LA MIA GUERRA

    del Sergente di Sanità poi artigliere Giovanni Greppi

 

 

 

L’arruolamento

Il 31 maggio 1940 conseguii – senza esame per via della guerra – la maturità classica. Dopo sei giorni avrei compiuto 19 anni. Dieci giorni dopo l’Italia sarebbe entrata in guerra.

 A novembre mi iscrissi al primo anno della facoltà di medicina dell’università di Pavia, ma la mia vita di studente durò pochi mesi: nel febbraio 1941 fui richiamato alle armi.

 Assegnato al 1° Reggimento Artiglieria d’armata  a Torino iniziai la mia carriera militare e a maggio conseguii la promozione a caporale.

 Nel giugno 1941 vennni trasferito al 92° Reggimento Fanteria Divisione Superga sempre a Torino. Eravamo tutti studenti di medicina e qui conseguii la promozione a sergente e venni assegnato alla 13^ compagnia di sanità. Portavamo sulla manica della giacca la sigla V.U. (volontari universitari).

 Prestai servizio, successivamente, in vari Ospedali Militari ma potevo, contemporaneamente, continuare i miei studi beneficiando, quando mi servivano, di licenze per esami.

 L’8 settembre 1943, per l’appunto, ero a casa in licenza per esami. L’esercito italiano, come è noto, si sfasciò ed io rimasi a casa.

 Per poco, però: nel marzo 1944 venni richiamato alle armi dalla costituitasi Repubblica Sociale Italiana e accasermato a Vercelli.

 Eravamo 300 sergenti di sanità e venimmo divisi in due gruppi di 150. Il primo gruppo andrà a costituire un primo nucleo di sottufficiali della costituenda Divisione Littorio. Il secondo andrà a costituire il primo nucleo della divisione Italia.

 

Germania

Dopo breve periodo lasciamo, con una stretta al cuore, la nostra Italia per andare ad addestrarci in Germania. Facciamo il viaggio in treno: Partenza da Vercelli via Modane, Chambery, Alsazia e Lorena, Strasburgo, passaggio del Reno su un ponte di barche e, sempre in ferrovia, Offenburg e, attraverso la Foresta Nera giungiamo a Stotzingen. Poi a piedi risaliamo all’altopiano di Stetten am Kalten Markt (luogo sul mercato del freddo) fino al Lager Heuberg presso Sigmaringen, nel  Baden-Wurttenberg . Siamo alle sorgenti del Danubio.

 Qui comincia il duro addestramento. I tedeschi fanno sul serio. Io faccio un addestramento iniziale come bersagliere da aprile a luglio, poi veniamo assegnati alle varie specialità in base a oculate valutazioni. Io, per la mia competenza in matematica e materie scientifiche vengo assegnato all’artiglieria da montagna (pezzi da 75/13). E proseguo l’addestramento come artigliere da luglio a dicembre.

 Frattanto sono giunti ad Heuberg i militari italiani che erano stati catturati dai tedeschi e portati in Germania, e che ora hanno aderito alla RSI con la speranza di poter presto rientrare i  Italia.

 La divisione Italia si costituirà su due reggimenti di bersaglieri e un reggimento di artiglieria alpina.

 La vita è dura e il vitto non è  granchè.  E’, comunque il vitto tipo 5 come quello della popolazione: Un tritello di carne e miglio che chiamiamo “vomito dei gatti”, ma è buono. Da una pagnotta di Kg 2,300 si ricavano 7 porzioni. Poi c’è una stecca di burro o lardo e 3 parate lesse. Fuori in libera uscita al Gasthaus si può comperare  un brodo con patate che è buono. La birra nella “Kuche” (cucina e spaccio) costa pochi centesimi.

 Chi è in punizione ( Arbeiter Company) viene mandato a ricoprire le buche fatte dai soldati durante le esercitazioni. In questo caso il vitto è: 1° giorno solo pane (il solito nero) e acqua; il 2° giorno viveri a secco; il 3° giorno viveri normali con minestra di patate e miglio e il resto.

 A volte riusciamo ad uccidere un capriolo della Foresta Nera,  naturalmente di nascosto perché l’uccisione del capriolo è vietatissima e può comportare punizioni gravissime. Si mangia di nascosto di notte, diviso fra gli artiglieri di due baracche, con lumache e pane a fette con mostarda di senape e scaldato in lattine sulla stufa.

 La legna per la stufa delle baracche si fa tagliando i pini di notte. Si esce e si rientra passando da un buco della rete di recinzione.

 

Il rientro in Italia

 E arriva, finalmente, l’agognato giorno del rientro in Italia. Si parte  il 3 - 4 dicembre 1944 in treno : Monaco – Innsbruck – Brennero – Verona – Mantova.

 E non si può andare oltre. Il treno di ferma a S.Antonio di Mantova perché la ferrovia è interrotta.  E’, quindi, giocoforza proseguire a piedi, perché la divisione non è autocarrata.  I cannoni vengono trainati dai cavallini russi (2 ogni cannone). Attraversiamo il Po a Borgoforte sul Po con un pontone o chiatta tirata con un filo dall’altra sponda da militari tedeschi perché il ponte è distrutto.

 Ci rendiamo conto che in Italia la situazione è veramente critica. Il fronte regge sulla “linea gotica” ma gli anglo-americani hanno il dominio del cielo e tormentano le città e perfino i paesi con continui bombardamenti e mitragliamenti. E, poi, ci sono i partigiani sulle montagne che compiono continui agguati contro i tedeschi e anche contro i soldati italiani della RSI. Siamo preoccupati.

 Passato il Po, pranziamo a Suzzara ospitati dalle famiglie. E’ il giorno della Festa dell’Immacolata (8 dicembre) e la gente ci festeggia.  Ma ci invita a disertare. Ci dicono che la guerra è ormai perduta e che non ha senso continuare a combattere. Li ascoltiamo sempre più preoccupati e molti di noi cominciano a pensare seriamente alla diserzione. La notte  dormiamo in una scuola, sulla paglia.

 Ripartiamo di notte e , sempre a piedi, raggiungiamo  Parma. Qui, in  piazza dell’orologio,  le ausiliarie ci  offrono una tazza di latte caldo che ci fa molto piacere. Ripartiti dopo mezzanotte, raggiungiamo Collecchio e, poi, Fornovo. Qui  alloggiamo nelle stalle.

  Al posto di blocco di Fornovo, dove transitavano i convogli tedeschi che andavano verso il fronte,  spesso c’erano donne che erano venute a cercare cibo (patate, riso, grano…) con un carrettino tirato a mano. Esse chiedevano ai tedeschi di salire sui convogli per superare la Cisa. E i tedeschi proponevano di accontentarle in cambio di una notte d’amore. E spesso il baratto aveva luogo.

 A Collecchio c’erano i boschi della principessa Carega pieni di volpi, conigli, uccelli… e i nostri artiglieri gli sparavano con la carabina 2, li ammazzavano e li mangiavamo. Ma avevano solo un caricatore e dopo rimanevano disarmati. Il Maresciallo Graziani quando è stato in visita si è molto lamentato per la scarsità dell’armamento.

 Ed ecco che veniamo coinvolti, molto di malavoglia, in un’azione di rastrellamento. Noi siamo stati addestrati al combattimento contro un nemico straniero che sta occupando l’Italia e non vogliamo combattere contro altri italiani. Ma dobbiamo farlo. Ecco che da Fornovo ci si sposta verso Cassio-Berceto lungo il Taro per costituire l’ala fissa del rastrellamento. E’ la prima azione di controguerriglia partigiana, da Genova fino al Taro, fatto da parte dei soldati russi (arruolati nell’esercito tedesco) e del Battaglione Mameli. Per giungere in postazione coi cannomi la notte dell’Epifania impieghiamo 12 ore per fare 17 Km sotto la neve fino a Selva del Boschetto. I cavallini non volevano tirare. Li abbiamo aiutati con tiranti di corda.

 Per fortuna non abbiamo visto nessun partigiano e  abbiamo dormito nelle stalle.

 Durante la manovra antipartigiana un amico che era di Fontanellato ha disertato. Ci siamo rivisti spesso dopo la guerra. Anche lui era sopravvissuto.

 Dopo siamo tornati a Collecchio e, poi,  a Salita, località più vicino a Parma. Una mattina, mentre sorseggiavo una tazza di latte (di quello con cui si produce il parmigiano reggiano) offertami in famiglia dai mungitori che ci invitavano a scaldarci nelle stalle, mi si è avvicinata una ragazza che mi ha abbracciato e baciato chiamandomi col nome di casa “Siur Nino”. Ella lavorava come mondariso nei campi vicino ai miei. Dice di avermi visto a Sali Vercellese mentre nel giugno del 1943 ero in licenza d’esami. A quell’epoca fraternizzavo con le ragazze che venivano dall’Emilia a fare le mondariso. Quella ragazza non l’ho più vista. Era venuta a cercarmi ma non ci siamo incontrati.

 Sempre quando eravamo a Salita ed a Scaldasole a pochi chilometri da Parma, un giorno i caccia bombardieri hanno bombardato il tram fermo davanti alla scuola. C’erano 10 o 12 militari tedeschi che, riparati nel fosso parallelo alla strada sparavano contro gli aerei. Allora questi, anziché fare la picchiata trasversalmente alla strada, l’hanno fatta lungo la strada prendendoli, così, d’infilata. I tedeschi sono stati colpiti e alcuni sono morti mentre altri erano sanguinanti. Li abbiamo soccorsi quando siamo usciti dalle cantine dove c’eravamo riparati.

 Dopo il rastrellamento – eravamo, ormai, verso la fine di gennaio - a Vicofertile abbiamo avuto la visita del Generale e Ministro della Difesa Graziani. Egli ci ha annunciato la prossima partenza verso il fronte della Garfagnana e ha lamentato l’insufficiente armamento della Divisione Italia per cui si sarebbe provveduto.

 

Verso il fronte

 Ed eccoci alla partenza per il fronte della Garfagnana – linea Gotica occidentale.

 Ci avviamo a piedi coi cannoni (batteria someggiata alpina) trainati dai cavallini Russi somiglianti ad asinelli, due ogni pezzo. Siamo una buona parte dei due Reggimenti di bersaglieri e il reggimento di artiglieria. Le vettovaglie e gli zaini affardellati sono trasportati da un carro a 4 ruote al seguito. Noi portiamo uno zainetto sulle spalle.

 La notte dormiamo in scuole requisite, sul nudo pavimento con il solo sacco a pelo.

 Fornovo – Passo della Cisa – Pontremoli. Qui abbiamo il primo morto per opera dei partigiani: il comando di divisione aveva preso alloggio in una trattoria sul versante montagnoso a sinistra di Pontremoli. I partigiani sono entrati nella sala da pranzo e hanno fatto fuoco, poi si sono ritirati sulla cima di Barigazzo.  Sono morti: 1 soldato italiano e 1 maresciallo tedesco. Sono andato io con una mitragliatrice e due soldati ed abbiamo scortato in discesa quattro abitanti locali che su una scala usata come barella hanno recato a Pontremoli il nostro morto.

 Riprendiamo la marcia:  Terrarossa , Aulla.  A Bibola, nei pressi di Aulla, perdiamo 11 bersaglieri del Battaglione pionieri che vengono catturati dai partigiani della brigata Muccini. Al bivio di Cormezzano lasciamo la statale per Fivizzano e prendiamo la strada per la Garfagnana: Gragnola, Casola, – Passo dei Carpinelli, Piazza al Serchio. Qui troviamo elementi della Monterosa cui stiamo dando il cambio. Proseguiamo per Camporgiano, Castelnuovo Garfagnana. Andiamo avanti. Ora dobbiamo spostarci sulla sinistra del Serchio ma il ponte stradale è inagibile. Allora utilizziamo un ponte della ferrovia ancora in piedi. Ormai siamo arrivati. La mia batteria si mette in  postazione  sotto il paesino di Riana nel comune di Fosciandora. Occupiamo la stessa posizione che era di una batteria del Gruppo Bergamo della Monterosa. Di questa batteria faceva parte il tenente Fiaschi, autore di libri sulla guerra in Garfagnana. Il nostro osservatorio avanzato è collocato in un bunker scavato dai genieri tedeschi che, insieme al  2° Battaglione (Capitano Lucchesi Palli) del 1° Reggimento della Divisione Italia reggono questo settore di fronte. Siamo nei pressi di Treppignana, altro paesino del comune di Fosciandora, praticamente sul fronte.

 Ci sistemiamo nella cantina di una casa civile e stendiamo dei tronchi di castagno sul pavimento del piano terreno per difenderci dai bombardamenti dei caccia-bombardieri di giorno e di “Pippo” di notte. (era così chiamato un aereo solitario che volava, appunto, la notte e scaricava le bombe se vedeva una luce).

 

Vita al fronte

 Quotidianamente una “Cicogna” ronza in cielo per l’osservazione.  Un giorno ha scaricato bombe su un nostro mulo che recava viveri al fronte.

 Abbiamo viveri a secco. Adoperiamo lo strutto tedesco per cuocere polpette di polenta di farina di castagne. E si beve il vinello che ci forniscono i contadini del luogo. Facciamo il fuoco nei metati con i ricci delle castagne.

 Come gabinetti si usiamo i tronchi cavi dei castagni per evitare pallottole.

 La mia batteria ( del 1° Gruppo) era composta da 250 uomini ma in Garfagnana, a causa delle diserzioni, siamo rimasti in 100 comandati dal Tenente Pugliese di Lecce. Oltre a me c’è anche il sergente Guareschi e il maresciallo tedesco Lorenz. Della 2° Batteria fanno parte i sergenti Barbieri e Bandiera, il tenente tedesco Shultz e il tenente Jovine.

Il Corpo d’Armata del generale Etchen regge, insieme a noi, il settore alla sinistra del Serchio e ne ha il comando. Noi dipendiamo da lui.

 Io, con altri cinque camerati (fra cui il maestro Rognoni), vengo assegnato all’osservatorio avanzato come goniometrista e direttore di tiro, qualifica che mi era stata assegnata già ad Heuberg.

 L’osservatorio è ben interrato nella “tana del lupo”. Siamo impegnati nella  rilevazione dei dati e invio alla base pezzi dei dati di tiro per possibili bersagli. Io invio i dati al capo pezzo base che trasmette i dati agli altri pezzi in modo da allinearli con il falso scopo, un segnale piantato a distanza per orientare i pezzi. Il mio capopezzo della 1^ Batteria si chiama Venzon di un paese vicino a Gemona del Friuli.

 L’osservatorio è costituito da due buchi nel terreno costruiti dai genieri tedeschi. Io sto in alto, dentro un bunker con feritoia, munito di  cannocchiale a forbice e goniometro.

A dormire si va più in basso nella “tana del lupo” costruita sempre dai genieri tedeschi.

 E così siamo su un fronte di guerra. Per me è la prima volta e sono emozionato. E anche un po’ spaventato. Sono in guerra e qui si può anche morire. Sono religioso e devotamente mi raccomando al Signore, alla Madonna e al “mio” San Giovanni Bosco, che fu fatto santo quando io frequentavo il Ginnasio a Lanzo Torinese in un collegio salesiano.

 Dall’osservatorio vedo bene due nostri posti avanzati in case agricole sotto la nostra collina, vicino a Castelvecchio Pascoli, vedo la valle del Serchio con Barga a sinistra e Gallicano a destra, vedo un caposaldo nemico retto dai neri della 92^ Divisione “Buffalo”  nella piana di Gallicano e vedo il treno muoversi verso Calavorno e Lucca. Vedo alla nostra destra Molazzana con la strada che sale da Gallicano. Vedo infine, attraverso il Monte Forato, un chiarore nel cielo. Sono le luci di Viareggio illuminata.

 Durante tutto il giorno si sta in postazione con il cannocchiale a forbice per l’osservazione.

 Sempre, fin che c’è luce, la “Cicogna” è sopra di noi.

 I caccia-bombardieri scaricano le bombe su Castelnuovo dopo la picchiata. Qualche volta vengono colpiti dalle mitragliere tedesche e qualche volta cadono da soli perché non riescono a risollevarsi.

 Alle 19 si fa udire la voce di Barga: Si spalanca una finestra e con una mitragliatrice vengono sparate raffiche per 5 o 6 minuti. Poi la finestra si chiude e c’è silenzio per tutta la notte.

 Alle prime tenebre un carro armato Sherman  nei pressi della stazione di Barga-Gallicano scarica una serie di colpi traccianti rossi verso  Fosciandora.

 Ben presto anche la nostra batteria comincia ad entrare in azione. Sono sempre azioni mirate e precise perché non abbiamo colpi da sprecare.

 I pezzi sono ben nascosti dentro a baracche o finti fienili e vengono fatti uscire al momento dell’azione per poi essere di nuovo ben nascosti. Così non furono mai scoperti e non vennero mai colpiti.

 Proprio davanti a noi, a circa 5 – 7 chilometri, c’è una batteria americana di pezzi da 150 anticarro che infastidisce notevolmente con le sue frequenti e abbondanti cannonate. Così decidiamo di prenderli di mira. Rilevati accuratamente i dati di tiro e inviati ai pezzi, questi aprono il fuoco. I colpi cadono proprio in mezzo alla batteria avversaria colpendo il bersaglio con precisione.  E’ così inevitabile per i nostri avversari ritirare i pezzi molto più indietro nella valle e il loro tiro è ora, naturalmente, meno efficace.

 Un’altra azione importante è quella contro lo Sherman che si trovava nei pressi della stazione ferroviaria di Barga-Gallicano. Anche in questo caso il bersaglio viene accuratamente inquadrato e colpito con precisione. Dovettero esserci anche delle perdite umane perché potemmo vedere l’andirivieni delle ambulanze che portavano i feriti all’ospedale di Barga.

 Ma l’azione più esaltante fu quella che si sviluppò nella prima metà di marzo 1945 contro i carri armati che da Gallicano salivano verso Molazzana per attaccare le nostre linee.

 Ci fu, infatti, verso il 12 e 13 di marzo, un consistente attacco nemico contro entrambi i settori alla sinistra e alla destra del Serchio. Evidentemente veniva saggiata la resistenza delle nostre truppe in previsione dell’imminente attacco finale. I nostri bersaglieri e i tedeschi ressero validamente e respinsero l’attacco e ciò accadde, anche secondo quanto riferito dal generale Carloni nella sua relazione, col valido contributo della nostra artiglieria.

 La nostra batteria aveva perfettamente sotto tiro la strada che da Gallicano va verso Molazzana. Qui fu osservato un grosso carro armato – probabilmente uno Sherman – che stava risalendo verso Molazzana bersagliando le nostre postazioni situate nella zona di Eglio-Sassi.

 Immediatamente dall’osservatorio rilevai i dati e li inviai ai pezzi. Subito la batteria aprì il fuoco e presto il carro armato fu colpito e fermato. La precisione del tiro fu eccezionale e non passò inosservata. Nei giorni immediatamente successivi  il generale Etchen, comandante del settore, fece chiamare me, il tenente Pugliese, il maresciallo tedesco Lorenz e il maresciallo Spitz “la mamma della batteria” (era un napoletano ma veniva chiamato così essendo il sottufficiale più elevato in grado) e ci elogiò calorosamente per la bella azione stringendoci la mano e abbracciandoci.

 Questa azione è ricordata anche da Cesare Fiaschi a pag. 167 del suo La guerra sulla Linea Gotica occidentale Ed.Lo Scarabeo Bologna 1999. Alla data del 12 marzo ricorda l’attacco del 473° Rgt della Buffalo e dice “L’attacco viene respinto con l’intervento di riserve ma soprattutto dei concentramenti di fuoco dell’artiglieria della Div. Italia; particolarmente della Batteria che ha sostituito la 6^ nella sua vecchia posizione”. Si trattava, appunto, della mia batteria.

 Questa vicenda fu di importanza determinante per la mia vita. Incoraggiato dall’atteggiamento amichevole del generale, infatti, chiesi una licenza per tornare a Vercelli a trovare mio papà che era in ospedale operato di mastoidite. Il generale accolse benevolmente la mia richiesta e mi concesse una licenza di 14 giorni più 9. Era il 20 di marzo per cui avrei dovuto rientrare  il 13 aprile.

 

Il ritorno a casa

 Partii subito e raggiunsi Piazza al Serchio a piedi. Da Piazza al Serchio raggiunsi  Aulla su un camion della Monterosa. Ero felice perché avrei potuto riabbracciare i miei cari. E anche perché mi sarei allontanato, almeno per un certo periodo, dalla guerra al fronte.

 Non era facile viaggiare in quel periodo. Ad Aulla, comunque trovai un camion carico di patate che mi portò a La Spezia. Sul carro trovai due bombe a mano con il manico (le cosiddette “signorine”), abbandonate chissà da chi. Le presi pensando che avrebbero potuto farmi comodo. Non si sa mai.

Da La Spezia a Genova trovai posto su una Balilla camioncino della “Raf”. Così venivano chiamati i civili che andavano alla ricerca di cibo in Emilia.

 Alla stazione Principe di Genova trovai una tradotta di alpini della Monterosa che era in partenza per il fronte occidentale. Mi caricarono e mi portarono fino ad Alessandria.                                                                                            

 Da Alessandria mi avviai verso Casale su un carro.  Poi, mostrando le bombe a mano,  fermai una topolino condotta da un maresciallo tedesco che aveva a bordo un capitano. Dopo aver verificato i miei documenti mi caricarono fino a Casale.

 Da Casale Villanova proseguii a piedi fra i campi che conoscevo bene fino a Caresana. Qui viveva mio zio Giovanni Carlevaris, fratello di mia madre che, dopo gli affettuosi saluti e dopo avermi trattenuto un poco,  mi fornì una bicicletta per proseguire.

 Con la bicicletta raggiunsi Vercelli , poi a Sali Vercellese e Tenuta Abbadia, casa mia. Qui potei riabbracciare i miei cari coi quali potei trascorrere abbastanza serenamente i giorni di licenza.

 Fui festeggiato anche dai miei 13 coscritti (oggi tutti morti). Al termine della licenza ripartii  in divisa, col mio cappello alpino ed una lunga penna nera raccolta in Germania nella Foresta Nera.

 Ma giunto a Caresana dallo zio il mio viaggio si interruppe.

Il giorno 10 il fronte in Versilia era stato rotto e Massa era stata occupata. L’11 era stata occupata Carrara. Le truppe della Garfagnana si preparavano alla ritirata. Ormai le sorti della guerra erano decise e, nel caos del momento, sarebbe stato pressochè impossibile raggiungere il mio reparto. Così fu facile ai miei cari convincermi che era ragionevole fermarsi e non rientrare.

 Per evitare brutte sorprese dell’ultimo momento andai a rifugiarmi a Caresana in casa dello zio. Dormivo in soffitta e qui, dopo pochi giorni, appresi della fine di tutto.

 Desidero concludere questa mia rievocazione con un pensiero riverente e commosso per tutti i nostri caduti, di tutte le divisioni, che hanno fatto il loro dovere fino all’ultimo ben sapendo che le sorti della guerra erano già segnate e che la nostra Patria sarebbe stata sconfitta.

                                                                                                                        Giovanni Greppi

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Il dottor Giovanni Greppi, ormai novantunenne, vive serenamente nella sua casa di Gattinara (VC) conservando nella sua mente lucidissima precisi ricordi del passato. In particolare e con particolare cura i suoi ricordi di guerra. Egli, dopo la fine della guerra,  potè riprendere subito gli studi universitari per laurearsi, senza andare fuori corso, nel febbraio 1947. Dopo aver prestato i primi servizi in varie cliniche e dopo la specializzazione, ha aperto, nel 1957, uno studio dentistico ed ha continuato questa attività per oltre 40 anni fino al 1998.

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