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Studiamo Mameli? Allora, studiamolo ...anche nelle scuole Calabresi il Senato obbliga L'Inno Nazionale nelle Scuole Primarie.
Dall’anno prossimo bisognerà studiare anche nelle scuole Calabresi l’inno
nazionale. Sulle prime, alla notizia, mi venne da ridere, pensando alle fatiche
attuate dal nostro Stato in fatto di retorica risorgimentale, col becero intento
di plasmare i nostri fanciulli sulle note dell'Inno di Mameli come se fossero
dei novelli Balilla. Vorrei, infatti, toccare con mano i seguenti punti citando
la spiegazione magistrale gentilmente concessa dal prof .Ulderico Nisticò
insegnante di lettere, ora in pensione:” 1. Scipio. A parte che è una licenza
poetica per Scipione (le parole italiane derivano dall’accusativo e non dal
nominativo), quanti sanno che è Publio Cornelio Scipione Africano Maggiore? Dopo
l’uccisione di padre e zio, prese il comando delle truppe di Spagna appena
venticinquenne, e inaugurò così la degenerazione delle istituzioni repubblicane;
con abilità e fortuna conquistò l’Iberia, e nessuno si accorse che si era
lasciato passare sotto il naso Asbrubale; impose e realizzò la spedizione in
Africa, e sconfisse Annibale a Zama; fu di fatto il vincitore di Magnesia contro
Antioco III. Aprì Roma alla cultura greca. Accusato di peculato dal
tradizionalista Catone, morì esule”. Effettivamente poco ne sanno al Governo di
questa situazione storica, e tanto poco ne potrebbero sapere gli insegnanti
delle primarie …Non me ne vogliano non addebito a loro colpe di questo Stato
Patrigno. Continua nella sua stesura e nella spiegazione il professore emerito
meridionalista:”2.Le gesta di Scipio e la sua fronte cinta di vittoria, come
leggete, non sono per nulla pacifiste e nemmeno difensive della patria, bensì
del più squisito imperialismo di conquista: spiegatelo, ai fanciulli!”. In
siffatta situazione sconsiglierei vivamente di proporre nelle scuole elementari
lo studio di un 'Inno che ha molto a che fare col comportamento italico, ma che
poco ha a che fare con le gesta gloriose che si vogliono far credere. Aggiunge
ancora il Nisticò nella lettura dei versi :”3.Spiegate al professore di
religione postconciliare che, secondo l’inno, le glorie scipioniche sono state
concesse direttamente da Dio affinché la vittoria fosse schiava di Roma”.
Peggio che peggio con la strofa seguente, che va avanti a colpi di cose ritengo
ignote ai libri di testo, essendo questi palesemente scopiazzati da testi
francesi e perciò privi di cose italiane:” come punto 4 annota il professore “
Legnano (vittoria del 1176 dei Milanesi contro Federico I Barbarossa); Ferruccio
(Francesco Ferrucci, fiorentino, ma in verità battuto e ucciso dal capitano
calabrese Fabrizio Maramaldo per vendicare l’assassinio del suo messo impiccato
contro le leggi di guerra); Balilla (un ragazzo genovese che nel 1746 avrebbe
incitato alla rivolta contro truppe asburgiche e piemontesi; e qui attenti: di
Balilla era pieno il Fascismo, compresa l’utilitaria FIAT); i Vespri
(insurrezione ghibellina dei Siciliani nel 1282 contro Carlo d’Angiò, e guerra
europea ventennale)”. Vuoi vedere che qualcuno dovrà ripassarsi – diciamo
ripassarsi – l’intera storia nazionale? E probabilmente la storia dovrebbe
essere ripassata da questo Stato, prima di divenir legge ed inculcata nella
mente plasmabile dei giovani italiani. Sul finire “del glorioso Inno “Nisticò
aggiunge :”Peggio mi sento con la strofa seguente, in cui l’inno se la piglia
con l’Austria, e il prof dovrebbe spiegare, e aver prima chiaro, che la nemica
in parola non è la piccola e pacifica repubblica federale di oggi, per altro
nostra alleata e membro dell’U. E., bensì l’Impero d’Austria, esteso alle
attuali Austria, R. Ceca, Veneto, Trentino, Lombardia, Slovacchia, Croazia,
Slovenia, Ungheria, mezza Romania e una buona fetta di Polonia. A questa l’inno
accenna deprecando che i cosacchi assieme all’Austria abbiano bevuto il suo
sangue, riferendosi niente di meno che a fatti del 1831”.Se poi bisogna studiare
a scuola Mameli come poesia, allora il professore dovrà mostrare senso critico e
dire che la lirica patriottica italiana dell’Ottocento è ricca forse di
sentimento, ma sulla forma è meglio sorvolare. Vero che l’inno è solo un po’
meno peggio di “Me ne andavo un mattino a spigolare quando ho visto una barca in
mezzo al mare”, ma non ci vuole molto. Se non si fa un’esegesi stilistica, i
ragazzi escono convinti che queste cose sono poesia e letteratura, e scrivono
pure loro prose e versi ugualmente orrendi. La poesia è altra cosa: mica è il
contenuto, è la forma.
Maria Lombardo
Commissione Cultura Comitati Due Sicilie
Centro Studi e Ricerche Comitati Due Sicilie.