I CADUTI DI VERGEMOLI

  Nel cimitero di Vergemoli, subito a sinistra dopo l’ingresso, c’è una tomba. Sulla lastra tombale, di marmo, compare il nome dell’alpino Giabbani Giovanni di anni 20,  della Compagnia Reggimentale del 1° Reggimento della Divisione Monterosa. Al margine superiore della tomba, poi, compare una piccola croce di marmo che reca il nome del marò Berdozzo Bruno. Niente altro. Da testimonianze certe di gente del luogo, però, si sapeva che in quella tomba, vera e propria fossa comune, giacevano sette salme di soldati, di cui sei italiani e un tedesco. Pazienti ricerche da noi condotte hanno consentito di dare un nome anche alle altre salme, ad eccezione del tedesco e del secondo marò. Ecco, in breve, la storia di quei caduti: Il 4 novembre 1944 nel pomeriggio 4 marò scesi dalle quote in alto, probabilmente dal Grottorotondo,  passarono in località Forconi e parlarono con gli abitanti del casolare che, mentendo, gli indicarono un certo Rebechi Fioravante, abitante al Mulino di Vergemoli, affermando che si trattava di un partigiano, I quattro, allora, scesero al mulino e, armi alla mano, fecero irruzione per arrestare il Rebechi. Questi, però, non solo non era un partigiano ma era addirittura un fascista e riuscì a dimostrarlo  Subito dopo i quattro marò, usciti all’aperto, videro a poca distanza un vero partigiano armato e gli intimarono di arrendersi. Costui, però, si diede alla fuga nel bosco sottostante. I quattro si diedero all’inseguimento ma, essendo non pratici dei luoghi, non riuscirono a raggiungerlo. Due di essi desistettero per primi e tornarono sui loro passi. Si sa che  ripassarono dalla località Forcone puntando verso le loro linee che, probabilmente, raggiunsero. Gli altri due continuarono l’inseguimento del partigiano un po’ più a lungo, poi essi pure desistettero e ritornarono al Mulino. Qui, però, si trovarono circondati da molti partigiani accorsi nel frattempo. Riparatisi alla meglio sotto una roccia sporgente valutarono la situazione e, visto che non c’era nessuna possibilità di uscirne, sventolarono una bandiera bianca gridando di essere italiani e che si arrendevano. Ma un partigiano, da sopra la roccia, gettò una bomba a mano che ferì e stordì i due marò. Subito dopo tutti i partigiani fecero fuoco e finirono i due soldati. Le due salme rimasero sul luogo alcuni giorni, poi vennero portate al cimitero di Vergemoli e tumulate in un’unica fossa.  Uno dei due marò si chiamava Berdozzo Bruno di anni 20 e apparteneva alla 7^ Compagnia del II Battaglione della Divisione San Marco. Il nome del secondo marò, appartenente allo stesso reparto, a tutt’oggi è rimasto ignoto.

                                                      

                                                          Luogo ove morirono i due marò

Un mese dopo, il 4 dicembre 1944, un grosso pattuglione scese verso Vergemoli dal Grottorotondo per attaccare, pare, una batteria americana che infastidiva le posizioni tenute dall’esercito della R.S.I. Racconta un testimone dell’epoca che un civile incontrato prima di giungere al paese informò l’ufficiale che comandava il pattuglione che in paese si trovava un forte contingente di truppe americane oltre ai partigiani del gruppo “Valanga”. La notizia non era vera o almeno era esagerata, ma indusse l’ufficiale alla prudenza, cosicché decise di rimandare l’azione. Ma alcune avanguardie erano giunte ormai alle prime case del paese. Due di essi, risalendo un costone, giusero ad una casa e si introdussero nelle cantine. Poi, saliti al piano superiore, si affacciarono alla porta che si apre su una strada del paese. Ma, sull’altro lato della strada, quasi di fronte, era una casa entro la quale erano appostati alcuni russi disertori dell’esercito tedesco ed ora aggregati ai partigiani. Questi, con un fucile mitragliatore, spararono sui due italiani e li fulminarono sull’uscio. Si trattava di Giabbani Giovanni e di Zignago Emilio  della 1^ Compagnia del Battaglione Aosta della Divisione Monterosa. Poco più in alto, nei pressi di una chiesina, fu fulminato dagli stessi russi un tedesco, pare un sottufficiale.

                            

          Casa sulla porta della quale furono freddati gli alpini                                    La casa dalla quale i russi spararono

             Giabbani  Giovanni e Zignago Emilio

Il giorno dopo, all’interno di un “metato”, fu rinvenuto il corpo di un altro alpino: Previtali Marino della Compagnia Reggimentale. Egli, gravemente ferito, si era trascinato all’interno di quel riparo (o vi era stato condotto da qualche commilitone) ma non era riuscito a sopravvivere. A quel punto gli abitanti del luogo, per dare sepoltura alle quattro salme, riaprirono la fossa entro cui giacevano i due marò e vi inumarono gli altri quattro.

  Passarono alcuni mesi e si giunse all’aprile 1945. Il 16 aprile si respirava ormai aria di ritirata (l’ordine di ritirata giunse il giorno dopo) e un bersagliere della Divisione Italia (pare ufficiale o sottufficiale) stava scendendo verso Vergemoli dalle quote sovrastanti (forse dalle Rocchette, forse da Le Tese) insieme al suo cane. Forse aveva deciso di arrendersi e di darsi prigioniero. Ma si trovò ad attraversaree un campo minato e pare che il suo cane provocasse l’esplosione di una mina che uccise entrambi. Ancora una volta la fossa comune fu riaperta e anche questa settima vittima vi fu sepolta. Fra gli atti di morte del Comune di Vergemoli vi è anche quello, redatto su sentenza del Pretore di Castelnuovo, relativo a Pellegrini Bruno di anni 30, morto a Vergemoli il 16 aprile 1945.

 Solo nel dopoguerra la famiglia di Giabbani Giovanni, di Arpino (Frosinone) fece apporre la lastra tombale e la famiglia di Berdozzo Bruno, figlio di Riccardo e Metticich Lucrezia venuti più volte a Vergemoli, veneziani, fece apporre la piccola croce.

                                                             

                                             La tomba di Vergemoli. Ci sono sempre fiori freschi

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