Marino Mersenne

Descartes/ il personaggio

 

 

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Intervista A Descartes sul dubbio

 

 

L’intervista si svolge ad Utrecht (Olanda) nel luglio del 1635. Cartesio è impegnato nella riflessione sui problemi che costituiranno la trama narrativa e di pensiero del Discorso sul metodo. L’intervistatore, avendo saputo della cosa e presagendo il clamore che susciterebbe l’anticipazione giornalistica dei temi sui quali medita Cartesio, si reca in visita dal filosofo con l’intenzione di fare uno scoop. Questa circostanza insieme ai motivi che spingono Cartesio al “ritiro” olandese (egli vuole evitare che la sua ricerca resti impacciata dagli impegni mondani) spiegano il fastidio del filosofo che mostra di considerare l’intervista come una vana molestia. Sia detto ciò a sua discolpa e perché non si attribuisca a superbia quanto è proprio dell’umiltà della ricerca filosofica.

Siamo in un salotto ben arredato, pulito e quasi ordinato se non fosse per alcune carte sparse qua e là su di un tavolo e sulle sedie. L’ambiente è tenuto al riparo dai rigori climatici da una buona aerazione e da alcune tende che, trattenendo la luce e la calura dell’esterno, conferiscono frescura alla penombra.

 

Intervistatore - Buongiorno, signor Descartes.

Descartes - Non dovrei rispondere al suo saluto, a meno di non volere sentirmi come un bruto ottuso.

I. - Perché non dovrebbe?

D. - Per lo stesso motivo che mi impedisce di risponderle ora.

I. - Mi sta per caso invitando ad andarmene? Ehm.. se non può rispondere alle mie domande, la mia presenza qui è superflua.

D. - Non che sia necessaria, ma lasciamo perdere… No, signore. Non vada via. (Sospira come se dovesse risolvere un intimo conflitto). Per quanto possa sentirmi come un bruto, le risponderò. L’abitudine alla buona creanza quasi mi costringe. Buongiorno, signore.

I. - E allora?

D. - Allora… cosa?

I. - Perché non voleva rispondere al mio saluto? E perché, nel caso lo avesse fatto, sarebbe stato un bruto?

D. - Non “sarei stato un bruto”, ma “mi sarei sentito come un bruto ottuso” ho detto. Non ho mai pensato, né penserò mai di essere un bruto né ora né in qualunque altra circostanza.

I. - Mi sembra un po’ presuntuoso…

D. - Stiamo tergiversando troppo. Comunque, no, non è questione di presunzione. Il buon senso è la cosa meglio ripartita e la facoltà di giudicare e di distinguere il vero dal falso è uguale in tutti gli uomini. Uomini, dico, e non bruti che sono privi, al contrario del sottoscritto, di buon senso e capacità di giudizio.

I. - Bene. Mi arrendo: mi sono espresso in modo improprio. Ma la prego di rispondere: perché non voleva salutarmi?

D. - Avrà intuìto, spero, che non si tratta di difetto di buone maniere. Le assicuro, inoltre, che non è il caso di una vana altezzosità. Il fatto è che io dubito e l’onestà filosofica mi impone di farlo anche nelle circostanze meno suscettibili di sospetto.

I. - Mi perdoni, ma non la seguo.

D. - (Sorride) Sia saggio e domini la sua impazienza… La precipitazione fa commettere errori. Dicevo: io dubito. E devo farlo anche ora. Anche nei suoi confronti. La vedo, qui, di fronte a me, seduto comodamente in poltrona. A giudicare dalle sembianze, i cui lineamenti percepisco attraverso i sensi, direi che stia parlando con un uomo…

I. - Senz’altro!

D. - Non intendevo offenderla. Volevo dire che, siccome i sensi spesso ci ingannano, è bene diffidare di essi. E, dunque, per onestà, devo sospettare di quanto essi testimoniano. Ergo, lei sembra un uomo, ma potrebbe essere tutt’altra cosa. Una statua semovente… un abito appeso ad una stampella… un fantasma.

I. - Suvvia, mi sembra eccessivo! Eppoi, che cosa c’entra con il rispondere al saluto altrui?

D. - C’entra, c’entra…Lei potrebbe mai salutare una statua senza sentirsi come un bruto ottuso?

I. - Certo che no.

D. - Quanto poi alla presunta esagerazione del dubitare, vorrei chiarirle la cosa rivolgendole qualche domanda. Me lo consente?

I. - Mi ruba il mestiere… ma faccia pure.

D. - Lei è venuto ad intervistare il signor Descartes?

I. - Si.

D. - Ma è proprio sicuro che qui, ora, di fronte a lei, ci sia il signor Descartes?

I. - Certo.

D. - Non dia risposte affrettate. Faccia conto come se dall’onestà della sua risposta possano dipendere i suoi destini futuri e le possano derivare gravi conseguenze. Come del resto accade per gli affari quotidiani, per i quali se si sbaglia si è subito puniti.

I. - Beh, se proprio devo valutare tutte le circostanze… direi che no, non posso essere assolutamente sicuro che lei sia il signor Descartes. Però, ho motivi ragionevoli per sostenere che le cose stiano proprio così.

D. - E questi “motivi ragionevoli” sono sufficienti o non a farla recedere dal dubbio?

I. - Forse si. Prima di venire qui mi sono informato sul domicilio del signor Descartes e questa casa corrisponde all’indirizzo che mi è stato indicato. La sua governante mi ha introdotto in questa camera dicendomi che il signor Descartes mi avrebbe raggiunto di lì a poco. Infine è venuto lei.

D. - Mi dispiace ma il suo ragionamento non è concludente poiché né le premesse né la conclusione possono essere date come assolutamente vere. E lei se la sentirebbe mai di rischiare non dico la sua vita ma anche solo la sua carriera di giornalista facendo affidamento esclusivamente su ciò che ha sentito dire? Inoltre, si fida talmente dei suoi sensi al punto di giudicare reali questa ombra che ha davanti a sé, questa voce che le parla dall’oscurità?

I. - Vedo un’ombra che è quella di un uomo e sento una voce…

D. - Ma anche nei sogni si vedono ombre che muovono le labbra e si odono voci. Non per questo confidiamo a tal punto su quanto vediamo e sentiamo da sostenere che quelle vaghe parvenze e quei simulacri di voci esistano realmente.

I. - Ma ora io non sto sognando!

D. - Può esserne assolutamente certo? Spesso si sogna di essere svegli. In questa penombra, quello che lei crede sia il mio corpo potrebbe essere un mucchio di abiti la cui disposizione somiglia soltanto ad un corpo e la mia voce un soffio di vento che vibra su per la canna del camino. Non potrebbe darsi, come ha sostenuto il famoso drammaturgo, che la nostra vita sia fatta della stessa stoffa dei sogni?

I. - Mah…(sospira) ammetto di essere un po’ confuso.

D. - No, mio caro signore. Non si tratta di confusione. Lei comincia a dubitare.

I. - Non lo so. So solo che ero venuto a fare un’intervista che non ho fatto.

D. - Ne è proprio certo?

I. - Oh, basta! (esclama, sospeso fra impazienza e rassegnazione) Penso che sia giunto il momento di andar via. La saluto… Anzi no. Potrebbe darsi che lei sia soltanto un manichino parlante!

D. - Ecco, bravo! Anch’io eviterò di salutarla. Ma voglio congedarla con un augurio: lei è sulla buona strada per diventar filosofo.

I. - Si, ma intanto perderò il mio lavoro di giornalista! (tra sé e sé) Vado.

D. - Non ne sarei così sicuro. Tutto sommato, l’intervista ad un fantasma potrebbe essere… come si dice nel vostro gergo? …uno “scoop”. (Sorride)

I. - Potrebbe essere un’idea.

D. - (rimasto solo) Incontrare questo signore è stato proficuo, se non altro, per due motivi: ho fatto la mia buona azione quotidiana, guadagnando, forse, una statua parlante alla filosofia. In secondo luogo, mi sono liberato elegantemente da una seccatura.

 

[Ciro Fiorentino - Liceo classico “San Tommaso d’Aquino” - a. s. 2002/2003]

 

 

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