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Uno svago borbonico tra Soverato Tropea e Vienna
Francesco Campagnino è un valente ristoratore di Tropea, dove gestisce La Munizione. Ha fatto un bel salto di qualità geografica, aprendo un locale a Vienna, e, da buon meridionale e meridionalista, sapete come lo ha battezzato? ovvio, Le Due Sicilie! Bravo. Gli serviva un qualcosa di simpatico e, bene inteso, serio, per un’allegra e degna accoglienza dei suoi ospiti, e ha lanciato un appello tramite la giovane e brillante storica Maria Lombardo. Potevo lasciare senza risposta una gentile fanciulla e un corregionale così intraprendente? Mai! Prendo carta… beh, computer, e butto giù questi versi volutamente gigioni e divertaioli, e tuttavia con la loro parte di non sempre piacevole verità storica. Eccoli:

Ferdinando Terzo e Quarto
della schiatta dei Borbone
disse un giorno: “Me ne parto,
perché arriva Napoleone”;
e rimase saldo e fermo
dalle parti di Palermo.

“Veramente, più a Floridia”,
Sua Maestà ride e confessa,
posticin da fare invidia
per la Villa… e la Duchessa.
La Regina non tentenna,
e adirata scappa a Vienna.

Tutta Europa da ogni parte
alla guerra si scagliò,
finché busca Buonaparte
pedatoni a Waterloo.
Si riuniscono in convegno
per dar ordine a ogni regno.

Quando il turno per Fernando
di aggiustar le cose sue:
“Che di meglio vai cercando?
Di Sicilie ne avrai Due”,
gli fu detto, “E giusto stimo
Ferdinando tu sia Primo”.

Ben contento fu del dono,
un sol Regno far del paio.
Passa il tempo, passa il trono,
ciò comporta qualche guaio:
ché non sembra mirabilia
questa unione, alla Sicilia.

Ricco intanto è il Mezzogiorno
e di industrie e di commerci;
mai si vedono d’intorno
emigranti sporchi e lerci:
sempre al bene va pensando
il Secondo Ferdinando.

Sono i popoli felici
di tale nobile sovrano,
ma l’invidiano i nemici,
ed il re non mette mano:
c’è farina e c’è la festa,
ma la spada inerte resta.

Sotto l’ultimo regnante,
quando sbarca Garibaldi,
si dimostrano all’istante
i generali gran ribaldi;
sol resiste al vile oltraggio
il valente brigantaggio.

Ora trascorsi son tanti anni
da quei giorni e fosca gloria,
non rimane degli affanni
che salvare la memoria:
e con gioia sopraffina
il buon vino e la cucina.

Dei Borbone e del Reame
conserviamo la padella,
ed il mestolo e il tegame:
pizza con la mozzarella,
in onor di Sua Maestà
sfogliatella col babà.

Gli altri popoli, lo ammetto,
son civili e dotti assai,
però quando si è a banchetto,
come noi non ce n’è mai:
quando andiamo a mangiar Napoli è favola:
siam poeti e scienziati della tavola.

Apprezzati da Maria e dal Campagnino, bontà loro, diverranno la cornice dei menu del ristorante viennese. Se capitate da quelle parti asburgiche, buon appetito e buona lettura.
***
Ora che ci penso, non è la prima volta che la mia modestissima Musa deve vedersela con l’Austria. Bisogna sapere che, nel 1734, l’esercito spagnolo del conte di Montemar sconfisse a Bitonto gli Austriaci, e impose sul trono di Napoli e di quello di Palermo il figlio di Filippo V di Borbone ed Elisabetta Farnese di Parma, Carlo. Ogni anno – io, quando posso andarci – teniamo una manifestazione per ricordare l’evento; e, per dir solo questo, è a Bitonto che, per la prima volta, compare il concetto di indipendenza dell’Italia, con la bella lapide dell’obelisco carolino e la dicitura “ITALIACAM LIBERTATEM”.
Le lapidi di Bitonto sono di recente cresciute di numero, quando, con grande spirito cavalleresco, i borboniani, in testa l’ottimo Francesco Laricchia, abbiamo ritenuto giusto ricordare anche i caduti austriaci. Si tenne, due anni fa, una cerimonia ufficiale, e venne scoperto un monumento. L’iscrizione, che è mia, è stata approvata dall’istituzione statale austriaca per le onoranze ai Caduti di tutte le epoche, e collocata nel monumento commemorativo presso la chiesa della Chinisa, dove nel 1734 vennero sepolti i soldati dell’esercito asburgico. Si tratta di un distico elegiaco latino:
«Caesaris haud fausto quae paruit Austria Marti
Pubes, fata diem, non rapuere decus»
(Alla gioventù d’Austria, che obbediva, pur senza fortuna, al comando di guerra dell’imperatore, il destino tolse la vita, non l’onore).
Io bisogna che faccia un salto a Vienna.
Ulderico Nisticò

 

 

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