Marino Mersenne

Descartes / studio

 

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Descartes / il pensiero

 

IL METODO

IL DUBBIO E IL COGITO

DIO E LA METAFISICA

IL DUALISMO

LA GEOMETRIA ANALITICA

LA FISICA

 

 

 

 

IL METODO

 

 

In Cartesio l’esigenza del metodo nasce quando, uscito dalla scuola di La Flèche, il filosofo si rende conto di essere sprovvisto di un criterio atto a distinguere il vero dal falso e che possa, al contempo, essere di giovamento all’uomo. Il metodo ricercato da Cartesio, dunque, deve possedere un valore teoretico e pratico insieme, volto ad accrescere la conoscenza e ad ottenere il vantaggio dell’uomo nel mondo. Il metodo, inteso in senso stretto, articola, quindi, un criterio razionale atto a costruire il sapere in sistema e composto da una serie di regole tali che la ricerca segue un procedimento di indagine ordinato, ripetibile ed autocorregibile.

Le regole che costituiscono il metodo, individuate da Cartesio, sono il frutto dell’interesse del filosofo per le matematiche e da queste derivano, poiché le scienze della quantità presentano strutture dimostrative, certe e rigorose, che danno fondamento all’ipotesi di una loro estensione ad altri campi del sapere. Le regole del metodo sono quattro:

 

1-     EVIDENZA: secondo questa regola non bisogna accettare nessuna cosa fin quando questa non sia chiara e distinta e quindi libera da ogni dubbio. L’evidenza e’quindi caratteristica peculiare della certezza.

2-     ANALISI: procedimento che impone di passare dal complesso al semplice e di risolvere il problema suddividendo le difficoltà nel maggior numero di elementi possibili, da analizzare poi singolarmente.

3-     SINTESI: questa regola impone di procedere dal semplice al complesso, gradualmente, presupponendo un ordine tra gli oggetti, anche quelli non naturalmente correlati e presupponendo che questo sia sempre possibile.

4-     ENUMERAZIONE: consiste nel rivedere gli elementi del procedimento analitico-sintetico,e nel controllare che non vi siano errori o omissioni, in modo da ridurre la possibilità del falso.

 

L’ appartenere alla sfera matematica non fornisce giustificazione a queste regole in quanto potrebbero essere criteri validi solo in tale ambito e non applicabili altrove.

La loro legittimazione va trovata in chiave filosofica: nell’uomo con la sua soggettività o ragione.ñ

 

 

IL DUBBIO E IL “COGITO ERGO SUM”

 

La giustificazione del metodo implica una critica radicale al sapere preesistente poiché si può ottenere solo dubitando di tutto e considerando falso quanto sia suscettibile di sospetto. Se così facendo si perviene ad un principio che resiste al dubbio bisognerà tenerlo per certo ed evidente  e dotato dei requisiti del fondamento. In questo procedimento consiste la giustificazione del metodo (dubbio metodico).

Per Cartesio quindi bisogna dubitare di ogni cosa, sia delle conoscenze sensibili, sia di quelle matematiche, poiché anche nel caso di queste ultime è ipotizzabile un contesto nel quale possano risultare ingannevoli. Infatti, fin quando non sarà fatta luce sulle origini dell’uomo, si potrà sempre supporre che questo sia stato creato da una sorta di “genio maligno”che si e’ proposto di far apparire vero ciò che invece è falso. In tal caso, tutte le conoscenze si rivelano illusorie: il dubbio si estende universalmente (dubbio iperbolico).

Proprio universalizzando il dubbio si giunge però ad una prima certezza. Infatti ci si può ingannare in ogni caso, ma solo chi esiste può ingannarsi, ed è il dubbio stesso a giustificare questa certezza, in quanto solo chi esiste realmente può dubitare. Ma il fatto che si pervenga alla certezza esistenziale tramite un atto di pensiero sul quale, dunque, non può sussistere alcun dubbio, implica che la certezza riguarda l’io come pensiero. Si costituisce quindi l’equazione io penso=io esisto. ñ

 

 

 

DIO COME GIUSTIFICAZIONE METAFISICA DELLE CERTEZZE UMANE

 

 

Il pensare quindi rende sicuro l’uomo della propria esistenza, ma su tutto il resto continua ad essere possibile l’ipotesi del genio maligno. È certo che tutte le idee in quanto pensate dall’uomo esistono nel suo spirito, che è sostanza pensante, ma sono reali al di fuori della soggettività umana? C’è una realtà alla quale possano essere riferite?

Per risolvere il problema Cartesio distingue tre tipi di idee: quelle innate che appaiono proprietà intima e connaturata del pensiero umano e, dunque, non sono ricavate dall’esperienza, quelle avventizie che sembrano attinte dal mondo esterno e quelle fattizie che l’uomo forma e costruisce da solo.

Sono esempio di queste tre categorie rispettivamente, la capacità di avere idee, le idee delle cose naturali e le idee delle cose inventate. A questo punto solo trovando la causa di queste idee si potrà accertare se queste hanno un riferimento reale.

Le idee delle cose naturali sono finite e non perfette e quindi è possibile che l’uomo ne sia la causa (e, dunque non si esce dal cerchio della soggettività); l’idea di Dio, invece, poiché implica perfezione ed infinità, non può essere causata dalla mente dell’uomo che è finita ed imperfetta ma deve avere come propria origine una sostanza infinita (Dio) che è quindi necessariamente ammessa come esistente. La prima prova dell’esistenza di Dio muove dal presupposto che la causa di un’idea debba avere almeno altrettanta perfezione che il suo effetto (criterio dell’eminenza della causa). La seconda prova dell’esistenza di Dio muove dall’impossibilità dell’autocreazione umana; se l’uomo avesse prodotto se stesso, infatti, si sarebbe attribuito le perfezioni che egli concepisce come proprie di Dio. Ma poiché ne è sprovvisto, risulta che l’uomo non si e’ autocreato e che nessun altro può averlo creato se non Dio stesso.

A queste due prove se ne aggiunge una terza, detta “ontologica” e che riprende la classica argomentazione di S.Anselmo: non è possibile pensare al significato della parola “Dio” -che, in sostanza, può essere restituito con l’espressione “Essere perfetto”- senza ammettere che Dio esista poiché l’esistenza è certamente una perfezione. In caso contrario, usando la parola “Dio” per designare un essere mancante della perfezione dell’esistenza, si denoterebbe qualcos’altro ma non Dio (in pratica, dal punto di vista di Cartesio l’espressione “Dio non esiste” non ha senso).

L’idea di Dio, non potendo avere come causa la mente dell’uomo, consente il transito dal pensiero alla realtà. L’uomo può essere rassicurato intorno al fatto che, avendo idee, non sempre sogna. Dio diventa, dunque, garanzia del criterio d’evidenza; infatti, essendo Dio perfetto, non può certo ingannare. Ciò vuol dire che la facoltà di giudizio donata all’uomo se usata correttamente non può fuorviare la conoscenza. Pertanto, tutto ciò che appare evidente e chiaro all’uomo e’ anche realmente vero in quanto garantito da Dio (il genio maligno, sconfitto, esce di scena). Garantita la possibilità del vero, si presenta, ora, a Cartesio la necessità di mostrare allora come sia possibile l’errore.

Esso può verificarsi per il fatto che alla conoscenza concorrono sia l’intelletto che la volontà. Quest’ultima, essendo più “estesa” dell’intelletto, può spingere l’uomo a dare il proprio assenso anche ad idee che l’intelletto non conosce in modo chiaro e distinto.  È infatti possibile considerare positivamente o negativamente quel che l’intelletto non riconosce in modo chiaro.

L’errore quindi scaturisce dal libero arbitrio, dalla possibilità di scelta data all’uomo da Dio e si può evitare solo non contraddicendo le regole del metodo ed in particolare quella dell’evidenza. ñ

 

 

 

IL DUALISMO CARTESIANO

 

 

Risulta chiaro quindi che di fronte alla sostanza pensante (l’io), si dà una sostanza estesa, che ha peculiarità, caratteristiche opposte e riconducibili alle evidenze matematiche. Esse si presentano anche alla percezione (le determinazioni quantitative: numero, spazio, movimento ecc.) anche se mescolate ad altre che non hanno un fondamento reale (proprietà soggettive come colore, odore ecc.) e che, appunto, non appartengono come tali alla sostanza oggetto di percezione.

Cartesio quindi divide la realtà in due zone ontologicamente opposte: la sostanza pensante che e’ spirituale, consapevole, libera e la sostanza estesa che è spaziale, inconsapevole, determinata.

Questa divisione costituisce quanto si è soliti definire come dualismo cartesiano.

A questo punto a Cartesio si impone la questione della relazione che intercorre tra le due sostanze e del rapporto anima-corpo nell’uomo.

Il filosofo tenta di dare soluzione al problema sostenendo, con argomentazioni poco convincenti, che l’interazione psico-fisica può aver luogo nella ghiandola pineale (epifisi). Appare subito evidente l’insufficienza di questa soluzione: la ghiandola pineale, infatti, è parte della sostanza estesa e, come tale, presenta proprietà incompatibili con quelle dell’anima, la cui interazione col corpo, risulta, di nuovo, problematica.

I filosofi successivi giudicheranno negativamente questa soluzione e cercheranno altrove la risposta al problema del dualismo cartesiano. ñ

 

 

 

LA GEOMETRIA ANALITICA

 

 

Cartesio, separando la res cogitans dalla res extensa, eliminò ogni residuo antropologico nella considerazione del mondo fisico, creando le basi per un nuovo grande metodo  nel quale la necessità oggettiva si identifica con quella logico-matematica, secondo un procedimento deduttivo. Per Cartesio, dunque, la geometria costituiva il contesto fondamentale della conoscenza del mondo fisico. Cartesio è convinto dell’unità fondamentale delle scienze matematiche e, alla luce di questo presupposto, valuta il metodo dimostrativo in uso nella geometria degli antichi come legato ai casi singoli mentre ritiene che l’algebra, ancora dipendente dai contenuti intuitivi offerti dalla geometria, dovesse essere riorganizzata in un linguaggio autonomo atto ad amplificare il campo della conoscenza matematica. Questi elementi critici sono all’origine della fondazione della geometria analitica. I passi successivi ne derivarono di conseguenza: poiché riteneva che la scienza algebrica fosse inadeguata, Cartesio ne riformò la simbologia, emendandola da oscurità e confusioni in modo tale che risultasse rigorosa ed univoca. Nello stesso tempo riformò i fondamenti della geometria mirando ad una generalizzazione del metodo dimostrativo alla quale si prestava il linguaggio algebrico. In tal modo si rese possibile una feconda confluenza di algebra e geometria che venne a costituire il contesto, appunto, della geometria analitica. Per la prima volta il numero e la forma geometrica entrano in una relazione strettissima in virtù della quale l’uno interpreta l’altra ed offre elementi sufficienti di descrizione e comprensione. Il linguaggio algebrico viene svincolato dalla considerazione dei contenuti intuitivi della geometria e reso disponibile alla descrizione di figure geometriche complesse estendendo sia le proprie competenze che il campo conoscitivo della geometria. In pratica, Cartesio costituisce la possibilità di misurazione delle grandezze geometriche per cui il numero diventa una distanza in riferimento ad una coppia di linee fondamentali (assi cartesiani). Pertanto, con procedimenti algebrici i punti costituenti le figure geometriche possono essere individuati sul piano e descritti sotto forma di funzioni.. ñ

 

 

 

LA FISICA

 

 

Il mondo fisico, per Cartesio, si identifica con l’estensione: ne consegue che lo spazio fisico ha le medesime caratteristiche dello spazio geometrico. Pertanto, l’estensione fisica è infinita come lo spazio euclideo. Per lo stesso motivo, lo spazio è continuo e non presenta interruzioni (horror vacui).

Due sono gli elementi fondamentali del mondo fisico: l’estensione e il moto. E due sono le leggi che dominano nella fisica cartesiana: il principio di inerzia e il principio della conservazione della quantità di moto. Considerando con sospetto il concetto di forza che implica l’idea di azione a distanza (tale concetto sembrava compromesso con il sapere magico), Cartesio ritiene che ogni variazione intervenga nell’universo sia l’esito della distribuzione del movimento attraverso l’urto dei corpi. Volgendosi poi alla spiegazione del movimento, Cartesio ritiene che la materia sottile, presente anche là dove impropriamente pensiamo sia il vuoto, è costituita da corpuscoli molto piccoli privi di coerenza. Cartesio introduce questa teoria corpuscolare nella speranza di spiegare la gravità dei corpi e la rivoluzione dei pianeti non ricorrendo al concetto di forza (azione a distanza). Secondo lui, infatti, la materia sottile, ruotando vorticosamente, spingerebbe i gravi verso la terra e analogamente terrebbe la terra e i pianeti in orbita intorno al sole. Questa teoria, priva di forza sperimentale e di elaborazione matematica, ebbe, fino all’affermazione della fisica newtoniana, un certo successo, unificando meccanica terrestre e celeste e riconducendo ad una medesima causa la caduta dei gravi e il moto orbitale dei pianeti.

Essendo i corpi –compresi quelli animati- parti della res exstensa, Cartesio estende i fondamenti della fisica –materia e movimento- alla scienza biologica. Pertanto, egli riconduce a modelli meccanicistici anche la vita: le funzioni vitali sono anch’esse nient’altro che materia e movimento e così, ad esempio, il corpo umano sarebbe paragonabile ad una statua semovente. ñ

 

[a cura del gruppo-classe 2ª A liceo classico “San Tommaso d’Aquino” - a. s. 2002/2003]

 

 

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