La storia del Comandante Luigi Uccelli

                                               Raccontata dal figlio

 

 

Durante il grande raduno del San Marco a Caorle nel 2001 l’Ingegner Francesco Uccelli, figlio di Luigi Uccelli, raccontò l’avventurosa vita del padre. Poiché il Comandante Uccelli è una delle figure di spicco dell’esercito della R.S.I., amato non solo dagli uomini del suo Battaglione, ma da tutti i combattenti, abbiamo ritenuto interessante far conoscere questa storia a chi non ha avuto l’opportunità di leggerla nel n. 35 del gennaio-marzo 2002 del trimestrale “San Marco”, dal quale la riproduciamo.

 

 

Sono stato pregato di raccontare brevemente la storia della vita di mio padre, il Comandante Luigi Uccelli, la cui figura è legatain particolar modo al leggendario II Battaglione del 6° Reggimento della Divisione San Marco della Repubblica Sociale Italiana, dei cui veterani questo periodico è l’espressione. Sono ricordi che affiorano dalla mia memoria d’ottantenne, essendo trascorsi quasi trent’anni dalla sua morte.

 Luigi Uccelli nacque nel 1898 a Cremona, da una delle famiglie più in vista della città. Mio nonno Francesco, nome che si tramanda a generazioni alterne nella mia famiglia, era il Direttore della Banca Popolare di Cremona. Il nonno aveva studiato nella Svizzera tedesca, possiamo quindi immaginare che educazione severa avesse ricevuto in quegli anni, perciò quando mio padre, che anche da ragazzo era alquanto birichino, a tredici anni per la prima ed unica volta fu bocciato, mio nonno lo costrinse ad entrare, senza discussione alcuna in Accademia Navale. Allora, infatti, si entrava già a tredici o quattordici anni d’età. La sua particolare attitudine per le discipline matematiche gli permise di essere fra i primi del Corso, che dal suo Capocorso, come si usa in marina, nella storia dell’Accademia Navale si chiamò Corso “Matteini”.

 Per quanto ricordo, suo compagno d’Accademia, non di Corso, fu il Duca di Spoleto, Ajmone di Savoia, che fino all’8 settembre 1943 comanderà la X^ Mas, essendo diretto superiore del principe Borghese.

 Come accadde anche a me nella guerra successiva, gli studi del suo corso all’Accademia Navale furono accelrati per pemettere agli allievi di partecipare agli ultimi mesi della prima guerra mondiale. Se non ricordo male venne imbarcato sulla corazzata Dante Alighieri, dapprima col grado di guardiamarina, poi come sottotenente di vascello. Finita la guerra rimase sulla stessa nave e vi era imbarcato quando l’allora re d’Italia la utilizzò per una visita ufficiale di Stato in Spagna.

 In quell’occasione Vittorio Emanuele III conferì al tenente di vascello Uccelli (neopromosso a solo 23 anni) la croce di cavaliere dell’Ordine della Corona d’Italia.

Correva l’anno 1921 e in quello stesso anno mio padre fu destinato a La Spezia, cosa che ricordo bene perché io, che ero nato qualche tempo prima (1920), fui battezzato in una parrocchia nella vicinanza dell’Arsenale. All’Arsenale di La Spezia mio padre cominciò “ a farsi le ossa” nella specializzazione “E” (elettrotecnica) allora di pertinenza degli ufficiali di Stato Maggiore della Marina.

 L’amore per la Patria che suo padre, fervente interventista, e la Marina gli avevano trasmesso, lo portò ad aderire in quegli anni alle manigestazioni del sorgente Partito Fascista, tanto che con orgoglio mi raccomntava di avere preso gli arresti di rigore per avere indossato, come diceva la motivazione della punizione, una “divisa fantasiosa”, e cioè una camicia nera invece di quella bianca d’ordinanza. Ultimata la specializzazione “E” che a quei tempi comprendeva anche il ramo radiotecnica, fu destinato a comandare la base navale di Massaua, in Eritrea. Era l’anno 1925.

 Naturalmente portò con se la famiglia, lì nacque l’ultima mia sorella ed io frequentai le prime tre classi elementari. Massaua era allora la “vecchia colonia” in cui faceva tappa, venendoci spesso a trovare, il duca degli Abruzzi, ammiraglio Luigi di Savoia, quando passava per recarsi in Somalia dove aveva fondato,il villaggio e la magnifica azienda agricola che portavano il suo nome.

 In quell’epoca mio padre ebbe due incarichi dalla Marina: il primo fu quello di trasferire la stazione radio di Massaua all’Asmara, costruendo una delle prime stazioni ad onde corte del mondo. Mi piace ricordare che su questo progetto feci una tesina supplementare in occasione della mia tesi di laurea in ingegneria. Il secondo incarico fu una missione segretissima che lo portò per diversi mesi nello Yemen. Non ho mai saputo di cosa esattamente si trattasse, anche se intuibile per i noti rapporti d’amicizia del governo yemenita nei confronti del fascismo e in ostilità agli inglesi che dominavano Aden.

 Ritornato in Italia alla fine degli anni venti, fu destinato all’Arsenale di Taranto come responsabile del reparto “E”. In questa posizione ebbe modo, tra gli altri incarichi, di presiedere al collaudo di molti sommergibili, in cui è nota l’importanza degli impianti elettrici e non solo per la propulsione.

 All’inizio degli anni trenta mio padre, approfittando di una legge sul disarmo che offriva a chi voleva lasciare la Marina dei notevoli vantaggi anche dal punto di vista finanziario, si congedò. Potè così tornare a Cremona ed occuparsi più da vicino degli interessi di famiglia. Inoltre offrì la sua personale, completa disponibilità alla nuova realtà politica, il Fascismo, verso cui si sentiva particolarmente attratto. Si dedicò così all’organizzazione dell’Opera Nazionale Balilla, curandosi soprattutto del settore degli Avanguardisti: Allo scoppio della guerra d’Etiopia mio padre non poteva mancare al richiamo della Patria, e si arruolò quindi immediatamente in una Divisione di Camicie Nere, in cui gli fu affidato, col ghrado di Seniore, il comando di un Battaglione di mitraglieri. La Marina, venuta a conoscenza di questo fatto,, lo richiamò in servizio per affidargli l’incarico d’Addetto Navale in Equador.

 Ricordo quanto lo avesse turbato questa presa di posizione della Marina, e soprattutto l’incarico cui era stato destinato, lui che voleva invece battersi sul campo. Fece quindi diversi viaggi a Roma prima di riuscire a farsi annullare il richiamo della Marina, ma nel frattempo il battaglione era già partito con una altro Comandante, ed a lui non restò altro che accettare di far parte del Comando divisionale, come responsabile della logistica. Era la Divisione comandata dal generale Teruzzi.

 Finita la guerra, l’Impero aveva bisogno non solo di soldati ma di amministratori che conoscessero ed amassero l’Africa. Lui, per i suoi precedenti di vecchio coloniale fu nominato “residente”, titolo equivalente a prefetto del Regno, a Decamerè in Eritrea. Allo scoppio del secondo conflitto mondiale la Marina  lo richiamò in servizio ancora una volta, e gli affidò il comando della difesa antiaerea e costiera di Massaua. Per assolvere al meglio, come era sua abitudine, l’incarico che gli era stato affidato, non disponendo d’apparecchi radar ebbe la luminosa idea, che attuò immediatamente, di reclutare tutti i ciechi che aveva potuto trovare in Eritrea e di addestrarli all’uso degli aerofoni. Fu un clamoroso successo ! Non appena uno degli aerofonisti riusciva a captare un aereo inglese, bombardiera, caccia o ricognitore che fosse, tutti gli aerofoni venivano orientati su questo aereo, su cui si concentravano subito tutte le batterie che aprivano il fuoco contemporaneamente, abbattendolo. Si era venuta a creare quasi una leggenda. Ormai tutti avevano la certezza che almeno un velivolo per notte, di quanti avessero sorvolato Massaua, sarebbe stato sicuramente abbattuto. Questa psicosi aveva finito con l’imposswessarsi anche del nemico. In totale furono abbattuti in pochi mesi di guerra una cinquantina di aerei inglesi. Per questa sua “trovata” fu ricompensato con una medaglia di bronzo al valore muilitare.

 Fu uno degli ultini italiani ad arrendersi, e questo gli valse un’altra medaglia al valore. Mentre i suoi colleghi imbarcati affondarono le loro navi e, attraversato il Mar Rosso, sbarcarono in Arabia Saudita per essere internati, mio padre ormai prigioniero degli inglesi, era destinato ai campi di prigionia in India. Al momento dell’imbarco però, cadde da barcarizzo,si ruppe una gamba, e di conseguenza venne ricoverato all’ospedale di Asmara. Alla dimissione fu avviato al campo di concentramento di Asmara, del quale divenne il Comandante, essendo l’ufficiale più alto in grado.

 Mio padre certo non era il tipo da stare buono e tranquillo a fare il prigioniero  per cui, con la complicità del parroco, una bella figura di padre cappuccino, organizzò la fuga dal campo di diversi marinai e soldati compresa ovviamente la sua, che fu la più rocambolesca. Riuscì, infatti, ad evadere dentro un’autobotte. Una volta fuori iniziò la guerriglia contro gli inglesi, con l’aiuto della popolazione indigena ed italiana. Divenuto impossibile continuare, armate alcune lance a motore, attraversò con gli uomini che aveva radunato attorno a sé il Mar Rosso per unirsi agli altri marinai che lo avevano preceduto, internati su di un isolotto sperduto di fronte a Gedda, nell’Arabia Saudita.

Nella primavera del 1942 io ero imbarcato come guardiamarina sulla corazzata Vittorio Veneto, quando, essendo di comandata in plancia a Taranto, fui chiamato a poppa poiché vi era una sorpresa per me. Era mio padre, che non vedevo ormai da sette anni, che era riuscito, approfittando di uno scambio di internati, ad attraversare con ogni mezzo, ma il più delle volte a piedi, Arabia Saudita, Palestina, Siria e Turchia, per imbarcarsi a Smirne ed arrivare finalmente in Italia. Dal Ministero Marina aveva saputo dove mi trovavo.

 Non contento delle peripezie fino ad allora attraversate, e poiché aveva soltanto quarantaquattro anni, chiese ed ottenne il comando di una nave bananiera, il Ramb III, che nei cantieri navali di Fiume stava per essere trasformata in nave corsara per effettuare la guerra di corsa, in particolare contro i sommergibili, nel Mediterraneo.

L’otto settembre 1943 è a Fiume con la sua nave, e fonda in quella città il Comando della Marina Repubblicana. Troppo comoda era considerata da lui questa destinazione. Non appena seppe della formazione di una Divisione di Fanteria di Marina, fece di tutto per raggiungere il centro di reclutamento a Vercelli, per poi seguire tutte le vicissitudini della Divisione.

 Quii cessa il mio racconto e lascio la continuazione a chi avendo fatto parte del Battaglione Uccelli, meglio di me ne può raccntare la storia. Ciò che mi piace ricordare è la fierezza con cui mi ripeteva che il suo Battaglione aveva sì dei volontari, ma che per la maggior parte era formato da giovani di leva, orgogliosi di aver obbedito alla chiamata alle armi per difendere l’onore della Patria.

 
                                                                                           

                                                                                                             

                                                                                     

                                                                                            

                                                                           

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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