In quel triste 1944 vivevamo da sfollati in una vecchia casa che una vecchia signora ci aveva affittato nel paese di Camporgiano in Garfagnana.
La guerra era arrivata anche lassù e il fronte era a poco più di dieci chilometri. Così era un continuo passare di soldati tedeschi che andavano e venivano. Spesso si fermavano in paese prima di affrontare l’ultima tappa. E qualcuno risiedeva stabilmente lì perché in paese c’era un ospedale militare e, subito fuori dal paese, un grosso autoparco.
Così quella sera, mentre, come ho detto, ce ne stavamo tranquillamente al fuoco, a un tratto sentimmo bussare e, subito dopo, vedemmo entrare un giovane soldato tedesco. Era disarmato e aveva un aspetto per nulla minaccioso. Così non ci allarmammo ma ci levammo in piedi per chiedergli cosa volesse.
Egli ci mostrò un cartoccio che conteneva dodici uova di gallina e, arrangiandosi alla meglio con le poche parole di italiano che conosceva, ci fece capire che aveva bisogno di una padella per poterle friggere.
La nostra piccola cucina aveva anche una modesta attrezzatura, molto vecchia ma efficiente, fra cui una grossa padella di quelle da appendere alla catena del caminetto, sopra il fuoco.
Mia madre la mostrò al soldato che assentì vivacemente, mostrandosi molto soddisfatto. Allora la padella fu messa sul fuoco e mia madre ci versò una piccola quantità di olio. Un po’ troppo piccola, forse.
Ma bisogna sapere che dal giugno, allorchè l’ultima locomotiva fu distrutta dagli aerei americani, la ferrovia aveva smesso di funzionare e la Garfagnana era pressochè isolata. E i negozi erano sprovvisti di tutto. Così l’olio e il sale lo portavano i massesi che, attraversando a piedi le Alpi Apuane passando per la storica Via Vandelli (non carrozzabile) che le valicava al Passo della Tambura, venivano in Garfagnana a rifornirsi di farina di castagne barattandola con olio e sale. Bisognava stare attenti ai furbastri che – per esempio – mescolavano al sale un po’ di marmo tritato in modo da farlo pesare di più. Ma, insomma, in un modo o nell’altro quei generi li portavano ed erano preziosi.
Al soldato quel poco olio parve sufficiente e, sedutosi anche lui davanti al camino, cominciò a scocciare le uova e a metterle in padella a friggere. E, davanti alle nostre facce stupefatte, ne mise a friggere undici. Ora aveva in mano la dodicesima, ma si fermò. Alzò lo sguardo dalla padella e lo fissò su di me. Io ero un ragazzo di quattordici anni, magro come un salacchino, con un aspetto che non era certo quello di una persona ben pasciuta. Il tedesco si fermò un attimo ad osservarmi con occhi amichevoli, poi mi porse il dodicesimo uovo dicendomi nel suo scarso italiano:
- Questo tu manciare ! –
Poi, con noi tre che lo guardavamo sempre più stupiti per tutte quelle uova, prese una forchetta esi mise tranquillamente a divorarle senza neppure toglierle dalla padella.
In due o tre minuti ripulì la padella di tutte le uova, quindi si alzò, fece un cordiale cenno di saluto e se ne andò, lasciandomi attonito, col mio uovo ancora in mano. Paralizzato dallo stupore non ero riuscito a dire neppure una parola.