CAPITOLO XIV

 

                                 APRILE 1945 : LA FINE DELLA GUERRA IN GARFAGNANA

 

 

La morte di Janni Marco

 

Il 1° Aprile è Pasqua di Resurrezione, ma quest'anno non reca la pace. Al fronte si preparano cose importanti. Proprio il giorno di Pasqua i tedeschi tentano un attacco verso Albiano e Castelvecchio. Ma l'artiglieria americana li ferma. Che significato dare a questo tentativo di attacco ? Forse si volevano saggiare le forze avversarie per capire che cosa stavano preparando ? Fatto sta che l'artiglieria della "Buffalo" era all'erta ed era anche molto attiva. Ogni giorno decine e decine di cannonate venivano sparate sull'avversario che, anche se attento e ben riparato, non poteva evitare di subire qualche perdita. Ed è il giorno 2 che, per una cannonata, muore il giovane e valoroso bersagliere Marco Janni, di Alassio, figlio unico, studente di 19 anni, volontario nella Divisione ITALIA. Era Marco Janni una figura emblematica del combattentismo della R.S.I. Giovane entusiasta e sensibile, era molto amato dai suoi commilitoni che, dopo la sua morte, cantavano la canzone "Castelletto" dove si parla di lui. Il due aprile, quindi, Marco Janni si trovava a Ca' Mattei (o Ca’ di Matteo), una posizione avanzata sottostante il paese di Cascio. Era in una trincea insieme al Sergente Liberato Iannantuoni mentre infuriava il cannoneggiamento americano. Il sergente (è lui stesso che lo racconta nel suo "Campi Spinati") aveva quel giorno tristi presentimenti e lo disse a Marco Janni. Al che il giovane bersagliere lo interruppe vivacemente dicendogli: "Tu hai moglie e figli e devi tornare da loro. Se qualcuno deve morire è giusto che muoia io che non ho famiglia". Passarono pochi minuti. Lo Iannantuoni si era rannichiato, per riposare, in un angolo della trincea quando una cannonata colpì in pieno Marco Janni uccidendolo sul colpo. La morte del giovane addolorò molto i suoi commilitoni ed il suo comandante, per i numerosi episodi di eroismo di cui si era reso protagonista durante la sua permanenza al fronte, propose il conferimento della Medaglia d'Oro alla memoria e il Gen Carloni gliela conferì sul campo. Il ricordo di questo giovane è rimasto vivo in Garfagnana anche per le travagliate vicende dei suoi resti mortali. Dopo la sua morte, infatti, fu sepolto nel vicino cimitero di Montaltissimo e, dopo la guerra, insieme agli altri caduti sul fronte della Garfagnana, fu trasferito nel cimitero militare di Pontardeto, istituito per la lodevole iniziativa del sindaco di Pieve Fosciana Guido Angelini. Il 20 settembre del 1965, poi, tutte le salme di quel cimitero (131 italiani, 573 tedeschi, 2 russi e 1 indiano) furono traslate nel cimitero "LUPI" di Livorno. E nell'elenco delle salme traslate, figura anche il nome di Marco Janni. Alcuni anni dopo, però, nel 1987, mentre sul terreno che era stato sede del cimitero di Pontardeto si stavano effettuando degli scavi, vennero alla luce dei resti umani insieme ai frammenti di una lapide di marmo che recava scritto

 

                                                 AL DISOPRA DEGLI ODI E DELLE VENDETTE

                                                       STRAZIANTI IL CORPO DELLA PATRIA

                                                                        MARCO JANNI

                                                                     MEDAGLIA D'ORO

                                                  FIAMMA ARDENTE D'AMORE E GIOVINEZZA

                                                 SI SPENSE SULL'ARA DELLA PATRIA IN ARMI

                                                    IL SUO PIUMETTO RIMANE SUL BALUARDO

                                                     DELL'ULTIMA BATTAGLIA E DICE AI VIVI

                                                            LA PATRIA NON MUORE MAI

                                         Alassio (Genova) 1926 - Val di Serchio- Ca’ de Matteo 2.4.1945

 

I poveri resti, ritenuti di Marco Janni, per disposizione del Sindaco Antonio Tognarelli di Pieve Fosciana, furono pietosamente raccolti e, nel 1994, dopo che l’autorità giudiziaria ne ebbe dato l’autorizzazione, tumulati nel cimitero di quel capoluogo. La decorosa tomba reca questa iscrizione:

 

                                                                            QUI RIPOSANO

                                                            I RESTI MORTALI DEL SOLDATO

                                                                    presunto MARCO JANNI

                                                                     N.16.6.1926 M. 2.4.1945

                                                                   M.O.V.M. BERSAGLIERE

                                                                       DIVISIONE ITALIA

                                                               RIESUMATO DAL CIMITERO

                                                               DI GUERRA DI PONTARDETO

 

                                                            IL RICORDO DI TUTTI I CADUTI

                                                                  CI STIMOLI OGNI GIORNO

                                                                 A LAVORARE PER LA PACE

                                                                  13-11-1994 L'Amm.Comunale

 

Cannonate a parte, il fronte ora è calmo, ma si sente nell'aria l'imminenza di qualcosa di nuovo. Intanto apprendiamo da Don Tardelli, parroco di Palleroso, che a Palleroso, dove c'erano batterie di cannoni e mortai, il comando di battaglione, infermerie e magazzini, per cui il paese aveva subito abbondanti bombardamenti e cannoneggiamenti, ora non c'è più nessuno. E Don Tardelli, che è sempre rimasto al suo posto, il 2 aprile passa il fronte per chiedere agli americani di risparmiare il paese ove, ormai, ci sono solo civili.

 

L’attentato alla galleria “della Mula” e la fucilazione di Aldo Pedri

 

E si rifanno vivi i partigiani. Nella galleria ferroviaria detta "Della Mula", nei pressi di Camporgiano, c'è un grosso deposito di munizioni dei bersaglieri. Due dei bersaglieri che la custodiscono, hanno preso a frequentare delle ragazze che abitano vicino, al molino di Casciana. Ma le ragazze sono sorelle del partigiano Biagioni Inaco del gruppo "Arditi Marco". I due soldati sono indotti a collaborare coi partigiani e accettano di porre dentro la galleria delle matite esplosive a tempo. La gente di Casciana (paese sovrastante) sa che la notte del 3 aprile salterà la galleria e tutti sono fuori in attesa (testimonianza di Raffaello Dini rilasciata all'autore). Nessuno vuole o può avvertire i soldati e fra l'una e le due una tremenda esplosione risuona per tutta la valle. Moriranno 7 bersaglieri e i brandelli dei loro corpi verranno ritrovati per le selve, distanti dal luogo dell'esplosione. Si conoscono i nomi di tre di loro (forse gli unici di cui fu possibile il riconoscimento: Cavallaro Albano, Giorgetti Roberto e, forse, Del Bianco Antonio). Non risulta che i due soldati traditori siano mai stati scoperti, ma fu subito chiaro che si trattava di un attentato. E i bersaglieri non sono disposti a perdonare. Indagano, si danno da fare e pochi giorni dopo, il 13, riescono a catturare nel paesino di Vibbiana il capo partigiano Aldo Pedri, che comandava il Gruppo Arditi Marco, ritenuto responsabile dell'attentato. All'alba del giorno dopo il Pedri viene fucilato dietro il cimitero di Camporgiano. La sua salma verrà subito recuperata dai familiari e il comando della banda verrà assunto, per gli ultimi giorni di guerra, da Eligio Muzzi.

 

Comincia l’attacco decisivo

 

Ma intanto, il 5 aprile all'alba, scatta in Versilia il D-4, l'attacco diversivo deciso il 30 marzo, che anticipava di 4 giorni il grande attacco su Bologna.

Gli americani attaccano fra il Monte Carchio e il Monte Folgorito. Si tengono sui monti, sul versante occidentale della Alpi Apuane, evitando, per il momento, di impegnarsi nel piano, memori del grave insuccesso del febbraio, quando un attacco in forze era disastrosamente fallito per le micidiali bordate delle artiglierie italo-tedesche di Punta Bianca, che spazzavano tutto il litorale versiliese. La sorpresa riesce, ma i tedeschi resistono tenacemente.

Anche in Garfagnana si entra in allarme e il Gen. Carloni ordina di nuovo ai parroci di non suonare le campane. Don Pinagli dice di aver ricevuto l'ordine scritto, firmato dall'aiutante maggiore la cui firma appare illeggibile. Gli alpini che stanno sul crinale della Apuane (dove rimarranno fino al 17 aprile) sono in continuo allarme. E il comandante dell'INTRA, Maggiore Appoggi, propone di scendere dai monti per attaccare sul fianco gli americani. Ma il Gen.Carloni non lo autorizza, incaricandolo di sorvegliare i valichi. Comunque reparti dell'INTRA e del 2° Btg del 2° Regg.dell'ITALIA si portano più in basso, nel versante massese, ed hanno scontri coi partigiani nella zona di Resceto. E con un commando riescono a far saltare il ponte "Bailey" di Levigliani rendendo impossibile per gli americani la risalita della via d'Arni dal lato mare. Ma gli americani li ignorano e si tengono più in basso. Giorno per giorno gli americani guadagnano terreno. Il giorno 10 cade Massa e l'11 Carrara. Ma i tedeschi, sostenuti dalle micidiali batterie di Punta Bianca, continuano a resistere strenuamente. Solo il 19 aprile le batterie di Punta Bianca verranno messe a tacere. Intanto in Garfagnana il fronte continua ad essere fermo ma c'è inquietudine e si attendono gli eventi. Naturalmente non si interrompe il cannoneggiamento americano, pressoché continuo. Il giorno 2, il cannoneggiamento particolarmente intenso nella zona di Fosciandora, uccide il sessantenne Tranquillo Bertoncini di Riana e il 5 una bimba di 8 anni, in località Molino del Comune a Ceserana: Gemma Bonini. Una scheggia le ha squarciato il ventre. La domenica 8, alle ore 18, muore nell’infermeria del Collegio di Migliano il Capitano Salvatore Jentile di Reggio Calabria. Era il comandante del Gruppo Esploratori della Divisione ITALIA ed era saltato su una mina poche ore prima sul fronte di Treppignana. La stessa sera un partigiano ferisce un soldato tedesco. “LUI, il partigiano, si è dato prudentemente e velocissimamente alla macchia; NOI, poveri civili ed inermi, rimaniamo col cuore sospeso ad attendere le possibili rappresaglie della rabbia tedesca!! Ma per fortuna, e non per la prudenza dei nostri fratelli nascosti nelle macchie, proprio nella serata il Btg. parte per le retrovie.” (1) Il giorno 6 i partigiani avevano catturato a Castiglione alcuni soldati. Carloni minaccia di fucilare altrettanti ostaggi e ordina a tutti i comandi di catturare almeno 5 ostaggi per ogni comando. Ma il Maggiore Bin, dice Don Pinagli, non cattura alcun ostaggio. C'è, ormai, consapevolezza della fine imminente e qualcuno comincia a cedere allo sconforto. Ormai si parla diffusamente di ritirata. Sempre Don Pinagli annota sotto la data del 12 aprile: "Quasi ogni giorno qualcuno scappa. Anche coi cavalli. Ormai si parla di ritirata. Si ha notizia della caduta di Massa Carrara. Si ha notizia della morte di Roosvelt".

Sempre il 12 aprile nel pomeriggio un reparto di bersaglieri sale verso Orto di Donna per tenere sotto controllo i valichi delle Apuane ed evitare rischi di accerchiamento. Ma a Orto di Donna (come a Campocecina) ci sono i partigiani (probabilmente massesi o, forse, partigiani locali da poco riorganizzatisi) che attaccano i bersaglieri in località Fontanaccio, a due chilometri circa da Minucciano. Ha luogo una sparatoria che dura un paio d'ore, poi i partigiani si ritirano e i bersaglieri salgono. Ma nella sparatoria viene colpito a morte un civile conducente del suo mulo che i bersaglieri avevano requisito, Giorgio Giorgi di Vagli Sopra, padre di Dario, maestro elementare e futuro sindaco di Vagli. Anche un alpino resterà ferito lievemente. Il prete del luogo, Don Baldini, chiamato da due soldati, sale con un barroccino, carica i due feriti e li porta a casa di un certo Ferrari. Ma il Giorgi, che aveva ricevuto i sacramenti, giunge morto. L’altro viene curato dal medico del luogo, Dottor Lunardi. (2) E il 15, a Orto di Donna, viene catturato Benedetto Filippetti (Tenente Lupo), che aveva riattraversato il fronte per rientrare nella sua Minucciano. Ma gli alpini non lo conoscono e lo inviano verso Vagli con la scorta di due soli alpini. Allora un partigiano del luogo, Alfio Torre, con alcuni compagni, sulla via che da Gorfigliano sale al Giovetto tende un’imboscata e fa fuoco sui due alpini che scortano il Filippetti. Un alpino rimane ferito e viene soccorso dal compagno. Filippetti approfitta del trambusto e scappa. Ma anche il Torre resta ferito a un braccio. Pare che a sparargli sia stato un compagno maldestro, per errore. Si temono rappresaglie ma Don Vincenti si assicura che i due soldati si siano salvati entrambi e rassicura la popolazione. E, infatti, non succede nulla. Anche l'aviazione americana è attiva e, praticamente, sempre presente nel cielo della Garfagnana. Ma anche la contraerea continua a vigilare. E il giorno 15 abbatte ben tre aerei: due cadono presso Piazza al Serchio e uno presso Migliano. Ma la situazione è ormai compromessa e l'ordine di ritirata è atteso di giorno in giorno. E il fenomeno delle diserzioni si accentua. Il Bertolini da notizia di un certo Calani, infermiere della Divisione ITALIA, che si dà da fare per far scappare i soldati. Pare che, d'accordo con alcuni ufficiali (di cui si fa anche il nome: Cap.Guido, Ten.Ciro Albanesi di Pesaro, Ten.Simone Morabito di Catona (RC), Maresciallo Abraldo Calugi di Firenze) il 15 aprile abbia condotto un certo numero di soldati a Barga, cioè oltre il fronte, passando dall'Emilia. E sia il Bertolini che Don Pinagli danno notizia che, sempre nella notte del 15, una intera compagnia del Btg. Pionieri passa il fronte e si dà prigioniera. Secondo Bertolini, poi, lo stesso Maggiore Bin, con il Cap. Casetti, il Cap.Romeri e il Ten.Tucconi non si sarebbero ritirati e avrebbero atteso gli americani, indotti a ciò dal C.L.N. di Castelnuovo.

 

Arriva l’ordine di ritirata

 

Il 14 le batterie della “Monterosa” piazzate in località Tineggiori nel comune di Fosciandora se ne vanno. E il giorno 16, dice Don Turriani parroco di Eglio, all'una arriva l'ordine di ritirata. Lo stesso giorno, conferma Don Pinagli, giungono a Sillicano alpini in ritirata (anche se si alternano voci di contrordini) carichi di scarpe. Parlano di magazzini incendiati. Ormai la ritirata è in atto e avviene praticamente senza combattimenti. I Buffalo non premono e avanzano con calma, quando sono ben sicuri che gli altri se ne sono andati. Lo stesso Don Turriani dice che andò lui a chiamarli a Vergemoli, perché ancora due giorni dopo che gli italiani se ne erano andati, non si decidevano ad avanzare. E giunsero, infatti, alle ore 7 del 18 aprile. Lo stesso accade sulla sinistra del Serchio. P.D’Amato ci informa che alle ore 15,30 del 18 aprile cade l’ultima cannonata americana. Ma il 19 ci sono ancora i tedeschi che, alle 15,30, fanno saltare il ponte di Campia e, a sera, alcuni depositi di munizioni. Ma i “neri” arrivano solo il 20, con molta calma: “..questi coraggiosi e audaci Neri, che son buoni solo a mangiare e bere e…fuggire, fumare e vomitar cannonate fra una sigaretta e l’altra, quasi per sport; che hanno una fifa indicibile per i tedeschi, che per farli avanzare di quattro passi ci son voluti sette mesi; che abbiam dovuto andare a pregarli di venire avanti, sventolando dal Colle (località più prossima al fronte) un lenzuolo bianco, perché ormai non c’era più nemmeno l’ombra del nemico; che entrarono nel Collegio con i mitra spianati, pronti a fuggire a gambe levate se avessero trovato anche un solo tedesco imbelle..questi, i gloriosi nostri liberatori, che finalmente giunsero nella mattinata del 20 aprile tra la paura e la fifa!”(3) Intanto, fin dal 16, Carloni aveva inviato a Soliera il Maggiore Ferrario con alcuni reparti della Divisione ITALIA e il Gruppo "Bergamo", al fine di tenere aperta la strada, impedendo che, sia dall'Emilia lungo la via del Cerreto, sia da Carrara via Castelpoggio-Fosdinovo giungessero sorprese. In Val di Serchio, intanto, ora c'è anche il III/370° della "Buffalo". La notte del 17, ci informa Don Gigliante di Torrite (4), i soldati della R.S.I. lasciano il paese. La guerra è finita. Si esulta. “Senonchè è l’ora di alcuni malviventi partigiani che, approfittano del caos, del timore a cui si è abituati e del loro vestito per fare atti di prepotenza. Riesce il Curato a frenare questa marea dando la diffida al popolo dall’altare contro tali tristi”. Durante il deflusso delle truppe verso nord , il 18 accade che al Ponte della Cesta, poco oltre Piazza al Serchio, vengono fucilati un disertore, certo Cap. D'Ostuni Vittorio di Castro (Lecce) e due ufficiali piloti americani. Ne danno notizia Don Santini parroco di Nicciano e Don Mentucci di S.Anastasio.

Il 18 gli americani cominciano lentamente ad avanzare occupando le posizioni lasciate dagli italo-tedeschi. Giungono così a Grottorotondo, Perpoli, Palleroso. E il 19 occupano le Cervaiole e Monte Altissimo, che erano stati gli imprendibili caposaldi del Btg.INTRA. Il 19, prima di lasciare Castelnuovo, le truppe in ritirata fanno saltare i ponti. E saltano anche altri ponti, fra cui l'imponente viadotto ferroviario di Villetta (occorreranno anni per la sua ricostruzione e solo nel 1952 il treno vi transiterà ancora). Il Cervioni, una memoria del quale viene pubblicata insieme alle relazioni dei parroci, dice, a proposito dei ponti, che fu "deplorevole l'inazione dei partigiani". Il 20 Castelnuovo è "libero" ma distrutto al 75 per cento”. Mons. Lombardi ci informa anche che il 19 aprile cade l'ultima cannonata tedesca su Barga. Egli fornisce anche una curiosa notizia. Dice che "giovedì 19 c'è calma ma un aereo americano mitraglia dei suoi credendoli tedeschi". Sempre il 19 la retroguardia dell'INTRA è a Gorfigliano con il suo comandante Capitano Appoggi (Davide Del Giudice nel suo IL BATTAGLIONE ALPINI "INTRA" SULLE ALPI APUANE gli attribuisce il grado di Maggiore, forse perché comandava il Battaglione). Si stanno ritirando fra i monti. Da Arni sono passati a Vagli e da qui a Gorfigliano. Il comando si sistema in canonica e si fermano due giorni. "Ma non danno noia" dice Don Vincenti, il parroco. Anzi, richiesto da lui, il Cap. Appoggi rilascia un lasciapassare a Don Giuseppe Rosini, prete carrarino che vuol rientrare a casa. E che, evidentemente, non si rende conto che ormai i soldati della R.S.I. se ne vanno e quel lasciapassare non gli servirà a molto. Il mattino del 21 salgono a Minucciano e, poco dopo, giunge a Gorfigliano una pattuglia di negri. A Minucciano gli alpini comprano dei capretti, li arrostiscono e pranzano tranquillamente mentre i negri occhieggiano dalla località Foce che sovrasta il paese, senza fare nulla. Nel pomeriggio gli alpini se ne vanno e la gente, incuriosita, va a vedere i negri che distribuiscono cioccolate e chewin-gum. In paese scenderanno solo la mattina dopo e neanche troppo presto (ricordo personale dell'autore che si trovava sfollato a Minucciano). Il 20 a Filicaia ci sono ancora i bersaglieri. Alle ore 7 Don Pinagli va con cinque soldati a seppellire il bersagliere morto il giorno avanti. Nel primo pomeriggio non c'è più nessuno. Anche il Maggiore Bin col suo comando se n'è andato e Don Pinagli si rammarica di non averlo potuto salutare. Alle 16 suonano le campane. Sono arrivati i negri. E il 20 se ne va anche il comando di Divisione di Camporgiano, e anche qui arrivano i negri. I loro carri armati non passano nella strada stretta e allora abbattono una casa. Tanto: una più o una meno non fa differenza. Poco sopra Camporgiano, sotto la frazione di Casatico, essi piazzano dei cannoni e sparano verso Casciana, altra frazione del comune dove ci sono ancora i soldati della R.S.I. in ritirata. Da lassù essi sparano sui negri che tentano di passare il Serchio a Petrognano e ne uccidono alcuni. Lo stesso giorno 20 si verifica la feroce uccisione di un S.Ten del 2° Rgt della Div. ITALIA, Manfrini Carlo di Ferrara. Catturato a Magliano (pare inseguisse un soldato fuggito con la cassa del reparto) viene condotto a Sillano dai partigiani emiliani comandati da un certo Brenno. Il prete interviene per salvargli la vita. Non ha più senso, ormai, uccidere. Pare trovare ascolto ma, poi, questi "aguzzini assetati di sangue e di vendetta" (così li definisce Don Mario Baisi, attuale prete di Sillano e allora, giovane seminarista nipote del prete dell'epoca. Vedi sua relazione in LA GUERRA IN GARFAGNANA, cit., pag.164) lo seviziano e lo uccidono. Verrà sepolto a Sillano e "per 30 anni la sua tomba avrà sempre dei fiori". (5) Il 21 a Piazza al Serchio ci sono ancora truppe in ritirata e i partigiani li attaccano "da debita distanza" (Don Santini) nei pressi di Nicciano. Rimarrà ferito gravemente il partigiano Bruno Bussi (detto Pippo), che verrà curato dagli ufficiali medici dell'ospedale militare, che si sono fermati a Castagnola. E gli ultimi militari lasciano Piazza al Serchio fra il 21 e il 22. Don Pierami, il prete, dice che è sempre stato a contatto coi soldati, specie a Camporgiano dove aveva degli amici che, spesso, gli facevano regali ed elemosine. La Garfagnana è ormai totalmente occupata dagli americani che portano avanti quantità impressionanti di materiale bellico, che, poi, abbandoneranno nei paesi. Don Vincenti, di Gorfigliano, presidente del locale C.L.N. ci informa di aver rilasciato, il giorno 24, agli ufficiali medici dell'O.M di Nicciano Cap.Endro Maffei, Cap. Giuseppe Checcucci e Ten.Agostino Masini Lucetti (che non si erano ritirati e si erano trattenuti in zona) un attestato dei loro meriti. Essi hanno sempre curato amorevolmente anche tutti i civili che ne hanno avuto bisogno. Ma i partigiani, per lasciarli andare impongono una taglia di lire 20.000 ciascuno.

Siamo alla conclusione. Le truppe uscite dalla Garfagnana si dirigono verso il passo della Cisa e lo superano, dopo aver subito notevoli perdite per gli attacchi partigiani e per i bombardamenti aerei (tragico quello di Pontremoli). A Fornovo, però, i brasiliani bloccano la ritirata. C'è la 148° Div. del Gen. Otto Fretter Pico, c'è il Btg INTRA e il Gruppo Bergamo. Ci sono i reparti superstiti della Divisione ITALIA. Si hanno ancora combattimenti, ma ormai la sorte degli italo-tedeschi è segnata.

 

La resa

 

Il 29 alle ore 18,30 Carloni firma la resa. Fretter Pico la firma il giorno dopo alle 18. Entrambi vengono condotti a Firenze. I prigionieri (riporta il Federigi che cita fonti americane), metà sui venti anni e metà sui quaranta, hanno "aspetto generale buono (salvo le uniformi). Evidente la disciplina dei reparti, ottimo ne è il morale, come pure l'armamento". La guerra è finita. Si contano i caduti. Come già detto nel cimitero di guerra di Pontardeto verranno tumulati 131 italiani e 573 tedeschi. Ma diverse salme, soprattutto di italiani, erano già state recuperate dai familiari. Fra i caduti della Monterosa 18 erano del Btg INTRA, 17 del BRESCIA, 12 del Gruppo BERGAMO, 9 del "Cadelo" (Gruppo Esplorante), 8 della Comp.Comando del 1° Rgt. Complessivamente i caduti della Monterosa furono 153, quelli della Div.ITALIA circa 100. Non sono noti quelli del Btg "Uccelli" della SAN MARCO, ma sulle lapidi che si trovano nella chiesina di Palleroso i loro nomi sono incisi a diecine. Federigi, che fornisce questi dati, fornisce anche quelli relativi alle perdite della Div. "Buffalo", comprensivi, però, dei caduti in Versilia e in Garfagnana: Morti 624, feriti 2119, prigionieri 56, dispersi 198, per un totale di 2997.

 

 

NOTE:

 

(1) Così Padre D’Amato in Oscar Guidi, DOCUMENTI DI GUERRA, cit., pag.173

 

(2) Don Baldini, La Guerra in Garfagnana dalle relazioni dei parroci, cit., pagg 57,58.

 

(3) Oscar Guidi DOCUMENTI DI GUERRA, cit., pag.178. C’è, in P.D’Amato, un forte risentimento per aver dovuto sopportare sette mesi di guerra praticamente in prima linea. E, purtroppo, pagando, insieme alla popolazione civile, un alto prezzo in termini di vite umane e di distruzioni. Nella conclusione del suo famoso diario, egli rileva come “da tutti i bombardamenti aerei effettuati, mai o quasi mai è stato colpito un solo obiettivo veramente militare. Disastri ai paesi ancora abitati, rovine di famiglie intere, desolazione di una guerra condotta con inumano cinismo. Di tutti i cannoneggiamenti numerosissimi, fuori del tempo delle operazioni impegnative, le vittime più numerose sono state i poveri civili.”

 

(4) O.Guidi, DOCUMENTI DI GUERRA, cit., di pag.115

 

(5) Purtroppo non è mai tardi per morire. Anche l'alpino Natale Guerrino di 27 anni perde la vita a Verrucolette, fucilato per diserzione il 19 aprile. E Chiodetti Ernesto, partigiano che aveva attaccato le truppe in ritirata, muore al Passo di Carpinelli il 22 aprile.

 

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