lui : - E' successo un miracolo. Proprio
mentre stava avvicinandosi un ragno ed io credevo che presto sarei finito nella
sua pancia, all'improvviso mi sono trovato a terra, libero. Il ragno non c'era
più, la ragnatela non c'era più -
Allora tutti capirono che, nel momento stesso
in cui il principe aveva rotto l'incantesimo, non solo il mago Krax aveva perso
i suoi poteri malefici, ma anche tutto quello che lui aveva creato era
scomparso.
Il principe volle fare festa a quei ragazzi
che lo avevano liberato e, dopo aver liberato i suoi domestici, che si
trovavano prigionieri in una torre, fece preparare un grande pranzo in onore
dei ragazzi. E durante il pranzo volle sapere la storia di ciascuno di loro e
fu molto incuriosito da quella di Michele. Disse che avrebbe visitato
volentieri il mondo di Michele e Michele disse che lo avrebbe disegnato e
avrebbe tentato di farlo vivere nel suo mondo come aveva fatto con Matteo.
Poi il principe volle che i ragazzi si
fermassero fino all'indomani perchè ormai era tardi e loro erano stanchi. Così
fece preparare per loro le cinque camere più belle dove i ragazzi dormirono
come pascià.
L'indomani, dopo una ricchissima colazione, i
ragazzi salutarono il principe che si fece promettere che sarebbero tornati
ancora a trovarlo. Poi regalò a ciascuno di loro una bella medaglia d'oro sulla
quale era inciso il suo stemma: un'aquila con le ali spiegate. E volle
appuntargliela personalmente sul petto.
(fine della seconda puntata)
(terza ed ultima puntata)
Ripartirono.
Arrivati alla valle del diavolo si avvicinarono prudentemente alla grotta del
drago, aspettarono il momento opportuno e, di corsa, passarono oltre senza
inconvenienti. Ormai non avevano più paura come prima. Poi traversarono la
valle delle beccacce dagli occhi rossi con i loro bravi occhiali. Qui
ricuperarono i vestiti di Michele che si cambiò e restituì ai suoi amici le
cose che gli avevano prestato. Naturalmente la medaglia d'oro la appuntò sulla
sua camicia appena indossata. Attraversarono questa valle con cautela, per non
scivolare, e ne uscirono senza danni.
Anche la valle delle cicogne urlatrici fu
attraversata senza danni, perchè tutti avevano sistemato bene i tappi nelle
orecchie e le urla delle cicogne non potevano attraversarli.
Giunti alla fontanina trovarono la fatina ad
attenderli. Era sorridente e fece molti elogi ai ragazzi. Un elogio particolare
lo fece a Michele e disse che se tutto era andato bene gran parte del merito
era suo che aveva indicato l'apertura laterale del castello.
Gli disse anche : - Sarebbe bello se tu
potessi rimanere con Dario, Pino e Lino. Penso che gli potresti dare molto
aiuto -
Michele fu felice di queste parole e
ringraziò la fatina. Disse che piacerebbe molto anche a lui, ma sarebbe un
dolore troppo grande per i suoi genitori, i suoi nonni, i suoi cuginetti e
tutti quelli che gli vogliono bene. E la fata disse che aveva ragione. Poi
baciò tutti i ragazzi e sparì.
E i ragazzi, dopo una buona bevuta di acqua
alla fontanina, si avviarono verso il paese. Dario, Pino e Lino vollero che
Michele e Matteo passassero a casa loro perchè volevano farli conoscere alle
loro mamme. Così fecero e la mamma di Lino dette a tutti una buona merendina.
- E' ora che vada - disse alla fine Michele.
Allora si abbracciarono e si baciarono e tutti avevano le lacrime agli occhi.
Con Michele rimase solo Matteo che lo volle
accompagnare fino al cespuglio di rose, dove si trovava il foro per rientrare
nel suo mondo.
Qui giunti i due ragazzi si abbracciarono
commossi, poi Matteo disse: - E' bene che tu vada. Vedi, il grigio del foro si
è fatto più scuro. Aspettando ancora il foro potrebbe chiudersi e tu non
potresti più rientrare –
- Ancora una domanda – disse Michele – perché
non hai voluto che raccontassi alla mia mamma che sei un omino di carta che
parla e cammina ?-
- Perché – rispose Matteo serio serio – i
grandi non credono più alle favole e la loro incredulità a volte fa morire i
personaggi come me -
Michele rimase un po’ rattristato da quella
risposta, ma il tempo stringeva e, stretta un'ultima volta la mano di Matteo,
si introdusse decisamente nel foro.
......................................................................
Si ritrovò nel suo lettino, come se si fosse
appena svegliato. Era mattina e c'era il sole.
- Ma allora ho sognato - disse fra sè
Michele. Si alzò e vide sul tavolo il disegno che aveva fatto. Il disegno era
proprio come lo ricordava e dove era il cespuglio di rose c'era il cerchio
bianco che ci aveva lasciato. Ma non c'era nessun foro. Era semplicemente un
cerchio bianco, non ricoperto da nessun colore e era pazzesco pensare di poter
passare attraverso quello.
- E' evidente che è stato tutto un bel sogno
- disse Michele convinto. E si mise a cercare l'omino di carta. Cerca di qua,
cerca di là, l'omino non si trovava. Trovò il foglio di carta dal quale l'omino
era stato ritagliato, ma dell'omino non c'era traccia.
- Chissà dove sarà finito - disse Michele.
Poi riprese in mano il disegno e si mise a osservarlo. Il paesaggio era proprio
quello nel quale aveva vissuto il suo sogno. A un tratto su una collina vicino
alla fontanina, vide una figurina piccola piccola.
- Questa non mi ricordo proprio di averla
disegnata - disse Michele perplesso. Poi andò a prendere una lente di
ingrandimento e osservò la figurina.
Per poco la lente non gli cadde di mano. Quello che vedeva era
inequivocabilmente l'omino. Era immobile, naturalmente, perchè era pur sempre
un disegno. Ma aveva le braccia alzate, come se volesse salutare.
Michele era perplesso e sconcertato. Non
poteva credere che quell'omino fosse andato nel suo disegno da solo.
- Certamente l'ho disegnato io e poi mi sono
dimenticato di averlo fatto - si disse, cercando di convincersi.
Intanto la mamma lo stava chiamando, dicendo
che era tardi. Allora Michele posò il disegno e andò in bagno a lavarsi.
Ora era perfettamente sveglio ed era sicuro
di aver sognato, anche se c'era qualcosa di strano in tutta la storia.
Tornato in camera cominciò a vestirsi in
fretta. Si mise camicia, pantaloni, calze e scarpe.
Poi tornò in bagno per pettinarsi.
Come fu davanti allo specchio col pettine in
mano vide qualcosa che lo fece rimanere di sasso, a bocca spalancata in una
esclamazione di stupore.
Sul suo petto brillava un'aquila con le ali
spiegate, incisa su una bellissima medaglia d'oro.
FINE