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Ultimo aggiornamento: 31-12-06.

 

 

 

 

 

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SVILUPPO E PAESAGGIO IN EPOCA CONTEMPORANEA

 

Oggigiorno, l'Alta Valle del Tevere si mostra popolosa e fiorente di attività produttive, con estese zone industriali ed un'agricoltura variegata e razionale. Sulle alture appenniniche, i numerosissimi casolari abbandonati, parte dei quali recuperati come residenze per l'estate ed i fine settimana, costituiscono la traccia più evidente della diffusione di piccole comunità agricole anche nel territorio meno facilmente accessibile e redditizio. Una fitta rete di strade garantisce fluidi collegamenti con le altre città umbre e con le regioni confinanti, insinuandosi nelle strette vallate degli affluenti del Tevere ed inerpicandosi su per colline e montagne che sino a poco tempo fa apparivano ancora come l'emblematica barriera che condannava il territorio ad un secolare isolamento. Il Tevere, la linea ferroviaria, di ridotta importanza, e la superstrada di recente costruzione si intrecciano più volte discendendo la valle, cosi che l'ambiente naturale pare accompagnare le aspirazioni e le contraddizioni delle opere realizzate dall'uomo.

Fino all'inizio di questo secolo, la bellezza del paesaggio altotiberino faceva da cornice ad un grave stato di arretratezza. A determinare la diffusa povertà era un sottosviluppo economico contrassegnato dalla quasi assoluta mancanza di attività industriali e da un'agricoltura ancora legata a rapporti di lavoro e metodi antiquati, efficaci solo a perpetuare l'asservimento alla terra ed alla proprietà agraria dei mezzadri, che costituivano la grande maggioranza della popolazione locale. Nelle campagne, i contadini per lo più vivevano in abitazioni misere, con finestre senza vetri, stipati negli angusti vani ed esposti ai miasmi della stalla; proprio le dure condizioni igieniche e l'inadeguatezza del vitto causarono il propagarsi della pellagra, malattia che minava la salute fisica e psichica dei coloni. Inoltre, il generalizzato analfabetismo ne ostacolava l'emancipazione politica e sociale, favorendo il mantenimento di un'atavica subalternità rispetto al proprietario. Anche il principale centro abitato della valle, Città di Castello, arroccato all'interno delle mura medioevali, che ne segnavano il confine con l'aperta campagna, traeva sostentamento soprattutto dalle attività agricole, con un artigianato ed un commercio limitato al soddisfacimento delle esigenze di autoconsumo della comunità comprensoriale. Faceva eccezione una sola azienda di cospicue dimensioni e di vasti orizzonti, lo Stabilimento Tipografico Lapi, destinato ad aprire la strada ad una considerevole espansione di questo settore industria l'inadeguato beneficio di risorse finanziarie e per l'insufficiente inserimento nelle grandi scelte strategiche provinciali, la sua collocazione ai margini della regione.

L'Alta Valle del Tevere ha conosciuto in questo secondo dopoguerra uno sconvolgimento radicale. Con il crollo del regime fascista, sono esplose contraddizioni a lungo latenti ed acutizzate dalla sua politica "ruralista" e dalle illusioni autarchiche. Nonostante che il movimento rivendicativo dei mezzadri conseguisse importanti risultati di carattere sindacale e politico-morale, la marcata sovrabbondanza di addetti all'agricoltura e lo scontento per le difficili condizioni di vita nelle campagne, specialmente nelle aree più impervie, isolate e improduttive, concorsero ad alimentare un progressivo spopolamento che, nel corso degli anni '50 e '60, assunse un ritmo vertiginoso. Ma l'economia locale poteva offrire poche altre occasioni di lavoro. A Città di Castello, dove si concentravano le attività industriali più consistenti, le tipografie, le aziende meccaniche, la Fattoria Tabacchi e le numerose botteghe artigiane non erano in grado di assorbire ulteriore mano d'opera. Per migliaia di altotiberini non restò altra scelta che l'emigrazione. Gran parte di essi si stabilirono all'estero, specialmente in Francia, già meta di un altro imponente flusso migratorio dal comprensorio in epoca giolittiana. Agli inizi degli anni '60, l'amministrazione comunale di Città di Castello e la locale Cassa di Risparmio fecero convergere provvedimenti amministrativi e risorse finanziarie per realizzare una zona industriale a Nord della città. In essa trovarono sede più idonea ed occasione per svilupparsi le aziende disseminate negli angusti locali del centro storico. Contemporaneamente, la disponibilità di un'area già attrezzata e le disposizioni legislative nazionali, che garantivano benefici fiscali ed un minore costo del lavoro, facilitarono l'insediamento di altri imprenditori forestieri. Si crearono così le condizioni per l'industrializzazione del territorio, mentre anche l'agricoltura viveva una fase di rinnovamento e di sviluppo, nella quale riaffermava un'importanza considerevole la coltura del tabacco. Inoltre, l'incremento demografico e la domanda di nuove abitazioni determinarono, in maniera particolare a Città di Castello, un'espansione convulsa e disordinata del nucleo urbano verso le zone periferiche. Si verificò anche localmente il fenomeno urbanistico che ha caratterizzato l'intero Paese nel dopoguerra, con una crescita in un primo momento "spontanea" e febbrile di nuovi quartieri, poi programmata e disciplinata dalle amministrazioni comunali.

Tutti questi elementi hanno concorso a produrre sostanziali mutamenti nel paesaggio altotiberino nel breve volgere di una trentina di anni. Una delle "ferite" al paesaggio della valle è stata a lungo auspicata dalla popolazione. La costruzione della superstrada, infatti, per il cui completamento dovette essere più volte attuata una energica pressione politica e sindacale, è giunta per lo meno ad alleviare - non certo a spezzare - l'isolamento del territorio. Tale questione si trascina da generazioni, alternando momenti di speranza a brusche disillusioni. Rimasta per secoli estremo lembo settentrionale dello Stato Pontificio, l'Alta Valle del Tevere ha sempre cercato di allacciare scorrevoli vie di comunicazione con la confinante Toscana e con la Romagna, della cui antica influenza portano testimonianze rilevanti influssi linguistici, culturali e commerciali. Con L'Unità d'Italia, nell'ambito della più generale ristrutturazione delle comunicazioni ferroviarie, furono proposte due linee che avrebbero senz'altro risolto ogni problema di isolamento: la Venezia-Forli-Roma e la Livorno-Ancona, entrambe attraverso l'attuale comprensorio. Questi ambiziosi progetti non hanno trovato attuazione, ma sono stati riproposti per decenni, sottolineando i tracciati ideali auspicati dagli altotiberini per potersi inserire proficuamente con strade o ferrovie negli interscambi economici e culturali nazionali. E in questo contesto che la superstrada costituisce una prima rilevante realizzazione. Quanto alla ferrovia, l'odierna "Centrale Umbra" ripercorre da Sansepolcro ad Umbertide il tracciato della vecchia "Appennino Centrale", una linea a scartamento ridotto che collegava Arezzo a Fossato di Vico. Inaugurata nel 1886, parve gran cosa, nonostante i chiari limiti, perché apriva la valle ad un traffico interregionale. Con il passare degli anni, sebbene dal 1915 la "Centrale Umbra" collegasse Umbertide con Perugia, diventò sempre più evidente l'inadeguatezza del servizio ferroviario; infine, durante la guerra, la linea subì danni gravissimi. Di tante aspirazioni ed illusioni, non resta che l'allaccio di Sansepolcro con la "Centrale Umbra".

Lo sviluppo economico e sociale ha quindi lasciato segni ben visibili nell'Altotevere, contrassegnandone il paesaggio in modo significativo e, per certi aspetti, irreversibile. L'avvenuta crescita del livello di vita della popolazione rende ora auspicabile un rapporto non conflittuale tra un ulteriore progresso e la salvaguardia - in alcuni casi anche il recupero di un contesto naturale denso di storia ed ammirato per la sua bellezza.

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