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A seguito di una mia personale ricerca, ho letto pagine interessanti sui moti del ’48. Ho ritenuto scrivere questo interessante riconoscimento corredandolo di fonti, per portare alla ribalta notizie diverse da quelle lette sui tradizionali libri di storia. Il dì 8 novembre del 1830, Ferdinando di Borbone, ascese al trono del Regno delle Due Sicilie col titolo di Ferdinando II.

Iniziò con lui un ventennio fatto di grandi aspettative economico-culturali ma anche di grandi problemi legati ai focolai rivoluzionari dell’isola di Sicilia, che nel 1848 raggiunse l’apice della sua agitazione, canta così Leone D’Hervete-Saint-Denis:” La Sicilia è il teatro ove devono iniziare le turbolenze”(1).

Tuttavia prima di iniziare il corso della storia quarantottina in Sicilia è doveroso inquadrare l’isola in tutta la sua interezza geopolitica. Conferma ancora Giovanni Pagano nella sua opera: ”la cagione dei suoi e degli altrui malanni divorava la terra al di qua del faro”(2).

La Sicilia terra ancora poco conosciuta a quel tempo godeva di privilegi e di leggi illuminate tipiche del monarca duosiciliano malgrado le dicerie antistoriche di vederla assoggettata al continente, ma chi conferma questo ha poco a cuore la storia del Mezzogiorno.

Sostiene ancora il D’Heverte-Saint-Denis che visse da vicino quegli avvenimenti: ”La Sicilia era esente da conscrizioni, e dalle imposte più onerose (…) non pagava che la quarta parte degli aggravi(3)”. Esistono tuttavia una lunga serie di libercoli datati 1861 o su di lì che citano una realtà molto diversa insistendo con fare perentorio che la terra al di quà del faro era: ”suddita ossequiosa degli alti signori del continente, oppressa sotto il peso di arbitrarie imposizioni, taglieggiata e soggetta ai capricci del suo despota, senza diritti alcuni” tutto per avallare le tesi risorgimentaliste e liberali che sussultavano sul suolo italico.

La rivolta più formidabile scoppiò così con forza in Sicilia chiosa Ramiro Barbaro era il 12 gennaio del 1848: ”In Catania, Siracusa, Modica, e altri luoghi si grida <<morte ai Borboni>>si abbattono i stemmi reali, si disarmano le truppe, ed i rivoltosi spinti da false voci di avvelenamento commettono atti crudeli ed inutili”(4).

Venne quel 12 gennaio 1848 epoca che sarà scritta con lettere di sangue (…) cita ancora il Barbaro nella medesima opera. I manifesti insurrezionali apparsi il Sicilia minacciavano il governo di Napoli di una rivolta generale. Organizzata e centrata a Palermo al quartiere Fonte Vecchia oggi Vucceria, canta ancora il Barbaro: ”Ricorreva l’anniversario di nascita di Ferdinando, Palermo invece di essere parata a festa si presentava sorgente di vasto lutto”(5).

Insomma gli si voleva rovinare la festa al Borbone. Sorsero in quel 12 gennaio barricate, negozi chiusi, si svolsero attacchi armati con le truppe regie,si parla alla massa: ”La Masa, Pilo, Crispi, Ruggero Settimio, che arringavano contro il Re, dopo di che alla Vucceria partirono le fucilate”. In quel 12 gennaio sarebbe stato facile per le milizie regie sconfiggere i rivoltosi ma i lamenti del popolo e delle forze alleate inglesi fecero indietreggiare i borbonici che permisero il 13 di gennaio ai rivoltosi palermitani di conquistare l’ospedale di San Francesco da Paola e la caserma dove reperirono armi e munizioni.

Il luogotenente di Majo telegrafò istantaneamente a Napoli per avvisare il re.

Il 14 i bombardamenti vengono placati in favore dei combattimenti per prevenire la distruzione della città con la peggio per i regi, fin quando il 18 gennaio per i Borbonici le cose peggiorarono.

In quel 14 Gennaio partiva dal porto di Napoli un’armata, il Conte Dell’Aquila conduceva a Palermo 9 battaglioni che avrebbero potuto inabissare non una ma cento città.

Si vide nella grande isola mediterranea la nascita di un nuovo Stato o meglio il tentativo che perdurò per un anno e mezzo, cita perciò D’Hevert-Saint-Danis : ”Strana coincidenza! Sedici mesi dopo questa stessa città d’onde era partita la prima scintilla dell’incendio, doveva sottomettersi senza condizioni, e domandare istantemente come un favore, il ritorno delle truppe reali”(6).

Intanto nel Giardino della Flora e nel teatro dice il D’Arlicurt: ”si agitavano le bandiere tricolori in cima alle inglesi spade”(7). La rivoluzione palermitana vide così: ”Grida strappate dallo spavento o dalle ferite, gemiti di fanciulli, strida di donne lamenti di agonizzanti, accenti di sdegno e di pietà, fracassìo di fucilate, (..) pagani e militari, uomini e donne, giovani e vecchi, sani e infermi uomini e animali tutti dal funesto agguato travolti”(8). Siamo al mese di febbraio, già il 5 di quel mese tutta l’isola è evacuata ai regi non restava che i forti di Siracusa e Messina.

In quel mese inoltre si arrestarono per giunta i fervori della rivolta grazie al sopraggiungere di altre soldatesche regie che sfruttarono il momento di calo della pugna. Tuttavia il 25 marzo Ferdinando decise di aprire il parlamento siciliano affidandolo al Ruggero; inoltre la sua: ”condiscendenza fu presa per debolezza” cita Leone D’Hervet.

Ad ogni modo tutta la Sicilia era libera tranne la cittadella di Messina poiché rappresentava il ponte tra le due sponde: ”e la flotta reale l’aveva sempre rifornita di viveri e munizioni”. Messina valeva quanto Napoli! Prendere la cittadella voleva dire aver sconfitto il Monarca, ma la terra al di qua del faro giaceva ormai in condizioni deplorevoli: ”imposizioni più gravi e forzate, pene più gravi contro i morosi, arresti illegali e pene di morte,le casse del nuovo Stato Siciliano dilapidate, ecco come era ridotto quel paese, ecco cosa ne fece la Rivoluzione”. Osservata la situazione Napoli prepara una spedizione verso la Sicilia, e la situazione passò nelle mani del Principe di Satriano Carlo Filangeri che partì alla volta dell’isola.

La città era uno stuolo di armati e le mura della cittadella barricate, grandini di fucilate vibravano dagli edifici vicini così che il Nunziante ogni sforzo nemico mandava a vuoto(10). In poco tempo la città fu messa alle fiamme e di bellico rumore rimbombava.

Lo stato d’assedio, però, continuava a non essere proclamato rotti i contatti con la città, i cannoni della Cittadella tuonavano risparmiando molti luoghi della Città. La cittadella cantano noti storici tra cui il D’Hervet: ”era cinta di un largo fossato, barricate imponenti, munite di artiglierie. Le case merlate e bastionate erano altre tante fortezze in apparenza inespugnabili”(11).

Tutto disposto per permettere alla bandiera gigliata di sventolare sui bastioni, e di far comprendere ai regi che gli atti dei Messinesi furono voluti da Francia e Inghilterra che come da copione volevano impadronirsi dell’Isola.

La pugna durò molti giorni fu aspra e dura ma i monumenti e i quartieri più belli risparmiati dalla clemenza del Re

1. Leone D’Hervete-Saint-Denis Un Re. Prato Tipografia Passagli 1851 pag 9 .

2 Giovanni Pagano, Storia di Ferdinando II Re del Regno delle Due Sicilie dal 1830 al 1850.Napoli Tipografia Cannavacciuoli 1853.

3 Leone d’Heverte-Saint-Denis opera citata pag 10

4 Ramiro Barbaro, I Borboni di Napoli ed il Governo Italiano, Malta 1861 pag 35. Rossi Storia dei rivolgimenti politici vol I pag 54 Napoli 1851.

5 Ramiro Barbaro ……ivi pag 45-46

6.Leone D’Hervet ……opera citata pag 11

7D’Arlicurt L’Italia Rossa pag 169. Edizioni Livorno

8Giovanni Pagano Storia di …………opera citata vol II pag 21

9Leone D’Hervet Saint-Danis ……ivi pag 15

10.                             Giovanni Pagano ……opera citata pag 29.

11.                             Leone D’Hervet Sain -Denis ….ivi pag 70.

Maria Lombardo

Consigliere Commissione Cultura Comitati Due Sicilie

Centro Studi e Ricerche

Comitati Due Sicilie.

 

 

 

 

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