SAPIENZA  NEL  MONDO  ANTICO  NON  BIBLICO

 

mondo antico

 antico testamento

Gesù Maria

Che senso ha l’universo, non tanto la realtà sterminata che è al di fuori della nostra portata, ma l’universo umano?

Qual è il rapporto dell’uomo con le cose? Il suo posto nel mondo, nella società, nella famiglia, nella sua casa?

Che cosa è quella presenza che un credente, non importa in quale dio, avverte intorno a sé, quella voce che lo interpella con autorità? Come può orientarci?

Che senso ha il dolore, in particolare la sofferenza del giusto?

Il lavoro, il duro lavoro della creatura sulla terra, ha un vantaggio o è del tutto vano?

E qual  è il senso dell’amore, quel misto ininterrotto di gioia e pena?

L’orizzonte dell’esistenza è un intreccio di messaggi che circolano in senso orizzontale soltanto, o si verifica una comunicazione misteriosa che sorpassa i limiti della terra?

Chi sa rispondere a queste domande e ad altre ancora più o meno simili, ha sapienza. Nell’antichità ci sono riusciti in molti: i Greci ne hanno contati sette, cioè un gran numero; l’Egitto, addirittura, ha impersonato la sapienza in una divinità, Ma’at.

Ma’at nella sua forma primitiva era una bambina, figlia del dio Ra,  ricoperta da lunga veste, accovacciata, con una piuma sul capo e in mano l’ankh, la croce ansata, simbolo della vita. Suo compito era  assicurare l’ordine cosmico e l’armonia dei rapporti umani attraverso la giustizia e la bontà verso i poveri. Procurava la vita a chi la venerava, insegnava la verità e la giustizia ai governanti, era piena di misericordia.Più tardi, negli ultimi secoli prima dell’era cristiana, fu soppiantata da Iside, già onorata fin dal 2000 a.C. come  la  dea Madre, la dea luna, la mite  che presiedeva al sostentamento degli Egiziani. Sotto nuovo nome il suo culto si diffuse rapidamente  per l’intero mondo mediterraneo. Assisteva, ispirava, sapeva tutto. I capitoli 24 del Siracide, 8 di Prov e  7-9 di Sap, molto probabilmente, pur senza farne una dea, si ispirano a lei.

Prima di elencare qualcuna delle opere   antiche, riassumo le principali  note che definiscono la sapienza nei suoi aspetti generali.

La sapienza:

·        è conoscenza empirica delle leggi della vita e del mondo, basata sull’esperienza. Dio ha iscritto un senso, una ragione universale nella creazione. Il sapiente ne scopre l’esistenza e si regola di conseguenza. Sta attento, investiga, apprende lezioni. Così facendo, impara le vie del successo e le percorre metodicamente, benedetto dal cielo in beni, ricchezza, salute, figli, vita e longevità. Per vincere il mistero che lo circonda, indaga sul valore degli enigmi, ascolta i maestri, i padri, gli esperti, i proverbi, la tradizione didattica; si dispone infine ad acquisire anche una sapienza teologica, derivata dall’insegnamento di dio, soggetta quindi ad una sperimentazione più elevata della vita stessa.

·        Non è una qualità solo privata. Necessariamente si apre alla condizione sociale del gruppo in cui il sapiente vive. Essa è universo intellettuale che si riflette in un atteggiamento verso la vita, piena di senso perché armonizzata in se stessa e, all’esterno, rapportata ad un principio primo universale.

·        È autocomprensione illuminata dalle cose, dalla gente, dal creatore. Il sapiente matura passando per gradi diversi:

o       mira a padroneggiare le cose in funzione della sopravvivenza umana e del benessere (sapienza naturale);

o       regola utilmente i suoi rapporti  all’interno della società ordinata (sapienza giuridica);

o       prendendo le mosse dalla teodicea (discorso ragionato su Dio) riconosce Dio come significato ultimo delle cose (sapienza teologica).

·        È tentativo di dare ordine al comportamento umano.

o       Il sapiente egiziano credeva nell’esistenza della Ma’at, semidivinità distributrice di verità, giustizia e ordine. Questi valori, si trattava solo di scoprirli e di conservarli. Così hanno pensato i popoli antichi, così continuano a immaginare molti, oggi. 

o       Gli Ebrei, dopo di loro, hanno corretto questa visione. Non si sono più limitati alla contemplazione di Dio nell’ordine stabilito. Quest’ordine, dopo tutto, non è solo cosmico. È anche morale e come tale spesso viene sconvolto dall’uomo. Se così è, non è più sufficiente scoprire il piano misterioso di Dio, intuirlo già bell’e fatto e stupirsene. Occorre anche adeguare la propria condotta, operare un personale cambiamento. La sapienza non può non essere problematica, ha a che fare con il male, l’oscurità, la libertà umana, elementi che evidentemente intralciano il percorso quotidiano, ma di cui Dio si serve per comporre, con la nostra collaborazione, una superiore armonia spirituale ben lontana dalla confezionata evidenza egiziana.

Ciò detto, senza troppe lungaggini, è bene conoscere alcune opere sapienziali del mondo antico non biblico.

  • Quasi  sicuramente, la prima espressione sapienziale era rappresentata dalla cosiddetta  Onomastica”, liste di nomi, inventari di quanto poteva essere utile sapere. Servivano per le necessità della vita. Potevano essere elenchi di piante, di cibi, di animali o di acque. Costituivano le prime enciclopedie del sapere. Sumeri, Mesopotamici e Egiziani ne erano maestri. Lo stesso Salomone è detto interessato a siffatta ricerca scientifica. 1Re, 5, 12  ci informa che «trattò di alberi, dal cedro che si trova sul Libano fino all’issopo che spunta dal muro; dissertò anche sul bestiame e sui volativi, sui rettili e sui pesci».
  • Presto però, le raccolte che gli scavi ci hanno restituito, preferirono tramandare sentenze. Avevano ordinariamente la forma di proverbi e indicavano il comportamento da tenere per riuscire nella vita o nel lavoro.
  • Eccone qualcuna:
    • Istruzioni di Shuruppak, sumero. Sono il testo più antico (ca. 2500 a.C.) Se ne può seguire la trasmissione, malgrado molti cambiamenti, fino verso l’anno 1000 a.C.
    • Istruzioni del vizir egiziano Ptah-hotep al figlio, risalente a circa il 2500 a.C.
    • Istruzioni del re al figlio Merrikare. (ca. 2200 a.C.)
    • Istruzioni  dello scriba Ani al figlio. (ca. 1500 a.C.)
      • Istruzioni dello scriba Amenemope al figlio. (1000-600 a.C.) (I versi 22, 17 – 24,22 dei Proverbi, probabilmente dipendono da Amenemope).
      • Istruzioni di Onkh-sheshonq-qy. (ca. 400 a.C.)
      • Le raccolte dei Pro. 10 –31, si iscrivono in queste correnti sumero-egiziane.

       

      Amenemope
  • Alcuni  testi sapienziali  ampliano  molto gli orizzonti delle problematiche vitali. Si fanno più esistenziali, penetrano nella felicità e nell’infelicità  della vita e della morte, del suicidio e della gloria, della conoscenza e dell’ignoranza. Eccone alcuni:
    • Disputa sul suicidio tra un uomo egiziano disperato e la sua anima. (ca. 2500 a.C.)
    • Novella del contadino loquace che reclama giustizia. (ca. 1900)
    • Satira dei mestieri in cui Khety fa al proprio figlio Pepy l’elogio del mestiere di scriba. (cf. Sir 38, 24-39, 11)
    • Favole mesopotamiche fra cui, in accadico, quella del tamerisco e della palma. ( ca. 1700 a.C.)
    • Monologo Ludlul bel nemeki ( = voglio celebrare il signore della sapienza). È da  considerarsi uno dei precursori di Giobbe e risalirebbe agli anni 1000-1200 a.C.
    • Dialogo pessimistico tra un padrone e il suo servo.
    •  
  • Alcuni testi contemporanei all’A.T.
    • Opere e i giorni di Esiodo. (VIII a.C.)
    • Romanzo di Achikar cui fa riferimento il libro di Tobia. (1, 21 – 22; 14, 10) Achikar, ministro di Sennacherib, istruisce il nipote Nadab. Questi, irriconoscente, lo calunnia. Lo zio perde il suo posto, si nasconde e riesce a sopravvivere. Tornato nelle grazie del re si vendica del suo protetto e conclude la raccolta di istruzioni con l’aggiunta di severi rimproveri.
    • Sentenze di Focilide;  3Esd 3, 1 – 5,5.
    • Pirqê ‘Abôt = sentenze dei Padri. (prima del II sec. a.C.)
    • Le due vie: è una raccolta di origine giudaica, come il testo precedente. Si trova nella Didaché (2, 2 – 6.1), nella lettera di Barnaba (capitoli 18 - 20) e nella Dottrina dei Dodici Apostoli.
    • Sentenze di Sesto,  di origine pagana, ma cristianamente interpretate nel II sec. d.C.
    • Insegnamenti di Silvano. (fine II sec. d. C.)

 

  LA SAPIENZA  NELL’ANTICO  TESTAMENTO
 

 

 

Il  discorso sulla sapienza nell’A.T., di per sé quasi infinito, esige schematizzazioni che possono non soddisfare il nostro spirito desideroso di conoscenza, ma che sufficientemente illustrano la portata dell’argomento.

tradizione  sapienziale  e  letteratura  sapienziale  vera  e  propria

Prima di tutto, nell’A.T., va fatta una distinzione fra tradizione sapienziale e letteratura sapienziale vera e propria.

·        Tutti i libri contengono spunti sapienziali: Giuseppe fu sapiente; Giacobbe, Esaù, Mosé e molti altri hanno risolto facilmente problemi difficili; Salomone è modello di tutti i saggi; i profeti hanno conosciuto i disegni di Dio e quindi sono stati sapienti. La tradizione sapienziale non è mai venuta meno. L’elenco potrebbe continuare a lungo.

·        Però, unicamente Proverbi, (Pro),  Siracide o Ecclesiastico, (Sir, Eccli), Giobbe, (Gb), Qoelet o Ecclesiaste (Qo, Eccle), Sapienza, (Sap) e Cantico dei Cantici,  (Ct) a motivo, oltre che del loro contenuto, anche di una  forma letteraria propria, sono da considerare vera letteratura sapienziale. Solo questi libri ubbidiscono a specifiche  esigenze stilistiche: l’uso del proverbio popolare, della comparazione, dell’enigma, della favola, dell’allegoria, dell’appello diretto rivolto dalla sapienza personificata, dell’inno, della forma didascalica e autobiografica, del dialogo, degli elenchi onomastici, anticipazioni delle nostre enciclopedie e comprendenti liste di nomi (razze, paesi, vegetali, uccelli, rettili…).

·        Un breve accenno su ognuno di questi libri sacri.

o       Proverbi e Siracide si attengono alla sapienza quotidiana, difficile perché piena di insidie, esigente perché richiede scelte precise e tempestive, ma pur sempre sapienza della ferialità e della normalità giornaliera.

o       Giobbe e Qoelet  hanno a che fare con situazioni speciali nella vita dell’uomo.

§         Si interrogano sulla sofferenza, sulla sua origine e la sua motivazione (Giobbe).

§         Oppure sperimentano l’inutilità degli sforzi e del lavoro umano, mettendo in discussione i valori stessi della vita: che cosa resta alla fine di ogni cosa? (Qoelet)

§         Dolore e inutilità del lavoro sono all’origine  di Giobbe e di Qoelet, ma non costituiscono il problema principale. In ambedue l’argomento primo è Dio.  Dopo tutto il sapiente è colui che cerca Lui - e lo trova - nelle creature, ma con estrema difficoltà. La sua propria  dignità e la sua propria libertà contano qualche cosa di fronte alla sovranità di Dio? Quale è il rapporto della creatura con il Creatore, del finito con l’Infinito, del mortale con il Trascendente?

o       Il libro della Sapienza è soprattutto l’esaltazione della sapienza di Salomone, re e sovrano illuminato, causa prima, dopo Dio, del benessere di Israele.

o       La voce della sapienza che risuona nel Cantico dei Cantici,  è singolarissima rivelazione. Dio ha scelto di manifestare l’Amore come forza vitale, cioè Se stesso, tramite l’esperienza di due adolescenti che si aprono al rapporto reciproco nel quadro del creato dove pulsa la vita. Per una volta almeno, non sono le persone mature – così per lo più ci figuriamo i sapienti – ma i giovani, a fungere da messaggeri divini.

Concludo:

Il problema della sapienza coincide con quello dell’esistenza e consiste nel fare unità di tutta la propria vita. Essa aiuta a vedere la finalità ultima del creato, a cogliere il senso delle cose cioè il Dio manifestato attraverso le creature.

Nell’A.T., la Sacra Scrittura, specialmente in alcuni libri, illuminata dallo Spirito, ha intuito il cammino che doveva portare a Gesù, Sapienza personificata. Strada facendo si è scontrata con il dolore, la finitezza, il non senso, il dubbio, il pessimismo, la libertà personale. Non si è, però, lasciata travolgere. Ogni svolta era sempre fonte di nuova rivelazione.

 metamorfosi della sapienza nell’a.t.

Come già introdotto, il problema del dolore (Giobbe) e dell’inutilità del  lavoro (Qoelet), dopo l’esilio (539) scosse le traballanti fondamenta di una sapienza troppo ottimistica. Sorsero continui dubbi e continui interrogativi che resero inaccettabili tutte le considerazioni del passato:

  • il cosmo, chi può dirlo veramente ordinato e pieno di senso? Esso rispecchia una circolarità priva di apparente finalità: tutto si ripete con monotonia mortale: «ciò che è stato, sarà, ciò che è avvenuto, avverrà ancora. Non c’è niente di nuovo sotto il sole». (Qo 1, 4-7)
  • Perché la vita non stimola la virtù, premia i malvagi, castiga i giusti?
  • Che senso ha l’essere saggio se poi si lascia, alla morte, tutto il frutto della sapienza?
  • Se l’uomo ignora lo scopo e il significato della vita, come può essere certo che la sua azione, per quanto meditata e misurata, non contribuisca a peggiorare le cose? A fomentare il caos? Dio nasconde maliziosamente all’uomo il tempo opportuno per agire, lo priva  dell’accesso al suo mistero.
  • Se è così, malizia e ignoranza umane sono elementi di distorsione dell’ordine e i dubbi sulla presenza divina e sulla sua efficacia nel mondo, sono giustificabilissimi.
  • E allora, non è vero che il mondo è ordinato. Non è vero che basta fare il bene per avere salute, ricchezza, potenza; non è vero che Dio vuole farsi capire. Sembra che il caos corroda inesorabilmente lo spazio. Giobbe scalfisce la teoria della giustificazione; Qoelet, va più avanti, cinico, demolisce la fiducia dell’uomo nella possibilità della conoscenza e perciò sembra affermare il  carattere illusorio dell’attività sapienziale.
  • Di qui la perdita di fiducia nella intelligibilità di Dio e nel suo progetto creaturale: il mondo non è cosmo, è incapace di ricompensare la virtù e punire il male. La sapienza sembra inesorabilmente ridotta alle corde.  Non sempre l’azione onesta comporta sicurezza, non sempre l’ingiusto si imbatte in insuccessi. Chi serve il Signore deve aspettarsi dure prove, la sapienza sottopone l’uomo ad esami continui.

le risposte della teologia

La crescente sfiducia nella  ragione umana, nella giustizia, nella conoscibilità del volere di Dio esige una spiegazione. Non è ancora, certo, quella di Gesù sulla croce. È solo un abbozzo. La teologia, dopo aver saldato la sapienza all’atto creativo di Dio, la salva dal naufragio con lo sforzo di un’ulteriore elaborazione dei suoi contenuti.

Il timore del Signore.

È la prima soluzione: la sapienza non è più conoscenza esperienziale, pragmatica, a prima vista, ma è una conoscenza nata dal timore. Vuoi essere sapiente? Temi Dio. Vale a dire: renditi conto d’essere finito e mortale.

È il «Conosci te stesso» socratico. Non basta più una predisposizione naturale acquisita mediante la correzione, ma  occorre il sacro rispetto verso il  Signore, lo spirito religioso, la coscienza di essere, come creatura, legata a Lui e da lui dipendente.

«Temere il Signore è Sapienza, evitare il male è intelligenza». (Gb 28, 28)

«La sapienza fallisce quando l’uomo basa la propria azione sull’impegno, sull’abilità e tecnica personale». (cf. Gb 28)

La sapienza è persona. 

Ma il timore non basta. Come può l’uomo sapere se le deduzioni basate sull’osservazione dei fenomeni naturali e dei rapporti umani hanno carattere di oggettività e di valore? Occorre fondarli saldamente in Dio. 

I Libri Sacri concepirono allora la sapienza come una entità femminile, una persona strettamente imparentata con il Creatore.

Non più i maestri o i padri, o gli anziani: fu lei direttamente, la «donna» dai tratti di  profetessa ad insegnare la sapienza.

Si è arrogata le prerogative di Jahveh (Pro 1, 20 – 33; Sir 4, 15 – 19); si è quindi fatta un’entità celeste, anche se  dotata di vocazione terrena, (Pro 8, 22-31) un architetto che assiste Dio  nell’atto creativo.(Sir 24)

Nessuno più di lei può rassicurare gli uomini della bontà e del senso delle cose. C’è ordine, nel mondo. Se non riesco a scoprirlo, la colpa è mia.

La donna-sapienza è la Legge.

Il Siracide va oltre nella concretizzazione della sapienza-donna. Questa lascia il cielo, viene ad abitare in Giacobbe, in Gerusalemme, incarnandosi nella Legge. Qui è racchiuso tutto il necessario per essere sapienti. (Sir 24, 23)

La donna-sapienza, collaboratrice di Dio nella creazione

Di fronte al timore che Dio possa abbandonare il mondo alle forze annichilitrici del caos, i sapienti introdussero, nelle loro speculazioni, l’idea  che la  sapienza-persona partecipasse attivamente alla creazione. (Prov 8, 22-31; Sir 1, 4.9; Sap 7, 26.27).  Essendo  «riflesso della luce eterna, specchio nitido dell’attività di Dio e immagine della sua bontà» (Sap 7, 26) non può permettere che Dio  rinunci al suo impegno. In questo modo, la teologia della creazione si fa teodicea, difesa divina. Spiega e preserva la fede nella giustizia e nell’integrità divina.

Conclusione

L’A.T. non poteva andare oltre. Ignorava la sapienza della croce, la natura del peccato, del male, della libertà. Dio non aveva ancora completato la sua rivelazione.

 

 

 

  MARIA,  SEDE DELLA SAPIENZA

«Maria Santissima è   “Sede  della Sapienza”, in quanto  accolse

Gesù,  Sapienza   increata, nel  cuore  e   nel    grembo.

 Col  “fiat”  della Annunciazione, ella  accettò   di    servire   la

Volontà  Divina, e  la Sapienza  pose  dimora nel suo seno,

facendo di lei una sua discepola esemplare.  La Vergine

fu beata  non tanto per aver allattato il figlio di Dio, quanto

piuttosto per  aver  nutrito se  stessa  col  latte  salutare

della   parola di Dio».       (cf. Lc 11, 27-28).

(Giovanni Paolo II, Discorso 4 sett.’83).

 
 

Madre del Pantocrator,

Re dell’Universo

 

 

Il Concilio di Efeso (431), applicando  a Maria  il titolo di “Theotòkos”,  cioè di  “Madre di Dio”, impresse un  decisivo impulso alla devozione mariana  ispirata soprattutto ad ammirazione, lode e a  bisogno di implorazione. Erano gli attributi e le  caratteristiche “imperiali” ad attrarre, in modo particolare, gli animi dei fedeli: come Madre di Dio non poteva non essere anche la Regina delle Imperatrici, il Tempio del Dio vivente, la Signora degli Angeli e dei Santi, la Gloriosa, la  Elevata al cielo, la Porta del Paradiso. A Lei  si addicevano troni maestosi, vesti dorate, manti  rosseggianti, corone preziose, compagnia di schiere celesti, sfilate  di cortei, effluvi di incensi. Soprattutto le conveniva il ruolo di “Sede della Sapienza”, il luogo della manifestazione della Gloria del Figlio suo.

la “sede  della  sapienza”,  madre dei mortali

 Cinquecento anni dopo, però, le stesse figure presero significati differenti: servirono per infondere speranza  ai bisognosi di misericordia e di pentimento. Se Lei è la Madre del Re, allora è potente, allora può molto presso il cuore di Gesù  che porta in braccio e a cui si preoccupa di condurre tutti gli uomini. Il nuovo spirito fu interpretato e diffuso dai Benedettini di Cluny (X-XI), ben consapevoli delle necessità dei tempi.  Si trattava di molcire gli animi ormai induriti dalle continue lotte, di elevare i cuori agli ideali della fratellanza cristiana, di sublimare la mente per renderla capace della contemplazione del bello e del vero anche attraverso la valorizzazione delle culture passate e delle nuove da elaborare.

Predicarono con insistenza ed efficacia la necessità imperiosa di conversione, il ravvedimento dei cuori, il perdono dei peccati, la forza della paziente divina bontà, il gusto benefico della pace. A questo punto, il Con.Vat.II e gli ultimi Papi, pur devotissimi, non poterono fare altro che ricordare con vigore che il ruolo di Maria, anche se importante, resta sempre quello di intercedere presso il Figlio che ha generato. Ecco gli attributi che la liturgia, i santi, la pietà popolare  applicarono  a Maria.

Il trono di Salomone, (Sap 9,4; cf. anche Sap 9, 10) permise che transitasse su di lei tutta la portata  del titolo “Sedes sapientiae”. Così fu invocata. Divenne  “l’augusta regina delle vittorie”,”il trono di clemenza”, “la Madre che implora misericordia  dal Figlio divino”, “la soave Regina”, “il rifugio dei peccatori”, “la sovrana  consolatrice dei mesti” (dalla supplica alla Regina del SS. Rosario di Pompei). Senza volerlo, molti, facilmente la considerarono potente per se stessa.

Lo Spirito Santo non trovò molto difficile  farsi loro alleato e collaboratore, per convincere  i fedeli che Maria poteva assolvere molto bene questa importante  missione.

Affascinati  dalla figura del trono di Salomone, più volte magnificato nei libri sapienziali, la invocarono come  “Sede misericordiosa della Sapienza”. E per almeno tre motivi principali: in Lei aveva  abitato il Figlio stesso di Dio, Sapienza incarnata;  il suo cuore materno e l’autorità che godeva nei confronti di Gesù, erano garanzia di sicuro successo;  la frequentazione trentennale di  Gesù la rendeva perfetta conoscitrice dei suoi costumi e dei suoi   pensieri.

Su tutto gravava però il timore  del giudizio divino incombente. Il Pantocrator, Signore del Mondo, era pensato voler ristabilire prepotentemente il suo regno; poteva essere esigente, trasformarsi in accusatore severo e duro, richiedere riparazioni laboriose. L’uomo, spiritualmente ancora bambino, proiettò su di lui il peso della propria anima e sentì il bisogno ininterrotto di comprensione e di incoraggiamento.

Cinquecento anni dopo, però, le stesse figure presero significati differenti: servirono per infondere speranza  ai bisognosi di misericordia e di pentimento. Se Lei è la Madre del Re, allora è potente, allora può molto presso il cuore di Gesù  che porta in braccio e a cui si preoccupa di condurre tutti gli uomini. Il nuovo spirito fu interpretato e diffuso dai Benedettini di Cluny (X-XI), ben consapevoli delle necessità dei tempi.  Si trattava di molcire gli animi ormai induriti dalle continue lotte, di elevare i cuori agli ideali della fratellanza cristiana, di sublimare la mente per renderla capace della contemplazione del bello e del vero anche attraverso la valorizzazione delle culture passate e delle nuove da elaborare.

Predicarono con insistenza ed efficacia la necessità imperiosa di conversione, il ravvedimento dei cuori, il perdono dei peccati, la forza della paziente divina bontà, il gusto benefico della pace. A questo punto, il Con.Vat.II e gli ultimi Papi, pur devotissimi, non poterono fare altro che ricordare con vigore che il ruolo di Maria, anche se importante, resta sempre quello di intercedere presso il Figlio che ha generato. Ecco gli attributi che la liturgia, i santi, la pietà popolare  applicarono  a Maria.

Il trono di Salomone, (Sap 9,4; cf. anche Sap 9, 10) permise che transitasse su di lei tutta la portata  del titolo “Sedes sapientiae”. Così fu invocata. Divenne  “l’augusta regina delle vittorie”,”il trono di clemenza”, “la Madre che implora misericordia  dal Figlio divino”, “la soave Regina”, “il rifugio dei peccatori”, “la sovrana  consolatrice dei mesti” (dalla supplica alla Regina del SS. Rosario di Pompei). Senza volerlo, molti, facilmente la considerarono potente per se stessa.

Lo Spirito Santo non trovò molto difficile  farsi loro alleato e collaboratore, per convincere  i fedeli che Maria poteva assolvere molto bene questa importante  missione.

Affascinati  dalla figura del trono di Salomone, più volte magnificato nei libri sapienziali, la invocarono come  “Sede misericordiosa della Sapienza”. E per almeno tre motivi principali: in Lei aveva  abitato il Figlio stesso di Dio, Sapienza incarnata;  il suo cuore materno e l’autorità che godeva nei confronti di Gesù, erano garanzia di sicuro successo;  la frequentazione trentennale di  Gesù la rendeva perfetta conoscitrice dei suoi costumi e dei suoi   pensieri.

Su tutto gravava però il timore  del giudizio divino incombente. Il Pantocrator, Signore del Mondo, era pensato voler ristabilire prepotentemente il suo regno; poteva essere esigente, trasformarsi in accusatore severo e duro, richiedere riparazioni laboriose. L’uomo, spiritualmente ancora bambino, proiettò su di lui il peso della propria anima e sentì il bisogno ininterrotto di comprensione e di incoraggiamento.

 

Di qui le immagini della “Deesis”, cioè del Battista e della Vergine Maria, in piedi, ai due lati del giudice del mondo per impetrarne perdono e grazie; di qui la devozione sempre più crescente nei confronti di Maria, cammino aperto su Gesù,  rifugio dei peccatori che continuano a vivere nella  valle di lagrime; di qui la diffusione del “Salve Regina” e il confidente abbandono alla sua materna protezione.

 

 

Lei che prima sedeva, solenne, in trono  come la Madre del Re, ella stessa Regina del cielo, degli angeli e dei santi, ora, nel XII sec. , tenera  vergine e sposa,  provvida madre di tutti i mortali, si china in atto di preghiera  dinanzi il  Figlio, che regge sulle ginocchia o porta sul petto, ostensorio vivente.

 

la  sede  della  sapienza:  “autonoma sapienza”

Ma il titolo di “Sede della Sapienza” si impose anche per altri motivi: al bisogno personale di perdono, si unirono altri fattori: lo sviluppo della lirica d’amore cavalleresca in lode della Dama, regina del castello; la creazione delle diverse Beatrici  angelicate; le  multiformi “Maria in Trono” di Cimabue e pittori; l’identificazione della Donna-Sapienza dei libri sapienziali  con  la mente creatrice di Dio; la nutrita produzione letteraria gnostica,  che aveva fatto della Sofia, la personificazione della femminilità.

Dal Trecento in poi, lentamente, la Vergine assunse  così un valore sempre più personale. Il Figlio passò quasi in secondo ordine, talora venne  totalmente ignorato.

Iniziò un processo che partì dal profondo della natura umana e che solo indirettamente poté essere ricondotto al Creatore: uomini e donne, ognuno secondo modalità diverse, scoprirono in Lei un modello e una guida indispensabile.

Nell’intimo di ogni persona, maturò il bisogno di trovare in Maria un’immagine amica. Fu invocata sempre più come mediatrice diretta tra l’anima e  Dio. Specie in Italia,  in Francia e in Spagna le furono eretti santuari in luoghi dove, sotto forme diverse,  si era rivelata; i  santi “mariani” diffusero la sua devozione con sempre maggior successo. Risultato: il popolo si è sentito meglio identificato con la sua figura.

Il quadro di Pompei sembrò riassumere il nuovo atteggiamento: Domenico e Caterina diventarono la nuova “Deesis”, cioè i nuovi intercessori a nome di tutta l’umanità. Non si volle ignorare il Dio che portava in braccio, ma l’immagine materna si impose immediatamente come Colei che provvede ai mortali, li guida con la sua benevole, potente sapienza.

Equiparata alla sposa del re Salomone e tipologicamente divenuta la sposa di Cristo,  non soltanto restò il “Trono della Sapienza”, ma fu invocata lei stessa «vera sapienza». Tutte le metafore con le quali Salomone ed altri descrissero poeticamente la sapienza, vennero  trasposte  su Maria. Ella diventò « rosa, palma, cedro» (Sir, 24 – 19), fu paragonata alla luce, «emanazione della potenza di Dio, effluvio divino della gloria dell’Onnipotente» (Sap 7, 25), «riflesso della luce perenne, - uno specchio senza macchia dell’attività di Dio, - e un’immagine della sua bontà» ( Sap 7, 26); «Essa in realtà è più bella del sole, - e supera ogni costellazione di astri; paragonata alla luce, risulta superiore» (Sap, 7, 29).

 

 

 

Maria sapienza

dei tempi nuovi

 

 

 

Dire che Maria è il modello di quella  sapienza che lo Spirito Santo, dopo la Risurrezione,  infonde incessantemente nel cuore di tutti i figli di Dio, significa imitarla nella conoscenza di  Gesù, Sapienza increata, misura di tutte le cose e immagine del Padre invisibile.

Che cosa  abbia fatto, e  come, lo dice Luca: ascoltò, meditò,  conservò le parole dei pastori nel presepio (2,19) e di Gesù nel tempio (2, 51b); imparò a vivere di silenzio con il cuore tutto ricolmo della presenza di suo Figlio

Lo poté,  perché aveva bene appreso il metodo dei Padri dell’A.T. È quanto intendo sviluppare, anche se con parsimonia di particolari. E per meglio orientarmi, mi converrà, prima,  definire la natura della sapienza nell’A.T. ; poi, di scoprire come Maria li abbia  personalmente acquisiti.

Se gli Ebrei, nel loro primo impatto con la Sapienza, sono stati abbagliati dai vantaggi concreti che essa poteva offrire in beni, salute, eredi, gioia, vita, con il succedere degli eventi imprevisti ed ostili, - sconfitte, esilio, ridimensionamento, profezie - dovettero prendere atto che le Scritture segnalavano finalità ben diverse e ben altra via per conseguirle:

-         la finalità  dell’incarnazione del Figlio di Dio,

-         la via del porre a confronto fatti multiformi, presenti e passati, del conservarli nel cuore, del tenerli a mente onde   scoprire le intenzioni del Signore.

Intendo partire direttamente dalla Sacra Scrittura:

 «Ma guardati e guardati bene dal dimenticare le cose che i tuoi occhi hanno viste;  non ti sfuggano dal cuore per tutto il tempo della tua vita. Le insegnerai anche ai tuoi figli e ai figli dei tuoi figli». (Dt  4,9)

la sapienza nell’antico testamento

«Una dottrina di sapienza e di scienza - ha condensato in questo libro - Gesù figlio di Sirach, figlio di Eleazaro, di Gerusalemme, - che ha riversato come pioggia la sapienza dal cuore.

Beato chi mediterà queste cose: - le fissi nel cuore e diventerà saggio; - se le metterà in pratica, sarà forte in tutto, - perché la luce del Signore è la sua strada». (Sir 50, 27-29)

«Aprirò la mia bocca in parabole,

rievocherò gli arcani dei tempi antichi. (vs. 2)

Ciò che abbiamo udito e conosciuto

e i nostri padri ci hanno raccontato, (vs. 3)

non lo terremo nascosto ai loro figli;

e diremo alla generazione futura

le lodi del Signore, la sua potenza

e le meraviglie che egli ha compiuto. (vs. 4)

Ha comandato ai nostri padri di farle conoscere ai loro figli (5), perché ripongano in Dio la loro fiducia. (7) Aveva fatto prodigi davanti ai loro padri, (12) eppure continuarono a peccare, (17) nel loro cuore tentarono Dio». (18) (Tutto, dal Salmo 78)

«Ripenso ai giorni passati – ricordo gli anni lontani. Un canto nella notte mi ritorna nel cuore: rifletto e il mio spirito si va interrogando. (7. 8) Ricordo le gesta del Signore, ricordo le tue meraviglie di un tempo. Mi vado ripetendo le tue opere, considero tutte le tue gesta». (12.13)

( Tutto, dal Salmo 77).

Ed ora cerco di enucleare in un linguaggio schematico quanto è racchiuso nel ricordare e nel conservare da parte dell’Israelita.

Il primo elemento della sapienza, intesa come conoscenza di Dio, è la memoria

- Il sapiente, ricorda il passato in vista della comprensione dell’oggi e dell’attualizzazione del futuro. (cf. Dt 4, 9.23.32-36; 39. 40; 6, 6; 7, 17-19; 8, 2-5.18)

-  Il sapiente riflette sugli enigmi, i quali sono interpretati come gli aspetti oscuri che avvolgono il mistero di Dio: perché il Signore sembra abbandonare i suoi eletti? (Dt 28, 37; Sal 77, 6-10) Perché i cattivi vanno a gonfie vele e i buoni sono oppressi? ( Sal 49, 6-7) Perché la dottrina è facilmente velata da proverbi, parabole? ( Sap 8, 8; 1 Re 10,1)

-  Il sapiente non dimentica mai che la  sapienza è dono di Dio, (Sir 1,1)  inesauribile come sorgente da cui zampilla l’acqua di salvezza, difficile ad essere assimilata  in tutta la sua vastità. Obbliga quindi al raccoglimento, alla riflessione e allo stupore. (Sir 24, 32-47)

-  Il sapiente custodisce nel cuore le parole della Legge e perciò contrae vincoli specialissimi con la sapienza. Diventa sposo, (Sir 15, 2; Pro 7,4; Sap , 8,9.16) figlio, (Sir 15, 2)  fratello o sorella. (Pro 7, 4)  Non il privilegio della razza, ma l’intima consuetudine con la sapienza rende l’uomo giusto e accetto a Dio. ( Sap 7, 27.28)

- Il sapiente trasforma la memoria in contemplazione aperta  sul presente e sul futuro. Sa che il ricordo non è un pigro rifugio nel passato, o celebrazione sterile del tempo che fu, ma dinamismo e attualizzazione. Cerca di ricavare insegnamenti nuovi dai fatti antichi. La memoria biblica ha virtù generative perché sprigiona e immette nuove energie. Siffatta dinamica riceve impulso dalla convinzione che Jahvèh è  immutabile nel suo amore e fedele, in ogni tempo, alle sue promesse di voler abitare con l’uomo. Ciò che Egli ha fatto in passato, è pegno di ciò che fa oggi e di quello che farà domani. La sua strategia non muta.

Il secondo elemento della sapienza supera la semplice memoria: è impegno a custodire nel cuore la parola e i fatti del passato in vista di una condotta da tenere nel presente. Pertanto il sapiente:

-  fa della Scrittura e  degli eventi della storia salvifica la norma di vita. Apprende che Dio si rivela entrando nel vivo della cronaca del suo popolo, prima attraverso i Profeti, (A.T.) poi mediante Cristo e la Chiesa, (N.T.). Quindi  diventa sicuro che:

o       Jahvèh è l’unica speranza  e il solo Signore del suo popolo;

o       la sua misericordia e la sua compassione sono indefettibili;

o       il suo amore, gratuito e ininterrotto, contrasta con i peccati di Israele;

o       nel momento della tribolazione, la fiducia in Lui resta l’unico sostegno;

o       corregge come un Padre amoroso;

o       l’idolatria deve essere rifiutata.

-  Alimenta nel suo cuore una rivelazione sempre aperta sul futuro e, in tal modo, riflette su tutti quei segni di natura apocalittica che lo possono illuminare: le visioni, i prodigi, i sogni, i miracoli, le parole e i libri del profeti.

-  Si sforza di irrobustire la memoria come esercizio sapienziale:    identificare la Sapienza con la Legge;  prendere atto che la Sapienza divina è di per sé sconfinata e che pertanto esige  si presti seria attenzione alle cose nascoste negli enigmi, nelle parabole, nei proverbi, nelle sentenze, nei messaggi oscuri ricorrenti.

-  È docile alla presenza ininterrotta dello Spirito: l’uomo è sollecitato a custodire la parola, ma Dio l’accompagna nella complessa elaborazione a cui la memoria dinamica sottopone le parole stesse. Isaia lo dice chiaramente: «Come infatti la pioggia e la neve – scendono dal cielo e non vi ritornano – senza avere irrigato la terra, senza averla  fecondata e fatta germogliare, - perché dia il seme al seminatore – e  pane da mangiare, - così sarà della parola – uscita dalla mia bocca». (Is 55, 10.11) Gesù  completa la profezia: «Il Paraclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà a voi nel mio nome, lui vi insegnerà tutto e vi ricorderà tutto quello che vi ho detto».  (Gv 14,26)

-  Si preoccupa, infine, di trasmettere da  padre a figlio, da una generazione all’altra quanto il Signore ha detto e fatto per il suo popolo. (Dt 4, 9; Sal 78, 4-7.11.12…)

 

Ed ora, alla luce dell’esperienza veterotestamentaria non resta che valutare la sapienza di Maria. La Madre nostra, non la contempliamo più, certo, posare dignitosa su un trono imperiale, nemmeno per impetrare la misericordia divina. Potremmo anche dire che non è più la sapienza laica di cui prima si è discusso, a meno che non venga impersonata nella sua immagine.

La Vergine, la Sapiente, la troviamo, invece,  ora, silenziosa nella grotta di Betlemme dove ha partorito il Figlio divino e i pastori dicono di Lui delle cose che ella non comprende; oppure nel Tempio, quando Gesù sembrò ignorare i suoi diritti materni; oppure, raccolta, all’aperto, il giorno in cui si sentì dire che è  madre e fratello e sorella colui  che ascolta il Padre e fa la sua volontà; (Lc 9, 21; 11, 27-28) oppure sotto la croce; oppure nel cenacolo il giorno di Pentecoste.

La sorprendiamo tutta immersa in Dio, attenta a conoscere chi era veramente Gesù, vero, eterno, misterioso enigma insondabile. Di situazioni troppo inconsuete era stata ormai testimone. Le aveva vissute in prima persona e avevano superato ogni attesa. Che il Messia fosse il Figlio di Dio, nessuno l’aveva mai detto apertamente e lei era la prima non solo ad incontrarlo ma anche a dargli la natura umana.

Occorreva pertanto ricapitolare tutti gli indizi possibili, metterli in rapporto l’uno con l’altro, meditarci sopra con ogni cura, aprirsi totalmente allo Spirito che l’aveva resa madre, per capire ciò che le era successo.

Tanto più che le scene sopra ricordate, Luca le inquadra nell’atmosfera pasquale di cui vivevano già i primi cristiani subito  dopo la risurrezione. Maria è modello di sapienza per quello che ha compiuto in tutta  la sua vita e non solo nei primi 12 anni di Gesù. Ciò che ha appreso a Betlemme e nel Tempio è poi diventato atteggiamento abituale: prestare attenzione, meditare, mettere a confronto, conservare. Dopo tutto, i pastori non sono che gli apostoli evangelizzatori del dopo calvario.

Lo conferma la Scrittura: :

«E noi (predicatori-evangelizzatori) vi annunziamo la buona novella che la promessa fatta ai padri si è compiuta, poiché Dio l’ha attuata per noi, loro figli, risuscitando Gesù, come sta scritto nel salmo secondo: “Mio Figlio sei tu, oggi ti ho generato”», (At 13, 32.33)

dove il verbo «generare» si fa eco di «risorgere».

Anche Maria  ha ascoltato il messaggio pasquale. Per Luca, l’evento di Gesù risorto la induceva a ripensare le circostanze del Natale e del tempio con le rispettive pregifurazioni dell’A.T. 

Ciò detto, occorre ritornare a Luca e  analizzare brevemente le sue dichiarazioni su Maria. Coglie due eventi della vita di Gesù, direttamente collegati con la persona della Madre. Afferrare come questa si sia ivi comportata,  significa descrivere il suo stile di vita.

Ecco le parole dell’Evangelista:

o       «Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore». (Lc 2,19)

o       «Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore». (Lc 2, 51b)

Da cui: tre momenti - «serbò», «tutte queste cose» , «meditandole nel suo cuore» - (Lc 2,19.51b); uno stile - «la sapiente dei nuovi tempi».

Oggetto della meditazione di Maria

Quando l’Evangelista riassume l’oggetto della meditazione di Maria nella espressione «tutte queste cose», che intendere far comprendere? Quali sono queste cose?  Gli esegeti non hanno dubbi: sono i fatti capitati prima e durante la nascita di Gesù. Maria li passa in rassegna. Vuole rendersi conto, il più possibile, di ciò è successo.

Non sono pochi:

o       l’annuncio dei pastori istruiti dall’Angelo;

o       l’invito a non temere, a gioire (10), dal momento che era nato un Salvatore-Cristo-Signore nella città di David; (11)

o       la constatazione che lei  aveva già fatto, per conto suo, quello predetto come segno dall’Angelo ai pastori: aver stretto in fasce il Bambino, l’averlo deposto nella mangiatoia (12);

o       l’inno degli angeli  (13-14);

o       il colloquio di nove mesi prima con l’arcangelo Gabriele. Le  aveva preannunciato fatti simili: la nascita di Gesù, l’invito a non temere, la gioia, il trono e la città di Davide, il regno sulla casa di Giacobbe, l’esultanza grande che deriva a tutto il popolo, la potenza dell’altissimo, la quale farà sì che il nascituro sia chiamato “figlio di Dio”, il segno della maternità di Elisabetta…(cf. Lc 1, 26 –57);

o       altri episodi: l’annunciazione, la notizia della maternità miracolosa di Elisabetta, la visita a lei fatta, il viaggio a Betlemme, il parto, i pastori.

o       lo smarrimento di Gesù nel Tempio.

Natura della meditazione di Maria

La meditazione di Maria  era riflessione su Gesù e ricerca di tutto ciò che potesse introdurlo nella sua vita. Ne aveva appreso il metodo educandosi allo spirito dei padri. Perciò:

- passava in rassegna gli avvenimenti connessi con la nascita di Gesù: la voce dei profeti,  la storia, le promesse e gli interventi di Jahvèh nell’A.T.;

- poneva a confronto il presente, - ciò che accadeva sotto i suoi occhi - con il passato - le rispettive prefigurazioni remote dell’A.T. L’azione è indicata dal  verbo “sumballein” che significa appunto “mettere insieme”. Operazione già estremamente feconda nella elaborazione del Magnificat;

- maturava questa esegesi - nelle intenzioni di Luca -,  alla luce della risurrezione predicata come buona novella dagli Apostoli evangelizzatori.

La tradizione dell’ A.T. aveva educato Israele a ritenere nel cuore il modo con il quale Dio operava nella sua storia e  a dedurne le applicazioni pratiche per l’oggi.

Maria, Figlia del suo popolo, si era messa nel solco di questa riflessione sapienziale.  Nuova Giuditta, Nuova Ester accettava di servire il disegno di Dio Salvatore, nato da lei, punto d’arrivo dell’A.T.; interpellava le Scritture che parlavano del futuro verso il quale lo dirigeva il suo Signore, nella penombra della fede; si faceva compartecipe dell’esperienza pasquale di fede. Accogliendo la rivelazione pasquale dai legittimi evangelizzatori, la Vergine era indotta a ripensare con intelletto ancor più illuminato le circostanze del Natale. Soltanto lei poteva inoltrarsi in quella zona ormai remota, essendo stata la sola testimone singolare degli  inizi dell’Incarnazione.

Conservare nel Cuore

Ricordare non basta. È necessario che la memoria sia ben radicata e rimanga saldo il suo convincimento. Perché, ricordare è  insieme riflettere e assimilare. E questo  intende dire Luca legando i due verbi “sunthrein (conservare nel cuore e nella mente) e  “sumballein ” (mettere insieme). Il Medio Evo ha usato un’altra espressione per dire la stessa realtà : “ruminare”.

Che cosa Maria ha conservato nel suo cuore? Come madre e come figlia di Dio, certo, prima di ogni cosa, la figura di Gesù.

Gesù è la sapienza incarnata:

Lo dimostrò   nel Tempio,  atteggiandosi a maestro di dottori, (Lc 2,40-52) e affermando con grande risalto dinnanzi alla «generazione malvagia»:

«la regina del Sud sorgerà nel giudizio insieme con gli uomini di questa generazione e li condannerà; perché essa venne dalle estremità della terra per ascoltare la sapienza di Salomone. Ed ecco, ben più di Salomone c’è qui». (Lc 11, 31)

Ripeté lo stesso rimprovero ai contemporanei incongruenti: 

«Ma alla sapienza è stata resa giustizia da tutti i suoi figli». (Lc 7, 35)

Soprattutto, si propose come sapiente quando segnalò il modo di diventare sua madre, suoi fratelli o sorelle:

«Mia Madre e i miei fratelli sono coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica». (Lc 8, 21) 

Parole altamente rivelatrici di una conclusione importante: ascoltare la parola di Dio e metterla in pratica è definire la sapienza dei tempi nuovi, di cui Maria è modello. 

Gesù è l’enigma degli enigmi.

Perché Gesù è la  spada  che trapasserà il cuore di una madre? Perché un  concepimento e una nascita tanto prodigiosa? Come può un bambino di 12 anni, saggio, prendersi la briga di disattendere ai suoi obblighi di figlio? Un’aura di mistero aleggiava continuamente attorno a lui, al suo presente, al suo futuro. E poi, questa croce all’orizzonte, questo Padre amante che accetta l’umiliazione dell’Unigenito per salvare i fratelli, questo essere ucciso dai vignaioli in quanto unico erede dei beni del padrone, questo dover molto patire ma poi risorgere, questo stato di ubbidienza indefettibile al proprio progetto, che cosa è mai tutto questo? Ci voleva un cuore ben stabile da parte di una madre!

Prepararsi al peggio, reggere la ferita della spada oscura obbligava quindi a tener ben fissi nella mente gli interventi  a favore del popolo intero e di singoli personaggi. Aveva  salvato Isacco, liberato dall’esilio gli Israeliti, li aveva scampati tante volte dalle mani dei loro nemici. Tutto questo la radicava in una fede incrollabile del cuore  e in una  cieca adesione della volontà. Le cose grandi del Signore si ripetono incessantemente: ciò che era accaduto nel passato sicuramente sarebbe avvenuto anche nel presente e nel futuro. Maria viveva di fiducia. Serbava la speranza al di là di ogni dubbio. Dio è fedele alle promesse.

Gesù è fonte di  beatitudinek

Gesù non è solo sapienza e enigma. Dona anche beatitudine. Maria l’assaporò fino in fondo  perché l’ha generato secondo la carne, ma più ancora  perché ha ascoltato la sua parola e l’ha messa in pratica.

In questo nuovo ambito di parentela con Gesù, Maria come ogni discepolo, fu  madre, sorella di Cristo.

Gli eventi di cui faceva memoria, riguardavano un Figlio che nella sua persona incarnava i lineamenti della Sapienza antica di Israele. La Madre fissava l’attenzione sulla sapienza stessa fatta carne. Esperienza totalmente “estetica”, tattile, accolta con la passione della fede, nel calore vitale e  genetico del grembo.

Cuore e seno erano i ricettacoli  che questa creatura offriva al Verbo. Ebbe la sorte beata di allattare il figlio di Dio e più ancora quella  di nutrirsi del medesimo latte salutare che era la parola di Lui. ( Lc 11, 27-28) Un cuore quindi, il suo, ripieno di beatitudine e non solo di enigmi.

Le parole dei pastori.

Altro enigma  del  suo cuore: le parole dei pastori.  Non le capisce. Adombrano profeticamente il mistero pasquale, ma per lei sono vera ombra abissale. Era il contenuto di tutta la predicazione della prima chiesa e  era l’ostacolo  continuamente rinfacciato dai sacerdoti, scribi e farisei. Nonostante tutto, perseverò nella adesione al Figlio con approfondimento sofferto. Sarà fedele fino alla croce. Non così si sono comportati i  discepoli, sempre restii agli annunci della passione.

Conclusione

Maria è sapiente perché, sulle orme d’ A.T., nella memoria e nel confronto dei fatti e dei detti, cercava di capire a fondo il presente: la manifestazione del Dio da lei nato e, in Lui, il senso di tutta la storia.

È la sapiente anche dei tempi nuovi perché, alla scuola di Gesù ha appreso a vivere il senso e la finalità della propria esistenza nel godimento di tutti i valori, umani e soprannaturali.

Come tale, può orientare, oggi, l’uomo ad affrontare compiti e vicende storiche, senza cadere nell’individualismo, nella segmentazione  della vita, nella sfiducia di se stessi e nell’oppressione del prossimo.

Proporre Maria modello di sapienza per gli uomini di oggi, significa entrare, perciò, in una visione globale dell’esistenza: religiosa certo perché ogni significato viene da Dio, ed in lui solo troviamo tutte le spiegazioni che contano per il senso, ma anche umana, sociale, politica.

Imitarla raccolta nel presepio o nel tempio o in piedi eretta sul Calvario, significa vedere in Dio il valore supremo di ogni atto umano e religioso; maturare la vita nei suoi valori primari; essere docili nei suoi confronti; accettare il  proprio stato; aver la forza responsabile di  miglioralo; praticare la semplicità, la mitezza, la comprensione degli altri; durare nella prova, nella speranza di un futuro migliore; armonizzare il nostro pensiero e la nostra volontà in vista di un raggiungimento del fine ultimo; nutrire la pace nel cuore; non perseguire  uno strapotere su di sé e sugli altri; avere il senso del limite, l’umorismo di fronte all’insuccesso, la forza dopo la sconfitta.

Tutto questo perché è sapienza conoscere l’essenziale, vivere e non lasciarsi vivere, rendersi conto che tutto è finalizzato al superamento della morte, che l’invisibile può regolare il visibile e prolungare, oltre gli anni, le aspirazioni verso l’eternità, il più grande dei nostri tesori.

Alle donne, la Vergine  sapiente fa sapere che è una di loro: ha governato la casa, ha preparato il pane, è andata a prendere l’acqua alla fontana del paese, è vissuta nascosta, ha temuto per il figlio, si è sentita interamente ripiena della sua presenza beatificante. Gli ha confezionato la veste inconsutile, la più bella che una madre potesse tessere, l’ha contemplato, nello splendore del suo corpo, su una croce inchiodato dai fratelli, l’ha accolto, poi, adulto, sulle sue ginocchia così come 36 anni prima, neonato,  l’aveva generato.

Agli  uomini, la Vergine dice che essere sapienti significa conservare un ottimo rapporto con l’Anima, sigillo del proprio femminile, fonte della vitalità.

Se questo avvenisse, la dimensione dell’esistenza si estenderebbe a tutte le possibilità del divino e dell’eterno: sentirebbero la voce che crea le cose che vedono; scoprirebbero il messaggio che supera ogni potenza sensoriale; trasformerebbero il banale in sorgente di pienezza; incontrerebbero l’infinito nel filo d’erba che cresce sul loro sentiero; cancellerebbero ogni monotonia portatrice di morte; godrebbero dei frutti più maturi dello Spirito: « amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé ». (Galati, 5, 22)

 Maria è la sede della sapienza moderna perché, entro ogni mortale, è la madre della vita, il perdurare della speranza, colei che dona sopportazione nella sofferenza, costanza nella fatica, perseveranza nella difficoltà, consolazione nel dolore, compagnia nella solitudine, rifugio nella colpa e nella fragilità.

Ci abitua al senso creaturale del nostro agire, ci fa cittadini dell’eterno e insieme ci impegna nel concreto quotidiano a favore di una vita in cui quando il dolore è inevitabile diventa almeno più sopportabile.

Nella fede, in comunione con lei, ci fa capaci di magnificare il Signore di tutte le salvezze e di tutte le cose, di esaltare in Lui il principio e la risoluzione di ogni bene: Egli guarda l’umiltà di noi suoi figli; compie in noi grandi cose come le ha sempre compiute; santifica in noi il suo nome; stende la sua misericordia per i secoli dei secoli; dispiega la potenza del suo braccio; disperde i superbi; rovescia i potenti dai troni; innalza gli umili; sfama gli affamati movendo il cuore dei fratelli; frustra, presto o tardi,  l’orgoglio dei superbi; soccorre i bisognosi, mosso dalla sua misericordia,  fedele alle sue promesse; apre gli occhi a coloro che mirano a vedere  nel  Risorto la via, la verità e la vita che propizia la conoscenza del Padre, principio di ogni sapienza fonte della pienezza e della vita.

 inizio

 

 

 

 

Aspetto psicologico della devozione mariana

 
 

Intendo, adesso, fermare brevemente l’attenzione su un aspetto psicologico della devozione mariana strettamente connesso con la ricerca scientifica. Non mi stupisco che possa apparire banale e magari, per certuni, anche dissacrante. Considerato nel suo giusto valore, però, può suscitare adorante ammirazione per l’opera realizzata dal Creatore, Signore e padrone  di tutte le cose.

Naturalmente l’argomento richiede una premessa.

Anima, Animus

La natura umana è sostanzialmente identica nell’uomo e nella donna. In questo, la scienza non ha nulla da obiettare alla Sacra Scrittura quando proclama che Dio li creò tutti e due a sua immagine.

Nel corso della storia però, svilupparono attitudini e disposizioni differenziate e l’esercizio determinò dei modi diversi di apparire: l’uomo alimentò la sua mente, i suoi muscoli e i suoi rapporti con il mondo esterno. Si occupò principalmente di caccia, di guerra e di difesa e di governo. La donna generò e trattò figli e casa, disponendosi a rifinire la sua vita nell’ambito delle attività introspettive, emozionali, domestiche fino ad imporre, specie in alcune culture, la sua superiorità e il sacro rispetto nei confronti dell’uomo.  (cf. il matriarcato)

Seguì così, senza manco volerlo, una spartizione dei compiti, ma insieme anche un’apparente differenziazione nel porsi socialmente. Ho detto differenziazione, non cancellazione: le capacità non esercitate hanno continuato a esistere in quella parte della psiche che gli studiosi definiscono “inconscio”. Quivi operano a modo loro, condizionando l’attività conscia. Troppe cose ci capitano senza che noi lo vogliamo. I nostri umori, le nostre tensioni, il nostro entusiasmo trovano in questa parte rimossa la loro origine e la loro spiegazione.

Come, alla luce della coscienza, uomo e donna si sono distinti nel loro modo di  pensare ed agire, così, nel profondo, hanno rimosso anche la differenza contrapposta: nell’inconscio, l’uomo racchiude le disposizioni femminili, la donna, quelle maschili. Al femminile inconscio nell’uomo è stato dato il nome di “Anima”, al maschile nella donna quello di “Animus”. Animus e Anima giocano un ruolo importantissimo, dal momento che costituiscono la metà della nostra personalità. L’unico inconveniente resta quello di essere ignorati e quindi di farci cadere in loro possesso.  Più facilmente li riconosceremmo se prestassimo loro attenzione, se ci dessimo alla lettura dei miti, delle fiabe, delle leggende, della poesia, dell’arte e dell’arcaico (compreso quello che vegeta ancora in noi del 2000).

Una fatto si impone da solo: rendersi consapevoli del loro agire, anche se restano incomprensibili e inavvertiti, significa poter meglio indirizzare la vita nel quotidiano, affrontare i rischi e gli enigmi sempre ricorrenti, superare le difficoltà nelle loro molteplici manifestazioni, in una parola, completare quella che gli studiosi chiamano “individuazione” e che concretamente significa “piena realizzazione di sé”.

Ognuno vede chiaramente dove tendono le mie parole: l’uomo che riuscisse a fondere in Maria tutta la sua parte femminile, componente indispensabile  del suo essere, oltre che a radicare in sé un atteggiamento propriamente religioso, sfrutterebbe le sue energie vitali per potenziare indefinitamente il suo avanzamento umano e soprannaturale. Possederebbe quel tipo di sapienza che definisco “laica” perché evocata dall’inconscio umano, ma che considero divina perché rivela il meraviglioso piano del Creatore: imprimere il suo sigillo in ogni componente dei suoi figli.

La nozione di “Anima”

Nessuno si aspetti un trattato sull’Anima. Non è il luogo adatto, pur valendo la pena  di concederle più attenzione.

Formulo solo brevi notizie: possono sollecitare i sanamente curiosi nella conoscenza di sé e i sapientemente animati dal desiderio di crescere nella serenità pienamente gioiosa.

Definisco “Anima” la personificazione di tutte le tendenze psicologiche femminili della psiche dell’uomo, cioè i sentimenti e gli atteggiamenti vaghi ed imprecisi, i presentimenti, la ricettività dell’irrazionale, l’amore di sé, il sentimento della natura e l’atteggiamento nei confronti con il proprio mistero.

Suo compito è di mediare tra il conscio e l’inconscio. Per lo più si proietta su una persona di genere femminile, suscitando fascino e attrattiva.

È figura interiore della psiche dell’uomo e può assumere una manifestazione ambigua, negativa o positiva.

Negative sono le sirene, la “femme fatale”,  le Lorelei, le Eve, oppure la tendenza alle osservazioni velenose, donnesche miranti a svalutare qualsiasi aspetto della vita; oppure “la damigella velenosa” o gli esseri sentimentali suscettibili come zitelle al pari della principessa che pone indovinelli e uccide se non sono risolti; oppure le fantasie erotiche; oppure i tradimenti e i “triangoli umani” all’interno o fuori dei ménages familiari.

Gli aspetti positivi sono altrettanto importanti.

- All’Anima viene spesso attribuito il vantaggio di trovare la donna giusta.

- Quando la mentalità logica dell’uomo non riesce ad individuare i fatti che restano occultati nell’inconscio, è l’Anima che la aiuta a precisarli e a riconoscerli.

- Ancor più importante è il ruolo che l’Anima svolge armonizzando  la mente dell’uomo con i più vitali valori interiori, aprendo così la via verso la conoscenza delle profondità più recondite dell’inconscio:

- è come se una “radio” interiore venisse sintonizzata sulla lunghezza d’onda, tale che impedisse la ricezione di frivolezze, ma permettesse l’ascolto della voce del “bambino” vivente in noi.

- Nel consentire la percezione di questa voce interiore, l’Anima assume il ruolo di guida, o di mediatrice fra il mondo interiore e il Sé. Lo dimostrano Beatrice (per Dante),  Iside (per Apuleio), Monna Lisa (per Leonardo), Margherita (per Faust), tutte le innamorate dei romanzi e degli uomini, la suora, la sacerdotessa.

Ma in pratica, qual è la portata del ruolo che l’Anima si assume, quando pretende di  guidare l’uomo verso il proprio mondo interiore?

Tale funzione positiva viene esercitata:

·        quando l’uomo affronta con consapevole serietà i sentimenti, le attrattive, gli indefiniti sensi di nostalgia e di Sehnsucht che suscitano le aspirazioni più impalpabili a perdersi nella natura o nella figura di una donna, i vaghi appelli e gli atteggiamenti nei confronti del mondo femminile, le speranze e le fantasie che si manifestano e prendono corpo nella sua Anima;

·        quando, poi, cerca, con ogni mezzo, di cristallizzare  e di oggettivare tale materia in una forma definita: per esempio coltiva la lettura della poesia, o la pratica della pittura, o l’audizione di musica, o la visione di sculture o, e per molti sembra il mezzo più immediato, la contemplazione di corpi femminili aggraziati nelle performances di danze classiche;

·        quando, infine, affronta con responsabilità l’incontro con la donna specifica che l’ha “stregato” in modo più o meno determinante. Affrontare con responsabilità, significa prestare attenzione ai sentimenti, prendere atto della loro presenza, sopportarli nei loro eccessi, non considerare tutto come tentazione diabolica. Innamorarsi è come imbattersi in un mal di fegato. Se mi fa male questo organo, significa che qualche cosa non va, che debbo prendere le precauzioni e i rimedi necessari per stare bene. Se mi innamoro, significa che il mio femminile non opera in modo naturalmente sano come complemento della mia maschilità. Semplicemente,  non ho ben maturato il mio essere perché non ho integrato tutte le qualità femminili che mi competono, e allora la natura provoca i terremoti incalzando proprio su quei sentieri che la coscienza, inibita o censurata, ha rifiutato. Perché nelle sue forme più estreme,  l’inconscio proietta su specifiche figure femminili le sue aspirazioni di pienezza, ed ogni proiezione (la quale resta sempre transitoria) è sempre accompagnata da una fascinazione che rischia di travolgere.

Questo obbliga, allora, ad un prolungato sforzo morale di tutta la persona. Si raggiunge la  perfezione solo  nell’ambito della razionalità e della volontà consapevole. Non è perfezione quella che si arresta alla sola dimensione sensoriale. Deve interamente investire il soggetto, altrimenti l’Anima  continuerà senza posa, a suscitare innamoramenti disastrosi e separazioni cariche di negative conseguenze sociali.

Chi deve essere fedele già ad una donna, chi ha fatto voto di rinunciare alla donna, chi sa di non potersi legare completamente alla donna senza venir meno ai suoi obblighi etici, deve trovare nella figura femminile un incentivo a completarsi di quei valori che, posti su un piano diverso, possono assorbire e superare le esigenze emotivamente immediate.

Accogliere benevolmente  una passione amorosa, conviverci responsabilmente, convincersi della sua bontà, reputarla importante, ma persistendo nella condotta moralmente retta, significa integrare la figura femminile in se stessi, cioè porre fine alla proiezione e fonderla nel complesso delle istanze interiori. Diventa parte di sé e rende capaci di trasformare le stesse forze dell’innamoramento in atti di donazione al prossimo, di servizio al bisognoso, di pienezza nel compimento degli obblighi, religiosi  e sociali.

Ed è essenziale considerarla come realtà e non solo come fantasma. Se, con paziente e religiosa serenità,  ci si mantiene a lungo fedeli ad un simile atteggiamento, dall’inconscio emergono altri elementi di ancora maggiore profondità, i quali maturano il processo di individuazione a tutto vantaggio personale e collettivo.

 Sono certo che le parole sopra riportate sono da molti ritenute fantasiose. Non do loro torto. La vita non  deve essere descritta, si propone come evidente solo quando è oggetto di esperienza personale.

Sono però convinto che, in un modo o nell’altro, ieri o l’altro ieri o magari anche oggi o domani, ogni essere umano si imbatte in esperienze piccole o grandi legate all’incontro con una donna del vicinato o dello schermo, del treno o del proprio ufficio.

La volontà di cancellarla perché educati non so come, annulla tutti i possibili favori dell’Anima. Se la lettura  della Vita Nova o del Paradiso sembra troppo ardua per intravedere il ruolo di Anima-guida sapienziale di Beatrice, o il Faust di Goethe troppo tedesco per capire il benefico influsso dell’ “eterno femminino” emanato da Margherita, ci si accosti all’opera “She” di Rider Haggard, (è stato proiettato anche un film) o a tutte quelle narrazioni di uomini-romanzieri, di cui protagonista è la donna di azione e di amore.

Io mi permetto di trascrivere due modesti saggi, sperando di aggiungere una nota pratica alle disquisizioni sopra riportate. Il primo è esempio di Anima integrata, il secondo , di Anima  nello stato di proiezione.

«Io sono il fiore del campo e il giglio delle valli. Sono la madre dell’amore puro, del timor di Dio, della conoscenza e della speranza santa…Sono la mediatrice degli elementi, che accordo l’uno con l’altro; rendo freddo ciò che è caldo, e caldo ciò che è freddo, umido quel che è asciutto, e asciutto quel che è umido, rendo morbido ciò che è duro…Sono la legge nel sacerdote, la parola nel profeta, il consiglio nel saggio. Uccido e vivifico, e non c’è nessuno che possa salvarsi senza di me» (testo medievale)

«Con le sue   maniere continuamente volubili, con i suoi atteggiamenti ora mistici e ora allegri, intervallando la conversazione con il silenzio, rivelando un’anima talvolta appassionata, talvolta improntata a sentimenti sublimi, ella (Emma Bovary) sapeva far nascere in lui mille desideri, mille istinti e ricordi. Essa era l’ “innamorata” di tutti i romanzi, l’eroina di tutti i drammi, il “lei” di tutti i poemi che egli aveva letto. Sulle sue spalle trovava lo “splendore d’ambra” dell’odalisca al bagno; essa assomigliava anche alla “pallida Dama di Barcellona”; ma era sempre un angelo». (da Madama Bovary di Flaubert)

E tutto questo che ha a che fare con Maria sede della Sapienza? Occorre perciò continuare il discorso sull’Anima.

 È stato notato che l’Anima, e penso di averlo lasciato intravedere nelle righe  che precedono, non ha un solo volto: suo compito è di farsi mediatrice tra l’Ego e il Sé (il nucleo della psiche), ma essa stessa deve crescere (cresce con il soggetto che l’incarna) e assumere di volta in volta mezzi sempre diversi. Ne sono stati descritti quattro:

·        L’Anima si fa Eva e spinge a rapporti puramente biologici e istintivi. Incarico fondamentale per la conservazione del genere umano!

·        L’Anima assume le parti di Elena, la faustiana Elena, che simboleggia lo stato romantico, appassionato, perduto nel possesso dell’essere amato, come in estasi, caratterizzato sempre, pur tuttavia, da elementi sessuali.

·        L’Anima prende il posto della Madre che solleva l’amore alla devozione spirituale. La Vergine Maria, rivestita di rosso può diventare simbolo di questo amore umano-spirituale. Nel Rinascimento veniva rappresentata come ricoperta da un grande manto color porpora, all’interno, azzurro all’esterno. Proteggeva bambini e adulti.

·        l’Anima, infine, può rivestire anche un quarto grado di elevazione: simboleggiare nella Sapienza, la saggezza che trascende anche le manifestazioni umane più pure e più sante. Vedi la Sulammita di Salomone, la Monna Lisa leonardesca, le dee cinesi Kwan-Yin, e la “Signora della luna” che riversa, sui suoi favoriti, il dono della poesia e della musica e che può anche donare l’immortalità; le indiane Shakti e Parvati Rati, senza dimenticare  la musulmana Fatima, figlia di Maometto.

E Maria, non è guida a Dio? non è datrice di senso? Non la si invoca nelle avversità e nella tenebra? Tutto questo è attività sapienziale. Anzi, nella cultura europea è diventata l’unica espressione della Femminilità totalmente positiva. Devo ancora provarlo? Invio solo ai brani di Proverbi 8, 22-31, e a Siracide capitolo 24, dove la Scrittura personifica la Sapienza di Dio, e la chiesa l’ha poi trasposta su Maria. Solo alcuni versi derivati dai Proverbi:

«Dall’eternità sono stata costituita, fin dal principio dagli inizi della terra.

Quando ancora non esistevano gli abissi, io fui generata;

quando non vi erano le sorgenti cariche d’acqua,

quando fissava i cieli io ero là; quando stabiliva al mare i suoi limiti

allora io ero con lui come architetto, ed ero la sua delizia ogni giorno.

Ora figli ascoltatemi:

beati quelli che seguono le mie vie! ascoltate l’esortazione e siate saggi,

non trascuratela! Beato l’uomo che mi ascolta,

vegliando ogni giorno alle mie porte, per custodire attentamente la soglia.

Infatti chi trova me trova la vita, e ottiene favore dal Signore;

ma chi pecca contro di me danneggia se stesso;

quanti mi odiano, amano la morte.»

L’autore è ispirato, nessuno  lo nega, ma non fa altro che trattare il proprio femminile come una persona concreta, un’Anima, appunto, perfettamente integrata. E allora bisogna prendere atto:

1. che la Scrittura Sacra, i poeti, gli artisti, gli uomini comuni, senza saperlo, proiettano all’esterno una loro intuizione interiore fino a viverla nelle forme di una persona o di uno spettacolo naturale;

2. che se noi, dopo ripetuti sforzi di buona volontà nell’invocarla e nell’imitarla, eleggessimo la Vergine Maria a figura in cui raccogliamo tutte le aspirazioni più profonde, quelle che giacciono silenziose nel nostro intimo, - parlo di uomini -, apriremmo alla vita mille sbocchi per influire sui nostri comportamenti, per  dilatare la nostra coscienza, per offrire mete sempre nuove alle nostre aspirazioni, per donare buona pace al nostro esistere;

3. che, in questo senso, troveremmo in lei la guida che connette le dimensioni divise della nostra persona. Novella Beatrice, condurrebbe per mano tutti gli Alighieri prima per i sentieri tortuosi del Purgatorio, poi sulle vie di luce dell’Empireo; troverebbe le soluzioni più impensate; supererebbe gli abissi paurosi in cui ci imbattiamo; ci rivelerebbe intuitivamente i misteri reconditi ma sempre nostri; dissolverebbe le tenebre del nostro piccolo Io, lei l’Anima del mondo, la Abitatrice dell’universo intero, la Padrona del senso, il Riflesso di Dio, lei, insomma la Sapiente, la Conoscitrice della Mente Suprema, la ormai conclamata Sede della Sapienza, non più perché Madre del Cristo, ma perché interprete delle  più profonde aspirazioni nascoste nel centro del nostro cuore, così confezionato dal Signore della vita.

Sono personalmente convinto che nei nostri rapporti con il divino, la parte principale la regga la grazia, ma anche che la grazia agisca in modo adeguato alla natura umana. I ferventi della Madonna, il cultori del suo onore, i devoti e i predicatori, da 2000 anni, senza saperlo, hanno  servito ed  accolto questo miracoloso congegno che portiamo in noi stessi e che può essere attivato, col favore degli dei, dalla personificazione del femminile che si riveste delle fattezze dell’Anima. In greco l’anima è detta “psiche” e il suo  significato primo è “farfalla”.

Può stupire, ma compito dell’Anima è proprio quello di essere farfalla: muovere incessantemente le proprie ali per dare vita, per non permettere di cadere nell’inerzia, dal momento che la pigrizia, parente stretta della morte, è il danno più grave in cui potremmo cadere. La farfalla agita le sue esili membrane per conservare le altezze del volo. Allo stesso modo l’Anima non cede fino a che non abbia raggiunto i suoi fini, cioè la perfezione del Sé, la maturazione della persona totale. Se fallisce a 14 anni, ci prova a 20, poi a 25, poi a 30, poi a 40 e poi ancora, in modo ricorrente nella ricerca de successo finale.

Maria, nella sua qualità di sapienza personificata,  può ispirare  tutti i moti e indirizzarli verso il giusto obiettivo finale. Il quale  per se stesso si risolve nella salvezza totale.

Lasciatemi che esprima le mie scuse alle lettrici. Potrebbero infatti dire: «e noi? Siamo forse escluse dal beneficio dell’Anima?». «A tanto arriva il maschilismo degli uomini?» «Dire queste cose proprio quando l’uomo e la donna stanno colmando le distanze?»

Rispondo telegraficamente:

La distinzione tra Animus e Anima consegue alla distinzione dei ruoli, verificatasi nelle ere passate. Con il tempo (quanto?), un progressivo interscambio nelle attività professionali, comporterà, penso, anche una pari qualità dei  contenuti inconsci.

La Vergine Maria  può  promuovere l’inconscio dell’uomo. Per la donna è ben più: rappresenta la sua parte conscia. Se per l’uomo è sposa, per la donna è socia, amica, compartecipe delle preoccupazioni  di casa e dei figli, l’immagine del suo Sé

Ciò che per l’uomo è Maria, per la donna è Gesù. Non mi si richieda però di iniziare adesso la trattazione di un argomento fuori tema.