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1866: Palermo si ribella allo Stato Italiano. Reflessioni sulla questione unitaria in Sicilia.
Con la rivolta di Palermo assistiamo perentoriamente alla rottura con lo Stato Italiano. Settembre 1866 scoppiano così i nuovi moti. Ad iniziare la rivolta furono i contadini del palermitano, oltre tremila armati in quel mese di settembre si ribellarono al nuovo Stato. Si posero alla testa del movimento rivoluzionario i capisquadra che presero parte alla rivoluzione del '60 canta ancora il Renda (1). La squadriglia si accinse ad entrare a Palermo e sollevò il popolo in armi, le fonti governative parleranno di trenta ed anche di quarantamila insorti. Tuttavia, di fronte ad un movimento così vasto si cercò di trovare spiegazione. Il Generale Raffaele Cadorna protagonista delle operazioni militari ebbe a dire:” In quanto alle cause di questi deplorevoli fatti (…) si possono allegare i seguenti fatti, lo scioglimento delle corporazioni religiose, l'inaridimento della ricchezza pubblica, il considerevole numero di retinenti “(2). A sua volta, l'arcivescovo di Palermo scrive:” negli annali della storia, non esiste un movimento rivoluzionario più imprudente, più sconsigliato più scarsamente diretto di quello cui fummo recentemente spettatori”(3). I diversi punti di vista delle fonti citate, dimostrano che la manifestazione fu incontenibile e ricca di malcontento popolare. L'intreccio del momento fu agevolato dalla congiuntura economica, dallo scoppio della terza guerra d'indipendenza la cui pessima prova di Custoza e Lissa indebolì il prestigio del nuovo Stato. La rivolta si dimostrò il documento più drammatico che la nuova Italia portò in dotazione alla società isolana. A conti fatti si pone nuovamente il Renda il quale annota:” sul piano storiografico fu inevitabile considerare l'evento un pasticcio (…) non di meno la rivolta Palermitana non merita di essere giudicata, ma ha bisogno di essere resa intellegibile”(4). Inoltre, essa va inquadrata nei processi che caratterizzarono i primi anni di vita unitaria italiana. Evento decisivo risultò la formazione del mercato nazionale, perciò una Palermo non ancora inserita nelle comunità italiana le rivolta “del Sette e mezzo” fu la tipica esplosione di un fenomeno inevitabile. Il superamento della rivolta del 1866 ha un valore di carattere generale, quasi di canone interpretativo delle vicende siciliane degli anni '60. Il moto in sé fu il sintomo palese di una situazione preoccupante, persino la Camera dei deputati, sollecitata da Friscia e da Mordini, ordinò un'inchiesta parlamentare. Fu comunque accertato che nella capitale dell'isola molte cose non andavano per il verso giusto. Tuttavia, l'unità non incontrò blocchi ma oltre ogni aspettative incremento l'ascesa, facendo caratterizzare il '66 come un'incidente di percorso, di cui pochi conservarono il ricordo. Naturalmente, l'unificazione fu tutto meno che un idillio. I problemi ci furono e avvolte risultarono allarmanti e sconcertanti. Oltre alle difficoltà, molti furono gli errori di aspetto lacerante in tanti casi che investirono tutti i campi della società sicula. Il distacco che negli anni'60 divenne voragine fra istituzioni con le sue cerimonie di regime e il mondo del popolo con le sue esigenze fondamentali. I vincitori che si occuparono di raccogliere i frutti del successo si scontrarono con i vinti che scontarono il peso della sconfitta, a tal punto che il nome stesso di libertà divenne derisione e vilipendio citerò per dovere storiografico le parole di Napoleone Colajanni il quale dice che la nuova condizione fu il passaggio come continuità tra i Borbone ai Sabaudi. Altri storici locali parlano di uno Stato di polizia gravosissimo sotto la monarchia costituzionale che sotto la monarchia assoluta. Ma il problema più emblematico risultò essere ancora il caso dell'autonomismo che tanto diede filo da torcere ai Borbone. Sotto i Sabaudi l'insoluta questione esasperò fortemente l'Isola. Una certa storiografia incline in tal senso, come Vito D'Ondes del Riggio ed Emerico Amari ebbero in quegli anni voce flebile e ascolto nullo, arrivando al completo dissolvimento, a causa di quel plebiscito a carattere maschile che fece dissolvere del tutto il problema in favore dell'Unità. Il problema autonomia si quetò con una requisitoria fatta da Filippo Cordova alla Camera ebbe a riferire contro l'autonomismo sia sotto i Borbone (5). Tuttavia, uomini illustri siciliani operarono fuori dall'Isola per l'isola stessa. Ricordiamo Francesco Ferrara, principe degli economisti italiani dell'800, prima del'60 fu professore universitario a Torino e Pisa e dopo il '60 a Firenze e Venezia poi approdato alla carriera politica come ministro delle finanze per culminare in Senatore nel 1881. Analoga la carriera di Michele Amari, storico di razza scrivendo sempre e solo di storia Siciliana. Infine Stanislao Cannizzaro non fu politico ma scienziato e chimico di fama che ricevette il titolo di Senatore nel'71. Ma forse l'itinerario più emblematico della condizione del siciliano nuovo fu quella dei tre letterati Verga, Capuano e Navarro della Miraglia di questi solo l'ultimo che ebbe rapporti con i Mille, ma fu per lui amarezza e delusione.
Maria Lombardo
Consigliere Commissione Cultura Comitati Due Sicilie
Centro Studi e Ricerche
Comitati Due Sicilie.
(1)Francesco Renda, Storia della Sicilia dal 1860 al 1970, VOL I, Sellerio editore Palermo pag 208.
(2) In Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia 28 settembre 1866.
(3) Relazione dell'Arcivescovo di Palermo sui casi dal 15 al 22 settembre 1866, Firenze 1866, pag 20.
(4)Francesco Renda...... opera citata pag 210.
(5)Atti del Parlamento Italiano, Discussione della Camera dei Deputati 1 dicembre 1861.