SVILUPPO E
PAESAGGIO IN EPOCA CONTEMPORANEA
Oggigiorno, l'Alta Valle del Tevere si mostra popolosa e
fiorente di attività produttive, con estese zone
industriali ed un'agricoltura variegata e razionale. Sulle alture
appenniniche, i numerosissimi casolari abbandonati, parte dei quali
recuperati come residenze per l'estate ed i fine settimana, costituiscono
la traccia più evidente della diffusione di piccole comunità agricole anche
nel territorio meno facilmente accessibile e redditizio. Una fitta rete di
strade garantisce fluidi collegamenti con le altre città umbre e con le
regioni confinanti, insinuandosi nelle strette vallate degli affluenti del
Tevere ed inerpicandosi su per colline e montagne che sino a poco tempo fa
apparivano ancora come l'emblematica barriera che
condannava il territorio ad un secolare isolamento. Il Tevere, la linea
ferroviaria, di ridotta importanza, e la superstrada di recente costruzione
si intrecciano più volte discendendo la valle,
cosi che l'ambiente naturale pare accompagnare le aspirazioni e le
contraddizioni delle opere realizzate dall'uomo.
Fino all'inizio di questo secolo, la bellezza del paesaggio altotiberino faceva da cornice ad un grave stato di arretratezza. A determinare la diffusa povertà era un
sottosviluppo economico contrassegnato dalla quasi assoluta mancanza di attività industriali e da un'agricoltura ancora
legata a rapporti di lavoro e metodi antiquati, efficaci solo a perpetuare
l'asservimento alla terra ed alla proprietà agraria dei mezzadri, che
costituivano la grande maggioranza della popolazione locale. Nelle
campagne, i contadini per lo più vivevano in abitazioni misere, con
finestre senza vetri, stipati negli angusti vani ed esposti ai miasmi della
stalla; proprio le dure condizioni igieniche e l'inadeguatezza del vitto
causarono il propagarsi della pellagra, malattia che minava la salute
fisica e psichica dei coloni. Inoltre, il generalizzato analfabetismo ne ostacolava l'emancipazione politica e sociale,
favorendo il mantenimento di un'atavica subalternità rispetto al
proprietario. Anche il principale centro abitato della valle, Città di
Castello, arroccato all'interno delle mura medioevali, che ne segnavano il
confine con l'aperta campagna, traeva sostentamento soprattutto dalle
attività agricole, con un artigianato ed un commercio limitato al
soddisfacimento delle esigenze di autoconsumo della comunità comprensoriale. Faceva
eccezione una sola azienda di cospicue dimensioni e di vasti orizzonti, lo
Stabilimento Tipografico Lapi, destinato ad
aprire la strada ad una considerevole espansione di questo settore industria l'inadeguato beneficio di risorse finanziarie
e per l'insufficiente inserimento nelle grandi scelte strategiche
provinciali, la sua collocazione ai margini della regione.
L'Alta Valle del Tevere ha conosciuto in questo secondo
dopoguerra uno sconvolgimento radicale. Con il crollo del regime fascista, sono
esplose contraddizioni a lungo latenti ed acutizzate
dalla sua politica "ruralista" e dalle
illusioni autarchiche. Nonostante che il movimento rivendicativo dei
mezzadri conseguisse importanti risultati di
carattere sindacale e politico-morale, la marcata sovrabbondanza di addetti
all'agricoltura e lo scontento per le difficili condizioni di vita nelle
campagne, specialmente nelle aree più impervie, isolate e improduttive,
concorsero ad alimentare un progressivo spopolamento che, nel corso degli
anni '50 e '60, assunse un ritmo vertiginoso. Ma
l'economia locale poteva offrire poche altre occasioni di lavoro. A Città
di Castello, dove si concentravano le attività industriali più consistenti,
le tipografie, le aziende meccaniche, la Fattoria Tabacchi e le numerose
botteghe artigiane non erano in grado di assorbire ulteriore
mano d'opera. Per migliaia di altotiberini
non restò altra scelta che l'emigrazione. Gran parte di essi
si stabilirono all'estero, specialmente in Francia, già meta di un altro imponente
flusso migratorio dal comprensorio in epoca giolittiana.
Agli inizi degli anni '60, l'amministrazione comunale di Città di Castello
e la locale Cassa di Risparmio fecero convergere
provvedimenti amministrativi e risorse finanziarie per realizzare una zona
industriale a Nord della città. In essa trovarono
sede più idonea ed occasione per svilupparsi le aziende disseminate negli
angusti locali del centro storico. Contemporaneamente, la disponibilità di
un'area già attrezzata e le disposizioni legislative nazionali, che
garantivano benefici fiscali ed un minore costo del lavoro, facilitarono
l'insediamento di altri imprenditori forestieri.
Si crearono così le condizioni per l'industrializzazione
del territorio, mentre anche l'agricoltura viveva una fase di rinnovamento
e di sviluppo, nella quale riaffermava un'importanza considerevole la
coltura del tabacco. Inoltre, l'incremento demografico e la domanda di
nuove abitazioni determinarono, in maniera particolare a Città di Castello,
un'espansione convulsa e disordinata del nucleo urbano verso le zone
periferiche. Si verificò anche localmente il
fenomeno urbanistico che ha caratterizzato l'intero Paese nel dopoguerra,
con una crescita in un primo momento "spontanea" e febbrile di
nuovi quartieri, poi programmata e disciplinata dalle amministrazioni
comunali.
Tutti questi elementi hanno concorso a produrre sostanziali
mutamenti nel paesaggio altotiberino nel breve
volgere di una trentina di anni. Una delle
"ferite" al paesaggio della valle è stata a lungo auspicata dalla
popolazione. La costruzione della superstrada, infatti, per il cui
completamento dovette essere più volte attuata una energica
pressione politica e sindacale, è giunta per lo meno ad alleviare - non
certo a spezzare - l'isolamento del territorio. Tale questione si trascina
da generazioni, alternando momenti di speranza a brusche disillusioni.
Rimasta per secoli estremo lembo settentrionale dello Stato Pontificio,
l'Alta Valle del Tevere ha sempre cercato di allacciare scorrevoli vie di
comunicazione con la confinante Toscana e con la Romagna, della cui antica
influenza portano testimonianze rilevanti influssi
linguistici, culturali e commerciali. Con L'Unità d'Italia, nell'ambito
della più generale ristrutturazione delle comunicazioni ferroviarie, furono
proposte due linee che avrebbero senz'altro risolto ogni problema di isolamento: la Venezia-Forli-Roma
e la Livorno-Ancona, entrambe attraverso
l'attuale comprensorio. Questi ambiziosi progetti non hanno trovato
attuazione, ma sono stati riproposti per decenni,
sottolineando i tracciati ideali auspicati dagli altotiberini
per potersi inserire proficuamente con strade o ferrovie negli interscambi
economici e culturali nazionali. E in questo contesto
che la superstrada costituisce una prima rilevante realizzazione. Quanto alla ferrovia, l'odierna "Centrale Umbra"
ripercorre da Sansepolcro ad Umbertide il tracciato della vecchia "Appennino Centrale", una
linea a scartamento ridotto che collegava Arezzo a Fossato di Vico.
Inaugurata nel 1886, parve gran cosa, nonostante i chiari limiti, perché
apriva la valle ad un traffico interregionale. Con il passare degli anni,
sebbene dal 1915 la "Centrale Umbra" collegasse Umbertide con Perugia,
diventò sempre più evidente l'inadeguatezza del servizio ferroviario;
infine, durante la guerra, la linea subì danni gravissimi. Di tante
aspirazioni ed illusioni, non resta che l'allaccio di Sansepolcro
con la "Centrale Umbra".
Lo sviluppo economico e sociale ha quindi lasciato segni ben
visibili nell'Altotevere, contrassegnandone il
paesaggio in modo significativo e, per certi
aspetti, irreversibile. L'avvenuta crescita del livello di vita della
popolazione rende ora auspicabile un rapporto non conflittuale tra un ulteriore progresso e la salvaguardia - in alcuni casi anche
il recupero di un contesto naturale denso di storia ed ammirato per la sua
bellezza.
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