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MARCO G. CORSINI

Roma

L’Impero di Atlantide dal 2000 al 750 a. C.

26 Maggio 2013 - Tutti i diritti riservati

 

 

Oggetto di questo mio lavoro è una scoperta eccezionale (che ha le sue premesse più recenti in Atlantide su questo sito) tale da far rizzare i capelli in testa perfino ai calvi.  Nello stesso tempo si tratta di un caso di riscoperta totale al di fuori di qualsiasi tradizione (per ricomporre il quadro ho ricucito insieme innumerevoli dettagli qui e là, nessuno dei quali faceva esplicito riferimento a questa realtà così importante, arrivando poi alla comprensione totale della tradizione di Atlantide e delle Amazzoni libiche), per cui c’è da domandarsi come sia stato possibile che  una grande città capitale di un impero mondiale, Roma, abbia perso completamente il ricordo di essere già stata, per un millennio prima, capitale di  un ancor più vasto e splendido impero mondiale. Il fatto è che la Storia, qualsiasi storia,  dipende dalla trasmissione scritta  di ricordi in una determinata lingua che sia comprensibile da chi la legge oltre che da chi la scrive.  La lingua del Primo Impero Mondiale di Roma era il greco eolico,  la lingua della Roma seconda era il latino. Nel mezzo dell’età buia, quando, con  la distruzione dei regni del Mondo Antico causata da Roma stessa, si spensero momentaneamente i riflettori sulla storia e i documenti diventarono più rari e incapaci, per la loro pochezza di pervenire fino a noi, avvenne il gioco di prestigio che trasformò il greco eolico in latino, soprattutto a causa della forte immigrazione di Sabini dagli Appennini, e rese impossibile ai Romani del popolo, ormai lontani le mille miglia dal loro impero, anche col pensiero,  di conoscere le mirabili gesta dei loro antenati. I primi Romani di cui sentiamo parlare quando la storia ricomincia a fornire dati, sono Sabini (Tito Tazio, Numa Pompilio,  ecc.). Devo immaginare che sia stata la politica lungimirante della classe dirigente (che ancora comprendeva il greco, come dimostra la commissione a Omero, nostro connazionale, dell’Odissea e dell’Iliade da parte dei re Numa Pompilio e Tullo Ostilio, e che non perse mai la memoria del primo impero, tanto che col senno di poi la riconquista dell’impero non appare più come un miracolo delle probabilità ma come una strada aperta, un dejà vu), che non amava vivere sui ricordi ma  avendo sempre di mira il futuro, che preferì costruire per Roma seconda una storia alla “Tito Livio”, su misura, (ri)partendo dal piccolo mondo della Roma quadrata dei due pastorelli con poche idee in testa ma capaci di metterle in pratica menando le mani.  Dopo quanto ho scoperto (ma ne avevo già sospettato in altri lavori), l’impero di Roma Capitolina nel secondo millennio a. C., stride infatti, come il gesso nuovo sulla lavagna, con la “nascita da zero”, la fondazione della  Roma Romulea sul Palatino nel 753 a. C.  I  Romani, ridotti ad un “impero” minuscolo e a ricominciare a costruirne un altro, non avevano tempo per leggere, e in ogni caso, quelli che ne erano capaci, leggevano il latino. Guardare all’impero passato avrebbe sempre messo sotto gli occhi del soldato romano la pochezza del presente, fiaccandolo ancor prima di tentare qualsiasi impresa. La tradizione romana, nel frattempo rimasta comprensibile in Oriente, era “diventata” greca, perché i Greci (in genere, ma vi sono fortunate eccezioni) si guardarono bene dal distinguere la loro tradizione di Traco-Illirico-Armeni, nanetti ultimi arrivati,  da quella di Roma, e se ne appropriarono. E avvenne quel che accade quando un bambino si pone in testa il cappello da ufficiale di un suo amico o parente. I Greci si rivestirono con le panoplie dei nostri antenati Titani e Giganti, con effetti tragicomici,  perché bastava vedere un elmo piumato che camminava da solo per comprendere. Ma i più ignoranti fra noi, oltretutto idolatri della Grecia,  sono proprio coloro che insegnano nelle cattedre di storia, archeologia, ecc., ciechi che guidano altri ciechi.

Il greco, come il latino, l’ebraico e l’aramaico dei testi biblici, non sono state mai lingue e scritture morte, in quanto i dotti antichi fecero copie di manoscritti per le proprie biblioteche e, di copia in copia, questi lavori sono giunti sino a Gutemberg e alla stampa, che ne ha moltiplicato le copie.  Non si è mai interrotta la conoscenza di queste lingue né, tantomeno, di queste scritture.  La mia scoperta avrebbe potuto e dovuto essere realizzata (diversi secoli fa) da chi viene pagato, e lautamente,  per questo, ma non ne è capace perché nell’Università vige la mediocrazia e vengono cooptati solo i mediocri che non facciano ombra alle teste vuote dei baroni. Il primo governo italiano che riuscirà ad avere la piena governabilità di questo disgraziato paese avrà la immensa responsabilità morale di cacciare queste merdacce dalle cattedre e di affidare le medesime a chi come me ha infinitamente più conoscenza della materia, oltretutto interdisciplinare, studiando e conoscendo, dalle scuole medie, tutte le civiltà antiche. E’ da molto, per la verità, che ho abbandonato l’accento sulle civiltà (un modo troppo comodo e abbastanza cretino di studiare le antichità) mettendolo sulla storia che tratto necessariamente  sempre in modo interdisciplinare. Abbiamo troppo studiato le civiltà. E’ giunto il momento di fare storia.

Questa scoperta è stata preparata da una vita dedicata alla storia, da tante piccole o grandi scoperte che sono tanti schiaffi all’incompetenza dei baroni dell’Università.  Con vista retrospettiva credo che il primato di Roma si sia affacciato alla mia ricerca con la scoperta che Omero nacque nel Lazio (supposi da madre etrusco-romana e padre greco di Albalonga) e  fu poeta di corte di Numa Pompilio e Tullo Ostilio, poi dalla scoperta   che la tradizione romana ci era stata scippata da Greci ed Ebrei (ed Egizi), e ancora dalla  decifrazione e traduzione dell’Apoteosi di Nebmaetra Amenofi III/Radamanto, e  dall’identificazione dell’Egitto come grande potenza (nel XVI-XIV sec.) sull’Egeo, Creta e la Grecia (al posto dei, supposti dai baroni, Minosse e Radamanto cretesi).  Intanto si affacciava alla mia mente che dietro a tutto ciò c’era effettivamente Roma di lingua greca, e dunque Omero era romano (a questo punto poco contava quali fossero le sue origini più lontane), e i faraoni della fine XVII e XVIII dinastia provenivano da Roma, e il greco s’era affermato in Grecia e aree limitrofe in quanto importato dai Romani nella   Grecia priva di autentica cultura, quando  era sotto il dominio degli Hyksos (che gli Israeliti consideravano loro antenati).  

A proposito di Hyksos/Israeliti questo lavoro era già pronto quando decisi di approfondire i risultati  raggiunti  col lavoro “La Bibbia smascherata” (su questo stesso sito: con la scoperta che Abramo  altri non era che lo stesso Minosse, visir di Amenofi III/Radamanto, ho definitivamente compreso che tutta la tradizione greco-giudaica prendeva le mosse dalla dominazione del visir Minosse nell’impero sottoposto all’Egitto che a sua volta dipendeva da Roma. Dunque, ad esempio, la vantata capacità degli Ebrei di possedere, unico o primo fra tutti i popoli dell’antichità, una prospettiva storica, altro non era che la loro capacità di copiare (e male) in ebraico le nostre cronache lasciate in greco, che i Greci non erano stati capaci di conservare ma avevano utilizzato come spunto per opere varie di carattere poetico, tragico e così via, pervenendo poi a noi dei riassunti trattati come miti e leggende spiaggiate dalla fonte originaria) e di analizzare in modo più preciso le due tradizioni musita (degli israeliti discendenti  di Mosè) e aronnita (degli impostori sedicenti discendenti di Aronne), venendone fuori il Manuale di studi veterotestamentari che pubblico su questo sito. Ora, con le idee chiare, posso rivedere tutto alla luce della reale storia che emerge dall’Antico Testamento.  

Brevemente, di autentica storia nell’Antico Testamento c’è la cacciata degli Hyksos dei musiti/leviti, prima stratificazione cananea israelita/elohista. La storia dell’atonismo e del suo  esito negativo (peste e xenofobia) fu utilizzata dagli  aronniti nei suoi personaggi spaggiati in altro contesto storico non loro e nella peste che soprattutto porta a ciò che li interessa, la xenofobia per creare un popolo ebreo isolato da tutti gli altri, unico. Infine l’esondazione del Mar Nero (al tempo di Noè) e l’esodo degli illirico-traco-armeni nel XIV-XIII secolo che solo io sostengo e come seconda stratificazione ebraica dei barbari che ricevono oracoli da una quercia (che ha poco senso stabilire sedi Jahveh o di El/Elohim in quanto entrambi i nomi, semitico e indoario riconducono al “Cielo”), si ubriacano e praticano sacrifici umani sulle alture andando dietro all’arca o piuttosto al sarcofago di un loro demone della pestilenza, della morte e della guerra (simile ad Apollo delle origini e a Reshef), danno tutto a ferro e fuoco (olocausti), salvando le belle giovani coscia lunga che diventano concubine o prostitute sacre (l’estasi sessuale oltre a quella alcoolica). In età ellenistica, suppongo,   si aggiungono i prostituti sacri.

Se è vero poi che tutta la storia viene incorniciata in un quadro di civiltà araba, io al momento preferisco tenerne fuori Abramo, e anche Ismaele, come antenati di Giacobbe/Hyksos (con cui iniziava il codice E), in quanto i Romani/Filistei  giungono in Palestina quando espellono gli Hyksos (Abramo patriarca degli arabi andrebbe individuato fra  i nomadi che entrano in Egitto per le carestie della fine del III millennio, ma si tratta verisimilmente di una sua ricollocazione a posteriori da parte degli aronniti).

Con Giuda/Minosse (Abramo degli aronniti, anteposto a Giacobbe con cui non aveva alcuna relazione),  1400 ca., visir di Tuthmosis IV e Amenofis III, Ey/Giuseppe, 1330 ca., visir e faraone in seguito al matrimoniu con Ankhesenaaten/Asenat la vedova di Tutankamon, davanti ai miei occhi s’è squarciato il velo di Maia della menzogna degli Antichi orientali secondo cui l’Oriente ha civilizzato il mondo: Ex oriente lux. Se Roma aveva dominato intorno al 1400 di Minosse su un impero che andava dall’estremo Occidente alla Grecia e alla Palestina, e solo in determinate aree emergeva più facilmente questa dominazione (Grecia e Palestina), mentre in altre una più elevata civiltà (come quella egizia) aveva fatto sì che i Romani ne conservassero immutata la lingua esercitando il loro dominio da dietro le quinte, ciò voleva dire che si poteva e doveva cercare ancora più indietro per trovare sicuramente ulteriori tracce di una più antica dominazione romana nel e intorno al Mediterraneo. Inoltre  non basta qualche primato come l’inizio dell’agricoltura e dell’allevamento o della ceramica e della scrittura per vantare la civilizzazione se questa si riduce  dalle origini a oggi a beduini succubi della religione col turbante in testa (nella concezione mesopotamica  gli uomini sono stati creati per lavorare servire e nutrire gli dèi… cioè il clero; la religione allora come praticamente fino ad oggi serve a sostenere sacerdoti che hanno così il tempo di dedicarsi alla politica e agli studi riuscendo così a meglio manipolare i loro stupidi schiavi; finirà, ma quando? Intanto l’Oriente fomenta odio e disordini religiosi islamici), trattati dal dio della Tempesta come la sabbia del deserto modellata in dune dai disegni sempre diversi. Come è possibile riscontrare nel prosieguo della storia, è solo con Roma che si raggiunge un impero il quale ha dato all’Occidente il suo primato che ancora possiede e che certo non vorrà mai perdere per il bene di tutti. E questo quadro combacia appunto col mio riportare alla luce il primo impero di Roma le cui tracce a quanto è possibile vedere al momento risalgono indietro almeno al 2000 a. C.,  mentre per quanto riguarda  Roma Capitolina al momento non posso risalire  oltre il 1600 a. C.  Questo fu il primo impero mondiale della storia e anche quello decisivo per la civilizzazione umana non solo intorno al “Mare Nostrum”  e fino alle Americhe ad Occidente,   ma probabilmente fino al Golfo Persico ad Oriente. Tanto si estendeva l’impero ancora al tempo del governatore romano su Gerusalemme, Salomone, 970 a. C. ca., che ogni tre anni riceveva dalla flotta atlantica di Roma prodotti che questa andava a caricare in Mesoamerica. Ora ritengo che Salomone sia stato costruito intorno al faraone libico Sheshonk ma ciò non scalza il fatto che le storie relative a Salomone riguardano le navi di Tarshish che devono riferirsi a Tartesso in Spagna parte dell’impero di Atlantide.

La tradizione  narrata nella Biblioteca storica di pseudo Apollodoro (autore tardo della Roma imperiale o forse ancora più tardo) è  in origine romana, perfino nella lingua greca, perché,   come ci conferma il grande storico Dionisio d’Alicarnasso, non solo ci fu una Roma prima di Roma (e addirittura una Roma ancor prima… ), ma i Romani sono Tirreni (“popolo delle torri”, cf. gli oltre 7000 nuraghi rimasti della Sardegna e le torri di legno di cui parla la tradizione laziale, i toponimi Pyrgi, Pyrgo, ecc.)  e parlano greco eolico (I, 90).  Da qui traiamo la conseguenza che nel bacino orientale del Mediterraneo i Tirreni (gli Italiani) dovrebbero essere chiamati sempre, sostanzialmente, allo stesso modo, Tirreni, Tyrrhenoi, Tyrsenoi, ecc. Invece, per depistare, i Greci li chiamano Pelasgi, addirittura snaturandoli (in quanto sono definiti di lingua non greca e per estensione non indeuropea), e gli Ebrei li chiamano Filistei (anche Beniaminiti), qui rimanendo comunque riconoscibili come Romani, perché, a giudicare dai loro vocaboli che emergono dal testo biblico, parlano una lingua greca o comunque indeuropea, hanno legioni di 3000 uomini guidate da vessilliferi con copricapo a testa di lupo (lo ricavo dal fatto che Beniamino è definito un lupo da Giacobbe/Israele), il loro matrimonio assume l’aspetto cerimoniale del ratto delle spose,  ecc. I Romani furono i primi a parlare la lingua “greca” che introdussero nelle aree culturalmente depresse (dove avevano regnato gli Hyksos del re, documentato storicamente, Jahqub, 1650 ca.) che  rimase parlata e scritta in Grecia e altre regioni limitrofe e perciò fu detta poi greca. Dionisio d’Alicarnasso, tenendo presente l’opinione di antichi linguisti, ci informa che la lingua di Roma era greco eolico (in particolare è stata notata la presenza del digamma che si riscontra anche nell'Apoteosi di Radamanto, che io ora attribuisco ai Romani dominatori di Creta dalla capitale iniziale Festo, in evidente collegamento via mare con l’Egitto da cui più direttamente dipendeva). In Oriente Roma aveva due capisaldi importanti: Tebe d’Egitto e Troia. Dalla preminenza dell’Egitto su Creta e la Grecia possiamo dedurre che Troia non riuscì a svolgere un ruolo analogo nel dominio del settore nord-orientale del Mediterraneo,  a causa, evidentemente, dell’ingombrante impero ittita.  Vi sono però tracce che indicano che  l’interesse romano nel Mediterraneo orientale si rivolse prima di tutto a Troia (dove indizi della tradizione, Palladio, e archeologici, farebbero addirittura risalire la dominazione romana al 2500 a. C., se non addirittura alla fine del IV millennio) e probabilmente da qui, come a testa di ponte da Roma, partì l’assalto all’impero degli Hyksos per cacciarli prima di tutto dall’Egitto.  

I Romani furono i primi a parlare greco e ad esportarlo nel loro impero da Occidente a Oriente, dall’Atlantide originaria verso la Troade, l’Egitto,  Creta, la Grecia, l’Alta-Siria,  dove  attecchì nelle aree poi dette greche. Ritengo  impossibile sostenere (come fa un reputato studioso) che l’ittito sia nato in  Anatolia, dal momento che è una lingua kentum, come il tocario, e come il greco! Le lingue indoeuropee hanno subito una differenziazione fra occidentali (kentum per dire 100) e orientali (satem per dire 100). Abbiamo qui la riprova che la civiltà occidentale, dell’impero di Atlantide (dove la civiltà nasce, conforme alle tracce archeologiche spagnole di Tartesso e sarde, intorno al 2000 a. C.), arriva in Oriente dalla metà del II millennio, dopo la sconfitta degli Hyksos, portandovi le sue varianti linguistiche. I popoli che appartengono al gruppo linguistico germanico, Tedeschi in testa, sottolineano le affinità dell’ittito col loro gruppo linguistico (e  vedono in quella  ittita una civiltà che in gran parte risente del loro genio, specie degli originari dell’Assia)  ma l’ittito ha più significativi legami col latino e col greco (potendo essere riferito con maggiore credibilità alla civiltà del primo impero di Roma, Atlantide, piuttosto che a dei popoli sicuramente  ancora barbari): kartis – lat. cordis, gr. kardía; kwis – lat. quis; akuvanna – lat. aqua; ammug, amu ug – lat. ego sum (ingl. I am; da accogliere in quanto costoro vivevano nel versante Atlantico raggiungibile e raggiunto via mare dai Romani). L’ittito, caratterizzato da un maggiore arcaismo tipico delle aree marginali, fa parte dell’indeuropeo comune  (Enciclopedia Universale Fabbri) elaborato soprattutto da Roma e dal suo primo impero.     

  Divenendo per me sempre  più remota   l’ipotesi dell’origine dell’indeuropeo  dalle steppe della Russia meridionale, credo comunque che la sua direzione primaria fu lungo il Danubio verso Italia/Atlantide e da qui si diffuse (oltre che in Europa occidentale) dietro alle legioni romane della prima Roma e alle loro conquiste  nel Mediterraneo  fino all’élite dei Mitanni in Alta Siria. La civiltà vedica  della Valle dell’Indo trae origine dagli Arii (Romani o vassalli dei Romani) di Mitanni.

Faccio notare che da un estremo e all’altro dell’impero linguistico indeuropeo troviamo rex e rajah, Urano e Varuna, i flamini romani e i bhramini indiani, i Dioscuri  e gli Ashvin, Zeus, Diòs e Dyaus,  ignis “fuoco”  e Agni dio del fuoco indiano, Aurora/Eos e Usas. Mitanni (che del resto sta in piedi per poco tempo, sostituita dagli Ittiti) è caduta come un castello di carte false perché  Mutemuia/Europa non è  mitannica, bensì italiana, come Minosse/Abramo suo parente (mentre Cadmo è un impostore traco-illirico che in preda al vino  sacrifica a Giahvè/Dioniso esseri umani, come l’Abramo degli Hyksos/Cananei israeliti, vedi il manuale).. Così in ballo rimangono solo i  Romani di Atlantide, che hanno dei governatori dovunque, anche a Mitanni.  L’orizzonte della diffusione della civiltà atlantidea sia verso le Americhe (e da qui oltre l’America Centrale: passando più facilmente all’altezza dello stretto di Panama, nel Pacifico fino all’Indonesia), che verso l’India, per quello che appare in questo lavoro, è l’età di Amenofi III (1390-1352 a. C.). Almeno da questo momento tutto il mondo riceve  direttamente o indirettamente la civiltà del Vecchio Continente tramite Roma.  Ad esempio è noto che  le civiltà americane si sviluppano dalle popolazioni asiatiche che hanno superato lo stretto di Bering e sono discese dall’estremo nord fino all’estremo sud della Terra del Fuoco. Ma poi ci sono state delle alterazioni di questo schema dovute ad immigrazioni via mare.  Io comincio a ritenere che i Romani, almeno dalla prima metà del XIV secolo, furono responsabili della diffusione dovunque (verso Occidente e verso Oriente) della civiltà del Vecchio Continente (ad es. le piramidi a gradini)  sia direttamente che indirettamente (dall’America centrale all’Indonesia). Da Roma all’India l’influsso è diretto da Occidente a Oriente, via Mitanni. La civiltà di Harappa nel Punjab e Moenjo-Daro nel Sind, dal 2400 al 1500 circa, rimangono mute ma in relazione con la civiltà sumero-babilonese. L’indeuropeo si svolge in India dal 1400 ca.,  da Mitanni, e dunque da parte dell’iniziativa romana,. sovrapponendosi alla civiltà della valle dell’Indo. E’ interessante notare che i gemelli Ashvin, del periodo vedico, cioè ario, sono ritenuti il simbolo del pianeta Venere come stella mattutina e vespertina (devono scortare la barca,  poi il carro, del Sole), esattamente come nell’America precolombiana  Xolotl, dio cane di  Quetzalcoatl, e cioè  Amenofi III/Eracle divinizzato dopo morto come dio Sole. I miti del Perù presentano Venere nei suoi due aspetti di stella della sera e stella del mattino sotto forma di gemelli (vol. 21  della Storia Universale Feltrinelli, p. 243 e 208-209). Lo stesso si riscontra presso gli Olmechi del Messico dove abbiamo la grotta, la donna-giaguaro, i gemelli, l’ascia come offerta preminente (p. 209), ciò che rimanda anche al culto delle caverne cretesi dove è presente la doppia ascia. Avevo già in altri lavori associato i Dioscuri alla barca solare di Ra. Ora aggiungo che a Roma stessa Romolo e Remo sono associati alla grotta e alla lupa nutrice. Insomma all’origine c’è la visione astronomica-funeraria, il destino di divinizzazione e identificazione dei re con gli dèi, prima quelli d’Italia, poi quelli dell’impero di Atlantide, da una parte e dall’altra. Il lupo diventa lo sciacallo egizio e dei Beniaminiti (che sono sempre Romani, ma  gli Ebrei conoscono lo sciacallo non il lupo che comunque gli è imparentato, mentre il cane è un lupo addomesticato). Nel Disco di Festo Minosse è stato allevato a Roma o comunque in Italia, e secondo la nostra tradizione deve essere stato allevato dalla Lupa (anche la Capra Amalthea, al posto del lupo,   rinvia a Roma, come vedremo), come tutti i grandi. Minosse sarà andato in Grecia e Creta, mi immagino, assai rare volte (soprattutto attraverso suoi rappresentanti), ma, come  Amenofi III, che era noto localmente come Radamanto (e la madre di costui Mutemuia, era nota  come Europa), anche il suo visir  era visto localmente come un cretese a Creta,  un greco in Grecia, un Cananeo in Palestina e così via,  e perciò allattato dalla capra Amalthea (in Siria abbiamo l’attestazione dell’allattamento del re, e la dea madre è Anat, Athirat, Atargatis, Qadesh, Astarte, raffigurata come dea dei gigli o dei serpenti,  Paolo Matthiae, La Storia, vol. 1, dalla preistoria all’antico Egitto, Mondadori, pp. 449, 453-454; la Grande dea Siria di Apoteosi mostra  un’influenza siriana su Festo e Creta che immagino risalga al tempo della dominazione degli Hyksos, se non prima). L’associazione di Minosse defunto con l’astro Venere che guida la barca solare su cui viaggia Radamanto Amenofi III ci consente di affermare appunto che il visir da vivo è stato la guida fedele del faraone e continua ad esserlo da morto e divinizzato. Amenofi III ha voluto Giuda (Jaehud > Jhud)/Minosse, alias Abramo degli aronniti, sepolto vicino a sé nella Valle delle Scimmie.      

Il libro I della Biblioteca storica  (che tratta delle antiche genealogie italiane nel mondo, sottratteci dai Greci) di pseudo-Apollodoro, prima di trattare della genealogia italica di Eolo, inizia con le genealogie degli dèi, che oggettivamente nascono in Italia/Atlantide dal 2000 a.C. Dunque la religione occidentale fu portata con la lingua “greca” in Grecia (e in Oriente in generale) da Roma e dall’Italia, da Atlantide!

I Tirreni, secondo Dionisio d’Alicarnasso, furono i migliori marinai dell’antichità: « I Pelasgi erano divenuti migliori di molti popoli nel fare la guerra perché, vivendo tra genti bellicose, erano abituati ad imprese rischiose ed ancor più essi erano esperti nella navigazione per aver vissuto coi Tirreni. » (I, 25, 1, 1) A Troia VI, colonia di Roma, si parlava greco eolico.  Distinguiamo fin d’ora nettamente i “popoli del mare” Pelasgi (che riguardano i Greci imbroglioni, che, dicono loro,  scendono dalla Tessaglia fino a Dodona e poi da qui verso l’Adriatico e lo Ionio), dai Tirreni del Mar Tirreno, signori dei mari, i Romani.

Alcìnoo, re di Roma,  trovandosi a Pyrgi porto di Cere, dice a Odisseo: « questi [i marinai Italiani] il placido mare colpiranno coi remi, finché alla patria tu arrivi, alla casa, dovunque ti è caro, anche se è molto più in là dell’isola Eubèa, che lontanissima dice chi l’ha veduta dei nostri; là il biondo Radàmanto a veder Tizio condussero, il figlio di Gaia. Là essi arrivarono e senza fatica compirono il viaggio nel medesimo giorno e tornarono indietro.  E anche tu in cuore saprai quanto eccellono le navi mie e i miei uomini a rovesciar col remo la schiuma. » (Od. VII, 319ss)  La visita di Radamanto al gigante Tizio dell’Eubea avvenne, poniamo,  intorno al 1380 a. C.  Amenofi III regnava su Tebe egizia ma dipendeva da  Roma e dai suoi celebri marinai Tirreni, Sardi e Siculi che avevano in Italia la loro base originaria,  e dopo la vittoria sugli Hyksos erano  stanziati in basi navali sparse ovunque nella parte orientale dell’impero. Le loro imbarcazioni degli ultimi tempi hanno certo ispirato le navi vichinghe (l’impero aveva anche un versante Atlantico). Gli elmi cornuti dei Sardi sono stati adottati  dai Celti. Queste osservazioni  sono importanti per confermare l’estensione del primo impero romano.

Radamanto è notoriamente il signore dei Beati (Campi Elisi/Italia) perché soprattutto da qui viene e origina la sua razza. C’era un interessante passo di Odissea difficile da comprendere fino in fondo ma che ora è chiaro come il Sole: « Infine per te, Menelao alunno di Zeus,  non è fato morire e trovare la fine in Argo che nutre cavalli, ma nella pianura Elisia, ai confini del mondo, ti condurranno gli eterni, dov’è il biondo Radàmanto, e là bellissima per i mortali è la vita… sempre soffi di Zefiro che spira sonoro manda l’Oceano a rinfrescare quegli uomini: e questo perché hai Elena, e per i numi sei genero a Zeus. » (IV, 561ss) Vedremo più in dettaglio che Elena (come i Dioscuri e Clitemnestra)  è Romana ed è tramite lei che Menelao ha un governatorato su Sparta. Il diritto di Menelao di risiedere da morto nei Campi Elisi/Italia sta tutto nell’essere il marito di Elena, la vera titolare del potere (probabilmente Creonte “Potente”, sanscrito Kreyan, fu un equivoco; non corrispondeva ad un individuo reale, ma era il titolo della casta dominante romana, detta anche dei Titani o Giganti, per cui i Creontidi erano i “Potenti” o i Patrizi/Potrizi (Pater/Poter); e ancora: *kreianes “potenti” >  koiranes “signori” >  *seranes, filisteo seranim; Creonte vive troppo a lungo per essere un individuo reale; egli, la “casta dominante dei Potenti, dei Titani d’Italia”, fa il tappabuchi e,  tutte le volte che a Tebe, d’Egitto, c’è un vuoto di potere, governa, o meglio invia suoi rappresentanti per governare, soprattutto le donne italiane che portano con sé il titolo regale).

I Romani conquistarono l’Oriente a partire dalla sconfitta degli Hyksos intorno al 1520 a. C. e alla salita sul trono d’Egitto del faraone romano Ahmose (che nella tradizione israelita può anche essere stato chiamato Mosè, trasformato da cacciatore in guida dei cacciati) fondatore della XVIII dinastia. Ma già verso la fine della XVII dinastia tebana abbiamo Tetisheri (Teti “la piccola”; ho pubblicato in altri lavori foto di una sua statua creduta, secondo me a torto,  un falso) la fondatrice intorno al 1600 a. C. (al momento i dati archeologici non consentono  Roma capitolina capitale prima del 1600 a. C., probabilmente anche a causa dell’incompetenza di chi la sta scavando, che si ricava dalle stupidaggini scritte sulla Roma preromulea da uno scavatore recente o attuale;  ma non c’è dubbio che ci attendono sorprese da questo versante, in quanto Atlantide della tradizione è nettamente legata a Roma  fin dalla nascita di questa civiltà: 2000 a. C. almeno; mi domando   se la natura di alcuni o tutti i sette colli di Roma sia  per caso artificiale, e ancora, si dovrebbero individuare con la fotografia aerea gli antichi bacini di carenaggio delle navi assai entroterra; insomma se Atlantide è esistita, ed è esistita, le tracce della sua capitale devono spuntar fuori) della potenza navale di Roma capitale di Haunebu/Ausonia, che metteva in campo  diecimila carri e milleduecento navi (Platone, Crizia). Teti era una delle Titanidi. I  Titani erano visti e perciò si vedevano come dèi o superuomini. Per dare un’idea, i Nordamericani di oggi, Con tutti i loro difetti  restano di gran lunga i migliori, dei Titani, senza i quali il mondo sarebbe molto peggiore. I Titani e Atlantidi, i primi Romani,  erano animati da uno spirito avventuroso e cavalleresco che rappresentò il migliore Medioevo ante litteram. I signori vivono in castelli turriti, i nuraghi conservati dalla Sardegna  (e perciò son detti Tirreni, in quanto costruttori di torri),  e curano il galateo e modi di vita raffinati, si dilettano di  corse di quadrighe, tornei di cavalieri, cantori di corte e tutta una serie di intrattenimenti costituiti da suonatrici, danzatrici, giocolieri, acrobati,  ecc., per soddisfare il corpo e lo spirito. Secondo il loro ultimo poeta, Omero:               

« Corriamo veloci e siamo a navigare eccellenti. E sempre il festino c’è caro, la cetra, la danza, vesti mutate, e bagni caldi, e l’amore. » (Od. VIII, 247ss)  « eccelliamo su tutti nell’arte navale e alla corsa,  nella danza e nel canto. » (Od. VIII,  252ss) Fu questa certo la famosa età dell’oro che gli antichi ricordano con nostalgia, quando i faraoni romani sedevano sul trono di Tebe egizia dalle cento porte e su quello di Troia fondata da Posidone.

Teti aveva culto oracolare a Cere (dove era stanziata una guarnigione di marinai e soldati Sardi), città sottomessa a Roma fino al tempo del re Tarquinio il Superbo e da cui dipendeva il porto di Pyrgi (che spesso i predoni greci attaccavano per razziarne i tesori ma soprattutto , io credo, per distruggerne gli archivi, in quanto era una delle  memorie storiche del primo impero di Roma). Dunque coi Titani la civiltà di Atlantide ebbe la sua celebre età dell’oro connessa con Saturno/Crono, per cui l’Italia veniva anche detta Saturnia tellus. Tutta la civiltà di cui i Greci si appropriarono era la nostra in Italia ed esportata dalle nostre legioni in Oriente, Grecia compresa. Dopo la prima guerra mondiale contro gli Hyksos dominammo sui principali centri orientali,  Tebe d’Egitto, Troia, Festo,  Cnosso, Micene, Biblo, avendo contatti politico-commerciali coi paesi del Golfo Persico. Poi, coll’inizio della XIX dinastia (adoratrice di Seth e dunque connessa col cosiddetto ritorno degli Eraclidi/Hyksos) Egizi e Ittiti si coalizzarono e ci impedirono il passaggio dal Mediterraneo ai nostri partners nel Golfo Persico. In questa fase finale si distinsero i figli degli dèi, dei Titani, gli eroi dell’età del ferro, i Giganti come Achille o Golia (vengono rappresentati come giganteschi per rafforzare il significato del nome, che li classifica  come  appartenenti alle classi alte; analogamente i Titani, sono raffigurati giganteschi di statura; all’opposto di com’erano rappresentati,  Romani  Sardi e Siculi  erano dei bassotti). I Romani, con la seconda guerra mondiale, perseguirono la distruzione dell’Egitto e di Hatti (riuscendovi, perché da allora, sotto Ramses III, gli Egizi non si ripresero  più e gli Ittiti sparirono addirittura dalla storia) a costo della  stessa propria distruzione,  tramandata sotto forma di guerra e falò di Troia o anche  affondamento dell’impero di Atlantide, un affondamento metaforico, dovuto soprattutto al furto della nostra tradizione da parte dei Greci (e in misura minore degli Ebrei ed Egizi). Ma in realtà Roma guidò il mondo tanto nell’età dell’oro (in realtà del bronzo) che in quella del ferro (1 Samuele 13, 19-219).

Nell’età del bronzo e del ferro sul primo impero di Roma non tramontava mai il Sole. Ancora al tempo di Salomone (970 a. C.; prendiamo la tradizione come in qualche modo valida ma per descrivere Atlantide), governatore romano su Gerusalemme, l’impero atlantideo andava dalle Americhe fino al probabilmente di nuovo raggiunto Golfo Persico (dopo la riconquista del passaggio via terra in seguito alla vittoria di Roma ad Afèq, 1150 a. C., sui popoli della Siria-Palestina, dopo la messa a tacere di Egitto e Hatti). 

Roma fu sempre leader, tanto nell’età dell’oro (del bronzo) che in quella del ferro,  che comportò il passaggio dalla civiltà antica, piramidale, con il sacerdote sumerico (vice del dio) in cima alla ziqqurat, latifondista, schiavista, vivente a carico della massa lavoratrice, con scritture per pochi eletti, con migliaia di segni, a quella moderna, mercantile, assembleare, che introduce dapprima la scrittura sillabica con circa un centinaio di segni (Disco di Festo, Lineare B) e poi l’alfabeto. Il Romano Omero (acme VII sec.) fu l’ultimo nostro cantore, nella nostra lingua “greca”, di questa rivoluzione, di questa età assiale della storia mondiale. Sostengo che fu la grande e immensa Roma a traghettare l’umanità nel mondo moderno, occidentale, della libertà e della democrazia (e fu il cristianesimo di matrice giudaico-persiana a ripiombarla in una rinnovata età piramidale schiavista in cui il sacerdote vive alle spalle del popolo ignorante e succube della religione: il buio della ragione genera mostri).  

Romolo non inventò nulla, bensì continuò, da tiranno, la civiltà della prima Roma  che aveva inventato già tutto o quasi. Ad esempio, Amenofi III/Radamanto (1390-1352), vien detto nell’Apoteosi: “esperto del diritto pubblico e privato”. Le legioni Romane di 3000 guerrieri (lo si ricava dalle milizie del generale romano Saul, che milita originariamente fra i “Filistei”) e in proporzione di 300 carri con le ruote cerchiate di ferro, guidate da vessilliferi con in capo una testa di lupo (lo si ricava dall’emblema dei Beniaminiti, i guerrieri per antonomasia di Saul),  hanno calpestato quasi ogni centimetro del mondo antico,  ma appunto per questo amano la pace (si vis pax para bellum) e, appunto per questo, perché sono veri uomini, tengono la donna sul palmo della  mano destra, ciò  che li oppone profondamente all’Oriente (Egitto escluso, finché fece parte integrante di Roma dalla fine della XVII e tutta la XVIII dinastia), dove la donna è trattata come un oggetto, comprata dal marito in cambio di qualche capo di bestiame e chiusa nel gineceo.    Fu a Roma Capitolina che nacque la poesia curtense (da corte signorile, castello) che celebrava la donna,  oggetto dell’amore dei nobili cavalieri.  Non era però la donna fragile, perfino anoressica,  spirituale (alla Beatrice di Dante), quella cui era rivolto l’interesse primario dei primi Romani. Essi preferirono la donna che per il suo fisico atletico ed il suo carattere forte riusciva a tenergli testa, la donna capace di dividere con loro  la guerra e il comando, oltre che il letto, come  le  Amazzoni “libiche”, e cioè le regine italiche  sul trono di Tebe, Tetisheri, Ahhotep, Mutemuia/Europa, fino ad  Atalanta (che uccise il Cinghiale di Calidone/Roma e partecipò alla spedizione degli Argonauti partita da Pyrgi/Roma), a Deianira (che amava guidare il carro e si esercitava nelle attività guerresche, Apollodoro I, 8) figlia di Eneo di Calidone/Roma e di Altea figlia di Testio (in loco era l’Acheloo/Tevere dal cui corno deriva la cornucopia connessa con il corno della capra Amalthea, che dunque nutriva i re di Roma, Apollodoro II, 7), Arete e la stessa Nausicaa.  Negli stessi affreschi tombali di Tarquinia degli Etruschi eredi bastardi dei Tirreni, la donna ci appare ancora libera e  alla pari dell’uomo. Omero così ci presenta Arete, capace di trattare a tu per tu con suo marito (e zio paterno) Alcìnoo di Pyrgi, che « l’onorò, come nessuna sulla terra è onorata, fra quante donne reggono ora una casa, sottomesse al marito, tanto di cuore è stata onorata ed è ancora dai figli suoi, da Alcìnoo medesimo, e dal suo popolo, che, come un nume guardandola,  con saluti l’accoglie quando passa in città. Né certo manca di nobile senno, e a quelli che ama, anche ai principi, appiana contese. Se lei, dunque, è ben disposta nell’animo, allora spera di rivedere gli amici e tornare all’alta casa e alla terra dei padri. » (Od. VII, 67ss)

Mentre combattevamo  per ricreare l’impero (secondo impero romano, da Romolo in poi), e non avevamo tempo per leggere e oltretutto avevamo una nuova lingua (il latino) dovuta certo all’immigrazione massiccia dei Sabini dagli Appennini,  i Greci, che ci avevano portato via parte del primo impero (con la colonizzazione greca),  se ne erano appropriati anche  la tradizione relativa. Sono stato capace  di ricostruire come stavano le cose, ma un ulteriore criterio per capire che siamo stati derubati è il seguente, semplice semplice. Il suolo conserva la tradizione. Historia non facit saltus, la storia è un flusso di vita continuo nel tempo, senza soluzione di continuità. Dall’età dei primi nuraghi, delle prime torri, dei primi castellacci “medievali”, in Italia costruiamo  edifici, fontane, statue, qualsiasi cosa, e gli diamo nomi tradizionali. La vita continua,  impercettibilmente cambiano gli usi e costumi, ma evolvendosi il nuovo dal vecchio, per cui dal 2000 a. C. a oggi è tutto un flusso continuo di vita cristallizzata in parole e manufatti che parlano e ci raccontano chi siamo e da dove veniamo.  E’ un controllo da farsi semplice semplice, e lo potrebbe fare anche un bambino, anche un analfabeta. Se tutte le cose di cui parliamo stanno in Italia e specialmente a Roma, o invece, come dicono i Greci, in Etolia o in qualsiasi altra regione della Grecia. Io sostengo l’ignoranza abissale degli pseudo esperti di opere d’arte antica,  archeologi,  etruscologi, romanisti, grecisti, ecc., laureati alla… “bocconi!” Non si sono evidentemente  mai chiesti come mai di Ino Leucothea (gettatasi nelle acque di Pyrgi/Santa Marinella, insieme al figlio Melicerte/Palemone, divenendo  Leucothea protettrice dei naviganti e Palemone protettore dei porti); Argonauti;  Dioscuri (apparizione alla battaglia del lago Regillo, Roma; Tinasclenar su kylix attica da Tarquinia del 500 a. C.  e  i Dioscuri su lamina di bronzo coeva dai tredici altari di Lavinio/Pratica di Mare); Tideo (frontone fittile del tempio A, 480-470 a. C.,  di Pyrgi); Bellerofonte/Pegaso > Cavalli alati (Ara della Regina, Tarquinia); Bellerofonte > Chimera (Arezzo); Sisifo (iscr. etrusca  da Tarquinia); Acheloo (raffigurazione del Tevere/Vertumno  il “Mutevole” al Museo Nazionale di Tarquinia) … si trova tutto e solo in Italia, in area tirrenica ereditata dagli Etruschi, preferibilmente a Roma (fontane dei  Tritoni/Tevere, cf. la palude del lago Tritonide, cioè il Tirreno dopo lo sfondamento oceanico delle Colonne d’Eracle, che verisimilmente si chiamavano prima Colonne di Atlante).  E poi, quanto ai prodotti della presunta arte ceramografica greca (ed altro) che si suppone importata dalla Grecia dai (solamente) “ricchi” Etruschi in Italia, siamo proprio sicuri che i Romani,  che avevano un Omero, non fossero essi stessi (e perfino gli Etruschi) autori di questa arte in buona parte attribuita semplicisticamente ai Greci? L’arte  greca contemporanea alla nostra più antica è geometrica  e le figure umane e animali rimangono rigide e impalate anche in seguito, come quelle della produzione attica.  L’arte greca  non ha anima, a differenza della nostra, che ha addirittura il fuoco sacro di Efesto dentro.

 

La Chimera d’Arezzo

Noi Italiani siamo da sempre noti come popolo di navigatori, esploratori, poeti, musicisti, grandi amatori, e non ricordo quant’altro. Questi tratti caratteristici tradizionali possiamo definirli eterni, costituendo il genio della nazione. Il fatto che l’Italia sia stata invasa e popolata anche da numerose genti straniere ha potuto modificare marginalmente il sangue, mentre ciò che conta è la lingua veicolo della cultura, rimasta  sostanzialmente la stessa (con una logica evoluzione nel tempo), e così gli usi e costumi, le tradizioni, di cui appunto è custode il suolo. E’ la cultura locale trasmessa dalla lingua locale che fa una nazione (che trasforma ad esempio in Italiani  gli immigrati africani, asiatici, ecc., che ne apprendano la lingua e attraverso questa gli usi e costumi; mentre al contrario larghi strati di italiani analfabeti o quasi si emarginano dalla nostra civiltà storpiando la lingua e parlando volgari dialetti), tanto più che la lingua si impone sul suolo e ne trasmette la tradizione.

Dunque, al contrario di ciò che ci hanno propalato gli antichi, E? a?at???? t? f??,  con la passiva complicità degli imbecilli che siedono sulle cattedre universitarie a leggere il giornale dello sport e a fare i cruciverba, io comincio ad affermare:

 E Roma lux

La Lupa Capitolina

Sono il migliore, ed è per questo che, in un’Italia marcia e putrida, ancora non ho l’istituto di ricerca o la cattedra cui da tempo ho diritto nel vuoto abissale che mi circonda. I baroni dell’Università sono il frutto dell’Italia incompetente e parassita da rottamare. Speriamo sia giunta l’ora del rendimento di giustizia.  Tutti affermano che l’Università è piena di mediocri che selezionano solo mediocri. Dunque  mandateli a casa! Per intanto, in ogni caso, scrivo tutto io perché la loro incompetenza abissale mi lascia libero il campo, da sempre. 

 

Quando  alla metà del III millennio a. C. venivano costruite le piramidi di Kufu, Kafra, Menkaura, e la Sfinge di Giza, monumenti alla grandezza dell’Oriente e alla sua civiltà che come Ra illumina il mondo da Oriente a Occidente, gli Orientali non immaginavano affatto che  all’estremo opposto del Mediterraneo era già sorta o stava per nascere una civiltà che li avrebbe sopraffatti e dominati dalla metà del II millennio per più di cinque secoli. Per adesso si tratta solo di ciò che mi suggerisce il mio naso, ma credo che le tombe anatoliche datate al 2500 a. C. con cani sepolti a guardia del padrone defunto, scettri sormontati dal globo, prove della lavorazione del ferro, e con spada raffigurante 17 navi assai più capaci di navigare l’Oceano della nave solare di Cheope,  appartengano a signori del mare  Romani di Atlantide nella fase espansiva che mira a consolidare il potere del presidio di Troia, il primo in Oriente. Queste navi oceaniche rimandano subito a Tartesso da cui i Romani raggiungevano dunque già o erano prossimi a raggiungere la Mesoamerica. L’ambra rinvia al Baltico da cui solo proviene, il fregio in oro col nome del faraone Sahura, 2500 a. C. e l’avorio all’Egitto e all’Africa. Ad Atlantide vivevano degli elefanti, cosa che si spiega facilmente con la contiguità dell’Italia all’Africa nella teoria della deriva dei continenti ma anche con l’importazione dall’Africa di un animale esotico oltretutto capace di trasportare tronchi d’albero. In queste tombe sono menzionati una gran varietà di metalli, e particolari come l’elettro, che mi pare di sentir parlare dell’impero di Atlantide nella sua già avvenuta espansione anche in Oriente.  Notare bene che questi stranieri palesemente immigrati non possono avere nulla a che fare con gli Ittiti, che appaiono alla storia solo a partire dal 1700 ca., quasi mille anni dopo, ed erano terragni.  Se un giorno si potranno riferire a Roma questi immigrati, allora si potrà avere realmente l’idea di cosa fosse l’impero di Atlantide  e sostenere a piena ragione: e Roma lux.   Sarà meglio provata la tradizione secondo cui Roma fondò Troia (vedi Palladio, di cui parlerò a tempo debito). Disgraziatamente al momento non riscontro significative tracce archeologiche di Atlantide (a Tartesso, in Sardegna o a Roma) databili al 2500 a. C.

I prodromi della civiltà della prima Roma  sono prima di tutto il disgelo seguito all’ultima glaciazione intorno al 10000 a. C.  Recenti datazioni al radiocarbonio rilevate nel Mar Nero ci dicono che intorno al 5600 a. C. il Mediterraneo si riversò nel Mar Nero (teoria di Ryan e Pitman; avvalorata  da Diodoro Siculo, Biblioteca storica, libro V), che prima era un lago d’acqua dolce, uccidendone di colpo tutte le specie marine viventi e rendendolo un mare morto (il Mar Morto nacque verisimilmente nella stessa occasione). Fu dunque probabilmente intorno a questa data che anche le acque dell’Oceano, innalzatesi in seguito allo scioglimento dei ghiacciai polari, fecero pressione nel bacino occidentale del Mediterraneo, sfondando l’intercapedine di terra che  sarebbe quindi diventata lo stretto di Gibilterra (colonne di Atlante): « Si dice anche che la palude Tritonide scomparve, perché vi erano stati dei terremoti,  quando si ruppero le sue sponde sull’Oceano. » Ovviamente  prima dello sfondamento dell’Oceano, il bacino occidentale del Mediterraneo era chiamato secondo Diodoro Siculo  « palude Tritonide » (III, 53). Da qui sicuramente anche l’affine testo platonico relativo all’”affondamento” di Atlantide: « perciò anche adesso quella parte di mare  è impraticabile e inesplorata poiché lo impedisce l’enorme deposito di fango… » La verità è che per tacere  che stavano parlando dell’Italia e di Roma questi Greci hanno accumulato sciocchezze su sciocchezze, dato che i Fenici e i Greci al tempo di Solone e di Platone navigavano anche oltre le Colonne senza trovare acque impraticabili. Non avendo aggiornato, per lo più dolosamente, l’informazione di età egizia antica con la realtà è ovvio che hanno propalato assurdità. Lo sfondamento dell’intercapedine, Colonne d’Eracle, ha certamente sconvolto il bacino occidentale del Mediterraneo creando la palude Tritonide (ma questo avveniva 5600 anni a. C.!), qualcosa di analogo alla palude Meotide (Mar d’Azov) di Erodoto, ma è certo che le acque tornarono navigabili molto prima del tempo di Solone e Platone e delle navigazioni greche nel Tirreno.  Al centro dell’ex palude Tritonide c’era adesso una Penisola (in greco Chersoneso, che la tradizione greca! confonde assurdamente col nome della città capitale, che è Roma, ma non ce lo vuole dire), che veniva chiamata Esperia (la terra al calare del Sole, altro nome dell’Italia). Ovvio che la palude Tritonide venisse così chiamata dal fiume che vi si riversava, il Tevere. Il Tevere era chiamato localmente anche  Vertumno (Volturno è stato nome antico del Tevere conservato nell’odierno Volturno campano), cioè  “il Mutevole”,  Acheloo, Proteo, Posidone Uranio, che gli antichi descrivono anche come un Tritone. Tritone è una figura frequente nelle fontane di Roma. Voglio sottolineare qui ancora che  il suolo prevale su qualsiasi nuovo occupante, nel senso che in genere si parla la lingua del suolo, si perpetua la tradizione del suolo. Se in Italia, se a Roma, si riscontra il massimo della tradizione di cui qui discutiamo c’è la riprova che tutto proviene da qui. E' evidente che il Tevere è stato presto risalito fino al guado all’altezza dell'isola Tiberina, posizione strategica per un mercato. Questo mercato era il capolinea della via pelasgica che attraversava l'Appennino e seguiva fino alla foce il corso del Tevere.  Roma era anche il capolinea della  via Argonautica fino a Troia e al Mar Nero ad Est e di quella Eraclea ad Ovest fino a Tartesso e alle Colonne. Tutte le strade portavano a Roma anche nel II millennio a. C.  

In nero la terra sprofondata per il disgelo dal 10000 a oggi in base a Shackleton e van Andeln. Non c’è spazio per nessuna Atlantide. Erano due le vie di passaggio attraverso il Mediterraneo, lo stretto di Messina (Scilla e Cariddi) e il Canale di Sicilia (Plancte/Rupi erranti), e quest’ultimo solo gli Argonauti/Tirreni erano stati capaci di superarlo indenni secondo Circe di Colchide in Od. XII, 70ss; secondo Dionisio d’Alicarnasso « I Pelasgi erano divenuti migliori di molti popoli nel fare la guerra perché, vivendo tra genti bellicose, erano abituati ad imprese rischiose ed ancor più essi erano esperti nella navigazione per aver vissuto coi Tirreni. » (I, 25, 1, 1) I Tirreni erano i più grandi navigatori del mondo.

I Greci avevano da tempo deciso di rubarci anche la nostra storia, dopo che gli avevamo dato la lingua e la civiltà, e così, di depistaggio in depistaggio, la nostra terra, che aveva dato la civiltà a tutti, finì con l’essere attribuita… alle   Amazzoni libiche, « completamente scomparse molte generazioni prima della guerra di Troia » (Diodoro III, 52). Queste… Amazzoni… « fondarono una città grande [Roma ovviamente], all’interno della palude Tritonide… Movendosi da questa, RIUSCIRONO A (INVECE DI: tentarono di) realizzare grandi piani, còlte dalla bramosia di invadere molte parti del mondo abitato. » (III, 53-54) La città grande è senza dubbio Roma Capitolina come   possiamo verificare confrontando con la tradizione di Atlantide in Platone. La capitale di Atlantide (Crizia) era costruita su un COLLE (il Campidoglio; Crizia  parla di « monte (sic!), di modeste dimensioni da ogni lato (sic!) ») … « vicino al mare ma nella parte centrale dell’intera [pen]isola… [al centro di] una pianura che si dice fosse di tutte la più bella e garanzia di prosperità  (la pianura laziale) ». Immaginatevi la forma geometrica di un’isola la cui capitale sia al centro dell’sola e nello stesso tempo vicino al mare. O l’isola è minuscola,  oppure (se si tratta di Atlantide, e Platone sta descrivendo Atlantide!), deve avere una forma oblunga come l’Italia, che a proposito delle “isole sacre dei Tirreni” di Esiodo ebbi già ad osservare che doveva essere considerata dagli antichi, sia pure impropriamente, un’isola.  Dall’Enciclopedia Universale Fabbri: Roma è « situata quasi al centro fisico della penisola, a poco più di 20 km dalla costa tirrenica e nel mezzo di un’ampia pianura  ondulata, la Campagna romana. »  Crizia dice a circa 50 stadi dal mare, ma da allora ad oggi com’è evidente il mare s’è allontanato dalla città a causa del Tevere che ha trasportato sabbia sul mare. Il nome Roma o Ruma significa “Colle”, come si evince dai testi biblici che parlano di Rama (anche Ruma), la  Roma costruita dai Romani a circa 10 km a N di Gerusalemme. Sono il primo fra antichi e moderni ad  aver compreso il nesso fra la penisola di Esperia delle Amazzoni e Atlantide con l’Italia e con Roma.

Immaginiamoci adesso l’impressione che questo cataclisma fece nelle coscienze dei nostri primitivi antenati di 7600 anni fa e che fu rispecchiata nella loro tradizione più o meno religiosa. A dire il vero credo che sia difficile trovare un popolo meno religioso dei primi Romani, come rispecchia l’ateo Omero, poeta dell’ateo Tullo Ostilio. In quei giorni memorabili era avvenuto uno scontro fra Titani, così che c’era stato un momento in cui terra cielo e mare s’erano  precipitati l’uno contro l’altro e rimescolati brutalmente come in una nuova creazione del mondo. La Terra, Gea,  si sarebbe detto poi, era stata violentata dal mare, dall’Oceano, (e dal cielo, da Urano; probabilmente questo fu sostituito all’Oceano dai Traci invasori della Grecia da cui abbiamo la tradizione depistata), il tutto accompagnato da un rombo assordante, come se tutte le potenze infernali fossero ad un tratto uscite fuori dal Tartaro. Ovvio che l’antica tradizione romana in lingua greca, perché i primi Romani parlavano greco eolico, come ci dice Dionisio d’Alicarnasso, aveva personificato   le forze scatenate della natura nei tre Centimani con appunto cento braccia e cinquanta teste ciascuno o nei tre Ciclopi con un solo occhio in mezzo alla fronte (collocati in Sicilia).  Nel III millennio a. C.  l’Italia era probabilmente come un enorme drago adagiato nel mare, scosso da terremoti e maremoti, ed  eruttante fiamme dai Castelli Romani (dove sono nato)  alla Sicilia, e proprio  qui sarebbe nato un giorno il mirabile artefice Efesto, precursore  dei Benvenuto Cellini e, in quanto inventore, dei Leonardo da Vinci.  

Abbiamo detto che il Mediterraneo assunse la sua forma attuale dopo  il 5600 a. C.  E’ una data assai verosimile in quanto nel V millennio due civiltà sorgono presso l’Italia  dalle quali questa deve aver ricevuto importante linfa, le civiltà del Tassili (“Amazzoni libiche”) e  di Malta.

Malta è a due passi dalla “Libia” e dalla Sicilia. I circa trenta templi dell’arcipelago maltese (le facciate sono decorate  con corna di toro) derivano dalle sepolture collettive ipogee attestate dalla fine del V millennio. Appartengono evidentemente ad una civiltà evoluta, la più evoluta del Mediterraneo (prima delle piramidi d’Egitto, che risalgono al 2500 a. C. ca.). Gli edifici templari erano circondati da un possente muro a forma di D e potevano raggiungere i 9 metri d’altezza. Gli interni erano intonacati e dipinti anche con rilievi geometrici e figure animali. Sono state rinvenute statue votive, come la dea obesa dormiente con gonna scampanata sul letto dell’ipogeo di Hal Saflieni, probabile prefigurazione del “risveglio” dopo il sonno della morte. Si nota il motivo decorativo a spirale che richiama la spirale del Disco di Festo e conferma il suo carattere funerario connesso alla resurrezione garantita dalla Grande Madre. Si ritiene che i costruttori provengano dalla Sicilia (altra isola di Atlantide).  Se fosse vero potrebbe trattarsi di un argomento a favore della maggiore antichità della civiltà di Atlantide. Sempre al V millennio risalgono  le pitture rupestri del Tassili, Sahara algerino.  

 

I primi dèi (della civiltà occidentale) furono Romani. Abbiamo le prime tracce della nostra civiltà del primo impero in Biblioteca I, 1 di pseudo Apollodoro. Facendo il parallelo con Genesi, dove gli antenati degli uomini attuali (dopo il diluvio di Noè del XIII secolo a. C. respinto indietro nel tempo immemorabile secondo una tecnica menzognera di cui Greci ed Ebrei “Aronniti” sono esperti) sono Sem (Asia) Cam (Egitto) e Giafet, è evidente che il titano Giapeto, ad una prima approssimazione, rappresenta l’Europa. (L’indeuropeo proviene proprio da Occidente) Un altro titano è Oceano (Atlantico), di cui abbiamo detto. Un altro ancora è Crono, l’ultimo nato, che diventa il re di tutti. Gea la terra, sua madre, gli regala una falce d’acciaio (per evirare Urano) e cioè il ferro di cui i Romani avevano il monopolio. Il primo sposo di Asenat/Ankhesenaaten, Tutankhamon, faraone di discendenza romana, aveva un pugnale con lama in ferro, e in ferro era la lama di una delle spade di Dorak presso Troia, città fondata da Roma secondo la tradizione del Palladio (Troia risale a circa il 3100 a. C. ed è dunque tanto antica quanto Memfi, anche la cui fondazione sarebbe attribuita a noi dalla tradizione “greca”), e che molto probabilmente servì da base navale (cf. l’altra spada di Dorak con 17 navi disegnate sulla lama) per la conquista dell’impero degli Hyksos alla metà del II millennio. Crono era Saturno e Saturnia fu uno degli antichi nomi dell’Italia, Saturnia tellus. Il regno di Saturno (dalle Americhe a Troia  al Caspio, al Golfo Persico) rimase noto come età dell’oro. Hera nell’Iliade dice di voler andare a trovare i suoi genitori (Crono e Rhea) agli estremi confini del mondo, dove è Giapeto (antenato degli ariani), ovviamente ad Occidente. Hera è la protettrice del viaggio degli Argonauti che parte da Pyrgi, porto di Cere, città soggetta a Roma, ed è anche la protettrice di Troia dagli assalti pirateschi di Eracle, e non a caso viene perciò punita da Zeus giahveista che la tiene sospesa nel vuoto sulla cima dell’Olimpo. Anche Efesto, il mirabile fabbro, sta dalla stessa parte di Hera, dalla parte di Roma. E’ lui, nell’Iliade, costruttore di automi, una specie di Leonardo da Vinci ante litteram,  l’artefice delle meraviglie che si trovano nel palazzo di Alcìnoo re di Roma che  accoglie Odisseo nella sua residenza di Pyrgi, Santa Marinella.

I Titani sono nell’ordine: Oceano, Ceo, Iperione, Crio, Giapeto e Saturno. Le loro sorelle Titanidi: Teti, Rhea, Themis, Mnemosyne, Febe, Dione, Thia. Sospetto che alcuni nomi siano stati inseriti in età djahveista e dunque non li considererò, almeno per il momento. Iperione e Thia ebbero Eos (Aurora), Elios (Sole) e Selene (Luna). Ceo e Febe  generano Asteria e Leto. Asteria per sfuggire a Zeus (dio djahveista, cioè barbaro dell’Illiria-Tracia e Armenia) si trasforma nell’isola di Ortigia. Leto partorisce Artemide, la quale (facendo da levatrice, da Artemide Ilizia) l’aiuta a partorire anche Apollo. Ma Artemide sarebbe nata a Ortigia (Inno omerico ad Apollo), che va distinta da Delo.  Ortigia si trovava vicino alla Sicilia, come dice l’oracolo di Delfi: « Da qualche parte, nel campo nebbioso del mare, là dov’è Ortigia, vicino a Trinacria/Sicilia, la bocca schiumosa di Alfeo si mescola con la fonte zampillante di Aretusa. » Tutti questi elementi legano l’origine di Artemide all’Italia (la Sicilia fa parte delle isole sacre) prima ancora che a Delo, che dunque è una successiva fondazione romana in Oriente. Il tutto è fondamentale perché nell’Apoteosi di Radamanto Artemide Delia (di Ortigia) è centrale. E’ nutrice di Minosse che, come sappiamo, è connesso con la Sicilia, dove morì a Camico. Se teniamo conto che secondo alcuni proprio dalla Sicilia provengono i fondatori della civiltà maltese (V millennio) la cosa si fa interessante. Gli Iperborei devono essere ancora gli Italiani  quando sono ormai tanto depistati che i Greci non riescono più a raccapezzarcisi con le loro menzogne, loro che adorano il dio della menzogna Djahvè/Zeus.

L’Eridano è il Po, dove Fetonte cadde per essersi avvicinato troppo al Sole, che è Apollo. E Apollo si divideva appunto fra Delphi e gli Iperborei/Italiani.  Arge e Opi  avevano accompagnato Leto al tempo del parto, ovviamente dal paese degli Iperborei fino a Delo. Sono i Deli a narrare le notizie più sostanziose sul conto degli Iperborei, dice Erodoto. Perché, mi chiedo, le offerte degli Iperborei devono arrivare nelle mani degli Sciti e poi dagli Sciti di gente in gente  passano fino a giungere nel lontanissimo Occidente, fino all’Adriatico, per poi arrivare a Dodona, all’Eubea, a Caristo, a Teno, a Delo (circumnavigando la Grecia da Occidente a Oriente in senso antiorario)? Credendo a questa narrazione, dato che   gli Iperborei si troverebbero a nord del Mar Nero, sarebbe sciocco fare tutto questo passaggio e non viceversa quello più breve che passa da Oriente e scende fino alle Cicladi e a Delo. Io credo invece che ci troviamo di fronte alla solita falsa pista degli invidiosi Greci, che sposta all’Adriatico (dei barbari Traco/Illiri) il nostro Tirreno. La riprova è che: « Degli Iperborei non discorrono né gli Sciti négli abitanti di questo continente, se non gli Issedoni.  Ma io credo che anch’essi non dicano niente, altrimenti ne parlerebbero pure gli Sciti, come parlano degli uomini con un occhio solo.  » (Erodoto, 4,32)  E’ da Roma, dal Tirreno,  che partono le offerte per Delo, e che logicamente passano da Dodona in poi. E’ a Roma che Apollo passa sei mesi dell’anno.  Dobbiamo escludere tutta la tradizione dalla nascita di Zeus a Creta in poi, perché qui la materia è evidentemente più manipolata dai Greci (Creta fu invasa e occupata dai Romani, ellenofoni, ricordiamolo, alla metà del II millennio, mentre Zeus/Giahvè arriva a Creta dal XIII secolo, qui collocato perché non dia troppo nell’occhio la sua usurpazione del pantheon romano, essendo Creta il luogo più periferico della regione ellenofona). Poi riprendiamo da Biblioteca I, 2, dove si parla della discendenza dei Titani.  Da Oceano e Teti (in cui vedo Teti la piccola, egizio Tetisheri, fondatrice della XVII dinastia tebana, 1600 a. C.) nascono le Oceanine (così si dovrebbero chiamare perché prossime all’Oceano, invece di Nereidi; Nereidi è tardo e deriva dalla dominazione romana, più tarda, della Naharina/Mitanni, da un depistaggio, dunque, ma che è connesso coi barbari d’intorno al Mar Nero, veneratori di Jahveh e praticanti i sacrifici umani), fra cui Asia (che ovviamente aveva altro nome). Da Giapeto e “Asia” nascono Atlante (da cui Atlantide/Italia) e Prometeo. Prometeo ha Deucalione che viene spostato a Ftia in Tessaglia. Da qui vengono i giahveisti (Giahvè/Zeus, Dioniso) traco-illirici barbari e distruttori della civiltà dei Tirreni. Oltretutto Prometeo viene spostato nel Caucaso/Eden per depistare Atlantide/Italia che così viene collocata a Mitanni. Il Diluvio  di questo Deucalione/Noè, che i Greci/Traci hanno in comune con gli Ebrei/Traci, è in realtà l’ultimo della serie, quello di Dardano, Mar Nero (XIII sec.), preceduto da quello  di Ogigia/Sardegna (XVI sec.; prima eruzione del Thera sotto Ahmose), e di Deucalione figlio di Minosse (XIV sec.; seconda eruzione del Thera alla fine del regno di Ekhnaton).  Era generò Efesto senza alcuna unione sessuale. Zeus lo scagliò giù dal cielo quando cercò di aiutare Era incatenata da Zeus perché aveva osato scatenare una tempesta contro Eracle (l’eroe dei Dori giahveisti) che navigava alla volta di Troia dei Tirreni. Efesto precipitò sull’isola di Lemno e rimase sciancato ma Teti lo salvò. Dunque Era e Teti sono divinità dalla parte dei Romani. Lo possiamo riscontrare anche dall’aiuto che diedero, Nereidi comprese, al viaggio della nave Argo (Biblioteca I, 9). Atena nacque sul fiume Tevere (il Tritone della leggenda delle “Amazzoni libiche”). Alle Amazzoni libiche si riconnetteva Atena libica, figlia di Posidone e della palude Tritonide (Erodoto IV, 180). Posidone di Atlantide è dunque più antico di Atena, supposta fondatrice della potenza di Atene (1000 anni più antica di Sais secondo Platone). Ma anche Atena libica è dea di Roma e la ritroviamo  anche a Pyrgi, chiamata Ino Leucothea ma identificata con Juno. Juno Curitis, armata di lancia e cinta alla vita da una pelle di capra, è Anath di Gaza e Afrodite Urania di Ascalona, città romane. Una statua di Atena libica (che ho pubblicato su Atlantide in questo sito) viene da Lavinio.

E’ di tutta evidenza, soprattutto in confronto con la superstiziosa follia dei Traci distruttori (a dire il vero in confronto con tutte le civiltà barbare dell’Eurasia  indeuropee e non), la razionalità e la posatezza che contraddistingue l’ordine romano sul mondo che civilizza (quasi quasi gli attribuirei la bilancia di Maat). Voglio sottolineare che la Grecia NON fu la culla della civiltà occidentale. Essa fu erede della lingua e della civiltà della prima Roma, storpiandola con la sua tracità, peccato originale.

La tradizione romana  in origine si esprimeva in greco (greca è stata chiamata la lingua perché rimasta in uso presso i Greci e perché s’era perso il ricordo che prima era stata in uso a Roma). La Grecia fu  devastata dagli invasori Traci (i Dori ma non solo) le cui menti erano offuscate dal vino (Noè scoprì il vino guarda caso al tempo del diluvio del Mar Nero nel XIII secolo a. C.)  e dalla cieca violenza istillatagli dagli sciamani di Zeus/Dio(niso)/Djahvè predicanti il cannibalismo rituale, i sacrifici umani, lo stupro delle donne (è curioso come gli dèi stupratori siano Zeus e Dioniso), la mattanza, l’olocausto,  la purezza del sangue (più i popoli si sentono, perché sono, inferiori,  più sono razzisti), la separazione delle razze e delle caste (gli efori di Sparta possono senza giustificazione mandare a morte chi vogliono nella massa degli Iloti; i giovani spartani si addestrano sgozzando di notte gli iloti che gli capitano a tiro), lo schiavismo. Si fanno a pezzi anche fra di loro nei fumi del vino  e per un nonnulla come i loro parenti Celti, Germani e Slavi. In fondo i Traco/Illiri sono la punta avanzata di quelle che saranno fra non molto le invasioni celtiche (in età etrusco-romana) e poi germaniche e slave al tempo dell’impero romano. Ciò che colpisce maggiormente nella lettura della Biblioteca di Apollodoro  è  questa violenza cieca che pervade tutto ed è legata in primo luogo  al culto di questo dio della violenza e della morte, del cieco furore orgiastico. Dunque ad un certo momento nasce la tradizione greca con Zeus che prende possesso del mondo e vi gozzoviglia essendoselo spartito coi suoi fratelli Posidone (mare) e Ade (inferi). Questa ondata di furore dei Greci continua nella colonizzazione greca come una specie di Guerra Santa islamica che quasi riusciva a sommergere l’Europa se Roma  non avesse fatto da baluardo. Ma mentre Roma si leccava le ferite e ripartiva da zero battaglia dopo battaglia, guerra dopo guerra (ricostituendo poco a poco il suo secondo Impero), i Greci travolgevano la tradizione romana anche per quel poco che avevano assimilato e nella loro tracotanza barbarica la facevano propria dove si poteva,   depistando,   cancellando,   manipolando in ogni caso.

Fra i Titani ci sono anche dei personaggi storici assurti dopo morti alla divinità.  La sequenza di nomi qualche volta  teoforici della Luna, Tetisheri 1600 a. C. (madre di Inaco),  Iò (madre di Epafo che avrebbe fondato  Memfi; analizzando i prodromi della storia egizia si direbbe che questo Epafo/Apis corrisponda ad Aha, identificabile con Menes, fondatore dell’Egitto unito), Libia (madre di Belo e Agenore), Telefassa, Europa (madre di Radamanto 1400 a. C.),  Pasifae (moglie di Minosse e madre di), Arianna e Fedra, ci informa  sulla direzione delle regine grandi spose reali che da Ausonia (egizio Haunebu), il vero nome più antico dell’Italia (come afferma il grande storico Dionisio d’Alicarnasso, I, 11,4, e come conferma la mia decifrazione dell’Apoteosi di Radamanto, 1350 a. C.),  dalla capitale Roma, via Pyrgi partivano per regnare a Tebe d’Egitto (città fondata dalla XI dinastia, ma che al momento ci interessa solo a partire  dalla fase finale della XVII din.).

Avevo messo in evidenza che Nefertiti (Megara) entrata come sposa nell’harem di Amenofi III e alla morte di questo passata al figlio Ekhnaton come sposa reale, era una figura importante in quanto andata a Festo  allora capitale di Creta  (in prima persona, oscurando il marito Amenofi IV, figlio di Amenofi III e Tiye figlia di Minosse)  per celebrare all’antro dell’Ida sia il defunto suocero Amenofi III (figlio di Mutemuia e Tuthmosis IV) che lo zio di secondo grado (?)  Minosse (fratello? di Europa stessa e dunque italiano anche lui). Dunque la bellissima Nefertiti veniva da Roma, da Ausonia, dove regnava suo padre,  della stirpe dei Titani,  Potenti (Creontidi) di Atlantide,   che facevano e disfacevano i faraoni egizi, re e principi dell’impero. Erano le donne italiane a regnare su Tebe e a generare figli italiani che regnavano come faraoni d’Egitto dalla fine della XVII a tutta la XVIII dinastia, senza dubbio la migliore dinastia di faraoni egizi.  Analogamente e da assai più tempo i re di Troia erano tutti provenienti da Atlantide, erano tutti italiani.    

 

Deianira sorella di Meleagro e figlia di Eneo (il “Potente”, Creonte) di Calidone/Roma, andò sposa ad “Eracle” cioè ad Amenofi III. Occorre notare che secondo Apollodoro (II,  7)  “Eracle” per avere Deianira dové combattere contro Acheloo (uno dei nomi del Tevere/Vertumno “il Mutevole”) che s’era tramutato in toro e cui aveva staccato un corno. Dopo avere sposato Deianira glielo restituì ed ebbe in cambio quello di Amaltea!  Come facevano i Romani  a disporre del corno di Amaltea di Creta?  Solo dominando su Creta! Meglio ancora, Amaltea risiedeva a Roma! Infatti Minosse/Abramo era stato allevato dalla capra Amaltea in Italia (eventualmente anche in Sicilia dove fu sepolto ad Agrigento perché forse da lì proveniva).  Alcmena fu una  duplicazione di Europa/Mutemuia. Essa fu madre di “Eracle” da Tuthmosis IV, ma dopo morta sposò Radamanto che sarebbe in realtà suo figlio Amenofi III. Ci fu evidentemente un equivoco. Essendo coerente la prima parte della storia, dopo morta Alcmena raggiunse ovviamente suo marito Anfitrione/Tuthmosis IV, nei Campi Elisi (Italia). Poiché il potere risiedeva a Roma i faraoni della XVII-XVIII din.  furano di norma italiani figli delle italiane inviate in Egitto come “grandi spose reali”. Si trattava più che altro di governatori privilegiati ma sempre governatori, per via normalmente  matrilineare, in nome di Roma.

 

Apoteosi di Radamanto/Nebmaetra (A:) Grandissima signora del palazzo, grandissima Ausonia (Italia), signora dei beati (gli Italiani/Titani/Atlantidei, dèi  e  semidei figli di dèi) e benevola Protettrice del palazzo di Phaistòs. Io, la Patrizia  Megara (Creonte significa Potente che in ind. e.,  Po/ater, è connesso ugualmente con Pater, dunque  Patrizio, cf. i Patrizi, componenti del Governo, noti  da Romolo in poi),  ho innalzato davanti a Te, io,  la Patrizia, nel sacello del palazzo, io, la Patrizia  Megara, ho innalzato davanti a Te il Disco (quello iscritto di cui discutiamo, anche in quanto  rappresentazione del disco solare e cioè di Amenofi III deificato, che anche in vita s’era identificato col dio Sole) Amenophis III,  esperto del diritto pubblico e  privato,  che è stato affidato in allattamento ad Europa, perciò essendo stato associato alla forte Ida, a Ida Nutrice, il celebrato Radamanto (Nebmaetra).

 

 

(B:) Nutrice (Diana Artemide, dea tipicamente Amazzone) forza della gioventù, potente capra (Amalthea; si pensi alla cornucopia connessa col corno di Acheloo/Tevere) del sommo visir Minosse, celeste nutrice, mammella nutrice (sotto la prima mammella si intravvede in foto la testa di capra, ovviamente Amalthea, il che conferma la traduzione nutrice, Dheilia/Filia, colei che nutre con la mammella; conclusione, i Greci spostarono a Delo, per sinonimia — e all’Ida, vedi più avanti — la sede di questa dea romana; operazione legittima in quanto il culto locale va rispettato e i funzionari romani armonizzano il faraone e il visir  romani con l’ambiente di cui — fra gli altri — sono sovrani; la cosa non è più legittima quando, assai più tardi i Greci,  approfittano di questa pratica, vigente fino ai tempi nostri, per appropriarsi di questa storia rubandola ai Romani), santa nutrice del vigore giovanile di Minosse, che Ida Nutrice ha aiutato a far nascere. Essendo stata aspersa ai due grandi (Radamanto e Minosse) la quercia della Grande Siria, sorretta dalle doppie corna, il sacerdote dell'Ida Ti sacrifica  davanti all’antro un Minotauro e intona l'inno: "la nave del mattino,  sposa di Ra (Sole)”,  cioè la signora delle doppie corna Selene (Luna). Infine Benapros dipinge di rosso (colore dell’Aurora; ad una certa data dell’anno il Sole appariva sorgere dall’antro dell’Ida) la pietra d’ingresso coi segni della tua propria divinità. MGCorsini, Tutti i diritti riservati. All rights riserved (May 26 2013).

In generale in Centroamerica sono venerati  prevalentemente il Sole e la Luna (p. 119ss.) analogamente  all’Apoteosi di Radamanto del 1350 a. C., in cui appunto il dio Sole (con cui si identifica il faraone defunto e divinizzato) e la Luna (sua sposa e madre nutrice, la Capra Amalthea, che nel caso specifico si identifica con Mutemuia/Europa, madre di Amenofi III)  nave solare che lo accompagna ogni giorno nel viaggio intorno alla Terra in cielo da Oriente a Occidente (Signore dell’Alba o dell’Aurora) e poi negli inferi da Occidente a Oriente,  sono, almeno stando a questo documento,  le due più importanti divinità degli Atlantidi. Quetzalcoatl  è l’uccello del Sole (l’aquila) con caratteristiche di serpente.  Il grifone, ho già scritto in questo lavoro,  è l’antenato dell’aquila romana, mentre il serpente (Apopis, Necustan) appartiene agli israeliti discendenti dagli Hyksos, perciò a quel buon diavolo di Geremia. Quetzalcoatl è colui che ha portato la civiltà in Messico e Yucatán e poi sparisce promettendo di ritornare.  Si noti che il mito si situa sulle coste del golfo e cioè sull’Oceano Atlantico sulle cui rive erige il rogo o si imbarca sul dorso del rettile (p. 299). Egli si unisce a sua sorella (come facevano Atlantidei ed Egizi) e poi sale sul rogo accendendolo da solo, salendo al cielo, divenendo signore dell’Alba, divenendo dio.  C’è sicuramente uno scambio di idee fra Centroamericani e Atlantidei. Quetzalcoatl si mette per quattro giorni dentro una cassa  di pietra (quelle al cui interno gli Egizi pongono il sarcofago).

I sacerdoti poi (ieri esattamente come oggi) attraverso l’assunzione di droghe allucinogene (penso al peyotl) entrano in contatto con gli dèi, ricevendo risposte a domande, guarigioni (p. 122ss.). Probabilmente il papavero o una bevanda di orzo fermentato, a Creta svolge la stessa funzione, ma conosciamo bevande allucinogene come il soma, presso i Celti e gli Arii Vedici. I giahveisti usano il vino.

L’Apoteosi di Radamanto/Amenofi III si apre con  una dedica ad Ausonia/Italia, la Signora dell’Occidente. Nonostante la civiltà cretese  abbia lontane origini almeno da un certo momento (dominazione Hyksos, che  arrivano a Creta dall’Egitto e da Canaan) debitrici della Siria (cf. la quercia della Grande Madre Siria del Disco), successivamente  i secondi palazzi cretesi  sono orientati verso Occidente. Si guarda alla terra d’origine dei dominatori, alla capitale dell’impero da cui si dipende,  Roma!

 

 

Si tenga presente che in origine, dai tempi più antichi, dal 2000 a. C. almeno,   proprio in Italia era localizzata   l’origine della civiltà umana (almeno per quanto riguarda la civiltà occidentale), il paradiso terrestre dell’età dell’oro. Qui erano le isole sacre (Ausonia e Haunebu significano “isole sacre”;  Ausonia/Italia è una divinità, la manifestazione della Dea madre protettrice del palazzo di Festo, incipit dell’Apoteosi di Radamanto Amenofi III, 1350 a. C.) dei Tirreni di Esiodo (Teogonia, 1009-1016); qui le quattro fonti che si dipartivano dal giardino di Calipso figlia di Atlante in Ogigia/Sardegna di Odissea (V,  70ss); qui  l’albero delle mele d’oro delle Esperidi. Crizia parla di ben due isole di Atlantide, e cioè la Penisola (o senz’altro Atlantide; in realtà io credo che Atlantide sia più in generale l’impero di quella che più propriamente deve essere definita Ausonia o Tirrenia), detta “l’isola sacra”, e un’isola minore (che non è escluso  possa anche essere detta sacra) che è senza alcun dubbio la Sardegna (ma si menzionano  altre isole fra cui certo includeremo la Sicilia).

La civiltà atlantidea veniva dal più profondo buio, dal regno della Notte (i Celti misurano il tempo partendo dalla notte e portano elmi cornuti come i Sardi).

La Colchide/Eden non può essere il paradiso/terra d’origine dei Romani. Minosse, in quanto Romano e visir di Radamanto Amenofi III, aveva il suo paradiso a Occidente, nei Campi Elisi (Sekhet Jaru, Campi di Giunchi), in Hau-nebu, nelle isole sacre dei Tirreni, nel giardino delle Esperidi, dove l’albero dei pomi  era guardato da un grifone. Pseudo-Apollodoro, con una tradizione isolata, pone il giardino sul monte di Atlante, che è il ricordo dell’Atlantide, ma all’estremo opposto orientale, presso gli Iperborei, che induce a credere siano  i Colchi, gli Armeni dell’Ararat, dell’Eden, mentre l’originaria Atlantide si trovava  in zona Italia e isola Ogigia/Sardegna ove è Calipso figlia di Atlante, secondo il nostro, nel senso di Romano, Omero. Il giardino delle Esperidi (che stanno al Tramonto, lo dice il nome stesso, come Esperia, altro nome dell’Italia), non può stare in Oriente sul monte di Atlante/Ararat, dalle parti del Caucaso, come sostiene Apollodoro (Biblioteca II,  5), bensì all’estremo Occidente del mondo conosciuto.  Le Esperidi sono figlie di Atlante. Il paesaggio dell’isola di Calipso Ogigia/Sardegna, l’ho scritto da tempo, ha quattro fonti in parti opposte volgentisi  (Od. V, 70-71).  Ora diventa evidente che gli Ebrei hanno copiato da qui  (notare che per Omero questo è comunque il Purgatorio, perché il paradiso è a Scheria/Pyrgi, Roma) ma… poverini…  si sono dovuti inventare due fiumi (Pison e Gichon, che ovviamente NON esistono,  non hanno la loro sorgente presso quella del Tigri e dell’Eufrate, ai piedi dell’Ararat).  L’albero delle mele d’oro ci rimanda a Eva che mangia la mela (perché la mela, se l’albero della conoscenza del bene greco-ebraico è la quercia oracolare dei barbari traco-illiri? Cioè Abramo ed Eva osarono appropriarsi della sapienza, appannaggio esclusivo del clero aronnita imbroglione di ogni epoca e latitudine), perché questa è la tradizione originale, Tirrenica! L’oro può essere collegato al vello d’oro segno del comando Romano (che i greco-ebrei si sono portati via inutilmente in Colchide) che è sempre stato a Occidente. Minosse/Abramo aronnita, lo “Yuya” degli “egittologi”  è originario della Tirrenia, forse della Sicilia, dove in realtà fu sepolto, presso Agrigento. Tutto ciò si spostò con l’arrivo dei Greci traco-armeni, figli del diluvio, sul lato opposto del mondo, a Oriente (Colchide/Eden/Mitanni), affinché la loro menzogna potesse ingannare i tronfi accademici dalle teste vuote. Non è vero che la tradizione greca si sposta da Oriente a Occidente seguendo la colonizzazione dell’Occidente.  Il primo e più significativo spostamento della tradizione è stato quello  da Occidente a Oriente secondo la direzione del furto greco! (ma questi si credevano tanto furbi come Caco, che rubava  i buoi facendoli camminare all’indietro tirandoli per la coda… !)

Come ho detto in apertura, gli Orientali  progredivano a grandi passi (creando una civiltà di schiavi della religione) illudendosi che la civiltà originasse da Oriente come Ra che sorge ogni giorno a Oriente e ogni giorno tramonta a Occidente.  Intanto, quatti quatti, « lontani dagli uomini industri » (Od. VI, 8), che si trovano ad Oriente, i Romani, intrepidi marinai,  crescevano e creavano la loro invincibile armata: « Non esiste uomo vivente, né mai potrà esistere, che arrivi al paese delle genti feacie portando guerra:  perché noi siam molto cari agli dèi.  Viviamo in disparte, nel mare flutti infiniti, lontani, e nessuno viene fra noi degli altri mortali. » (Od. VI, 201ss)

In Atlantide, pubblicato quattro anni fa su questo sito, ho proposto la fondazione di Roma Capitolina da parte  di Amenofi III/Eracle intorno al 1400 a. C., che erige l'Ara Massima (di cui resta, ovviamente come tardo rifacimento, il nucleo di tufo databile al II secolo a. C. nella parte posteriore della chiesa di S. Maria in Cosmedin entro il quale è ricavata la cripta) al Foro Boario per il suo culto come dio del commercio ai piedi delle pendici meridionali del Palatino, nei pressi dell'ingresso del Circo Massimo. Ovviamente Amenofi III è sempre e solo Nebmaetra/Radamanto, in quanto Eracle è un usurpatore Greco (costruito però su Amenofi III e suo figlio Amenofi IV). I Traci/Armeni si sono appropriati della tradizione mettendo Zeus sull’Olimpo e i loro eroi come Eracle al posto degli eroi legittimi. Amenofi III/IV diventa Eracle greco (pazzoide assassino dei suoi figli e arso sul rogo per divenire dio) come parallelamente il suo visir Minosse diventa Abramo ebraico (assassino di suo figlio se Giahvè aronnita non ne avesse fermata la mano; ma ci sono indizi che nella  realtà dei fatti questo dio “degli eccessi”, falso e bugiardo, degli armeni-traci, non ne fermò la mano; perché farlo, se  reclamava i sacrifici umani, per l’appunto dei primogeniti? Di cui gli Ebrei accusarono spudoratamente i Fenici!).  

Oggi, grazie alle mie riflessioni e a nuovi dati,  sostengo  una fondazione di Roma Capitolina intorno al 1600 a. C. sotto l’egida della regina Teti la piccola (egizio Tetisheri) fondatrice anche  della XVII dinastia tebana. Questa data deriva dal fatto che « le più antiche tracce dell’occupazione umana possono ora essere datate all’età del Bronzo Medio (ca. 1600-1300 a. C.) e sono costituite da frammenti di ceramica rinvenuti sul Campidoglio e, in giacitura secondaria, nel Foro Boario (Sant’Omobono). » (Roma antica, a cura di A. Giardina, Laterza 2000, p. 3).  Questa data ci viene confermata anche dalla grande impresa compiuta dai Romani e cioè aver sconfitto la potenza degli Hyksos alla metà del II millennio combattendola sia da Tebe (Senakhtenra Tao I marito di Tetisheri e Seqenenra Tao II marito di Ahhotep della XVII din.  e poi Kamose suo figlio e infine l’altro figlio Ahmose I il fondatore della XVIII dinastia, vincitore degli Hyksos) sia verisimilmente da Troia, altro caposaldo della potenza romana, oltre che da Roma. Per realizzare tutto ciò ci vuole alle spalle del tempo. Sulla base dei resti archeologici mi pare indiscutibile che il primo impero Romano occidentale risalga (quanto meno) alla fine del III-inizio II millennio non solo per la Sardegna ma anche per Tartesso. Scavi futuri dimostreranno probabilmente che anche Roma fu fondata intorno al 2000 a. C. La tradizione del Palladio ci dice che Troia fu fondata, alla fine del IV millennio, da Roma (e non viceversa). Anche Memfi, nello stesso periodo,  sarebbe fondazione nostra. Sarebbe bello poter dimostrare che Atlantide/Roma esisteva dal IV millennio a. C. come logica filiazione dalle civiltà di Malta e del Tassili. Se ciò fosse dimostrato andrebbe completamente a quel paese la teoria dell’Ex oriente lux, insieme agli imbecilli che l’hanno forgiata sulla base della loro mal fondata idolatria della Grecia e della Bibbia.

La tradizione delle Amazzoni corrisponde perfettamente alle regine guerriere e portatrici della regalità della XVII-XVIII dinastia provenienti da Ausonia e dette libiche sia per la vicinanza-confusione fra Italia e Libia (Italia che spregiativamente non si voleva menzionare), sia in quanto le nostre italiane erano regine d’Egitto, spesso e volentieri confuso con la Libia (i Greci sono dei grandi pasticcioni e imbroglioni).

Dall’ultimo periodo della XVII dinastia egizia-inizio della XVIII  assistiamo ad un netto cambiamento rispetto alle età precedenti eccetto il periodo Protodinastico durante il quale brillarono quattro regine di cui purtroppo sappiamo molto poco. Meryt-Neith potrebbe aver regnato in prima persona. In questo periodo proto dinastico fu fondata Memfi (3100 a. C.). La mappatura del DNA potrebbe  darci delle sorprese. Per quanto le mummie si conservino male, come del resto i papiri, e dunque ne abbiamo soprattutto di abbastanza recenti,  abbiamo anche mummie molto antiche, come quella di Sekkeram-Saef, uno dei figli di Pepi I, 2400 a. C. ca. (VI dinastia). Sono convinto che se si prendesse il DNA di costui lo si troverebbe identico a quello dei Sardi (mi pare logico  trovare più facilmente il DNA tirrenico in un’isola). Oltre alle mummie possiamo confrontare dai tratti somatici delle statue l’origine italica (piuttosto che africana o asiatica). Sono questi  i faraoni (e donne) probabilmente o possibilmente Romani/Italiani di cui ci dovremo occupare. Altro elemento da tenere presente è che tutte le volte che  le donne (o gli uomini o soprattutto gli dèi) sono raffigurate in affreschi e statue dipinte, come bianche,  esse sono probabilmente di razza bianca (penso alle coppie statuarie dell’Antico Regno   del nano Seneb e sua moglie e figli da Giza e di Rahotep e Nefret da Meidum).  

Il caso della XVII-XVIII dinastia ha fatto ipotizzare addirittura, scrive Tyldesley,   che la nuova famiglia fosse organizzata secondo un modello matriarcale anziché patriarcale. Tyldesley non condivide questa opinione che tuttavia io mi faccio leggendo il suo libro:   « Furono le regine, e non i re,  ad assicurare all’Egitto un’ininterrotta sequenza di sovrani, una sequenza durata più di un secolo, che dalla regina Tetisheri, probabilmente la vera fondatrice della XVII/XVIII dinastia, arriva fino ad Hatshepsut e oltre. » (J. Tyldesley, Hatshepsut, Piemme, 2000, p. 62). Se ciò fosse vero il matriarcato lo si potrebbe spiegare ovviamente prima di tutto con l’origine non egizia (italiana) di queste dinastie. Ho scritto e sono sempre più convinto del fatto che il suolo prevale su tutto ciò che vi arriva sopra. Gli usi e costumi, cioè, tendono ad essere conservativi. Non so se esista un popolo più mammone degli Italiani e dove la donna riesca a comandare in casa anche da dietro le quinte, spesso portando, come si dice, i pantaloni.  Certo oggi non potrei definire l’Italia come il paese delle Amazzoni guerriere, ma tutto l’Occidente è cambiato dall’Antichità ad oggi.  Ahhotep avrebbe comandato personalmente le truppe (J. Tyldesley, op. cit., p. 66). Sarebbe stata dunque una vera e propria Amazzone romano-italica.

L’imperialismo romano si fece strada costruendo un Egitto prima potenza del Levante da Tuthmosis I a Tuthmosis III e ancora fino ad Amenofi III. La regina Hatshepsut si vede male nella stessa tradizione millenaria egizia, a meno di fare un pensierino sulle origini italiche (che ammettevano il sorpasso femminile).

I faraoni egizi (Tebani) della XVII e XVIII dinastia venerati come signori dell’Occidente sono davvero originari dell’Occidente, di Ausonia. Scrive A. Gardiner che l'intera famiglia dinastica, a partire dai due Tao, chiamati "Signori dell'Occidente", fu oggetto di adorazione nel villaggio di Deir al-Medina che alcuni secoli dopo ospitava gli operai delle tombe reali. A queste divinità molto amate dal popolo, si rivolgevano preghiere nei momenti difficili, o si chiedevano responsi ai loro oracoli in caso di controversie legali (La civiltà egizia, Einaudi, p. 160). E’ vero che l’Occidente era il lato desertico del Nilo dove venivano sepolti i faraoni, ma ciò si accavalla al fatto che essi venivano anche da Occidente.

Tetisheri “Teti la piccola”  è la probabile fondatrice della XVII/XVIII dinastia (J. Tyldesley, Hatshepsut, Piemme, 2000, p. 62). Un oracolo di  Teti  è attestato a Cere, città dominata da Roma fino al tempo di Tarquinio il Superbo (E. Fiesel, s. v. Tethys, in RE VIa, Stuttgart 1936, coll. 204-204; G. Capdeville, Volcanus, in "BEFAR" 288, Roma 1995, pp. 65-66 n. 7; T. P. Wiseman, Remus, pp. 57-62).  Il toponimo Teti è attestato anche in Sardegna. Il culto di Teti lo ritroviamo legato ai  fondatori di Roma (Promathion, autore di una Storia d'Italia in Plutarco, Vita di Romolo, 2, 4-8), a Cures sabina (Dionisio, II, 48), a Servio Tullio (Dionisio, IV, 2), ed aveva come centro il focolare del tempio annesso alla reggia. Ovviamente Teti era una divinità dei Tirreni e in Iliade vive nelle profondità marine tra Imbro, Lemno e Samotracia (Il. XXIV, 78), dove è stata introdotta dai Romani (i Tiberini) sulla via orientale dei metalli fino a Lemno, l’ultimo caposaldo romano prima della fine di Atlantide. Anche Peleo figlio di Eaco, che da Teti ebbe Achille, è personaggio della tradizione tirrenica, di Pyrgi e Roma. Ha partecipato alla caccia del cinghiale Calidonio, cioè di Roma, ai giochi in onore di Pelia (fratello di Neleo di Pilo, anch'esso legato a Roma), alla spedizione degli Argonauti (Romani e partiti da Pyrgi) e, con Giasone e i Dioscuri (Romani), al saccheggio di Iolco! (pseudo Apollodoro, III, 13). Anche Telamone suo fratello sposa una troiana, Esione.  Il fuoco di cui parliamo ha carattere fallico ed è rappresentato da Efesto/Vulcano. Teti è legata alla purificazione nel fuoco dei suoi figli che muoiono tutti appena nati  salvo l’ultimo, Achille. Suppongo che nella religione atlantidea Teti ed Efesto facessero coppia (i Castelli Romani sorgono in un’area di origine vulcanica).  

Platone data a 10000 anni a. C. ca. la fondazione di Atene e a 9000 ca. quella di Sais in Egitto, da parte di  Atena.  E’ un’invenzione che fa il paio col 4004 a. C., data della creazione biblica.  Atlandide discende invece da Posidone. Qualsiasi tradizione pigliamo, Atena è posteriore a Posidone che oltretutto in genere è suo padre. Secondo pseudo Apollodoro Atena è nata dalla testa di Zeus (furto dei Greci perché Zeus è il nuovo arrivato trace). Posidone è il quinto figlio di Crono e Rhea (tra l’altro si consideri Rhea Silvia madre dei Gemelli a riprova che i nomi vengono da Roma). Poi costei fugge a Creta  incinta di Zeus che nasce appunto in quest’isola (Apollodoro, Biblioteca, I, 1). Ergo, i Romani di Atlantide sono più antichi del 10000 a. C.  A ben vedere  Platone non afferma affatto, e logicamente, che la guerra di Atlantide contro Atene e il suo affondamento sia avvento  9/10000 anni a. C., cioè all’epoca stessa della nascita di queste civiltà.   Qualsiasi datazione per il conflitto è lasciata aperta, e così arriviamo alla grande potenza di Atlantide, che costruisce le torri (7000 nuraghi sopravvissuti della Sardegna) a partire dalla fine III-inizio II millennio  e scatena la guerra contro gli Hyksos del delta egiziano (1550 a. C.),  cacciandoli da tutto il loro impero e insediando sul trono di Tebe d’Egitto il faraone Romano Ahmose I, le cui armi sono decorate col grifone tirrenico, che ritroviamo in tutti i centri occupati dai Romani: Pilo, Cnosso, Awaris, Thera,  ecc., e conservato nelle tombe etrusche di Tarquinia. Ahhotep (“la Luna è contenta”), la regina originaria di Hau-nebu, sostenne in prima persona la conduzione della guerra vedendo morire prima il suo consorte, Tao II, poi il primo figlio Kamose e assaporando finalmente la vittoria sotto il secondo figlio Ahmose (“la Luna è sorta”). Dall’Apoteosi sappiamo che la dea cui viene affidato il defunto faraone per risorgere come Sole è la Luna/Aurora/Diana. Da questo momento i Romani occupano l’impero Hyksos e la storia in Oriente la scrivono loro, col geroglifico di Festo e la Lineare B, ma anche materialmente, sulle  schiene dei locali, dalla metà del II millennio a. C.!

Ascia da guerra di Ahmose I, col grifone romano, terrore dei popoli stranieri

Secondo Timeo così parla il sacerdote egizio di Sais: « In quest’isola [Penisola italiana] di Atlantide vi era una grande e meravigliosa dinastia regale [considerata divina come sono considerati divini i re dei Feaci; tutte e due le dinastie discendono da Posidone] che dominava tutta l’isola [Penisola italiana] e molte altre isole e parti del continente: inoltre governavano le regioni della Libia che sono al di qua dello stretto fino all’Egitto, e l’Europa fino alla Tirrenia. Tutta questa potenza, radunatasi insieme, RIUSCI’ ALLORA A [invece di: “ tentò allora di “,  che è sicuramente imputabile a Platone] colonizzare con un solo assalto la vostra regione [Peloponneso/Attica; dove erano signorotti Hyksos, asiatici, affini agli Hyksos di Creta e del delta egizio], la nostra [i sacerdoti di Sais qui si identificano con gli Hyksos dominatori del delta del Nilo dalla città di Awaris; A Sais era venerata la dea Neith fin dalla nascita della civiltà egizia; gli asiatici Hyksos la chiamarono Anath, e gli Ateniesi, di cultura asiatica, pelasgica, anche loro, leggendo al contrario, Atena; ma da quanto abbiamo detto è ancor più probabile la manipolazione di Platone, in quanto dobbiamo partire dall’ipotesi  che i sacerdoti di Sais riferissero a Solone la vera storia di Roma, che venerava anche Atena, non a caso attestata come divinità “filistea” a Gaza e Ascalona], e ogni luogo che si trovasse al di qua dell’imboccatura.  »  Questo è l’unico nocciolo di vero nella tradizione. Nessun affondamento di Atlantide, anche se un alluvione ci fu al tempo di Ahmose I.  Ve n’è traccia nella Stele della Tempesta di Ahmose I (e nel verso del Papiro matematico Rhind) nella quale si accenna a fuochi nel cielo e all’alluvione che colpisce l’Egitto. Può trattarsi della prima eruzione del Thera e anche dell’alluvione di Ogigia/Sardegna (non di Ogige), ma in ogni caso senza alcun inabissamento.  In quest’epoca Atlantide non scompare affatto,  bensì inizia il suo impero esaltante in Oriente durato più di cinque secoli. Dobbiamo a Roma l’età dell’oro dell’umanità. Dobbiamo a Roma la vera civilizzazione della Terra. Ora però ho scoperto che la fine di questo impero nasce dalla guerra annientatrice scatenata da Roma stessa contro Egitto e Hatti coalizzati insieme a partire dalla XIX dinastia. In quest’epoca  avvenne l’alluvione del Mar Nero che comunque nulla poté avere a che fare con l’affondamento di Atlantide, in quanto l’affondamento di Atlantide fu solo metaforico,  essendosi Roma logorata nell’annientamento  prima degli Egizi traditori e poi degli Ittiti, e il colpo finale avendolo dato i Greci che cancellarono o depistarono ogni traccia di questa storia gloriosa di Roma nella tradizione in greco della medesima. I  Romani non si resero conto dello scippo probabilmente in quanto nel frattempo avevano una nuova lingua (il latino) determinata dalla discesa dei Sabini dagli Appennini lungo il Tevere, e non erano più in grado di leggere la loro lingua originaria, per tacere del fatto che erano impegnati a creare un nuovo impero e dunque non avevano tempo di darsi alle letture.

Atlantide/Tirrenia non “tentò” ma riuscì a conquistare la Grecia e Creta e tutto il Mediterraneo orientale fino alle coste turche, siriane, la Palestina e l’Egitto che allora era nelle mani degli Hyksos, cioè in qualche modo degli antenati dei Greci/Ebrei. Evidentemente Platone (come del resto la fonte di Diodoro Siculo relativamente al fatto di un semplice tentativo e non di una vera e propria conquista) si permise di travisare i fatti. Platone ha trasformato Atlantide in un’isola nell’Oceano Atlantico, facendola affondare per cancellare le prove della sua menzogna. Platone, come tutti coloro che si credono furbi (e Greci ed Ebrei si credono furbissimi), si propose  di raggiungere il suo scopo (gasare le future generazioni di Ateniesi, con antenati più antichi e valorosi dei Romani e degli Egizi), a spese della stessa storia della prima Roma. Egli non proponeva il suo lavoro come opera storica  e così non rischiava di traghettare la storia della Roma prima di Roma nel I millennio. Il suo lavoro aveva fini  politici. Egli si riproponeva di inventare (sulla base di una storia  vera riportata da Solone, o già falsificata da Solone), la grandezza da superuomini e semidei degli Ateniesi (generati da Atena! Che era la dea di Roma, come lo era Posidone suo padre) affinché in futuro, consapevoli della grandezza dei loro antenati di ben 10.000 anni prima (1.000 prima dell’Egitto!), creassero uno stato invincibile in futuro, per sempre. Analogamente gli Ebrei aronniti crearono (coi codici J e P  entrambi postesilici!)  un manifesto della priorità della razza ebraica che analogamente fa credere che Adamo ed Eva erano Ebrei, generati da Djahvè all’origine dei tempi, che qualcuno si è preso la briga di calcolare nel 4004 a. C.  (e difatti tuttora gli Ebrei calcolano gli anni a partire da una data  più antica di quella delle piramidi, meglio, più antica di Memfi!). Anche l’autore della  Biblioteca,  pseudo Apollodoro, assai tardo anche se è impossibile precisare quanto, mette insieme tutta la tradizione facendo bene attenzione a non nominare mai Roma che pure conosceva come la conoscevano altri greci anteriori a lui come Dionisio d’Alicarnasso, e a non soffermarsi mai sull’Italia per non far capire il furto. Sua intenzione finale doveva essere probabilmente quella di raccogliere tutta la tradizione ponendola al servizio di  Atene e degli eloquenti Ateniesi, sulla scia della guerra di Atene contro Atlantide di Platone e sulla scia del popolo eletto di Djahvè della  Bibbia degli esaltati Neemia e Ezra. Dunque questi tentativi di creare dei miti di superpotenza provengono da nanerottoli che sperimentarono sulla loro schiena l’unica vera  grandezza di Roma (e dell’Italia),  immensa e autentica, che io ho riportato alla luce come un tesoro di maggior valore di tutti i tesori contenuti nella splendida tomba di Tutankhamon. Dunque non è vero che Atene resistette all’invasione e addirittura liberò gli altri popoli, Egizi compresi, vincendo gli Atlantidei con una vittoria da Pirro prima dell’inabissamento di Atlantide.  Atene  fu conquistata… dalle Amazzoni del Termodonte ? che nulla hanno a che vedere con le Amazzoni romane ? al tempo di Teseo.  Contrariamente ai proclami pubblicitari, Atene e Sparta ebbero la stessa sorte: essere conquistate dai barbari traco-illiri-armeni dopo un periodo in cui erano state dominate da Roma

L’importanza della tradizione di Diodoro Siculo sulle Amazzoni libiche consiste nel porre il sigillo della perfezione su tutto il mio lavoro. Non tanto per l’identificazione di Atlantide con l’impero di Roma, che avevo già raggiunto riesaminando il testo platonico alla luce della mia raggiunta consapevolezza, quanto per  la mia intuizione dell’importanza della donna “virile” (Amazzoni libiche) nella Roma prima di Roma, cosa che mi ha aperto la porta di uno scrigno pieno di notizie.   

L’impresa più grande dei Tirreni (ricordata male, ma ricordata, da Diodoro e Platone) fu la cacciata degli Hyksos intorno al 1520 a. C. e l’insediamento sul trono di Tebe della XVIII dinastia romana (o tirrenica/atlantidea che dir si voglia), fondata da Ahmose I, il faraone che aveva le armi decorate col grifone (antenato dell’aquila) romano di Hau Nebu/Ausonia. Fu la prima guerra mondiale dell’antichità, e fu vinta da Roma. Contro gli studiosi incapaci io ho da tempo ipotizzato che gli Hyksos,  giunti dall’Asia, abbiano  occupato posizioni lungo il Mediterraneo orientale, delta egiziano e Siria-palestina, e nel Mediterraneo, come Creta e la Grecia, le Cicladi ecc. Sono la  base dei Cananei (ed è per questo che gli Ateniesi si dicono discendenti dei Pelasgi e gli Spartani sostengono di avere origine comune con gli Ebrei, per la precisione, in questo caso, con gli elohisti) cui si aggiungeranno più tardi gli affini  Shardana traci e Danai, entrambi anatolici: Sansone è un Danao.  Se ho ragione a vedere gli Hyksos  in tutta l’area che poi sarà greca (Grecia, Creta, ecc.) mi convinco che prima degli Hyksos in quest’area non si parlava greco, e ovviamente nemmeno durante il predominio degli Hyksos. Dunque quello del greco che arriva in  Grecia da Nord e da Oriente fin dal 2000 a. C. deve essere un parto delle teste vuote degli  “accademici”

 

I Romani in battaglia navale contro gli Egizi. Notare che l’egiziano sulla nave a sinistra (immagine in bianco e nero) ha tirato  il rampino per agganciare la nave romana e abbordarla (nella loro seconda vita i Romani inventeranno il “corvo”, una tavola coi ganci, da calare sul ponte delle navi cartaginesi per salirci più comodamente a bordo), ma il Romano, prontamente, ha afferrato il rampino (vedi il particolare nell’immagine a colori) e un momento dopo evidentemente troncherà la fune con la sua daga.

La Biblioteca di pseudo-Apollodoro (difficile da datare ma comunque assai tardo) ignora volutamente Roma, pur essendo questa già esistente da secoli, per il semplice fatto che tutta la tradizione raccolta in essa è tolta ai Romani e dislocata in opportune aree della Grecia. Ovvio che qualsiasi riferimento all’Italia e a Roma sarebbe servito solo a permettere prima o poi quel collegamento che avrebbe fatto scoprire la verità che nessuno infatti è riuscito a scoprire  prima del sottoscritto. Il motivo è  politico e ideologico. L’invidia e la gelosia degli altri popoli riguardo al popolo eletto dal destino, il popolo Romano. Il trucco consiste nel  parlare biascicando i nomi. Così, ad esempio, chiamandola Etolia (invece di Italia), la regione più squallida della Grecia, i Greci si sono fregati metà della tradizione di Atlantide, cancellandola dalla Storia. Ma il testo di pseudo-Apollodoro è chiarissimo. Di tutto si parla nella Biblioteca fuorché dei Greci! Per essere più precisi se ne parla, confusamente, ma non sotto l’etichetta (che altrimenti a che serve?), di discendenti di Doro,  di Ione e  di Acheo.  L’unico discendente, non certo di Elleno, di cui si dia una discendenza dettagliata, è Eolo italico: Atlante e Pleione figlia di Oceano  generano Merope che sposò Sisifo italico e Sterope che andò sposa ad  Enomao di Pisa, pure italico, padre di Ippodamia (III, 10). Da Alcione e Posidone discendono, attraverso Irieo, Nitteo e Antiope.  Eolo ebbe sette figli e cinque figli. La figlia Canace si unì a Posidone, ed ebbe Epopeo (Apollodoro, 1, 7) che per buona grazia dei Greci sposa Antiope (messa in cinta da Zeus e perciò scacciata dal padre Nitteo e  andata da Epopeo). Curiosamente Lico sarebbe stato incaricato da Nitteo di uccidere sia Antiope che Epopeo. Lico uccise Epopeo e portò via Antiope che durante il viaggio partorì due gemelli avuti evidentemente da Epopeo (a meno che non si creda alla fecondazione da parte di un puro spirito…  del resto ricordiamo che Zeus copre un faraone, o un re di Roma, tutte le volte che siamo in Egitto),  esposti e trovati da un pastore che gli diede il nome di Anfione e Zeto.    Quando Anfione e Zeto seppero delle cattiverie che aveva patito la loro madre Antiope da Lico e sua moglie Dirce uccisero Lico e gettarono Dirce legata ad un toro nel crepaccio di una sorgente. Preso il potere fondarono Tebe egizia, divenuta Tebe beota dopo la manomissione greca (Apollodoro III,  5). Niobe sposò Anfione, ed era giustamente orgogliosa della sua discendenza pari agli dèi. Fra i figli di Anfione e Niobe c’è Tantalo padre di Pelope (III, 5), che dunque è Romano, ciò che spiega come mai il vello d’Oro rimanga in mano della sua famiglia, passando da Erope (moglie di Atreo) figlia di Catreo figlio di Minosse, a Tieste (fratello di Atreo), III, 2. Pelope sposa Ippodamia figlia di Enomao di Pisa. Pelope è padre di Tieste e Atreo. Alla fine il vello torna in mano ad Atreo i cui figli Agamennone e Menelao sono governatori romani su Micene e Sparta. La guerra di Troia fu dunque condotta da discendenti dei Romani, da Romani da una parte e dall’altra. Anche Diomede è figlio del romano Tideo di cui abbiamo detto. Peleo (III, 13)  è romano per il semplice fatto che partecipa alla caccia del cinghiale Calidonio/di Roma. Partecipò ai funerali di Pelia fratello di Neleo padre di Nestore di Pilo, città romana. Combatté contro Atalanta romana, figlia di Scheneo. Peleo da Teti(sheri), dea proteiforme che ha un culto oracolare presso Cere!  Teti è connessa al fuoco del palazzo reale che manifesta la presenza del re predestinato dagli dèi. Chirone connesso a Peleo era nato da Crono/Saturno. Peleo partecipò al saccheggio di Iolco  con Giasone e i Dioscuri.  In III, 12 si narra dei rapporti fra Atlantide città madre  e la Dardania di Troia. Roma e Troia erano della stessa civiltà e lingua.

« Endimione [figlio di Calice figlia di Eolo] ebbe il figlio Etolo, che uccise Apis, figlio di Foroneo, e per questo andò in esilio nella terra dei Cureti [trasformati dai Greci nei chiassosi custodi del piccolo (“kouros”) Zeus nell’antro dell’Ida, mentre si tratta degli abitanti di Cures sabina; la terra dei Cureti è dunque l’Italia, la Tirrenia dei Sabini cioè dei Romani, che erano Romani di Roma, “Colle”, il Campidoglio,  almeno dal 1600 a. C., e anche Sabini come stirpe, perché sempre con questo nome viene definito il popolo qui stanziato fin dove si spinge il ricordo di età tarda e i re sono in gran parte  Sabini], cioè la Tirrenia. Qui Etolo uccise la gente che lo ospitava… e dal suo nome chiamò Etolia [Italia] tutta quella regione. Etolo… generò Pleurone e Calidone…  Agenore [figlio di Pleurone]  … generò Portaone e Demonice, che a sua volta ebbe da Ares… Testio [sabino di Cures]… [che] ebbe … Altea, Leda (madre dei Dioscuri (cioè Castore e Polluce), di Clitemnestra e di Elena) … Ificlo…

Da Acheloo [che ho identificato col Tevere] e Perimede figlia di Eolo nasce Ippodamante.  Da Ippodamante nasce Eurite che sposò Portaone (figlio di Epicaste figlia di Calidone) ed ebbe Eneo… » (Biblioteca I,  7) « Eneo, divenuto re di Calidone [Roma] … Si sposò con Altea, figlia di Testio, e generò Tosseo, che poi uccise… perché il ragazzo aveva osato saltare il fossato che cingeva la città… [mi pare evidente che Enea ricorda assai male Eneo,  legato ad una delle (ri)fondazioni di Roma nella parte di Romolo che ammazza Remo] Gli nacque(ro) poi… la figlia Gorge… e Deianira … Questa fanciulla amava guidare lei stessa il carro, e si esercitava nelle attività guerresche: per averla in sposa, Eracle lottò con il fiume Acheloo.  (Per avere Deianira Eracle dovette combattere contro Acheloo, che aveva assunto la forma di toro, egli staccò uno dei due corni. Dopo aver sposato Deianira, Eracle restituì a Acheloo il suo corno, ed ebbe in cambio quello di Amalthea… Apollodoro II, 7; siamo a Roma!!! e la capra Amalthea assomiglia tanto a quella che forse dalle origini era la Lupa nutrice dei Gemelli, il simbolo di Roma noto ai “Beniaminiti” biblici di Saul)  Da Eneo, Altea ebbe poi Meleagro…   Dopo la morte di Altea, Eneo da sua figlia Gorge ebbe Tideo Tideo… giunse ad Argo, alla corte di Adrasto, di cui sposò la figlia Deipile: dal loro matrimonio nacque Diomede.  » (Biblioteca I, 8)  « Ippocoonte scacciò Icario e Tindareo da Lacedemone. Essi si rifugiarono presso Testio, e lo aiutarono nella guerra contro i suoi vicini di confine. E Tindareo sposò Leda, figlia di Testio… Icario e la ninfa Naiade Peribea ebbero… Penelope… » (Biblioteca III, 10) Si tenga presente che Odisseo era in realtà figlio di Sisifo eolide. « Tideo, figlio di Eneo, esule da Calidone… sposò Deipile… [i sette contro Tebe] inviarono Tideo come ambasciatore da Eteocle (i documenti menzionano un Tawaglawa/Eteocle fratello di Atpa di Millawanda/Mileto re di Ahhijawa), per invitarlo a lasciare il regno a Polinice, secondo i loro accordi. Ma Eteocle rifiutò, e Tideo sfidò a duello tutti i capi tebani, e li vinse tutti. Allora mandarono cinquanta uomini in armi per tendergli un’imboscata mentre ritornava al campo; ma Tideo li uccise tutti, tranne Meone, e raggiunse il suo esercito. » (Biblioteca III, 6) Tideo è evidentemente un pezzo grosso, un signore della guerra governatore sull’Argolide. Diomede, lo sappiamo bene, è uno dei massimi guerrieri sia fra gli Epigoni che alla guerra di Troia, dove fa spesso coppia con Odisseo, marito di Penelope. La tradizione greca trova difficoltà ad inserire Tideo fra i Sette contro Tebe, ed a ragione, in quanto Tideo fu dalla parte di Tebe d’Egitto e dei Romani, e così suo figlio. Poi  si sono fregati la tradizione di Pyrgi (Santa Marinella) dislocando Atamante in Beozia, e così via. Prendiamo il filone della storia del vello d’oro. Frisso e Elle erano  figli di Atamante di Pyrgi (dov’è il tempio recentemente scoperto di Ino Leucothea, sua seconda moglie, mentre il figlio di questa  Melicerte è venerato come Palemone e raffigurato in groppa a un delfino; i delfini, che troviamo ad esempio raffigurati nel palazzo di Cnosso, nella storia di Atlantide, nel tesoro di Dorak, nelle tombe etrusche di Tarquinia, sono un  altro emblema dei Tirreni) e di Nefele. Perseguitati dalla matrigna Ino, Nefele decise di mettere in salvo i figli su un ariete fatato che volò fino in Colchide il paradiso terrestre dei Greci mistificatori (ma la cosa non ci danneggia al fine di riannodare il filo della storia reale). Qui arrivato, Frisso, abbastanza irriconoscente, scuoiò il povero ariete e ne donò il vello al re locale che lo inchiodò alla quercia oracolare nel bosco sacro del dio Giahvè zebahot “degli eserciti” (Ares).  Il vello era in pratica  un segno del potere. Ci possiamo scommettere che questa tradizione, manipolazione della nostra, è di matrice greco-ebraica (l’Eden era nelle vicinanze della Colchide, alle  sorgenti del Tigri e dell’Eufrate, l’Armenia dell’Ararat). Ma appunto gli Argonauti, i valenti Tirreni, i più abili marinai del mondo, Giasone, i Dioscuri, Meleagro, Atalanta, la donna che uccise il Cinghiale di Roma, ed altri, imbarcatisi a Pyrgi… se lo andarono a riprendere riportandolo a Roma. Per la verità il segno del comando Atlantideo è sempre rimasto dov’era,  in Esperia/Italia dove era il giardino delle Esperidi che custodivano l’albero dei pomi d’oro. Infine il segno del potere arriva nelle mani di Tieste padre di Egisto e di Tantalo  sposo di Clitemnestra figlia di Leda figlia di Testio di Cures sabina. Atreo sottrae il vello a suo fratello Tieste e così Agamennone figlio di Atreo uccide Tantalo e il figlioletto e sposa Clitemnestra (il che spiega perché al suo ritorno da Troia questa lo uccide con la complicità di Egisto; non sempre quelli che appaiono come buoni sono buoni e non sempre quelli che appaiono come cattivi sono cattivi), mentre Menelao sposa Elena sorella di Clitemnestra, e diventano governatori romani rispettivamente di Micene e Sparta (Apollodoro, Biblioteca, Epitome, 2). A Pilo c’è Nestore che ricorda di aver gareggiato in gioventù con gli “Etoli” di “Italia” (Iliade 23, 633), ed  attraverso Fenice nel libro IX dell'Iliade lo ricollego alla guerra dei  Cureti contro Calidone/Roma Capitolina,  assediata al tempo di Meleagro, ciò che  corrisponde forse alla tradizione dell'attacco dei Quiriti lancieri shardana  di Romolo che assaltano il Campidoglio, del re di Roma Tito Tazio. Da Micene e Pilo arrivano la maggior parte delle tavolette in Lineare B scritte ovviamente da scribi Romani epoi da locali alfabetizzati. Esiste una corrispondenza perfetta tra sedi dei Tirreni nella mitologia, riassunta da pseudo-Apollodoro,  scippateci dai Greci, e sedi di tavolette in Lineare B o comunque con tracce della civiltà detta “Micenea”: Cnosso, Festo, Micene, Tirinto, Pilo, Tebe, Orcomeno, Iolco. Sulle tavolette in Lineare B si legge ad esempio il vocabolo (forse storpiato forse no) procuratores. Non mi sembra un vocabolo riconducibile al greco.

Dunque, vinti gli Hyksos, le flotte tirreniche scaricano dovunque (anche sull’acropoli di Micene, dove è stato trovato un cratere con mercenari Shardana al servizio di Roma) i governatori e  le legioni romane di 3000 uomini coi vessilliferi vestiti da lupo,   suonatori di corno ricurvo, reparti con carri. I Romani si insediano così su tutte le roccheforti degli Hyksos, dalla Grecia, alle Cicladi, all’Asia Minore, alla Siria-Palestina, e ovviamente prima di tutto su Tebe, con Ahmose I. Stessa cosa hanno già fatto e fanno verso Occidente, e oltre le colonne d’Eracle. E dovunque costoro tengono archivi in Lineare B (e scrivono su dischi a spirale come il Disco di Festo) e sono noti come Pelasgi e Filistei, i Filistei che nelle figurazioni egizie, a ben vedere sono proprio i Romani ante litteram, coi gonnellini e i copricapo a criniera di cavallo. Ma è proprio vero che i Filistei indossavano copricapi alla “Sioux”? come di piume  tutto intorno al cranio? Io credo che ciò dipenda solo dall’incapacità degli Egizi di raffigurare le cose in prospettiva. Anche uno Shardana di profilo viene raffigurato con le corna come se fossero una davanti e una dietro al copricapo.  In conclusione, dalla metà del II millennio a. C. la storia è scritta dai Romani.

La sequenza delle regine della XVII e XVIII dinastia concorda con la tradizione di una sequenza di donne con nomi incorporanti quello della Luna: Io, Libia, Telefassa, Europa, Argiope, Pasifae, Arianna, Fedra.  Queste regine italiche comunque spose di faraoni italici sono in prima persona responsabili della cacciata degli Hyksos dal delta egiziano e del governo dell’Egitto e del suo esteso impero.

 

Su questo trono, detto di Minosse, fra due grifoni antenati dell’aquila romana, messaggeri del Sole, tenevano udienza i procuratores inviati dai Creonti/Patrizi di Roma per reggere Creta, la Grecia  e l’Egeo

Europa e sua nonna Libia vengono ovviamente da Occidente (l’Europa e la Libia sono a Occidente),  da Roma.  Ho identificato da tanto tempo, ed esattamente,  Mutemuia, madre di Amenofi III/Radamanto, con Europa. Adesso però posso affermare che Mutemuia (vedi Nicolas Grimal, Storia dell’antico Egitto, Laterza, Biblioteca Storica, 1998, p. 281) NON fu figlia di Artatama I/Agenore o Fenice, e dunque non fu mitannica/fenicia di Tiro.  Non fu nemmeno sorella di Cadmo, vilissimo trace (antenato del vilissimo Dioniso, dio del vino e dell’ubriacatura, della follia estatica, parente stretto di Zeus/Djahvè) che i greci hanno cercato di accreditare innestandolo nella nostra tradizione, ma che  non a caso finisce i suoi giorni fra gli Illiri traci (dov'è il santuario oracolare giahveista di Dodona). Cadmo fu associato a Tebe beota e non poté mai avere  a che fare con Tebe egizia.

L’Egitto e gran parte dell’Oriente subirono per oltre un secolo (dal 1650 al 1525 ca.) il duro stivale degli Ebrei (gli Hyksos sono presentati nella Bibbia come Ebrei tenuti schiavi dagli Egizi mentre fu l’esatto opposto!)  come l’Europa sotto il Nazismo. Noi Romani indossammo la divisa di liberatori  assumendo su di noi il controllo del Mediterraneo e del mondo di allora come fanno oggi gli Stati Uniti, la superpotenza controllore del mondo. Da allora fu interesse dei Romani far decollare l’Egitto come superpotenza orientale in modo da non dover più subire l’invasione di chicchessia. Finora L’Egitto s’era sempre fatto i fatti suoi. Adesso diventa imperialista, entra nella storia e fa storia. E si troverà contro i Mitanni e gli Ittiti. Coi primi troverà un’intesa (ma i Mitanni saranno presto schiacciati dagli Ittiti, motivo per un odio maggiore dei Romani contro gli Ittiti) coi secondi si scontrerà senza scrupoli per il controllo della Siria, via strategica fra Mediterraneo e Golfo Persico. Roma aveva già Troia in Anatolia e considerò gli Ittiti come  nemici scomodi, quando possibile ignorandoli. Dunque Roma puntò molto sull’Egitto. Fino al tempo di Amenofi III  tutto il Mediterraneo e l’Oriente è pacificato sotto Roma e sotto l’Egitto, dall’Assiria alla Babilonia a Mitanni ad Hattusa a  Cipro a Creta alla Grecia alle isole dell’Egeo.  Dalla mia teoria, che parte dalla sconfitta degli Hyksos da parte del Romano Ahmose I,  deriva che nessun significato speciale possiamo dare alla sostituzione dei “Micenei” ai “Minoici” di Creta  nel loro impero, per il fatto che Roma acquisisce l’impero degli Hyksos e dunque dei Minoici, e da quel momento non ha senso distinguere fra Romani che dominano da Creta (“Minoici”)  e Romani che dominano dalla Grecia (“Micenei”). In ambo i casi i Romani già parlano e scrivono e hanno archivi in greco.  Non sono i “Minoici” ad avere il predominio dei mari ma i Romani, tanto è vero che i “Micenei” li “sostituiranno” (probabilmente i palazzi crollati non furono ricostruiti perché ai Romani non interessavano) avendo sempre il predominio dei mari. Ma la civiltà “Minoica” continua ininterrottamente con Zakro e Arkhanes, segno che non c’è stato uno scontro fra potenze, entrambe essendo  Roma stessa. Minosse, che dà nome alla civiltà Minoica, vive in realtà nel periodo “Miceneo”.  E’ probabile che i Romani trovassero difficoltà nel conquistare il continente greco e dunque preferissero concentrare qui i loro sforzi con centro in Micene. Da qui il passaggio della sede del governatore cretese da Festo a Cnosso (dove sono gli archivi del procurator), più a nord e in diretto contatto con Micene.   Si trovano tracce dei “Micenei” (cioè dei Romani) dalla Spagna al Levante perché questo è l’orizzonte consolidato dell’impero di Roma.

I Romani amano organizzare tutto, prima di tutto la guerra. Il distretto di Roma capitolina era logicamente  il preminente fra i dieci distretti di Atlantide e doveva fornire diecimila carri e milleduecento navi (questo secondo me doveva essere il totale di tutti e dieci i distretti messi insieme). Ho i miei dubbi che Atlantide coincidesse con la penisola italica nel suo complesso e infatti  rileggendo il testo capiamo che l’Italia (sia pure detta Atlantide in quanto la sua parte eccellente) dominava molte altre isole e l’Europa fino alle Colonne  e l’Africa settentrionale fino all’Egitto (all’inizio escluso il nord  perché vi dominavano gli Hyksos).  Tutta questa potenza nel suo insieme era l’Atlantide,  ma dobbiamo considerare tutto l’impero, Oriente incluso. Posso immaginarmi il 1) distretto di Roma;  2) Sardegna;   3) Sicilia. Niente di più al momento. Pertanto ritengo  più che probabile che la tradizione sia arrivata fino a noi con qualche fraintendimento. Atlantide doveva essere tutto l’Impero nel e intorno al Mediterraneo, “Mare Nostrum”.  E allora, trattando a parte le eventuali colonie d’America, possiamo immaginare altri  distretti nella 4) Europa atlantica; e poi 5) Tartesso,   6) Africa atlantica,  7) Egitto,  8) Troia,   9) Creta/Micene, 10) Biblo.   Questa fu la prima superpotenza della storia.  

A partire dal 1550/1525 a. C.,  per cinque secoli, fino a Salomone di Gerusalemme (970 a. C.),  i Romani dominano la scena mondiale sedendo prima di tutto sul trono di Tebe d’Egitto,  di Troia,  di Cnosso, di Biblo. Una parte rilevantissima della tradizione italica (oggi “greca”) è legata a Tebe egizia dalle cento porte per il semplice fatto che Tebe è una nostra creazione.  Si tratta del primo impero romano, di cui esisteva  anche una parte occidentale, al di là della Sardegna, fino a Tartesso, fino alle Colonne di Atlante… fino alle Americhe!

Come ho già scritto in appendice ad Atlantide, e qui  porto  avanti le mie riflessioni, i Romani frequentarono l’America centrale. In Timeo 24e-25a il sacerdote di Sais in Egitto afferma: « quel mare (Oceano Atlantico)... davanti a quell'imboccatura che, come dite, voi chiamate colonne d'Ercole, aveva un'isola... più grande della Libia e dell'Asia messe insieme: partendo da quella (“Atlantide”) era possibile raggiungere le altre isole per coloro che allora compivano le traversate, e dalle isole tutto il continente opposto (Americhe) che si trovava intorno a quel vero mare (Oceano Atlantico). » Probabilmente il sacerdote di Sais descriveva Atlantide come la Penisola con capitale Roma Capitolina di cui ho detto. E’ Platone che ha collocato questa sua “Atlantide” al di là delle Colonne, confondendola (volutamente) dunque con un’isola di cui effettivamente parla o sembra parlare  la tradizione antica.  

Prima di tutto noi conosciamo benissimo i fondali dell’Atlantico (e del Mediterraneo) e non c’è spazio per tale isola, sia pure affondata. Da altri documenti antichi sappiamo abbastanza per farci l’idea che quest’isola che avrebbe dovuto fare da “ponte” fra l’Italia (vera Atlantide) e le Americhe, a causa della cura che i Fenici mettevano nel tenerne celata l’ubicazione e la possibilità di approdo, poteva anche non esistere affatto.  L'isola “ponte” non si trovava subito dopo le Colonne d’Eracle (ovviamente), ma a parecchi giorni di navigazione verso Occidente. Lo pseudo Aristotele di Storie meravigliose, 84, dice che i Cartaginesi sbarcavano spesso, e alcuni vi si stabilivano a motivo delle sue felici condizioni, in un'isola deserta che distava numerosi giorni di navigazione oltre le Colonne e di cui impedivano a chiunque l'accesso.  Diodoro nella Biblioteca storica scrive che dalla parte dell'Africa si trova in mare aperto, a parecchi giorni di navigazione verso Occidente, un'isola notevole per l'estensione, che per l'estrema felicità sembra essere la residenza di divinità e non di semplici mortali. I Fenici che esploravano le coste africane oltre le Colonne d'Eracle vi arrivarono casualmente, portati per parecchi giorni dai venti e dalla tempesta.  Essi si opposero all'invio di una colonia da parte dei Tirreni (5, 19-20). Naturalmente al tempo dei Cartaginesi i Tirreni degli sciatti Greci sono gli Etruschi (che i Greci definirebbero Pelasgi)! Questi due documenti sono riportati dal lavoro di Gras,  Rouillard e Teixidor, L'universo fenicio, Einaudi Tascabili, pp. 292-294).  Documenti riportati alla luce nelle Americhe in età moderna, di vario genere, epigrafici e manufatti, ci confermano nel modo più totale la veridicità della  tradizione, di   navi fenicie spiaggiate dai venti e dalle correnti marine e giunte nelle  Americhe  (restandoci senza speranza di ritorno in patria). Dato che i fondali non segnalano tracce di tale isola, alla fin fine, per quanto ambigua, la tradizione va riportata alla situazione geografica attuale per cui le navi partivano direttamente dall’Italia, o meglio dai suoi avamposti spagnoli (come Tartesso, ed eventualmente marocchini),  per giungere sulla via di Colombo fino alle isole caraibiche (Cuba, Haiti ecc.) antistanti l’America centrale, ma anche fino all’America settentrionale e meridionale. Si tratta di un viaggio oceanico senza soste intermedie della durata di circa 3 mesi. Esiste però una possibilità. I marinai tirreni s’erano certo imbattuti nel Mar dei Sargassi che al tempo di Colombo (1500) era costituito da sole alghe, il che non esclude che  nel II-I millennio conservasse la consistenza  di « un continente vagamente trapezoidale che si estendeva dalle Bermude alle Azzorre e alle isole del Capo Verde,  e ricopriva l’attuale Mar dei Sargassi » (Jean-Baptiste Charcot, Cristoforo Colombo marinaio, Giunti Martello, p. 94; la teoria è di L. Germain,  L. Joubin e E. Le Danois: Une esquisse du passé de l’Atlantique nord in  La Géographie”, tomo XL, n. 3, settembre-ottobre 1923).  Dunque tutto sarebbe stato più facile se i Romani avessero beneficiato almeno di un « rosario d’isole disseminate » come un’“Atlantide” di strutture vegetali galleggianti come tante oasi nel deserto marino  sufficientemente solida da potervi attraccare le navi, abbeverarsi con acqua piovana, pescare e in genere rifornirsi di cibo come, che so io banane, noci di cocco e così via. Altrimenti è  vero quel che ha scritto uno studioso, che Platone come ha creato Atlantide (rubando però la tradizione della prima Roma e della vera Atlantide nel Mediterraneo) s’è anche preoccupato di farla affondare, per far sparire le tracce della sua menzogna politica.

Più in generale è evidente che mai e poi mai le Americhe,  la cui civiltà è assai più tarda (e semmai deriva) da quella eurafroasiatica avrebbero potuto colonizzare l’Europa fino all’Italia e l’Africa fino all’Egitto, scatenando un’invasione fino alla Grecia.  

L’identificazione di Atlantide con l’Italia è schiacciante, e dunque, eliminata l’isola “ponte”  al di là delle Colonne (che sotto censura cartaginese  può identificarsi tanto con un’isola del continente americano quanto con una delle loro basi atlantiche in Africa o in Europa; del resto avevano il monopolio di tutto quanto era al di là delle Colonne e nessuno poteva contraddirli), non resta che tenere in conto l’Italia/Atlantide colonizzatrice e il continente americano colonizzato. Qui entra in gioco certamente il nome Aztlan (somigliante ad Atlantide) dato dagli Aztechi (popolo che appare nel XIV secolo d. C.) alla loro terra messicana. Come ho detto altre volte la terra ricorda la storia che poi viene raccolta dai popoli che vi si susseguono. Qualsiasi popolo, per quanto straniero, finisce con l’identificarsi con gli antichi popoli di una determinata regione.    Basta che dei Romani siano giunti nelle Americhe nel II o nel I millennio a. C. perché il ricordo sia passato agli Aztechi. E’ un’ipotesi che si basa su poco, ma vale la pena di essere approfondita, come le tracce di tabacco che sarebbero state trovate su mummie egizie. Gli indigeni furono visitati in un tempo passato dagli dèi, che promisero il ritorno. Disgraziatamente per loro tornò Colombo, che   aprì la strada alla caccia all’oro e allo sterminio degli Indiani da parte della Spagna (Storia Universale Feltrinelli, America Precolombiana, vol. 21). Ma certo nel frattempo erano arrivati anche i Fenici spiaggiati, che portarono i sacrifici umani (gli Israeliti/Cananei di prima stratificazione praticavano sacrifici umani, e così gli illirico-traci-armeni di seconda stratificazione al tempo di Merenptah e Ramses III), trasformando le Americhe in un Inferno sulla terra, luogo ideale per l’epopea americana dei Cristiani, della Cristianissima Spagna.  La Spagna è un caso unico nella storia di Stato che non riesce a cogliere le buone occasioni a causa del suo razzismo e carenza assoluta di voglia di lavorare. Nasce con la regina Isabella e Ferdinando cacciando ebrei e arabi e appena in tempo per  prendersi il merito e i “vantaggi economici”  della scoperta delle Americhe da parte dell’Italiano Colombo.  Proprio poco tempo prima della partenza di Colombo da Palos con le tre caravelle gli Spagnoli hanno cacciato dalla Spagna gli Arabi e gli Ebrei (Sefarditi, che erano la materia grigia del paese e anche quella disposta ad usare le braccia per lavorare) in nome della limpieza de sangre (purezza del sangue, cioè del sangue spagnolo, punto e basta; concetto ripreso da Hitler). Mentre le caravelle riversano in Spagna l’oro, l’argento  e i preziosi strappati agli indigeni macellati come bestie e con la benedizione dei papi  e preti spagnoli  (vedi Alessandro Borgia; da poco i papi sono tornati a Roma  da Avignone), la Spagna è il paese più ricco del mondo (e si dedica solo alla guerra e ai piaceri), ma agli spagnoli non va di lavorare (no me gusta trabajar!) e accumulano terre su terre schiavizzando e considerando e rendendo merda altri popoli fra cui noi Italiani. Un membro (intelligente) delle Cortes scrive a Filippo II (succeduto a Carlo V sotto il cui regno non tramontava mai il Sole) che la Spagna finisce con l’essere il paese più povero perché serve da ponte per far passare oro e argento in altri regni nemici della Spagna. Questa è invece la relazione presentata a Filippo II da un altro membro (stupido, ma che rende l’idea di cosa sono gli Spagnoli) del Parlamento (le Cortes): Lasciamo Londra produrre quei panni così cari al suo cuore. Lasciamo l’Olanda produrre le sue stoffe,  Firenze i suoi drappi, le Americhe le loro pellicce, Milano i suoi broccati di seta, le Fiandre i loro tessuti di lino! Noi siamo in grado di comprare questi prodotti, il che prova che tutte le nazioni lavorano per Madrid e che Madrid non serve nessuno.    Questa politica fallimentare (gli storici parlano di suicidio economico che condusse al sottosviluppo irreversibile alla fine del ‘600) li porta a sparire dalla scena internazionale ai primi del 1600 proprio mentre credevano di aver realizzato l’ideale della nazione cristianissima, motivo in più per i popoli intelligenti di tenersi alla larga dal cristianesimo. Insomma, sono stati al centro della politica europea per poco più di un secolo. Oggi l’Italia fa parte dei sette paesi più industrializzati del mondo, la Spagna no (e nemmeno uno degli stati dell’America latina ex colonie spagnole). E pretendono  che Colombo sia spagnolo (o ebreo spagnolo) dopo averlo « espulso come straniero dai “suoi”  territori nel 1504, vide gli ultimi arrivati usurpare il suo posto e spogliarlo di ogni diritto ed avere, dei suoi effetti personali e persino dei suoi scritti che aveva conservato per lungo tempo. » (p.18) I re cattolici avevano posto il divieto all’immigrazione in America dei non Spagnoli e Cristoforo Colombo fu respinto dal continente col pretesto che era straniero (p. 15).    

Ciò che ho scoperto a proposito delle relazioni esistenti fra Atlantide e la Mesoamerica, ha dello straordinario, ma discende soprattutto dal fatto che fin dalle scuole medie mi sono occupato di tutte le civiltà antiche, per cui, nonostante la mia attenzione si sia dal 1984  rivolta soprattutto (Mediterraneo e Vicino Oriente) dove mi portavano le mie scoperte incentrate su Disco di Festo, Hyksos, XVII-XVIII dinastia, Omero… , conosco abbastanza bene e mi tengo aggiornato anche sulle civiltà precolombiane. E’ sintomatico  degli studi a compartimenti stagni (al contrario mio che studio tutto e interdisciplinariamente) che la Séjourné, autrice di un ottimo lavoro sull’America precolombiana (vol. 21 della Storia Universale Feltrinelli, da cui provengono tutte le mie citazioni di questo argomento nel presente lavoro), si smarrisca (né più né meno degli altri) dietro alla figura senza tempo di Quetzalcoatl, che io invece identifico senza alcuno sforzo  con Nebmaetra Amenofi III/Eracle, l’unico personaggio che secondo la documentazione di lingua greca e fonte romana esistente ebbe l’apoteosi dopo morto e dunque fu assunto fra gli dèi.  E questo faraone fu piuttosto, come ho dimostrato, un governatore dell’Egitto in nome di Roma (Haunebu/Ausonia),  attraverso la sua parentela con le donne Titanidi o Creontidi, cioè della casta dei Potenti di Atlantide (se Amenofi IV patì tanto a cercare un erede maschio fu per un semplice motivo, perché emarginò Nefertiti (“la bella viene [da lontano]”) e portò l’Egitto fuori dall’impero di Roma, cosicché  Roma non inviò successori).  Perciò da questo momento, circa il 1400 a. C.  se non prima, è Roma ad esportare usi e costumi del suo impero (soprattutto di Roma e  dell’Egitto) in America centrale (dagli antenati degli Aztechi a nord agli antenati degli Inca a sud) oltre che importare materie prime, lavorate, indigeni, vestiario, mode, ecc.

Comincerò semplicemente dalla tradizione romana rubataci dai Greci.  La decima fatica di Eracle, catturare i buoi di Gerione nell'isola di Erizia/Rossa, si riferisce all’arrivo di Romani atlantidei in Mesoamerica. Il Sole diede ad Eracle la sua coppa d'oro (una imbarcazione) "per attraversare l'Oceano" (pseudo Apollodoro II, 5) da Tartesso a Erizia/Mesoamerica (abitata dai Pellirosse). Omero la chiama Apeira "sconfinata" o  "ai confini del mondo", e i Romani (i “Feaci” omerici)  ne hanno riportato a Pyrgi (Scheria) un'indigena pellerossa come domestica per Nausicaa (Od. 7, 7ss). Gli Aztechi del Messico celebravano la grandezza (figurativamente rappresentata come gigantismo) dei mitici fondatori (i Toltechi, detti Grandi Artefici) di Tula, che situavano ai confini del mondo (p. 176).  Analogamente raccontavano che  « i nostri padri vissero felici, in quel luogo che essi chiamarono Aztlan (Atlantide), che significa ‘candore’;  in tale luogo si trova, in mezzo all’acqua, una grande montagna che essi chiamano Culhuacán perché la sua cima è contorta,  infatti Culhuacán significa ‘montagna contorta.’  Su quella montagna c’erano delle buche o grotte o caverne dove i nostri padri e i nostri nonni vissero per lunghi anni… (p. 179). Secondo il nobile   Chimalpahin, Chicomoztoc (“Le sette caverne”),  si identifica con  Culhuacán e specifica che « di là, da Chicomoztoc, uscirono dapprima i Culhua, poi i Toltechi e finalmente tutti gli uomini del nostro mondo,  i sudditi che noi chiamiamo uomini della Nuova Spagna… » (p. 183). Tula, ”luogo delle canne” (che potrebbe rimandare ai Campi Elisi, Campi di Canne/Paradiso egizi, all’estremo confine del mondo orientale, l’Italia),   fu patria del gruppo ancestrale e culla dell’astro che diede inizio all’èra del movimento alla quale appartenevano i costruttori della prima Tula/Teotihuacán, “luogo dove l’uomo si trasforma in Dio”,  capitale dei Toltechi, “Grandi Artefici” (che sembra rievocare i Titani romani) e del loro re Quetzalcoatl che qui (dopo essersi unito a sua sorella, pratica degli Egizi e degli Atlantidei matrilineari) si gettò sul rogo acceso da lui stesso, ascendendo al cielo e divenendo il Quinto Sole (p. 175).  Quando i nomadi  Aztechi intorno al XIII secolo arrivarono sull’altopiano messicano celebrarono i Grandi Artefici costruttori di Tula, che situavano ai confini stessi del mondo (p. 176).  Per quanto Tula come abbiamo detto possa corrispondere a Teotihuacán non c’è dubbio che questo nome fa anche riferimento alla terra di origine dei Toltechi (ovviamente a Oriente/Atlantide) altrimenti non ci sarebbe stato bisogno di parlare dei confini del mondo quando Teotihuacán si trova in Messico. Penso quindi che Tula (il nome più antico della città) riceva il nome dalla Tula atlantidea (si sente parlare dai nostri antichi di ultima Thule, che potrebbe fare riferimento alla terra del ‘candore’ — terra di ghiacci? — da cui partivano per le Americhe gli Atlantidei) da dove  al momento penso provengano non tanto i colonizzatori quanto (per ora mi accontento) i frequentatori/civilizzatori Romani. Va ovviamente considerato che queste tradizioni locali antichissime sono raccolte dagli ultimi arrivati Aztechi che le fanno proprie.

 

Come Atlantide, fondata dai Titani (almeno dal 1600 a. C.) e “distrutta” dai loro lontani discendenti Giganti, anche Aztechi e Incas dicevano di essere discendenti di giganti che avevano costruito opere ciclopiche nelle loro città capitali, come i colossi toltechi (i Toltechi erano chiamati i Grandi Artefici) di Tula o le statue gigantesche con barba ad alto-rilievo trovate a Tiahuanaco che illustrano le leggende sui giganti primordiali barbuti che il Titicaca avrebbe generato nella notte dei tempi (p. 220). E’ evidente che chi costruì queste opere gigantesche veniva molto tempo dopo i colonizzatori romani,  ma ne manteneva la tradizione, pur  riproducendoli  a modo suo. Idealmente questi colossi sono dei Titani romani venuti da Aztlan/Atlantide.

Ora io credo che qualsiasi significato possano aver avuto queste tradizioni per gli Aztechi (ovviamente alla lunga i toponimi d’origine si sono cercati nel Messico stesso),  in origine Aztlan si riferiva ad Atlantide, realmente situata ai confini del mondo, ad Oriente. ‘Candore’ può essere stato riferito ai ghiacci del nord Europa (che faceva parte di Atlantide) da cui le flotte romane possono essere partite per una navigazione (che fu poi quella dei Vikinghi) costa costa  delle Americhe da nord a sud in senso antiorario.

Eracle era noto ad Erodoto come personaggio storico, umano (Amenofi III, 1390-1352), e come dio, il dio assai più antico dell’uomo. Anche gli Aztechi conoscono il dio e il potente monarca esposto alle passioni e alla fine cacciato da un rivale [che nella tradizione “greca” è Euristeo]. Poiché Eracle fu divinizzato dopo la morte è possibile che la tradizione lo abbia alla fine scisso in due esseri differenti, uno divino, uno umano, mentre logicamente doveva essere un uomo divinizzato dopo morto. Quetzalcoatl re di Tula/Teotihuacán, “luogo dove l’uomo si trasforma in Dio”,  capitale dei Toltechi, deve essere stato all’origine della civiltà mesoamericana anche se come il gemello Eracle finisce con l’essere moltiplicato in storie di differente cronologia e ambientazione.

 

E’ rivendicato come loro creatore dai Grandi Artefici, i Toltechi,  dell’altopiano del Messico, da cui tutti gli altri popoli messicani si proclamano discendenti.  Dapprima re di una purezza sovrumana, si da al bere, spinto da cattivi consiglieri, si unisce carnalmente a sua sorella (pratica egizia e atlantidea), discende agli inferi cioè si chiude per quattro giorni in una specie di sarcofago (questo è anche il percorso giornaliero in cui il pianeta Venere, come Vespero, stella della sera scende con la nave del Sole a Occidente nella parte inferiore della Terra per risalire al mattino come stella dell’Aurora, Lucifero, a Oriente),  abbandona il suo regno e dopo una peregrinazione arriva al Paese del Sole o alla “terra del nero e del rosso” (pp. 201 e 299; nella quale vedrei l’Egitto, Chemet, la terra nera, bordata a destra e a sinistra dal Deshert rosso), giunto alla riva celeste dell’acqua divina (cos’altro se non il Nilo?), prepara le sue insegne di piume e la maschera verde (le maschere funerarie sono in uso per coprire il volto del morto come, in questo stesso tempo, in Egitto e a Micene) si sacrifica su un rogo, il suo cuore scortato da miriadi di uccelli multicolori sale al cielo e diventa il pianeta Venere/Lucifero, il Signore dell’Aurora (p. 192 e 201).  Secondo altre versioni questo re era sacerdote del dio Quetzalcoatl, il dio Sole (p. 194). Solo Amenofi III ebbe la divinizzazione come Eracle, ma è possibile che la figura di Eracle sia stata alla fine piuttosto contaminata da quella di Amenofi IV (1352-1336), il faraone eretico, figlio del precedente, sebbene anche Amenofi III abbia per primo venerato il Sole/Aton con cui addirittura si identificava in vita.  Eracle costruì una pira vi montò sopra, vi bruciò e una nube lo sollevò in cielo dove ottenne l’immortalità (Apollodoro, II, 7).

CONTINUA DOPO LA… PUBBLICITA’

ATTENZIONE! Avete creato o avete intenzione di creare un sito con contenuti seri, scientifici, o cui comunque tenete particolarmente, sull’insieme Xoomer.it, Virgilio.it, Telecomitalia? NON FATELO! Tutti i miei lavori (frutto di anni di lavoro intenso) postati sul sito di questo GESTORE INFEDELE, XOOMER.IT: http://xoomer.virgilio.it/corsinimg sono stati rimossi insieme al sito stesso senza alcun preavviso e motivazione. Non pensavo minimamente che potesse accadere un’assurdità simile, ed è per ciò che il fatto mi ha colto di sorpresa. Quando me ne sono accorto e ho reclamato, la motivazione dei tecnici (perché solo da loro ho ricevuto risposta) è stata che non usavo il sito da tempo! Cioè non inserivo nuovi lavori… Queste teste di cazzo non capiscono che non sono io a dover frequentare il mio sito, ma gli utenti, voi,  che vi ci collegate e che in ogni tempo trovate lavori da consultare, per sempre. E pensare che questa storia da incubo iniziò quando mi arrivarono delle e-mail di Telecomitalia che  mi… pregava di postare i miei lavori su Xoomer.it, e io stupidamente accettai.

CONTINUAZIONE

 

Nel caso che gli Atlantidei (soprattutto Tirreni e dunque Sardi e Laziali, nonché Siculi) siano giunti nell’America Centrale è presumibile che abbiano lasciato dei discendenti di pelle bianca  accoppiandosi con le donne indigene, ciò che constatiamo dall’Africa settentrionale alle Canarie alle indigene dell’America centrale (si tenga presente che il Rio delle Amazzoni ha preso nome dall’esistenza di donne indigene che assomigliano nel loro modo di vivere alle Amazzoni della tradizione occidentale). Oltre al DNA Tirrenico ci aspettiamo di trovare in Mesoamerica alcuni elementi della civiltà romana di questo periodo che abbiamo teorizzato sulla base della tradizione romana in greco rubataci dai Greci.  Insomma, se la mia tesi è corretta  i Romani devono aver lasciato tracce  del loro passaggio e noi dovremo riscontrarle.

Le donne sono descritte come Amazzoni: « Fiera e coraggiosa, la donna uguaglia spesso per bellezza le Spagnole più avvenenti e L?pez de G?mara assicura che, nonostante la mancanza di scarpe, che la fa sembrare più piccola,  la sua statura è uguale alla loro. Stupiti per la bianchezza della pelle di certe donne indigene, tutti concludono che il colore bronzeo delle altre è una conseguenza della loro costante esposizione al sole. Agili tanto nell’acqua quanto sulla terra — l’acqua era infatti il secondo ambiente naturale di quelle popolazioni rivierasche —,  abituate a ogni genere di esercizio, compreso quello della caccia o della guerra con l’arco, le ragazze godevano, fino al matrimonio, della stessa libertà sessuale dei loro compagni, e si avvicinavano a un ideale di forza e allo stesso tempo di femminilità curiosamente moderno. Dimenticando i suoi pregiudizi, Oviedo proclama più volte la sua ammirazione per quelle donne, più pudiche e più nobili nella loro nudità di molte eleganti cristiane. » (pp. 106-107) La donna poteva essere anche medico e partecipare alla guerra e al governo e gestire i beni. Oviedo parla  di grandi dame che organizzano e dirigono numerosi lavoratori (p. 146).  Diego de Landa dice che, in realtà, certe donne vendono i prodotti del loro lavoro sui mercati e si occupano pure dell’educazione dei figli e dell’economia domestica, poiché è su di esse che ricade la responsabilità del pagamento dei tributi; che organizzano balli per sole donne, vietandone la partecipazione agli uomini; che si ubriacano fra loro nei banchetti e arrivano persino a percuotere il marito infedele.  Sembrerebbe dunque che la donna dello Yucatán non avesse completamente perso la bella autonomia che possedeva nell’area caraibica (p. 147). A Cuba le signorie  passavano in eredità alla moglie legittima. Alla morte di questa, le succedeva il figlio maggiore o il figlio della sorella del sovrano, mai quello del fratello… Anche per la Colombia, Cieza de Léon segnala l’accesso al potere della donna per diritto di successione e il passaggio dei titoli e dei beni al figlio della sorella del defunto.  (p. 148).

Oviedo segnala le vere e proprie Amazzoni, le donne « che non vogliono sposarsi e portano arco e frecce come gli Indiani e vanno alla guerra con loro; esse praticano la castità e possono  a buon diritto uccidere un uomo che volesse il loro corpo o la loro verginità. Gli uomini non chiedono mai la pace; anche se fanno parte di un’ambasceria, sono le donne che avanzano le proposte, discutono e si arrendono, se il caso lo richiede…  Fra l’altro essi dicono che “è meglio che siano le donne a mentire.” Si portano in guerra ossa di antenati eroici il cui esempio  si pensa possa essere d’incitamento. [il che mi ricorda che, secondo gli oracoli che proteggevano la città, Troia sarebbe caduta innanzitutto se le ossa di Pelope fossero state trasportate al campo greco, Apollodoro,  Biblioteca storica,  Epitome, 4] » (p. 158; e appunto si mandò a cercarle e furono portate al campo; queste Amazzoni sono uguali spiccicate a quelle della tradizione romana in greco; le Amazzoni del Termodonte (Pentesilea) invece appartenevano a popolazioni Sarmatiche,  parteciparono alla guerra di Troia contro gli Achei/Romani e  invasero l’Attica e Atene). Un periodo variabile da quindici a venti giorni è consacrato ai canti che rievocano i fatti e le gesta del nobile scomparso, affinché figli e vassalli li imprimano per sempre nella loro memoria (p. 159). Credo sia interessante la relazione stretta fra Egitto che imbalsamava i morti e imbalsamazione attestata nelle Canarie fino alle regioni caraibiche e al Perù. Fernández de Oviedo afferma che « v’è un’infinità di morti nei templi destinati a quest’uso e i loro ventri e stomaci, così riempiti, furono ripuliti con diligenza dalle mani dei nostri soldati; fu raccolta in tal modo una quantità grandissima d’oro e di smeraldi. » (p. 161)

Un cortigiano italiano dei re di Spagna, Pietro Martire d’Anghiera, fu il primo a rivelare al mondo, dal 1504 al 1530, le scoperte di Colombo e di altri testimoni: « Trenta donne si fecero avanti [a Colombo e seguito] per riceverli con rami di palma, danzando, cantando e suonando per ordine del re; esse avanzavano completamente nude, salvo le loro parti intime che nascondevano con una sorta di  gonnellino di cotone [cf. più avanti la Dama di Dorak quando parleremo di Troia]. Le vergini, invece, portano i capelli sulle spalle, un nastro sulla fronte e non coprono nessuna parte del corpo. I nostri dicono che hanno viso, petto, seni e mani bianchissimi e che essi ebbero l’impressione di vedere quelle superbe driadi o ninfe che cantano le favole antiche. » (p. 108) Ci sono ragazze che fanno voto di verginità per libera scelta come molte ragazze (le possiamo definire Amazzoni) e divinità della tradizione romana (Athena, Artemide) poi conservata e manipolata dai Greci. In questo paese la verginità non ha alcun valore sociale o religioso (p. 143), eppure resistono alla violenza degli Spagnoli fino a farsi ammazzare  e,   se violate, si suicidano,  solo per rispettare la libera decisione individuale (p. 107).    A Cubagua le vergini portano « giarrettiere molto strette  sopra e sotto il ginocchio affinché le cosce e i polpacci si ingrossino molto, ciò che è per loro indizio di grande bellezza. » (p. 137) La deformazione cranica (di Amenofi IV e della sua famiglia) passa dall’Italia ai precolombiani (pp. 138-139). Altra deformazione interessante è lo strabismo ottenuto attaccando un ciondolo fra le sopracciglia dei lattanti (il che mi ricorda lo strabismo di Venere), p. 139.   C’è una pratica che mi ricorda un passo di una commedia di Plauto secondo cui le ragazze etrusche  prostituendosi ai marinai di passaggio (a Pyrgi) accumulavano la dote. La prostituzione era un lavoro rispettabile come qualunque altro; era normale che una ragazza si guadagnasse la vita con amanti di passaggio e accumulasse così la sua dote (p. 144). E trovo anche una pratica che mi ricorda quel che diceva un greco a proposito delle donne etrusche che si concedevano a chiunque. Ebbene,  scrive Oviedo, « in una certa festa molto importante, nella quale si trovano riunite molte persone, le donne sono libere, per il tempo della durata della festa (che si svolge di notte), di unirsi con chi vogliono, qualunque sia la loro posizione sociale. Passata quella notte, non accade più nulla di simile e ciò non si ripete più di una volta all’anno…  » (p. 145)

In guerra come segno di valore si dipingono il corpo interamente di rosso. So di proporre cose che potrebbero essere azzardate ma, conoscendo abbastanza bene i popoli dell’America precolombiana, non mi stupirei tanto se il principe dei gigli (datato al tempo in cui i Romani dominavano su Cnosso) portasse una acconciatura di penne di uccello quetzal (tradotto pavoni in 1 Re 10, 22, e nel passo corrispondente di 2 Cronache)  dei Maya o, piuttosto, dei loro antenati. Lo stesso naturalismo dell’arte amarniana (che ha un parallelo in quello cretese più o meno coevo) potrebbe essere conseguenza dei rapporti con la civiltà  paradisiaca dei buoni selvaggi  caraibici. Potrei addurre altre immagini di civiltà dell’Oriente antico che suggeriscono relazioni fra Vecchio e Nuovo mondo (e fino all’Indonesia, dall’altra parte del Pacifico).     

Riassumiamo sulla guida della Séjourné. In origine (pensiamo al tempo in cui eventualmente i Romani di Atlantide arrivarono in America) era la struttura matrilineare. Se si pensa al tabù dell’incesto si comprenderà che la deroga alla legge più rigida del comportamento indigeno debba rispondere a una necessità vitale. A ad esempio si dice che « si sposano con le loro nipoti o con le loro sorelle » e la dinastia Inca inizia con l’incesto considerato come essenza stessa della saggezza del mitico Manco Capac.  Secoli dopo un altro monarca inviterà un paese ad aderire all’impero alla sola condizione  « di sposare i figli con le figlie ». Garcilaso conferma che essi « si sposano fra loro perché la razza non subisca mescolanze. » (p. 162) Qui c’è tanto Atlantide che l’Egitto. In un’area di predominio femminile il valore sociale della verginità era nullo. Deformazione cranica, depilazione, applicazioni nelle orecchie e in  diverse parti del viso, uso dei pennacchi e della pratica dei bagni quotidiani [anche i Romani del primo impero amavano i bagni caldi, dice Omero]. Scrive la Séjourné che quest’ultima usanza apparve così strana agli Spagnoli che presto le attribuirono la causa principale della mortalità dei vinti (p. 167). Si trovano dappertutto anche la trasmissione orale per mezzo di canti, la leggenda di un’era che termina col diluvio [ovviamente quello di Dardano, XIII sec., che coincide con la guerra di Troia e la fine “relativa”  dell’impero di Atlantide,  che solo i  Romani possono avere importato in America] (p. 167). E’ noto il valore sacro dell’ospitalità dei Romani del primo impero come emerge da Omero (soprattutto Alcìnoo di Pyrgi) e in  genere dalla tradizione romana oggi greca. L’ospitalità dei popoli mesoamericani resta ancora ai nostri giorni il dovere sacro che era al tempo  della conquista.  

In America latina gli Atlantidei hanno verisimilmente importato la deformazione artificiale del cranio che così diventa cilindrico (p. 225). Infatti quest’uso è osservabile in Egitto (grazie all’arte veristica) nella famiglia di Amenofi IV, Nefertiti e figlie, e deve provenire proprio da Nefertiti. Sulla scia di un egittologo credevo che queste donne grandi spose reali fossero Mitanniche e invece ho scoperto che sono Italiane.   La mummificazione presso gli Incas comportava l’estrazione di tutti gli organi interni (p. 226). Queste due pratiche erano profondamente radicate nella tradizione (p. 228).

La civilizzazione della Mesoamerica (eccetera) fu dovuta  a Roma capitale di Aztlan/Atlantide, che disponeva (per adesso, ipotizzo, dal 1600 a. C. ca.; ma potrebbe trattarsi anche dal 2500 a. C., navi di Dorak) di una flotta capace di attraversare l’Oceano assai meglio delle caravelle di 4 millenni dopo. E’ a tutti noto che la Roma da Romolo in poi (dunque sicuramente anche quella dell’impero di Atlantide) ha scrupolosamente codificato le norme per la dichiarazione di guerra solo dopo un tentativo dei diplomatici (la diplomazia è stata inventata in Italia non a caso) di ottenere soddisfazione con le buone.  « Tutto porta a credere infatti che, per gli autoctoni, un attacco fosse inammissibile senza una dichiarazione di guerra e il modo in cui perdono invariabilmente le buone occasioni di sbarazzarsi dei loro aggressori che li ingannano col tranello delle false promesse, obbliga a pensare che il tradimento costituì un’arma ancor più efficace dell’erchibugio o del cannone. » (p.  58)  

Troia fu certo un sito antico. Deve essere stata  colonia di Roma verisimilmente prima dell’invasione dell’impero Hyksos,  suppongo intorno al 1800 a. C., nello stesso tempo  in cui forse entrammo in contatto con l’Egitto (a quel tempo indipendente, cioè non soggetto agli Hyksos) esportandovi l’argento (verso la fine della XII dinastia, Amenemhet III/IV). Troia fu un avamposto conquistato e fatto grande dai Romani per il controllo del traffico dei metalli del Mar Nero (metallurgi Tiberini, non Tibareni),  dell’Anatolia e dell’Oriente in generale. I dati archeologici da qui provenienti appaiono i più antichi relativi all’esistenza di  Atlantide (renderebbero possibile  la nascita di questa civiltà in Italia indietro fino al 3000 a. C.). Credo che Troia sia stata una delle prime se non la prima conquista romana nel Mediterraneo orientale (le tombe reali di Dorak, nei pressi dell’attuale città di Bursa  nell’entroterra del Mar di Marmara,  di Alaca Hüyük, circa 165 km ad est di Ankara,  e altre ancora, sono datate al 2500 a. C. e appartengono certo alla medesima civiltà),   deve essere stata  base navale (17 navi, con vele e prua a rostro, fino a 30 rematori ciascuna e definite in grado di solcare l’oceano, decorano la spada con lama d’argento di Dorak; se davvero questa spada data al 2500 a. C. possiamo dichiarare che Troia possedeva navi di gran lunga superiori a quella solare di Cheope) per la conquista dell’Egitto (cacciandone gli Hyksos) intorno alla metà del II millennio a. C. Sono innumerevoli i dati di questi centri che si ricollegano alla civiltà di Atlantide, come i metalli che costituivano la prima ricchezza di Atlantide (oro,  frammento aureo di un trono col nome del faraone Sahure, secondo della V dinastia, circa 2500 a. C.; argento; elettro; bronzo; addirittura ferro (spada di Dorak con impugnatura in ossidiana e lama in ferro); e poi ambra (dal Baltico); agata; cristallo di rocca;  terracotta; avorio, dall’Africa),   i disegni di delfini, simbolo dei Tirreni; ma di eccezionale valore ritengo il fatto che il re della tomba doppia di Dorak aveva ai suoi piedi il proprio cane con davanti la sua ciotola di pietra e così nelle tredici tombe di Alaca Hüyük il cane del defunto veniva tumulato esternamente alla camera funeraria, affinché facesse la guardia al padrone anche dopo la sua morte.  Così scrivono  rispettivamente Ian Wilson in I pilastri di Atlantide, Fabbri Ed. (p. 194ss) e B. Brandau e H. Schickert, Gli Hittiti, Newton Compton Ed.  2006 (p. 18), ma nel vol.  21 (America precolombiana) della Storia universale Feltrinelli la Séjourné  ci informa che Xolotl è il cane che quida Quetzalcoatl nella sua discesa agli inferi (e Quetzalcoatl scende agli inferi come stella della sera, Vespero, per poi risalire in quanto Aurora/Lucifero). « E’ infatti Xolotl che è incaricato di condurre le anime attraverso i meandri di un basso mondo che egli è il solo a conoscere, poiché nessuno, all’infuori di lui, ne è mai tornato (Odisseo che va agli Inferi, quando si trova presso Circe di Colchide, e ritorna, raffigura Romolo, il re asceso al cielo, divinizzato come Quirino “Signore”, dio Sole; notare che Odisseo è la traduzione di Hostus Hostilius cioè Romolo). Il suo aiuto è considerato tanto indispensabile che i morti erano sempre accompagnati da un cane: i cronisti segnalano quest’uso presso gli Aztechi del XVI secolo e i nostri scavi hanno dimostrato l’esistenza della stessa usanza a Teotihuacán, quindici secoli prima. » (p. 277)  I Tirreni (Etruschi) si fanno riprodurre a banchetto con ai piedi il cane fedele, e lo stesso Odisseo, re tirrenico (che come ho dimostrato, secondo una delle letture possibili, di cui si sono avvalsi i fondatori del cristianesimo, è  immaginato come morto durante il ritorno, evocato dal figlio disperato per le angherie dei Proci, per cui passa dall’inferno di Circe al purgatorio di Calipso per arrivare al Paradiso di Nausicàa e da qui per un giorno soltanto a Itaca dove riabbraccia moglie e figlio, libera la sua casa dagli oppressori, sparendo definitivamente per il mondo dei morti che si trova in Italia/Campi Elisi), aveva i propri cani, fra cui il celebre, fedele Argo (che è l’unico a vederlo, come Athena, proprio per la sua essenza di morto). Il cane dei Romani è lo sciacallo degli Egizi. Anche attraverso la pratica della mummificazione giunta nelle Canarie e fino in Perù la civiltà atlantidea ha fortemente permeato quella mesoamericana. 

 

Il dio Anubis, lo sciacallo, presiede all’imbalsamazione del defunto e lo accompagna fino agli inferi dove  pesa il suo cuore, sulla bilancia di Maat (Verità e Giustizia).

 

La barca solare di Cheope data a circa il 2600 a. C. Queste che io attribuisco alla flotta  di un signore dei mari di Atlantide stabilitosi  nella Troade sono ? cos’altro se no? ? le navi di Tarshish/Tartesso che oltrepassavano le Colonne di Atlante e  ogni  tre anni portavano prodotti esotici (fra cui argento e uccelli quetzal dalle lunghe piume colorate, tradotto pavoni nelle  bibbie protestanti e in quella delle Paoline)  dall’America centrale  ai re di Roma fino  al tempo di Salomone nel X secolo. Tartesso (Andalusia, Spagna sud-orientale), regione strategica navale romana è l’erede di Los Millares (Andalusia), dove si rinvengono costruzioni fortificate di tipo nuragico tra fine III-inizio II millennio. Non credo che qualcuno possa pensare seriamente alla navigazione “oceanica” da parte dei Troiani nel Mar Nero (da cui non provengono segnali archeologici di civiltà antiche di un qualche rilievo). Troia c’entra qualcosa… ma come colonia di Atlantide e non viceversa, come attesta la tradizione del Palladio realizzato sul Tevere e finito a Troia prima della sua fondazione (e Troia, come Memfi che la tradizione vuole nostra fondazione, risale alla fine del IV millennio)!  

Mi si potrebbe contestare  che la stessa tradizione “romana” rivendica  la  fondazione di Roma da parte di Troia attraverso la mediazione di Alba Longa. Il guaio è che questa tradizione come ho dimostrato altrove è in realtà spudoratamente greca (o, come abbiamo visto, adattata a compiacere i Greci pur di attirarne gli investimenti a Roma), in quanto Ascanio figlio di Enea profugo (in realtà reduce) da Troia avrebbe fondato Alba Longa, la quale a sua volta avrebbe inviato il legittimo erede al trono di Lauro-Lavinio  Romolo (Remo a capo della comunità greca dell’Aventino  è assolutamente un’invenzione filogreca; e si appoggia, come abbiamo scoperto adesso,  all’astro di Venere e ai gemelli del tramonto e dell’alba) a cercarsi un altro regno, fuori dai piedi, insomma, del “buon nonnino” Numitore. Tutta la tradizione, come ho dimostrato da tempo, è di origine  filogreca, e perciò da rottamare grazie al solito grande storico che è Dionisio d’Alicarnasso. Roma, c’è bisogno di dirlo?, fu fondata prima di Alba Longa (anche la Roma Palatina di Romolo fu fondata prima, e la stessa tradizione si sbugiarda negando che ad Alba Longa ci fossero i Penati sedicenti portati da Lavinio, che infatti si erano rifiutati di andarci fino a che li lasciarono in pace dov’erano). Parliamo del Palladio: « Quando nacque Atena,  la dea fu allevata da Tritone [Tevere], che aveva  una figlia,  Pallade. Le due fanciulle si esercitavano insieme nell’arte della guerra; un giorno… Pallade…  fu colpita [accidentalmente] da Atena e morì. E la dea, angosciata per la morte dell’amica, fece una scultura di legno con il suo ritratto… e le tributò onori. Ma il giorno che Elettra [figlia di Atlante e dunque vivente ad Atlantide], violata da Zeus, si rifugiò presso il Palladio, Zeus lo gettò nella regione di Ilio,  insieme alla fanciulla; Ilo poi costruì un tempio per il Palladio, e gli rese grandi onori. » (Apollodoro III, 12) Da Roma a Troia, dunque! Dal  biondo Tevere al biondo Scamandro! Zeus è un intruso impostore tracio.

La regina di Dorak era vestita riccamente e circondata da prodotti cosmetici e articoli da toeletta. Possiamo farci un’idea di queste donne dalle cinque statuette alte 15 centimetri in bronzo, argento e elettro, rinvenute nella tomba della regina. La statuetta in elettro con copricapo conico alto (che pare piuttosto una complicata acconciatura dei capelli), braccialetti e cavigliere, a petto nudo e vestita solo di un gonnellino, potrebbe raffigurare la stessa regina, in quanto i gioielli sono identici a quelli trovati nella tomba.

 

Regina di Dorak e dea dei serpenti dal secondo palazzo di Cnosso

Al centro della sua acconciatura c’è un medaglione sul quale sono raffigurati due delfini e due ibici, che richiamano gli ibici  sul sarcofago di Radamanto ad Haya Triada. La kýria [KI] del sillabario romano di Phaistòs porta quella che mi sembra una pelle di animale su gonna fino ai piedi, seni nudi e capelli lunghi all’indietro. La civiltà atlantidea doveva avere un tocco di libico-punico ricevendo influssi di civiltà dalle Amazzoni libiche del Tassili  e da Malta, entrambe risalenti al V millennio.

Le navi oceaniche Romane (navi di Dorak) di base a Tarshish/Tartesso, in Andalusia, andavano fino alle  Americhe  (almeno dal XIV  e ancora nel X secolo gli Italiani portavano in Oriente e a Salomone oro, argento, avorio, scimmie e uccelli quetzal dalle piume variopinte, cf. 1 Re 10, 22), impiegando tre anni fra andata, carico e ritorno, come i galeoni spagnoli che facevano Siviglia-Americhe e ritorno! Il calo del prezzo dell'argento in Egitto nel Medio Regno (XII din.,  2000-1800 ca.), derivava forse dall'argento americano!  

 

Balsamario a forma di scimmia col piccolo, terracotta, VI sec. Roma, Antiquarium comunale

Si tratta della medesima realtà fotografata in tempi distanti: « Probabilmente nel mercato egizio si ebbe una sovrabbondanza di argento, come nell'Europa del XVI d. C., sommersa dal metallo bianco proveniente dall'America. » (F. Braudel, Memorie del Mediterraneo, Tascabili Bompiani, p. 233)  Se il grande storico Braudel dice il vero, allora la potenza italica potrebbe realmente essere datata dalla fine del III-primi del II millennio, il che  corrisponde alla ragionevole datazione dei più antichi nuraghi sardi.

Dobbiamo ritenere abbastanza probabile la datazione al radiocarbonio di alcuni nuraghi e aree connesse che giungono fino al 2000 a. C. e oltre, come il nuraghe Brunku Màdugui (Gésturi-Cagliari). Importante è anche il contestuale  ritrovamento di lingotti di rame con segni della Lineare A. « Quel che sorprende è come tali principi architettonici abbiano allignato così presto in Sardegna, anzi quasi prima ancora che nello stesso Peloponneso raggiungessero il massimo sviluppo. Infatti, come si è visto, sulla base del radiocarbonio, almeno due nuraghi a tholos potrebbero porsi fra il XVIII e il XV sec… Nuraghe di Barùmini… Nuraghe Pizzinnu di Posada… (Ercole Contu, La Sardegna dell’età nuragica, p. 160, in Popoli e civiltà dell’Italia antica, vol. III, Biblioteca di storia patria, 1974). Questa meraviglia è propria di chi ancora subisce l’errore comune che l’Oriente abbia civilizzato l’Occidente (oltretutto assai tardi).

Ecco spiegato perché è in Egitto che  si verifica (oltre ad esservi  registrato) il calo del prezzo dell'argento. Ma attenzione! A quest’epoca l’Egitto è sotto la XII dinastia, la dinastia canonica della civiltà egizia. Poi verranno gli Hyksos. Poi Ahmose I di Tebe. Per il momento non ho prove sufficienti per azzardare una datazione così alta del primo impero romano (perlomeno fino all’Egitto; si potrebbe trattare più semplicemente dell’impero occidentale). Serve ulteriore documentazione.  Durante la XII dinastia gli Egizi possono essere stati  anche solo acquirenti dell’argento che eventualmente proveniva dalle Americhe. L’argento egiziano avrebbe potuto provenire dalla Spagna e dall’Inghilterra sempre attraverso Atlantide; tuttavia forse non a caso i maggiori produttori mondiali d’argento sono nell’ordine: Messico, Stati Uniti, Canada, Perù, Australia, Bolivia (Enciclopedia Universale Fabbri). Tutti nelle Americhe tranne l’Australia, mentre Messico, Perù e Bolivia sono sulla via più ovvia della frequentazione italiana. C’è un indizio importantissimo e credo univoco per stabilire se veramente Atlantide era in contatto con le Americhe da cui importava in Egitto. Da qualche parte ho letto che in qualche mummia egizia si è trovata traccia di tabacco. Se ciò è vero Atlantide certamente fu tramite, perché il tabacco origina dall’America tropicale. Verificando il DNA delle mummie più antiche potremo dimostrare che Roma andava in America assai prima di Salomone.(che era sempre dipendente da Roma), dei Vighinghi e di Colombo.

Gli Etruschi, come eredi bastardi dei Tirreni, pretendevano riallacciare i rapporti con l’America, ma  non avevano più il controllo dello Stretto di Gibilterra e di Tartesso. E’ a questo punto che, avendo Tiro fondato Cartagine, verisimilmente nel IX secolo, sono i Fenicio-Punici a dominare la scena.  C’è da domandarsi se l'oro degli Etruschi non sia stato almeno in parte accumulato dalle precedenti generazioni tirreniche, provenendo così dal Centroamerica.

Il nome Atlantide è rimasto legato all’Africa nord-occidentale e alla Sardegna/Ogigia di Calipso figlia di Atlante.  Che una serie di maremoti e terremoti ci sia stata appare direi perfino certo. Un qualche cataclisma accompagnato da maremoti e fuochi nel cielo avvenne effettivamente al tempo che ci interessa e fu avvistato e provocò danni all’Egitto di Ahmose I e fu registrato nella Stele della Tempesta e nel verso del papiro matematico Rhind. Penso sia stato coevo della prima esplosione dell’isola di Thera, che probabilmente facilitò la vittoria romana sugli Hyksos, ma c’è anche la possibilità del contemporaneo alluvione  di Atlantide (senza l’inabissamento) se il diluvio di Ogige lo riferiamo, come mi pare doveroso, ad Ogigia/Sardegna della ninfa Calipso figlia di Atlante. Ogigia è l’ « isola in mezzo all’onde, dov’è l’ombelico del mare » (Od. 1, 50). Mi pare fuor di dubbio che Omero si riferisce qui al Mediterraneo Occidentale (l’ex palude Tritonide). Atlante « regge le grandi colonne che cielo e terra  sostengono » (Od. 1, 54)  Nei pressi c’è il massiccio del Grande Atlante dell’Africa nord-occidentale di cui parla Erodoto: « L’Atlante è un monte stretto e arrotondato su ogni versante, ma tanto alto che le sue vette, pare, non si possono nemmeno vedere: non sono mai sgombre di nubi, né d’estate né d’inverno; a sentire gli abitanti del luogo, l’Atlante è la colonna che sorregge la volta celeste. La popolazione ha derivato il suo nome da quello del monte: si chiamano infatti Atlanti.  » (4,  184) Abbiamo già detto cosa ricordavano gli Aztechi: « i nostri padri vissero felici, in quel luogo che essi chiamarono Aztlan (Atlantide), che significa ‘candore’;  in tale luogo si trova, in mezzo all’acqua, una grande montagna che essi chiamano Culhuacán perché la sua cima è contorta,  infatti Culhuacán significa ‘montagna contorta.’  Su quella montagna c’erano delle buche o grotte o caverne dove i nostri padri e i nostri nonni vissero per lunghi anni… (p. 179).

I Romani raggiungevano anche l’Oriente e il Nord Europa. Riassumo quel che ho scritto su Atlantide. Dalla Colchide di Circe attraverso il Mar Nero, sulla via del Dnepr/Borysthenes, noto come la "via dai Variaghi ai Greci” fino al Mar Baltico e poi attraverso il Fiume Oceano, dall’altra parte, Odisseo giunge all’Ade. Torna poi da Circe che gli indica il percorso fino a casa: Sirene, stretto di Messina,  Trinacria/Sicilia e poi, se non tocca le vacche del Sole, giungerà a Itaca coi compagni, altrimenti da solo. Così Odisseo riprende la via di fiumi che dal Baltico porta al Mar Nero e dunque ripercorre il “profondo” Dnepr con una successione di ben sette rapide e dove le ondine slave/Sirene sono le amanti respinte che si gettano nel fiume. Ora è evidente che Odisseo deve uscire dal Mar Nero ed entrare nel Mediterraneo, ed infatti entra nel Mediterraneo. Poi ha due vie, una esclusa, Canale di Sicilia, che solo la nave Argo (dei più grandi navigatori del mondo, i Tirreni) riuscì a passare, e  stretto di Messina (Scilla e Cariddi), dopo di che  giunge in Sicilia. Ma  perché passare lo Stretto di Messina  se deve andare a Itaca, che è prima e sulla destra? Perché il poema originario prevedeva il ritorno del Romano Odisseo a Pyrgi/Roma, dal suo re Alcìnoo, per relazionare sul suo Viaggio, che era un panegirico degli antichi viaggi dei Romani (Argonauti) nel loro impero.  I suoi compagni, abbastanza atei, cucinano le vacche del Sole e la nave si sfascia. Odisseo rimane nel versante occidentale del Mediterraneo e, aggrappato al fico di Cariddi, si lascia cadere in mare quando la marea riporta indietro il fasciame della nave, e, aggrappato a questo, raggiunge la Sardegna/Ogigia. E’  matematico.

In Pyrgi (Santa Severa, Santa Marinella), col suo tempio di Ino Leucothea e il re Alcinoo a capo dei dodici re della lega tirrenica (eredi dei dieci re di Atlantide, che si riunivano periodicamente a Roma, è ovvio), Omero vede il porto di Roma, e addirittura  Roma stessa, in quanto  Odisseo tocca terra alla foce di un fiume sacro (che non può certo essere il Mignone!) che nella sfocatura del ricordo si allarga ad identificarsi col Tevere, tanto più che qui ha sede il re Alcìnoo capo della dodecapoli/dieci distretti di Atlantide che facevano capo alla capitale Roma Capitolina (in altri scritti ho già avanzato l’ipotesi che Roma fu la prima antica sede del Fanum Volthumnae tirrenico, sul Campidoglio, dove per la prima volta avvenne la cerimonia della fissione del chiodo, poi ripresa dalle etrusche Cere e Volsinii Veteres; Vertumno il “Mutevole” era il Tevere). Pyrgi   è circondata da un alto muro, e lungo la strada che si apre sul porto sono tratte in secco le navi. Su una piazza pavimentata con blocchi di pietra, intorno ad un tempio di Posidone, i Romani (Pyrgi fu porto di Cere, sottomessa a Roma fino al tempo di Tarquinio il Superbo) preparano tutto ciò che ha attinenza alla navigazione (Od. 6,262ss). Nel santuario di Posidone il dio  era raffigurato in piedi (quasi toccava il soffitto col capo) su un carro tirato da sei cavalli alati (cf. i cavalli alati di Tarquinia), circondato da cento Nereidi (meglio Oceanine; fra queste era Tetisheri “Teti la piccola”, nome della fondatrice romana della XVII dinastia egizia, 1600 ca.) su delfini (i delfini sono legati ai Tirreni nell’iconografia e nella tradizione), il tutto fuso in oro (in Sardegna da alcuni anni una società  australiana opera nella produzione dell’oro; notizia superflua se l’oro proveniva dalle Americhe). Chi sperasse di ritrovare a Roma  le statue in oro di Posidone, auriga di sei cavalli alati, 100 Nereidi su delfini, le statue delle “ donne e quei re che nacquero dai dieci e molte altre offerte… di re e privati, originari della stessa civiltà e di altri paesi esterni sui quali quelli governavano”, quasi certamente spererebbe invano, ma basterebbe anche un solo buon frammento di queste meraviglie per provare la fondatezza della tradizione, non solo, ma anche una datazione di Roma più antica di quella che possiamo proporre al momento. Questi ed altri lavori assai elaborati,  richiamano da vicino le analoghe opere di Efesto, anche in oro, che abbelliscono il palazzo di Alcìnoo di Pyrgi.  La regione di Pyrgi si chiama Monte dei Tirreni e la leggenda spiega questo nome con l’avverarsi della profezia di Nausìtoo re dei Feaci secondo cui Posidone un giorno avrebbe coperto con un monte l’isola dei Feaci/Atlantide  punendoli per aver riportato a casa Odisseo che aveva accecato l’unico occhio di suo figlio Polifemo.  Come in Atlantide, a Scheria erano due fonti di acqua calda e fredda,  ma distinte anche nell’uso, una propria del re e l’altra messa a disposizione del popolo (Odissea. 7, 129ss). L’ippodromo della capitale di Atlantide corrisponde al progenitore del Circo Massimo di Roma, al centro del quale, secondo Dionisio d’Alicarnasso era interrato un sacello dedicato al tirrenico Posidone Uranio (metà uomo metà pesce, da me scoperto come segno n° 50 sul Disco di Festo, 1350 a. C.) interpretato come Dagon dagli Ebrei e Conso dai Romani tardi (in ambo i casi connesso fra l’altro col grano).

Il regime regale di Atlantide è probabilmente duale e lo si deduce anche dalle cinque serie di coppie dei figli di Posidone e Clito (ma ho il sospetto che Platone abbia ridotto a 10 quelli che erano i 12 rappresentanti della contemporanea lega dei popoli etruschi, ovviamente per non far luce sullo stretto rapporto fra Atlantide e la Tirrenia; inoltre è più facile che qui le coppie fossero maschio e femmina perché la legge matriarcale imponeva il matrimonio fra sorella e fratello). Nausìtoo di Scheria dei “Feaci” genera Rexenore e Alcìnoo. Rexenore muore dopo aver generato Arete che va in sposa allo zio Alcìnoo. Dunque la regalità viene comunque dalla donna. Il Lazio ricorda l’antica esistenza della regalità duale che si rifà ai Dioscuri ed è ripresa dalla coppia di Romolo e Remo,  Romolo e Tito Tazio, Amulio e Numitore, ecc. Il medesimo dualismo è noto a Cartagine, a Sparta (su cui ha regnato il governatore romano Menelao). I due re spartani originano da Illo, che sappiamo figlio di Eracle e di Deianira di Roma. Anche l’alternanza prevista nel regno fra Eteocle e Polinice è in questo senso. In linea generale potremo dire che i regni germogliati  dall’impero di Atlantide avranno una regalità duale salvo interferenze esterne. Per quanto sono riuscito a comprendere al momento v’era un re in carica per un certo tempo, che alla fine del mandato era sostituito dall’altro, e così via, fino a nuove elezioni entro l’assemblea  dei Potentes/Patres (i Titani o Giganti).  Mentre un re regnava l’altro faceva da controllore soprattutto da un punto di vista della sanzione divina. Era sostanzialmente un rappresentante della divinità e delle consuetudini e leggi patrie.  Il panorama delle iscrizioni in Lineare B, su cui non posso farmi un’idea personale non possedendo il corpus relativo, è assai confuso.  Ai curatores e procuratores aggiungo gli equites (e-qe-ta) che per me sono i cavalieri (si ricordino le due classi dei senatori e dei cavalieri a Roma),  che non a caso attorniano il sovrano.  Pur non essendo sufficientemente note le attribuzioni  del wánax (col digamma eolico, romano, altrimenti ánax) e del lawaghétas, io suggerirei  che il primo sia il controllore politico-religioso e   il secondo il comandante civile-militare,  costituendo una collegialità paritaria, dal momento che ogni certo lasso di tempo scambiano il loro ruolo, non solo,  ma nel caso della temporanea incapacità del comandante militare questo viene sostituito dal wánax.   E’ significativo che tanto il palazzo di Alcìnoo di Pyrgi (« Cinquanta ancelle erano in casa d’Alcínoo: alcune con mole moliscono giallo frumento, altre tessono tele e girano fusi… Quanto i Feaci sono sapienti sugli uomini tutti a reggere l’agile nave sul mare, altrettanto le donne son tessitrici di tele; a loro Atena donò in grado massimo di far opere belle e d’aver savia mente  » Od. VII, 103-111), che Tarquinia nell’età di Annibale, che il tempio annesso al palazzo di Gerusalemme roccaforte romana (2 Re, 23, 7:  « le case dei prostituti sacri, che erano nel tempio,  e nelle quali le donne tessevano tele per Asera. », che il palazzo del  wánax “miceneo”, specie a Pilo e Cnosso, siano solo o primariamente ricordati come sede di donne che tessono tele, presumibilmente innanzi tutto, almeno in origine, come a Tarquinia, per le vele delle navi della possente marina romana.  Vi sono delle caratteristiche della dominazione “micenea” che mi paiono sottolineare la presenza di dominatori (Romani) che non si preoccupano di interagire con la popolazione assoggettata quanto di esigere determinati tributi come, per citare i più rilevanti:   « i limiti numerici del personale del palazzo, rispetto alla quantità presumibile degli abitanti dei regni micenei; la problematicità di un monopolio palaziale nell’importazione del bronzo … la potenza dell’amministrazione palaziale, con la gestione di quell’importante strumento di controllo che è la scrittura … l’assenza di un vero consiglio e di un’assemblea. » (D. Musti, Storia greca, Biblioteca Storica Laterza, 2008, p. 57) Insomma i preposti  da Roma alla gestione di un determinato territorio si preoccupano della continuità del dominio e quindi della collazione dei tributi sia per il territorio che per Roma, da cui provengono in cambio prodotti necessari alla difesa, all’alimentazione, ecc. di cui i diversi preposti non hanno né potrebbero avere il monopolio.   

Come sappiamo dalla storia del cristianesimo e possiamo ben comprendere, con queste premesse di conflittualità di due autorità una religiosa e l’altra militare non si poteva andare molto lontano, e infatti Romolo, che la tradizione ci ricorda come esperto di materia religiosa,  pretese di porsi sopra il collega “civile” Tito Tazio eliminandolo. Il sistema duale comunque  riprese dopo la cacciata di Tarquinio Superbo (dopo il fallimento della “riforma” di Romolo) con la Repubblica e i due consoli. Però anche in questo caso Roma non seppe disfarsi della superstizione (nei libri di storia viene messa in ombra la parte avuta dagli oracoli e dalle sorti tratte in mille modi, prima di una battaglia o di qualsiasi impresa importante, ma nessun popolo ne fu immune, anzi, proprio i popoli che riputiamo più razionali, come Greci e Romani, furono i portabandiera di questa pratica che, pare, continua ad interessare i governanti dei nostri tempi). La religione sta sempre in agguato per distruggere la civiltà. Il buio della ragione genera mostri. Anche se dal tempo di Colombo e Galileo viviamo nel mondo dell’Uomo  Signore dell’Universo, continuiamo a portarci dietro la ruota di pietra di Fantozzi come zavorra di cui nemmeno più sappiamo il perché. Ma io sono ottimista in quanto proprio nei paesi islamici  le donne si stanno ribellando per appropriarsi della propria libertà di cui hanno diritto innato (e l’Occidente non potrà fare a meno di aiutarle). Ciò che apprezzo ancora di più è che in Russia queste giovani donne si ribellano da un punto di vista ateo e contro addirittura il Vaticano. Ciò a mio avviso significa che la consapevolezza della religione come assurdità nemica dell’uomo ha raggiunto tutto quel che poteva raggiungere, si tratta solo di far trionfare questo principio contro l’opportunismo dei potenti e farlo diventare ufficiale statuto dell’umanità.      

Infine, per allontanare qualsiasi dubbio circa la mia teoria che sono il primo a voler verificare fino in fondo (mi piace stupire con effetti speciali ma devono  anche corrispondere al vero; altrimenti farei solo della  Radio Televisione Italiana),  devo discutere di Posidone fondatore di Troia. La tradizione di Atlantide ci proviene dall’Egitto dicesi tramite Solone (alterata da Platone ma non in modo irrimediabile), e l’Egitto è senza alcun dubbio il paese che ha la più lunga cronologia e tradizione scritta (gli Orientalisti, e io sono anche Orientalista, e dunque li  posso giudicare, fanno carte false (basandosi sulla prepotenza della Chiesa Cattolica da sempre, fin dal tempo di Champollion che sovvertiva la sua cronologia biblica a favore dell’Egitto),  per far credere che la civiltà Sumero-Babilonese sia la più antica, ma al dunque le prime attestazioni scritte egizie di carattere storico sono più antiche di 300 anni rispetto a quelle mesopotamiche. La paletta di Narmer, 3150 a. C. circa, per citare un documento conosciuto da tutti, è senza dubbio più antica di 350 anni rispetto alla iscrizione storica di Enmebaragesi (2800 ca.), menzionato come re di Kish in un poema del ciclo sumerico di Gilgamesh (Paolo Matthiae, op.cit. p. 242). La pseudo preminenza che gli Orientalisti hanno nel senso che studiano un insieme di civiltà legate da lingue e civiltà comuni in prevalenza semitiche (come l’accadico e l’aramaico utilizzate come lingue della diplomazia internazionale, anche in Egitto), li porta a manie di grandezza volendo scavalcare questo limite pretendendo di tutto sapere e tutto asservire alla Mesopotamia,  considerando l’Egitto un paese acculturato dalla medesima. Ciò non è assolutamente vero. Quella egizia è la più evoluta e sofisticata civiltà dell’Oriente. Oltretutto la Bibbia sulla base della quale hanno portato avanti la loro “truffa”, è un’opera tarda e truffaldina, in quanto manipolata dagli aronniti (ordine sacerdotale originariamente politeista e pagano nato sui testi dei seguaci di Mosè/leviti di origine israelita che si affermarono a Gerusalemme solo con Geremia e Giosia, per contrapporsi a loro e mettere le mani sulla cassaforte del tempio di Gerusalemme) dalla fine del V secolo a. C. Da studioso di tutte le civiltà fin dalle scuole medie ho acquisito la certezza che mentre l’Oriente è un guazzabuglio di miti e incertezze, solo l’Egitto si può studiare fino nella più remota antichità con una precisione invidiabile (la cronologia egizia, grazie soprattutto alla documentazione egizia originale) è l’unica  bussola esistente per orientarsi nel difficile mondo dell’antichità; non è sufficiente essere egittologi, ma se non si è egittologi non si va da nessuna parte, e io mi sono formato prima di tutto come egittologo).  Se gli Atlantidi discendevano  da Posidone ci possiamo credere (ovviamente nel senso che a questa discendenza davano gli antichi). Anche  i Feaci di Scheria discendevano da Posidone.  Anche i Romani di Romolo veneravano al centro del Circo Massimo un altare sotterraneo di Posidone Uranio (lo stesso che ho scoperto come segno n° 50 del sillabario di Festo). I “Filistei” (i Romani, i Tirreni) veneravano notoriamente Dagon che era la divinità con cui gli orientali identificavano il romano Posidone Uranio. Sappiamo che Dagan è attestato per la prima volta in età akkadica (2370-2250 a. C.), anche a Ebla,  in alta Siria, ma resta il fatto che è notoriamente noto come “Signore dell’Occidente”, il che lascia assai aperta la possibilità che il Posidone romano sia  più antico di Dagan, anche per il fatto che Posidone nasce come dio marino, mentre Dagan,  se non è in qualche modo filiazione del primo nascerebbe come dio fluviale (dell’Eufrate), il che è meno ovvio.   

Bene faceva Giuseppe Flavio sacerdote di Gerusalemme ad identificare la cacciata degli Hyksos con quella degli Israeliti discendenti  da Giacobbe (che io identifico con un faraone hyksos di nome Yahqub vissuto intorno al 1650 a. C. e di cui possediamo diversi scarabei col suo nome). Dunque le tracce dell’Esodo ci sono ma vanno cercate storicamente intorno al 1525-10. Il contesto di questa cacciata della fine del XVI secolo combina sostanzialmente con quello  delle “dieci piaghe d’Egitto” bibliche. Questa deve essere stata la tradizione israelitica, cioè tanto “ebraica” originale, quanto dello stato del nord. La tradizione di Erodoto e Giustino sull’origine dei Fenici diceva la stessa cosa. Così chiamavano i Cananei che altro non erano se non i discendenti degli Hyksos (tanto quelli rimasti in Canaan quanto quelli ritornati dal Goshen). In origine non era possibile distinguere  gli Ebrei (aronniti, che sono tali solo dal IV secolo a. C.), dai Fenici o perfino dagli Arabi. Dal ceppo degli Hyksos di Canaan veneratori di Seth/Tifone, il tornado che spazza la sabbia del deserto come i poveri nomadi che ci passano sopra coi loro cammelli, vennero fuori i popoli che adorano come unico o principale un dio cui si da anche il nome di Baal (“Signore”) e che è noto come El (“Cielo”), dei Cananei, Fenici ed Israeliti (Elohim) e che viene ripreso dall’islamico Allah.  Una seconda stratificazione “ebrea” ritengo sia dovuta agli esodati dall’esondazione del Mar Nero (indoarii Illiri,Traci e Armeni praticanti sacrifici umani e l’oracolo di querce sacre sotto la guida di sciamani alla Calcante, veneratori di Yahweh/Dyaus,”Cielo”) che coincide col regno di Merenptah e Ramses III.  Si tenga bene presente che al tempo dei primi Romani il dio era Posidone/Dagon e non Giove/Giavè importato da Romolo sacerdote che si portò dietro come guardia del corpo mercenari jahveisti Shardana e Cari  adoratori di Zeus Stratio/Jahvè Zebaoth.

Quattro anni fa, quando ho scritto Atlantide, non avevo le informazioni e non le avevo elaborate  come oggi.  Il movimento dei popoli del mare viene interpretato  come esodo dalle loro terre di popoli affamati spinti in  avanti da altri popoli affamati e con intenzioni non certo amichevoli, in cerca di nuove terre da depredare e su cui stabilirsi da padroni. La tradizione antica, egizia e greca, certamente appoggia questa interpretazione perché gli Egizi di questa fase diventano nemici di Roma e dunque falsi e bugiardi,  invidiosi e pronti a falsificare le carte pur di toglierle il prestigio che merita. Il sacerdote di Sais che parlò con Solone (o per lui Platone) mise in evidenza l’affinità fra Sais egizia e Atene tramite una divinità Hyksos come Anath/Atena. Quando parliamo di Hyksos parliamo di Eracle, il capostipite, schiacciato dai Romani, degli invasori Greci dell’impero Romano, e ad Eracle succedettero gli Eraclidi e cioè la XIX dinastia Sethiana che defezionò da Roma alleandosi con gli Ittiti. Erodoto mette in evidenza nel II libro (54ss) la relazione fra il tempio di  Amon di Tebe e quelli libico dell’oasi di Siwa  e illirico di Dodona rendendo intuibile (volendo suggerire?) una collusione fra questi santuari giahveisti a monte dell’invasione dei Pelasgi, letteralmente  “popoli del mare”.  Questa coalizione è all’origine delle dinastie libiche ed etiopiche in Egitto, nonché al predominio del clero tebano sull’Alto Egitto dopo i Ramessidi.    

Ma all’origine di questo movimento,  all’origine della fine del mondo antico, ci sono i  Romani che aggrediscono  la coalizione Ittito-Egizia (realizzatasi col trattato fra Ramses II e Muwatalli II dopo la battaglia di Qadesh) e i gli indisciplinati regoli siro-palestinesi. Ora mi spiego anche perché le prime navi sarde, i segugi di Roma, appaiono nelle acque egizie all’inizio del regno di Ramses II seguite da quelle sicule nelle acque di Cipro al tempo di Suppiluliuma II  e Merenptah.  La guerra di Troia cantata da Omero non fu semplicemente l’esaltazione di un angolo di terra bagnata dal sangue  di Romani che si erano distinti per il loro eroismo (Ettore in primis, il modello di civis Romanus). Troia in Omero divenne il simbolo, la punta dell’iceberg del secondo conflitto mondiale di  Roma contro Egitto ed Ittiti, che Roma vinse fino all’annullamento  dei suoi nemici a costo del suo stesso annullamento, l’Atlantide di Platone (affondata metaforicamente anche per il velo dell’oblio che  Greci, Ebrei ed Egizi stesero sulla  storia che celebrava Roma come superpotenza, quando non addirittura per il dislocamento e il furto della sua tradizione) con la cui fine finisce anche tutto il mondo antico (si direbbe che l’ordine di Roma sia stato: “muoia Sansone con tutti i Filistei!”). Roma aveva già scatenato la sua potenza distruttrice contro l’Oriente al tempo dell’annientamento degli Hyksos (prima guerra mondiale). Adesso, circa 300 anni dopo, ripeteva l’operazione contro la sua creatura  (l’Egitto) e non solo, che le si era rivoltata contro. Aveva giurato morte all’Egitto, e morte fu, perché con  Ramses III l’Egitto sparisce dalla scena mondiale. Due attacchi mortali dell’Occidente contro l’Oriente. Quell’imbroglione di Erodoto non poté inventarsi altro che ratti di donne  all’origine dell’antagonismo fra Oriente e Grecia (supposta falsamente come Occidente), che appare alla storia già schiava dei Persiani! Ratto di Io da parte dei Fenici (Io, sacerdotessa di Era, madre di Epafo fondatore di Memfi, è figlia di Inaco, figlio di Tetisheri, di chiara discendenza italiana e mai rapita da chicchessia); di Europa fenicia  da parte dei Greci cretesi (Europa/Mutemuia era italiana e dominava come regina d’Egitto; nessun greco o cretese poté mai vantarsi d’averla rapita);  di Medea di Colchide da parte degli Argonauti (gli Argonauti erano Romani e non avevano bisogno di recuperare il Vello d’Oro perché questo, il potere, era sempre rimasto a Roma, tanto che in base ad esso Agamennone e Menelao erano stati governatori di Micene e Sparta; quanto a Medea traco-armena non poteva interessare a nessuno); di Elena da parte di Alessandro/Paride di Troia (I Romani/Achei  assediarono Troia per  liberarla  e liberare lo stesso suo re Alessandro d’Ilio dal vassallaggio agli Ittiti; fu una guerra fra Romani e Ittiti; non Elena era stata rapita ma l’indipendenza di Troia, dagli Ittiti; Elena non era a Troia ma in Egitto come tutti potevano testimoniare e testimoniarono; era una dea romana — Afrodite — ed era anche un pretesto;  inutile, perché chi vinse distruggendo Troia furono gli stessi Romani e i Greci non c’entrarono mai nulla).

Il motore della storia è  fondamentalmente l’economia. Fin che si può, anche per educazione (e i Romani avevano codificato le regole diplomatiche della guerra e della pace già nel II millennio; per la verità dobbiamo ipotizzare che fin dai tempi preistorici, neolitici, le regole del commercio leale fossero già state codificate più o meno lealmente  dagli antichi in generale), si procede a scambi di merci. Poi ci sono le esigenze strategiche delle grandi potenze, di fronte alle quali le buone maniere cedono il passo. Roma era la superpotenza. L’alleanza Egitto-Ittiti con i loro possedimenti siriani bloccavano il transito dal Mediterraneo al Golfo Persico.  Solo questo era probabilmente il problema Romano, riaprire il transito dal Mediterraneo al Golfo Persico. Tutti i re e reucci del tempo, mi immagino,  occupavano un trono grazie a Roma (come fu poi nel secondo impero romano) ed erano in genere fedeli a Roma. Roma doveva dunque superare la barriera ittito-egizia e dei suoi satelliti cananei per riallacciare i rapporti coi re orientali. L’impero di Roma (Atlantide) era noto soprattutto per la ricchezza metallurgica (che gli proveniva dalle Americhe e comunque dall’Europa, dall’Africa, fino all’Oriente), per cui l’ultima cosa che Roma cercava era il rame o l’argento  per realizzare le obsolete armi di bronzo. Già dall’inizio della seconda  guerra mondiale Roma invade la Siria-Palestina e l’Anatolia con le sue legioni di 3000 uomini e 300 carri di ferro, cioè con le ruote cerchiate di ferro e con rinforzi di ferro.  Introducono cioè l’arma strategica con cui nel giro di un secolo, entro il regno di Ramses III (1186-1154; dunque “guerra di Troia” secondo Sosibio: 1182-1172), hanno ragione degli Ittiti (che spariscono letteralmente dalla storia) e dell’Egitto (che continua come  “canna rotta”) e della Siria-Palestina, i cui popoli litigiosi ieri come oggi  sono assoggettati dopo la  battaglia di Afèq del 1050, in seguito alla quale viene distrutto il campo di Silo e l’arca di Giahvè/Djahvè/Zeus, e non si trovano più due giahveisti insieme. I popoli del mare affamati in fuga dalle loro terre appestate e in cerca di un Lebensraum nelle terre periferiche delle grande potenze ricche come l’Egitto sono probabilmente la conseguenda del primo attacco sferrato da Roma e dai suoi fedeli alleati sardi e Siculi.                         

I Libici (gli Italiani) sono accusati dal faraone di aver capeggiato la coalizione dei  popoli del mare dell’anno 1208 di Merenptah (Gardiner,  p. 245). Questa accusa potrebbe far pensare ad una cospirazione cui ho accennato sopra dei santuari pelasgici giahveisti (fra cui era quello libico dell’oasi di Siwa) sobillati dal diabolico clero di Amon di Tebe. Ma io non casco nel tranello del depistaggio. Ricordate quando i Greci (Diodoro Siculo era greco) ci prendevano per Amazzoni libiche sicuramente per mettere in dubbio che avessimo gli attributi maschili? Di nuovo i Libici, che ci stanno a due passi, che secondo la tradizione di Atlantide facevano parte dell’impero,  citati trasversalmente per indicare noi, dato l’odio che portavano al nome stesso di Roma.  Fra questi invasori sono  menzionati gli Shekelesh/Siculi. Mi pare evidente che dietro a questo attacco c’è Roma. I popoli interessati non sono affamati, bensì aggressivi in primo luogo (se si portano dietro le famiglie è perché sono certi di vincere ed occupare le terre del nemico, colonizzandole; probabilmente Roma acquisisce proprio ora il concetto che non esiste vero e proprio dominio su un territorio se lo si lascia abitare dai vinti senza arricchire la popolazione di Romani che garantiscono il mantenimento del potere di Roma).  Spieghiamo prima di tutto perché gli Shekelesh vengono proprio dall’Italia, dalla Sicilia. Secondo Dionisio d’Alicarnasso i Pelasgi… furono cacciati dalla Tessaglia... La maggior parte di essi trovò rifugio nell'interno presso gli abitanti di Dodona [e lo Strimone/Palaistînos],  loro consanguinei... la terra non era in grado di nutrire tutti quanti, lasciarono la regione accogliendo l'ordine dell'oracolo di navigare alla volta dell'Italia... si diressero verso lo Ionio... [Se si nota bene, eliminati i fronzoli aggiunti che pretendono di dare origine preellenica ed ellenica agli empori greci in Italia da Spina giù fino a Cere, l'esodo  pelasgico,  punta avanzata dell’esodo di Teucri e Misi nel XIII-XII secolo, rimane realisticamente contenuto in Epiro e in area Ionica, ciò che è confermato dalla tradizione greca riguardante l'Elide e i Tafii di pseudo Apollodoro,   Epitome, 2 e  II, 4; detto in altre parole questi fatti riguardano i Traci periferici, i Greci, non Roma e la Tirrenia] …e usciti dall'Italia a cavallo della guerra di Troia (I, 26,1), sospingono davanti a sé i Siculi, che vanno in Sicilia (I,22); dobbiamo dunque   immaginare un ulteriore sciame di Siculi/Shekelesh dalla Sicilia verso il Levante. La cosa diventa più verosimile in quanto anche i Libi fanno parte di questo attacco (ma non i Pelasgi/Peleset/Filistei, che sono i Romani, che troviamo invece al tempo dell’invasione sotto Ramses III). Ritroveremo fra poco gli Shekelesh menzionati negli attacchi agli Ittiti e per l’apertura della via per il Golfo Persico.  Tutta questa storiella di Pelasgi è una fantasia dei Greci, ovviamente, in quanto la Sicilia, abbiamo visto, era una delle isole sacre di Ausonia/Atlantide e perciò, come gli Shardana, anche gli Shekelesh, sulle loro navi veloci di stile vikingo, presero il mare alla volta di Hatti e dell’Egitto per distruggerli, su ordine di Roma.

Gli Ittiti, fin dal fondatore Hattusilis (1650; che è l’età degli Hyksos in Egitto che hanno rapporti con Labano/Labarna; anche gli Ittiti devono aver dato fastidio ai Romani di Troia) si preoccuparono solo di procurarsi l’argento  e il rame  per il possesso della obsoleta arma del bronzo, e pertanto furono la causa prima della ”seconda guerra mondiale” che sfibrò le grandi potenze del Levante e preparò il terreno a quello sciame di cavallette costituito dai popoli del mare traco-illirico-armeni che in breve completò il lavoro di Roma  facendole uscire dalla storia guarda caso intorno al tempo in cui Sosibio data la guerra di Troia (che infatti cade durante il regno di Ramses III ultimo faraone dell’Egitto prima dello sfascio; si noti dunque la fine di Hatti ed Egitto nello stesso tempo a causa degli stessi Romani). Ma i Romani, sia pure ridimensionati, sopravvivono e continuano a dominare in Oriente. Per quel che posso intravedere dai dati frammentari,  l’Italia domina l’età del bronzo col rame e lo stagno che senza andar troppo lontano le arrivano dalla Spagna,  dalla Bretagna, dall’Italia stessa, ed è pronta a guidare il passaggio all’età del ferro di cui si è procurata per tempo il totale monopolio, anche della lavorazione industriale. Il ferro ce l’ha in casa: in Etruria settentrionale, a Cipro, a sud del Mar Nero, in Palestina meridionale. Nulla consente di supporre che l’Oriente abbia avuto la possibilità  del  monopolio e  lavorazione del ferro,  altrimenti chi meglio degli Ittiti avrebbe potuto farlo? Essi furono spazzati via dai Romani. Poiché il ferro si degrada presto in ruggine, ad eccezione di determinati tipi d’acciaio, le testimonianze letterarie sono essenziali. Trovo interessante che « Schliemann scoprì a Troia un reperto molto raro, risalente alla metà  del II millennio a. C., indicato a volte come pomo a volte come testa di una mazza; come si è scoperto nel frattempo, è costituito da un nucleo di ferro » (B. Brandau e H. Schickert, Gli Ittiti, Newton Compton Ed.,  2006, p. 166). Mi ricorda gli scettri sormontati dal globo dei re di Dorak, il che forse alludeva alla loro presunzione di dominare la Terra (che i Tirreni e Omero sapevano essere rotonda, come ho già scritto altrove; e adesso si capisce meglio perché; perché sull’impero di Atlantide non tramontava mai il sole), per cui questi trovano forse una datazione più vicina alla realtà dove li ho collocati (1800 a. C.) prima  della vittoria di Ausonia sugli Hyksos.

Gli Ittiti si trovavano in una posizione geografica tale da farne automaticamente dei nemici di Roma.  Roma aveva Troia e la costa occidentale dell’Anatolia (gli Ahhijawa), il Mar Nero e la Russia fino al Mare del Nord, Cipro, la Siria-Palestina. Gli Ittiti erano circondati e ignorati finché stavano al loro posto. Poi l’Egitto della XIX dinastia tradì alleandosi con questi ultimi,  bloccando il passaggio a Est. Ora io considero gli Ahhijawa come Romani. Le guerre fra Ittiti ed Ahhijawa hanno come oggetto anche la presa e la difesa di Wilusa/Ilio. Per quel che riesco a vedere adesso, Troia fu il simbolo del conflitto mondiale che vide la potenza di Roma scatenata contro i Levantini, fra cui i traditori Egizi. Troia VI parlava greco eolico (cioè Romano), come ritiene la stragrande maggioranza degli studiosi. Gli Ahhjawa erano sempre Romani e parlavano greco, erano della stessa pasta dei Troiani e da nord a sud della costa occidentale dell’Anatolia avevano costituito colonie (come Millawanda/Mileto) entrando in contatto con gli Ittiti. Credo che  i Romani utilizzassero  i Kaska, nemici storici degli Ittiti,  per impedire loro l’accesso al Mar Nero (ad esempio le miniere di ferro presso Amiso) e salvaguardare Troia dalle loro mire. I rapporti di Troia con Micene erano di Romani con Romani.  In Troia VI F (poco prima del 1400 a.C.) un incendio distrusse più di 20 assai costosi vasi importati da Micene. L’edificio fu ricostruito e continuò ad essere abitato (B. Brandau e H. Schickert, Gli Hittiti, p. 231).

Stanno emergendo dati storici che potrebbero confermare un nucleo di verità storica dell’Iliade. Il  re di Troia al tempo di Mursili II era Alaksandu/Alessandro (Paride, il pavido seduttore omerico). Su Troia (romana) avevano mire sia gli Ittiti sia gli Ahhijawa che secondo me erano Romani. Pijamaradu era un attaccabrighe che cercava un trono come vassallo degli Ittiti e riuscì a entrare a Ilio (divenendo dunque il Priamo omerico) aggredendo anche Lesbo.  Suo genero Atpa regnava su Millawanda/Mileto come governatore di Ahhijawa.  Dopo la sua aggressione a Troia nel 1280 Alessandro fu costretto a concludere un trattato di vassallaggio con Muwatalli II.  Muwatalli II invia il suo generale Gassu che insieme a Kubantakurunta di Mira rimette sul trono Alessandro.  Pijamaradu si sottrasse alla cattura e continuò a tramare in Licia sostenuto da Ahhjawa e Millawanda. Dunque, o con Priamo o con Alessandro/Paride, Troia entra nell’orbita degli  Ittiti.  Termina qui l’indipendenza di Troia (mentre fino al 1300, Troia VI, essa è stata romana). Ovvio che i Romani/Ahhijawa/Achei  vogliano riprendersi Troia e scatenano la guerra. Dunque la seconda guerra mondiale di Atlantide ha per causa l’aggressione a Troia entrata nell’orbita ittita. Succederà la guerra fra Egitto e Ittiti. L’alleanza fra Egitto sconfitto (a Kadesh) e Ittiti, e infine l’aggressione a oltranza, a costo della fine stessa del suo impero, di Roma contro Hatti e Egitto che alla fine usciranno letteralmente dalla storia, mentre Roma per quanto ridotto il suo impero (sotto Salomone nel 970 a. C. dominava almeno dalle Americhe a Gerusalemme),  continuerà a dominare sulla Troade o comunque sulla Focide (sulla via dei metalli e del ferro), da cui giungerà a Roma Romolo (qualche anno prima del 753 a. C.). Da una lettera di Hattusili III (1266-1236), scritta  intorno al 1260/50 a. C., apprendiamo dell’avvenuta passata da non molto tempo “guerra” fra i due regni (cf. B. Brandau e H. Schickert, Gli Hittiti, p. 233ss). Per gli studiosi non si sarebbe trattato di una vera guerra. Però non c’è nessun’altra possibilità. Se la guerra fu davvero decennale la dovremmo collocare fra il 1280 ca.  quando Troia diventa vassalla di Muwatalli II (e  i Sardi appaiono nel mare egiziano ai primi del regno di Ramses II 1279) a quando gli Ahhijawa/Romani prendono Troia, nel 1270 ca. (ciò corrisponde a Troia VIIa: 1300-1260). (la data della guerra di Troia, rigidamente intorno al 1280-1270 perché dopo il 1274 Egizi ed Ittiti si alleano contro i Romani e la tradizione pone infatti entrambi dalla parte di Troia —, si può ritenere sostenuta anche da Erodoto, II, 145. Se sono 900 anni ca. a separarlo da Amenofi III/Eracle (morto nel 1350 ca.) otteniamo 450 a. C., il tempo in cui vive Erodoto. Poi aggiungiamo a 450 gli anni 800 ca. che separano Erodoto dalla guerra di Troia e otteniamo 1250. Erodoto fa calcoli approssimativi per cui  non possiamo chiedere di più). Ma questa è anche la cornice del conflitto fra Ramses II e Muwatalli II conclusosi con la battaglia di Kadesh (1274). Cosa dedurne? Ramses II combatté dalla parte dei Romani per riprendere Troia ma, sconfitto a Kadesh da Muwatalli II, voltò gabbana e si schierò dalla parte degli Ittiti. Fu a questo punto che Roma  scatenò tutta la sua ira prima contro l’Anatolia e poi contro l’Egitto (il tutto con un progetto unitario pensato in anticipo rispetto alla messa in esecuzione), eliminando dalla storia l’una e l’altro. Certo è che se la guerra di Troia presa in considerazione da Omero in sé e per sé durò dieci anni (poniamo con la sua distruzione definitiva da parte dei Romani, tanto che la base della Troade si sarebbe spostata a Focea), poi il conflitto di Roma contro Ittiti ed Egitto durò  complessivamente  un secolo,  dal 1279 di Ramses II al  1178 di Ramses III. Alla fine l’impero di Roma continua in Anatolia occidentale ma evidentemente non più appoggiandosi su Troia, bensì su Focea, da cui proviene Romolo.

Omero si ispira alla Troia VI dell’età dell’oro ma anche in sottofondo alla guerra decennale di Roma contro Alba Longa. Dietro alla guerra di Troia Omero canta anche la presa di Alba Longa da cui forse traeva origine lui stesso per parte di padre.  Romani e Albani, che entrarono nelle tribù di Roma, erano fratelli. L’orizzonte ideale della guerra di Troia è dunque Troia VI  con Alessandro (sostituito da Priamo; è una favola, non un racconto storico) che torna al potere come vassallo di Muwatalli II. Ciò fa coincidere la Troia reale con la Troia ideale che Omero non avrebbe potuto collocare altro che all’epoca d’oro di Troia VI. Era qui, intorno alle sue mura poderose, che si doveva localizzare la fine ideale dell’impero di  Roma,  in un tempo di splendore quale poteva essere quello di Troia VI, al tempo del Galateo e della Cavalleria. E’ l'epoca degli  Ahhijawa che, partendo da attacchi esterni (non dalla Grecia e nemmeno con una spedizione navale da invincibile armata) alla fine si stabiliscono nella Troade. Nell’Iliade i lontani  Egizi (di Ramses II) e Ittiti (di Muwatalli II) stanno dalla stessa  parte dei Troiani sudditi degli Ittiti, contro i Romani (gli Achei, che appunto parlano greco). Gli Ahhijawa  e i Troiani partecipano di una stessa civiltà progredita, cavalleresca, che unisce fra loro i rappresentanti dell'aristocrazia. Al tempo di Mursilis  II (1345-1315 ca.) i principi ahhijawa, con quelli ittiti, imparano la nuova arte della guerra coi carri  sulla base del manuale di Kikkuli, alla corte di Hattusas (J. Lehman, Gli Ittiti, Garzanti, p. 220).  Questo avveniva ovviamente poco prima della seconda guerra mondiale scatenata da Roma contro Troia, ora in mano agli Ittiti, per cui se vedo bene avremmo proprio Achei (Romani) contro Troiani vassalli degli Ittiti. Gli Egizi al tempo di Ramses II fanno alleanza con gli Ittiti e così Roma prosegue questa seconda guerra mondiale scagliandosi anche contro l’Egitto. La fine di Troia diventa il simbolo della fine del mondo antico di Roma che riduce drasticamente il suo impero di Atlantide,  pur di annientare i suoi nemici orientali, ma sopravvive comunque. Alla fine dell’Egitto e di Hatti seguì la conquista della Siria-Palestina, che permetteva di ricollegare il Mediterraneo col Golfo Persico. Ciò accade con l’epopea romana della battaglia di Afèq (1050) che costituisce lo spunto della trama dell’Ira d’Achille. Cattura dell’arca/Criseide da parte dei Romani/Filistei/Achei (Troia è in mano agli Ittiti nemici dei Romani). La peste inviata dal dio troiano/ebreo della guerra della morte e della pestilenza Apollo/Djahvè nel campo degli Achei/Romani miete numerose vittime. 1 Samuele/Omero la fanno smettere non appena i Filistei/Achei/Romani restituiscono l’arca/Criseide/al sacerdote di Apollo Crise, ma la realtà fu sicuramente diversa, perché i Romani certo distrussero tutto, l’arca, il campo di Silo col tempio, il clero djahveista (dunque niente Samuele che unge Saul generale romano, sia pure ribelle a Roma).  Dunque Omero ebbe occhio al conflitto nel suo complesso anche perché, vista l’epoca in cui scriveva, gli riusciva più facile avere accesso ai fatti  del 1050 piuttosto che a quelli del 1270/74 a. C.  

Intorno al 1230 i contatti commerciali micenei si contraggono drasticamente e pochi decenni dopo anche la rocca di Micene (Romana) è ridotta in cenere. Tudhaliya fece una spedizione contro Cipro (dove i Romani lavoravano il ferro) e Pilo (Romana) perse la sua fonte di approvvigionamento del rame.  Si scoprirà che gli Ittiti non riuscivano a produrre il ferro di buona qualità ma semmai si facevano credere produttori senza affermarlo esplicitamente, acquistandolo dai Romani a Cipro. Alla metà del XIII secolo il re assiro chiede ad Hattusili III l’invio di ferro di buona qualità e questo risponde: « ferro di buona qualità non è disponibile nella mia camera del tesoro di Kizzuwatna. Non è il momento propizio per la produzione del ferro, come ti ho scritto. Producono nuovamente ferro di buona qualità, ma non lo hanno ancora portato a termine. Quando avranno finito te ne spedirò un po’. Per ora ti invio una lama di pugnale.  » (B. Brandau e H. Schickert, Gli Ittiti, p. 170) Il testo è chiaramente sibillino. Non si vuol menzionare il nome dei produttori perché sono i Romani (i “Tibareni”, i Tiberini). Il re non ha evidentemente disponibilità diretta del ferro di cui parla. Non ne possiede nella cassaforte di Kizzuwatna e cioè una regione confinante con  Cipro e l’Alta Siria, dove i Romani avevano certo la loro via per l’Oriente, per il Golfo Persico.  Se i rapporti con Roma andavano bene il re Ittita poteva sperare di ricevere qualcosa, altrimenti no. Ed è chiaro che il momento è sfavorevole perché Ittiti ed Egizi fanno comunella. Come vedremo gli attacchi dei Romani si indirizzeranno proprio in quest’area strategica per il ferro di buona qualità. I Romani vinceranno perché al tempo di Saul (ma certo anche assai prima, da quando hanno scatenato la seconda guerra mondiale) avranno il monopolio del ferro (1 Samuele,  13, 19ss), armi di ferro, carri da guerra con le ruote cerchiate di ferro.

Approfondendo l’analisi si capisce che dietro ai Libici c’è Roma che il vile Egitto non vuole menzionare (per prenderci in giro gli Egizi raffigurano i guerrieri Romani/Filistei su carri con inverosimili  ruote “sumeriche” di legno, ed è chiaro che ora i Romani combattono contro gli Egizi). E’ Roma che scatena contro il Levante, ancora una volta, tutta la potenza di Atlantide, i Libici,  i Siculi, i Sardi, e ancora gli Achei e i Lici anatolici. Sulla scia degli Shardana/Carii/Cereti ho raccolto dati che mi inducono a ritenere che fin dall’origine di Atlantide i Siculi, i Sardi, i Tirreni, abitano le isole omonime e dopo la conquista dell’impero hyksos i Sardi stabiliscono in età tarda una base a Labraunda in Caria dove li conosce Erodoto e sia lui sia Tucidide ci dicono che da qui venivano i mercenari Carii di cui si servivano Minosse e Amenofi III.  La tradizione orientale, secondo il collaudato ex oriente lux, privilegia la Caria come terra di origine di questi guerrieri invece dell’Italia che va ostracizzata. Avevano una base a Cere per cui nella Bibbia i Sardi guardia del corpo dei re (governatori) di Gerusalemme sono detti tanto Cereti che Carii, ma si tratta sempre di miliziani che hanno la base principale in Italia. Ma in età tarda questi mercenari ormai da tempo stanziati in Oriente hanno tralignato e sono diventati la guardia del corpo degli ultimi re ebrei portando a Gerusalemme  il culto del Yhaweh/Giovè barbaro traco-illirico-armeno, e poi Romolo lo introdusse a Roma coi suoi Shardana/Salii.  

Amenofi III si considerava dio in terra e si fece descrivere come figlio di Amon che aveva ingravidato sua madre Mutemuia/Europa (Romana di Ausonia/Haunebu). Allo stesso modo lo Zeus (gen. Diòs) impostore dei djahveisti aveva ingravidato Alcmena generando Eracle dopo aver preso l’aspetto di Anfitrione. Come ricostruisce lo stesso Erodoto, costoro erano di origini egizie (II, 43) e infatti non di Tebe beota si trattava bensì di Tebe egizia. Come abbiamo visto, si tratta di faraoni che provengono dall’Italia, da Roma. Solo Amenofi III/Radamanto e Eracle ebbero l’apoteosi, dunque coincidono. Alla morte di Amenofi III Nefertiti (la grande sposa reale di Amenofi III era Teye; Nefertiti era una delle tante mogli dell’harem) passa a suo figlio Ekhnaton divenendone la grande sposa reale. Analogamente  alla morte di Eracle Megara (menzionata nell’Apoteosi di Radamanto e figlia del Creonte/Potente di Roma) passa a suo figlio Illo (non a Iolao). Si tenga infatti presente che Illo è il figlio più grande di Eracle (a parte questa concordanza la figura di Illo è stata deformata in quanto non può essere figlio di Deianira di Eneo di Calidone/Roma, dunque un altro Potente di Roma per cui è portatrice della regalità; Ekhnaton era figlio della nera Teje). Nefertiti era la portatrice del potere di Roma.  Il divorzio da Amenofi IV significò la caduta in disgrazia del faraone e della successione dei faraoni seguenti (non sarà probabilmente un caso che, salito al potere, Horemhab abbia scalpellato tutti i nomi dei suoi predecessori eretici fino a ricollegarsi ad Amenophis III/Radamanto). Ankesenpaaten figlia di Amenofi IV e Nefertiti e vedova di Tutankhamon rifiuta di andare in moglie ad un “servo” quale Giuseppe/Ey figlio del visir Abramo/Minosse proprio perché questa famiglia non è di origine romana, bensì mitannica (e traditrice del rapporto di sudditanza), e in quanto tale connessa agli Ebrei (vi sono ebrei di discendenza Hyksos nell’orbita israelitica ed ebrei di discendenza mitannica nell’orbita di Gerusalemme).   

Anfitrione/Tuthmosis IV faraone di Tebe d’Egitto non può certo provenire dai profughi Pelasgi dello Ionio (connesso con la conquista delle isole dei Tafi di fronte all’Acarnania, terra dei Teleboi, Apollodoro II, 4). Che egli sia italiano di provenienza lo ricostruiamo dalle vicende del vello d’oro Romano, che alla fine giunge in mano ai governatori romani su Micene e Sparta,  i Pelopidi Agamennone e Menelao. Anfitrione/Tuthmosis IV è pelopide per parte di madre (Astidamia figlia di Pelope). Pelope lo troviamo presso Enomao a Pisa in Elide (altra truffa ai nostri danni) che vince e sposa Ippodamia (Apollodoro, Epitome, 2). Dunque è evidente che i Greci spostano dal Tirreno dei Romani allo Ionio e Adriatico dei generici Popoli del mare le nostre origini e tradizioni. Da Tirreni siamo trasformati non in Filistei (ancora riconoscibili come Romani nei testi ebraici) bensì in Pelasgi (“popoli del mare”) marginali e anellenici, da quattro soldi, ciò che invece erano proprio i Greci appena arrivati sulla scena della storia, da distruttori.

Attribuire a Roma vicende marginali come quelle degli Illirico-Traco-Armeni è solo un volere sminuire la sua epopea. Ma anche così la tradizione mette bene in evidenza l’arrivo dei nemici degli Ittiti e dell’Egitto da Occidente in rinforzo degli Ahhijawa e Lici che stanno già sul posto. I Romani circa 300 anni prima avevano invaso l’Oriente per prenderne possesso dopo aver cacciato gli Hyksos. Adesso ripetevano l’operazione contro il loro nemico costituito da Hatti ed Egitto che con gli Eraclidi (i faraoni Sethiani della XIX dinastia) aveva finito col solidarizzare con gli Ittiti.  Ci sono  state una pestilenza e una carestia che verisimilmente dobbiamo vedere come conseguenza della guerra che Roma ha scatenato contro le due potenze alleate dell’Oriente. Gli Ittiti sono sotto pressione dei Romani, non c’è dubbio. Muoiono di fame e Merenptah  invia a Suppiluliuma II  grandi quantità di granaglie. Dice la stessa cosa il fatto che gli Ittiti chiedono 450 tonnellate di grano  a Ugarit. Ugarit sta dalla parte degli Ittiti, ha inviato navi e carri al re degli Ittiti in Licia ed ora è sguarnita e brutalmente assalita da sette navi. I Siculi assaltano tre volte Cipro e vengono respinti grazie alla flotta che tempo prima gli Ittiti avevano  costruito con aiuto egiziano.   L’Egitto è attaccato l’anno 5° (1208 a.C.) di Merenptah che dopo sei ore di battaglia navale riuscì a vincere e a fare un ricco bottino (non ci dobbiamo credere perché d’ora in poi l’Egitto è invaso da numerosi Libici e Shardana che rimangono in loco come i Germani all’interno dell’impero secondo di Roma). Fra gli aggressori sono ricordati gli Shekelesh, gli Ahhjawa e gruppi di  Lukka (sono tutti dalla parte di Roma contro gli Ittiti, ma anche contro l’Egitto che fa pappa e ciccia con gli Ittiti). L’invasione dell'anno 8 di Ramses III (1178) colpisce in senso orario da nord a sud  con attacchi di navi da guerra (trasformate da Omero nella flotta omerica guidata da Agamennone) l’Anatolia occidentale dove già sono stabiliti i Romani come Ahhijawa e dunque possiamo immaginare da nord a sud la Licia, Arzawa, Cipro, Adana, Karchemish, Ugarit, e giù per tutta l’Alta e la bassa Siria fino alla Palestina. Dal loro campo in Amor « essi devastarono e spopolarono quel paese [Siria] come se non fosse mai esistito. »  Hatti sarà rasa al suolo e ciò la dice lunga sulla rabbia dei Romani.

I primi  giahveisti  sono i Carii che, « a Labraunda », hanno un « santuario di Zeus Stratio, un vasto e sacro bosco di platani (i Cari sono i soli, a mia conoscenza, a sacrificare in onore di Zeus Stratio). » (Erodoto V, 119; si tratta di Jahwè Zebahot biblico) I Carii conosciuti da Erodoto sono tardi,  gli Shardana che già al tempo della prima guerra mondiale furono sguinzagliati da Roma contro gli Hyksos e che furono poi stanziati (fra l’altro) in Caria per difendere l’impero romano da quella parte. Sembra più logico ritenere l’imbastardimento dei Carii col tempo. Essi al tempo di Erodoto erano veri e propri mercenari (dunque reclutati da ogni dove e uniti dalle tradizioni di corpo dietro ad un dio della guerra della morte e della pestilenza che a loro dire li proteggeva col nome anche di Reshef e che i Troiani conoscono anche col nome di Apollo Sminteo, ”dei topi portatori di peste”) e venivano soprattutto da Gerusalemme tarda e dal mondo ebreo. Erano  giahveisti discendenti dai traco-illirici di Dodona (responsabili, secondo la teoria originale  da me sostenuta da tempo, della seconda stratificazione ebraica, quella appunto giahweista). E’ vero che nell’esercito egizio al tempo dei popoli del mare militano degli Shardana, ma noi li percepiamo appunto in una fase in cui l’Egitto è nemico di Roma. Dunque Shardana egizi e Shardana carii sono tardi e al servizio dei nemici di Roma.  Gli originari Sardi provenienti da Roma non possono in alcun modo essere accusati di giahveismo come i Carii/Sardi mercenari orientali. Roma prima di Romolo venerava Poseidone/Dagon. Fu Romolo ad importare a Roma le sue guardie del corpo shardana adoratrici di Zeus/Yahweh.

Il fatto che David e Salomone (re romani del X sec.) possiedano mercenari (Shardana detti anche Cereti e impropriamente  Carii) provenienti certissimamente da Cere (che dipende da Roma e da cui dipende il porto di Pyrgi),  unito al fatto che navi di Tarshis/Tartesso cioè oceaniche, portavano ogni tre anni a Salomone prodotti americani: oro, argento, avorio, scimmie e quetzal/pavoni (2 Cron. 9, 21),  dimostra la perdurante potenza dell’impero romano dalle Americhe a Gerusalemme all’inizio del X secolo a. C. Hiram di Tiro, che viene sostituito ai Romani, per invidia, è un tarocco. L’onomastica della famiglia reale di Tiro coincide largamente con quella dei sovrani di Biblo. Le navi e i cedri del Libano, nonché la manovalanza, sulla base della stessa Bibbia e del Viaggio di Unamon, vengono da Biblo  (da Ahiram di Biblo; secondo i miei calcoli Salomone deve essere vissuto intorno al 1040), città  sotto il controllo di Roma, come dimostra il fatto che il principe di Biblo al tempo del viaggio di Unamon (1080 ca.) si chiama Tjekker-baal. Con le loro imponenti squadre navali (su cui certo è issato  il glorioso grifone di Roma) i "pirati", i vecchi lupi di mare  Tjekker/Teucri/Troiani (ciò che induce a ritenere non solo vinta la guerra di Troia ma anche che questo presidio continua a tenere, quanto meno dalla Troade in generale), pattugliano il Meditarraneo orientale dalla loro base navale  di Dor, al centro del Mediterraneo orientale, da cui controllano tutto il nord (il principe di Biblo si chiama Tjekker-baal, e dunque i Romani si sono impossessati di Biblo per sicurezza, magari già al tempo   di un suo antenato; si ricordi che sotto quella specie di buffone che fu Ekhnaton, Rib-Addi di Biblo chiese inutilmente aiuto contro Abdi-Ashirta, e ciò fa pensare  alla fedeltà di Biblo a Roma), e il sud (dove del resto i Romani sono attestati saldamente nella pentapoli come “Filistei”).  I Tjekker  intorno al 1080 hanno i nervi a fior di pelle e  sospettano che Unamon, sacerdote di Amon tebano, traffichi in armi contro l’impero. Dopo quello che ho detto circa la defezione dell’Egitto (del resto solo così si spiega che i Romani/Filistei combattono contro gli Egizi) è chiaro che i Tjekker sospettano gli Egizi in sé e per sé a prescindere dal fatto che appartengano al clero di Amon (del resto se i Romani fossero pelasgi giahveisti di Dodona connessi coi libici di Siwa, al contrario dovrebbero solidarizzare con Unamon sacerdote di Amon tebano). La situazione diventa più tranquilla solo dopo la battaglia di Afèq (1050) in cui i Romani dominano definitivamente la regione (dopo aver demolito Hatti, Egitto e loro alleati) riallacciando ovviamente  il Golfo Persico col Mediterraneo.  Ora sono i Romani, da soli,  a tenere la situazione sotto controllo (i Romani per la verità hanno tenuto tutto sotto controllo fin dalla conquista del 1525 circa; ma è vero che devono essere stati spiazzati dalle mire autonomistiche degli ultimi  faraoni della XVIII e i primi della XIX dinastia).  I regni di  Saul e David nell’XI secolo sono certamente un modo per rafforzare con presidi militari il potere romano in Palestina. Ma i popoli del mare traco-illiri messi in movimento secondario dal movimento principale romano, hanno devastato tutto e, affermatisi in area greca, hanno dato inizio alla fase espansiva della civiltà greca che ha cominciato ad impossessarsi di tutto a spese dell’Impero di Roma. Si affievoliscono i contatti fra le colonie e la madrepatria. Alla fine il nome dei Tirreni aleggerà  nel Mediterraneo orientale legato a quella che i Greci chiamano pirateria (ora connessa con gli ultimi Romani,  Tirreni,  dell’Anatolia eolica)  attribuendola agli Etruschi!

I  Romani  patrocinarono l’abbattimento dello strapotere del sacerdozio di Amon con l’eresia Amarniana? I Romani erano pragmatici e anche Omero mi appare pressoché ateo. Il Disco di Festo conferma il “culto” solare e cioè del faraone dio in terra. Amenofi III fu il primo faraone a ritenersi dio da vivo. Il culto di Aton è  del tutto materialistico in quanto si adora il Sole come astro che coi suoi raggi illumina e dà calore alla terra. La cosa si ripeterà nel III secolo dell’impero secondo di Roma quando gli imperatori cercano di vincere il cristianesimo attraverso il culto del Sole e dell’imperatore considerato dio in terra. Ora non credo più come altri che Nefertiti (1350 ca.) sia stata  fautrice di questa politica religiosa. In ogni caso questa politica fallì l’obiettivo perché gli Egizi erano fortemente imbevuti di superstizione  e così la seconda eruzione del Thera (del Diluvio di Deucalione), fu interpretata  come la vendetta degli dèi abbandonati da Amenofi IV, con il risultato che il clero tebano tornò al potere (con Ey/Giuseppe, 1327 ca., e Horemhab). Poiché Abramo/Giuda/Minosse e suo figlio Giuseppe/Ey furono indubbiamente legati al culto di Aton (divinità mitannica dietro alla quale si nasconde Yahweh indoario, anticipatore del Yahweh traco-illirico) è evidente che ciò finì coll’andare contro agli interessi romani.  Diremo dunque che da Tuthmosis IV fino alla fine della XVIII dinastia qualcosa si incrina nel potere romano in Egitto a causa della ribellione dei vassalli signori della guerra mitannici.  Tuttavia ancora con questi faraoni Roma manteneva il controllo dell’Egitto. Ma Ankhesenpaaten, la biblica Asenat, vedova di Tutankhamon, probabilmente non apprezzava (e nemmeno il suo entourage) il ruolo di potere che i mitanni (essa definisce “servo” Giuseppe/Ey) avevano assunto depotenziando la presenza romana in Egitto e cercò di sposare un figlio  di Suppiluliumas II  (Zannanza), che certamente Ey/Giuseppe fece ammazzare,  succedendo al trono.   Dopo che Roma distrugge l’Egitto  è il clero tebano a trarne vantaggio  dominando da Tebe sull’Alto Egitto dalla XX din.

L’Ira d’Achille  è stata commissionata da Tullo Ostilio  ad Omero per celebrare l’ingresso delle tribù albane in Roma come esito della conquista e distruzione di Alba Longa.  Una guerra fra fratelli e non fra popoli nemici, intorno all’incarnazione di Afrodite Urania, ad Elena, dea del matrimonio e dell’unione fra popoli. Nei poemi omerici si affastellano diverse chiavi di lettura. Dietro alla stessa Elena è difficile non vedere anche la Romana Ersilia moglie di Osto Ostilio/Romolo. Anche in questo caso il colpo di stato di Romolo contro Tito Tazio era stato appianato dal matrimonio delle “Sabine” con i guerrieri Sardi (Romolo veniva da Focea ed è probabile che si sia portato dietro i suoi mercenari Shardana/Sardi colà stanziati, dei veri e propri giahveisti, per cui, sotto il nome di Giove fu proprio a Roma che il giahveismo attecchì prima che a Gerusalemme). Omero cantò contemporaneamente l’età d’oro dell’Impero di Roma,  di Atlantide,  “affondato” nella seconda guerra mondiale scatenata da Roma contro le due maggiori potenze dell’Oriente, Ittiti ed Egitto, determinandone a breve  la scomparsa dalla storia. E come i Titani romani avevano aperto il sipario sull’età dell’oro  conquistando l’Impero,  i loro discendenti, i Giganti, i  figli degli dèi (Achille e Golia sono rappresentati realmente come giganti per ricalcare il significato del vocabolo, sinonimo di nobiltà d’origine), immolandosi nella difesa dell’impero di Roma allo sfascio, chiusero in bellezza il sipario nell’età del ferro, con il rogo di Troia.

Omero tuttavia non guarda a questo passato prossimo  con  nostalgia, perché esso continua nella Roma attuale (di Romolo, che è morto da non molto colpito dal fulmine e dunque asceso al cielo come un dio — e Omero se non nacque prima della sua morte certo ebbe modo di ascoltarne le gesta dai suoi ultimi compagni d’avventure — e di Numa Pompilio e Tullo Ostilio) nell’esplosiva civiltà orientalizzante che ricorda  i fasti dell’Egitto antico (e supera quelli dell’Egitto contemporaneo), mentre  gli altri, Greci compresi (vedi Esiodo), sono sotto il segno  della difficile età del ferro.  Che Omero viva in un periodo dorato di Roma, pieno di speranze per un futuro di grandezza come lo era stato il passato, lo dimostra il fatto che il Viaggio d'Odisseo, commissionato da  Numa Pompilio, celebra Roma signora e faro di civiltà del Mediterraneo,  probabilmente in occasione della sconfitta di pirati greci a Pyrgi (paragonati a Polifemo sul contemporaneo cratere di Aristonothos da Cere) che ne avevano tentato la depredazione  intorno al 675 a. C. (i Greci assalivano questo tempio per depredarne le ricchezze ma soprattutto per distruggerne gli archivi che risalivano ai grandi splendori di Atlantide), mentre l’Ira d’Achille commissionata da Tullo Ostilio celebra Roma signora del Mondo nel centenario della rivoluzione di Romolo e fondazione del suo palazzo sul Palatino (649 a.C.). Sinceramente, al momento, il fine di attrarre investimenti greci a Roma mi appare assai secondario rispetto allo scopo  di celebrare le imprese romane nella lingua originaria greca  per un uditorio romano  ancora in grado di intendere il greco. Possiamo dire che così i re di Roma prendevano  due piccioni con una fava. Così viene giustificata come reale la pretesa di alcuni Greci che Roma era una città greca. Roma era la città più greca di tutte come poi fu la città più etrusca di tutte.  

La guerra di Troia è una storia di pura fantasia, irrazionale, com'è tipico delle favole per bambini. Devo modificare il quadro da cui partivo quattro anni fa per descrivere questa favola. Ora so che Troia era vassalla degli Ittiti (e gli Egizi stavano dalla stessa parte), un popolo continentale al quale della navigazione poco caleva, come si sarebbe espresso Omero (il fatto che di recente gli Ittiti avessero cercato di rimediare nulla toglie alla loro inferiorità navale). In queste circostanze effettivamente la difesa dal mare di Troia doveva essere pressoché nulla di fronte all’invincibile armata dei lupi di mare Tjekker guidata da Agamennone di Micene e Menelao di Sparta. Effettivamente Omero prese due piccioni con una fava e mentre solleticava la vanità greca (in fondo i Greci erano gli eredi dei Romani in zona) in cambio di investimenti e denari nelle banche romane non faceva che esaltare l’ultima grande guerra vinta dai Romani sugli Ittiti, gli Egizi e gli infidi beduini siro-palestinesi. Roma era uscita di scena alla grande, portandosi dietro con grandi fuochi artificiali tutto il mondo antico orientale. Viste le cose a distanza non c’è dubbio che proprio da questa età assiale la leadership del mondo orientale finisce e comincia quella del mondo occidentale con Roma, che ricreerà il suo impero da allora in poi dando fino ad oggi all’Occidente il suo primato. Contrariamente a quel che si fa credere da parte degli ignoranti imbecilli universitari non è vero che la civiltà di Roma segue quella Greca. Come abbiamo visto e come risulta dalla stessa storia di Roma tradizionale, la storia di Roma è comunque più antica di quella della Grecia posteriore alla dark age. Come la metti la metti è sempre Roma che ha la meglio, da 4000/3500 anni a questa parte. Quanto alla guerra per una donna,  la più bella del mondo, proprio la dama contesa era il tema più scontato di tutta la poesia curtense che aveva al centro la donna, per ottenere la quale, nel caso della bellissima e infedele Elena, valeva la pena non un duello all’ultimo sangue, bensì lo sterminio di popoli interi,  l’olocausto dell’intero mondo antico, perché non è solo la città più antica e ricca del mondo a sparire (Roma, perché la fine di Troia rappresenta la fine del primo impero romano, di Atlantide), ma gli stessi Romani che l’hanno distrutta, che se non sono morti a Troia sono morti sul mare nella via del ritorno o, tornati a casa, uccisi a tradimento dalla moglie infedele, o sono stati costretti a riprendere il mare per altri lidi (tutti o quasi nella stessa Italia). Tutto ciò perché non valeva la pena sopravvivere alla fine di Atlantide  e dell’età degli eroi, figli degli dèi.

I Traci/Greci/Egizi/Ebrei davano  un’altra versione della vicenda. Zeus/Djahvè vide che la malvagità degli Atlantidi/Romani era grande sulla terra… (Gen. 6, 4-5) e causò il diluvio “universale” del Mar Nero (di Deucalione/Noè) e la fine dell’età dell’oro con  la guerra di Troia ultima impresa in cui si fanno luce per l’ultima volta, sterminati, i Giganti Filistei, i Romani,  come Golia e Achille, i figli degli dèi e delle figlie degli uomini, gli eroi, uomini famosi. Ovviamente faceva piacere a Greci, Egizi ed Ebrei spiegare la fine dell’impero romano con la punizione divina di una stirpe sempre più corrotta e perdente la sua divinità originaria a favore dell’accrescersi della sua materialità (è la spiegazione data dal sacerdote di Sais a proposito dell’Atlantide di Platone). Nella tradizione ebraica la colpa dei figli degli dèi (elohim) sarebbe stata quella di unirsi con le figlie degli uomini, cioè degli Orientali.   

Se è vero che Roma ebbe due imperi è anche vero che non esiste soluzione di continuità fra la prima e la seconda Roma. La prima Roma aveva già tutto quel che si attribuisce alla seconda. Non è stato Romolo a creare Roma e la romanità. Nel modo più assoluto. Gli approfondimenti storici diranno caso mai che Romolo ha fatto più male che bene a Roma. I (primi) Romani furono degli avventurosi cavalieri medievali in cerca di gloria e onore in terre lontane. Gli piaceva riunirsi, come scrive Calasso, per qualche impresa comune, come  la caccia al cinghiale Calidonio/di Roma,  la conquista  del Vello d’Oro (sempre di Roma) o del Palladio di Troia (provenente da Roma). Ora abbiamo finalmente compreso che stiamo parlando di imprese che avvengono tutte in casa nostra, fra noi. La pelle del cinghiale va ad Atalanta romana, colei che l’ha ferito per prima (nessuna donna greca sarebbe stata ammessa ad una competizione, e infatti la tradizione greca le contesta il premio); il  Vello d’Oro torna a Roma da cui (Pyrgi) è partita la nave Argo; il Palladio è la famosa statua realizzata da Atena sulle rive del Tevere/Tritone e scagliata da Zeus  sull’area della futura Troia e poi riportato a Roma dai profughi di Troia (Enea), poeticamente rubato da Odisseo e Diomede romani. Si tratta di autocelebrazione di imprese compiute dai celebri guerrieri e marinai Tirreni nella parte orientale del primo Impero di Roma.  Tutto è nato a Roma prima che altrove. Quando Odisseo giunge a Pyrgi/Scheria, il re Alcìnoo organizza in suo onore i giochi (corsa, lotta, salto, lancio del disco, pugilato, 8, 120ss; in 8, 102: « …eccelliamo su tutti nel pugilato e alla lotta, e nella corsa e nel salto. »), come i Romani a Troia organizzano i giochi  in onore del defunto Patroclo. Siamo fra XIII e XII secolo a. C.   I giochi furono fondati infatti nell’Età dell’Oro quando corsero i Cureti, dice Calasso, e i Cureti erano i guerrieri romani di Cures sabina o forse addirittura i Cereti di Cere, la guardia armata dei Sardi.  Noi Romani, dice Alcìnoo,  « corriamo veloci » (Od. VIII, 247). Odisseo ottenne Penelope vincendo tutti gli altri pretendenti nella corsa, scrive Calasso.  

Uno pseudo esperto omerico che, come tutti, non ha capito nulla di Omero e dei suoi poemi, ma scrive e pubblica,  ci tiene a negare lo spirito medievale che aleggia nei poemi omerici... Questi veri e propri castelli medievali calati nel tempo del movimento dei popoli del mare  in “Terra Santa” (1050 a. C., battaglia di Afèq con distruzione del campo di Silo e rapimento dell’arca “santa”/Criseide che fa da spunto per l’Ira di Achille, alla peste che ha colpito il campo acheo all’inizio del poema e cessa solo con la restituzione dell’arca/Criseide; ma ciò è vero solo nella fantasia dell’Iliade e di 1 Samuele, in quanto nella realtà l’arca fu distrutta dai Romani e non se ne deve  parlare più, ragionevolmente, nella Bibbia) con tanto di Romani che danno la caccia ai fanatici giahveisti o elohisti (dunque gli Ebrei perseguitati al posto degli Arabi) ci rappresentano il quadro di vere e proprie  crociate ante litteram.

I Romani sono armati  alla perfezione  con cotte di maglia di ferro. L’arciere sopra, notare  l’appendice della cotta che fa da paraguancia, sorprende per la sua modernità e non credo sfigurerebbe di fronte ai suoi colleghi medievali alla corte di Riccardo cuor di Leone.  Che sia un arciere Shardana e non Romano  non fa alcuna differenza, in quanto è certo che  i Romani hanno il monopolio del ferro (1 Samuele 13, 19-21)  e producono anche i carri da guerra impiegati dai maryannu in Canaan fin dall’inizio a contrastare l’invasione dei popoli del mare (XII sec.). Poiché sono sempre stati loro  i padroni del campo (anche quando sedevano sul trono di Tebe come faraoni egizi o di Troia come re della più antica città del mondo, o di Cnosso come re cretesi), con la fine dell’Egitto riprendono in mano la situazione e continuano ad occuparsi anche dell’armamento dei  loro, anche dei Sardi.  Ritengo che Odisseo sia ricostruito come guerriero sardo perché deve rappresentare un Greco giahveista (uno Shardana tardo che serviva sotto l’Egitto nemico di Roma e a Gerusalemme). Dunque è immaginato armato di “ascia e scudo e due lance” (Od. 1, 256).  Usa l’arco e l’asta (Od. VIII, 215ss, 229).  Ed è arciere, arma che qui si dice disprezzata dai valorosi Romani (Od. VI, 270). Chi più e meglio dei Romani può avere inventato marchingegni come le baliste e le catapulte? Non è curioso  che un ingegnere “ebreo” abbia inventato tali macchine da guerra durante il regno di Ozia/Azaria di Gerusalemme, contemporaneo di Romolo? (2 Cronache 26, 15). 

Questo bronzetto sardo non sarà più antico dell’VIII secolo e proprio per ciò ci dimostra che fra Atlantide e la Roma di Romolo non vi è soluzione di continuità.  Gli Shardana acquartierati a Cere, da cui Ceriti/Cereti,     sono la guardia scelta di David (1000) e Salomone e son detti Cereti proprio perché (in origine) vengono da un acquartieramento di Cere a pochi passi dal suo porto  di Pyrgi. Può un arciere come questo rappresentare un mondo in declino senza scrittura, da medioevo “greco”? Certo che no. In questa fase diminuiscono le informazioni a causa della perdita di documenti scritti, ma si scriveva, si continuava a scrivere, con la scrittura alfabetica su papiro, pergamena, e a vivere, alla grande,  come dimostrano i poemi omerici, della metà del VII secolo, in cui è il ricordo orgoglioso della grandezza passata, punto di partenza di una ripresa futura, che regolarmente ci sarà. Non è di poco conto che tanto nella tradizione di pseudo Apollodoro  che nella Bibbia (storia romana in Grecia e Palestina rielaborata dai Greci ed Ebrei), l’unico accenno all’uso della scrittura   è fatto risalire allo stesso Preto/David (1000 a. C.) generale romano  che consegna una missiva (probabilmente già in scrittura alfabetica) a Bellerofonte/Uria l’ittita da consegnare al superiore Iobate/Ioab in cui si ordina a questo di far morire il latore della lettera (2 Samuele 11, 14ss). Naturalmente tutti questi personaggi sono romani, compreso l’”ittito” Uria e la sua bellissima Betsabea, che fa rima con Antea omerica, la donna oggetto del contendere all’origine del misfatto). Bellerofonte discende da Eolo tramite Sisifo e anche da Atlante tramite Merope.  

Non solo la scrittura continua ma anche  il mercato dei metalli, specie del ferro, a Roma continua ad avere  la sua importanza. Nell’VIII secolo continua l’asse Roma-Oriente attraverso Focea (da cui proviene Romolo) per la lavorazione dei metalli dell’isola di Lemno e in generale della Troade, e del resto i Romani/Achei hanno ripreso la città dalle mani degli Ittiti.

 

I Romani in battaglia terrestre sui carri di ferro. Sopra due armature in bronzo ricostruite sulla base delle immagini riprodotte dagli Egizi (sulle quali è rimasto a volte il colore. I Romani portavano soprattutto armature metalliche. Anche in questo caso l’affinità col Medioevo è evidente.

L’acconciatura dei Romani (1) è passata ai Tjekker (Teucri/Troiani 2) della flotta che ha base a Dor;  3, trovata a Malta, si direbbe la caricatura del classico sergente Romano che addestra la truppa. I Romani erano appunto detestati da tutti come occupanti ed è perciò probabile che i popoli sottomessi si vendicassero trattandoli da “Sturmtruppen”; 4, punta di lancia in ferro romana trovata nel Levante.

Il ferro arrivava in  Oriente con le legioni romane  che ne avevano il monopolio già intorno  all’iniziale XII secolo in cui  si parla di carri da guerra di ferro degli squadroni Romani (“filistei”) sia in proprio sia dislocati a difesa delle città cananee alleate dove sono chiamati nella documentazione locale col nome di maryannu.  L’età del ferro ha per epicentro l'Europa centrale. Dobbiamo dunque immaginare che a Roma il ferro arrivasse per la cosiddetta via pelasgica, dall'alto Adriatico, da Adria e attraverso Cortona fino a Cere e Roma, il capolinea  tirrenico di Braccesi (p. 76). Adria era il terminale della via argonautica che partiva da Troia e dall'entroterra (dal Bosforo e dal Danubio). Ad Adria facevano capo « due importantissime carovaniere, attive già dal II millennio, che collegavano l'alto Adriatico ai mercati del settentrione di Europa. Donde affluivano materie preziose come l'ambra greggia, o metalli rari come lo stagno e l'argento, ovvero prodotti grezzi per la metallurgia... L'una proveniva dal Baltico... L'altra nasceva in area danubiana. E', questa seconda, la grande via 'argonautica', che consente di raggiungere il Mar Nero » (Braccesi, pp. 73-74). I primi approdi troiani in area veneta (pseudo Antenore) e laziale (pseudo Enea) non a caso portano il nome di Troia.   Non a caso i Greci  solo agli inizi della seconda metà dell'VIII secolo, quando non solo in Oriente hanno cominciato a colonizzare ed espropriare i Romani, ma anche in Occidente riescono a vincere la superiorità navale tirrenica, si affacciano nel Tirreno per approvvigionarsi in primo luogo di ferro, da Populonia. Se la devono vedere fra Romani ed Etruschi, ma sciatti come sono non fanno differenza.

Intorno al IX-VIII secolo (Populonia, Vulci, Vetulonia, Cere, Roma),  secondo un passo dell’Eneide, a partire da Cere, i mercenari shardana/carii giahveisti (sono loro a portare in Italia l’aruspicina e il pettorale dell’efod) occuparono i monti (minerari) d’Etruria, dando vita alla civiltà etrusca che si confonde con l’orientalizzante. Si sono cercati rapporti fra Etruschi e  Tursha (/Tirreni) popoli del mare, mentre si doveva cercare in direzione degli Shardana che in Egitto ci andarono e misero radici. La loro storia si farà iniziare dalla loro diaspora dall’Anatolia (Teucri e Misi), ma si eclissano   per molto  tempo in Egitto, dove al tempo di Ramses V (1146-1143) li troviamo stabiliti come coloni-guerrieri specie nel Fayyûm, dove si specializzano nel drenaggio dei terreni e nelle canalizzazioni  (Gardiner, pp. 236 e 269), esperienza che poi misero a frutto  nella bonifica delle pianure tosco-laziali, dove infatti compaiono massicciamente nell’VIII-VII sec.

Ho ribaltato il ragionamento di Massimo Pallottino (Etruscologia, Hoepli). Non sono i Greci posteriori alla dark age a saltare da Cuma a Monaco e Nizza il territorio saldamente in mano degli Etruschi, bensì è proprio il contrario, sono gli Etruschi, che si formano a partire dall'età dei "ritorni" da Shardana/Cari di lingua “lemnia”,  ad estendere via via la loro dominazione sull'Etruria propria ed a penetrare contemporaneamente in Campania, saltando non solo l'Ausonia (il Lazio, saldamente in mano ai Romani di Romolo), ma anche  l’area di influenza greca euboico-calcidese nella baia di Napoli, in stretti rapporti con il Lazio (Greci che in qualche modo sono in relazione coi Tirreni da più vecchia data, anteriore alla dark age). Dunque i Greci si potevano rendere conto di tutto ma a causa della loro superficialità e del loro odio hanno fatto finta di non  accorgersi di nulla. Esiodo, contemporaneo di Omero, considera i Tirreni  come Latini, ovvero (analogamente a Dionisio d’Alicarnasso) come parlanti greco di tipo eolico  dell’Ausonia. Infatti   Agrio e Latino, figli di Odisseo e Circe,  in mezzo a isole sacre (l’Ausonia) regnavano su tutti gli illustri Tirreni (Teogonia, 1009-1016). Nessuno penserà seriamente che Esiodo consideri gli Etruschi affini ai Greci! Pertanto mi pare assai venata di invidia verso i Tirreni, eppure significativa della loro potenza tuttora viva, la testimonianza del tardo Eforo (storico cumano della prima metà del IV secolo) in Strabone (6, 2, 2),  secondo cui fino agli inizi della seconda metà dell’VIII secolo (fino alla fondazione di Nasso e Megara) i Greci evitavano la Sicilia anche solo a scopo di commercio perché temevano le scorrerie dei Tirreni e la crudeltà degli indigeni.

Secondo la mia trascrizione e traduzione in “Atlantide” (vedi), la stele di Lemno (isola metallurgica dove opera Efesto/Vulcano) documenta un culto a Romolo originario di  Focea,  che morì nella città Tiberina (Roma) a 55 anni (colpito da un fulmine, infausto, cosicché fu sepolto là dove cadde), presso il Volcanal del Foro; nei  tempi successivi il luogo fu marcato dal  Lapis Niger.

Romolo aveva una carica sacerdotale (servitore di Efesto Tiberino… in rappresentanza dello stato di Focea; questo Efesto sposo di Afrodite, divinità marina,  doveva essersi evoluto dal Posidone Uranio romano paredro dell’affine divinità marina in forma di Sirena nota in Oriente come Derketo) a Roma, intorno al Volcanal (Velkhanos/Vertumno). Dopo il progressivo venir meno  di tutti i capisaldi romani orientali tradizionali (ma c’era stata la vittoria romana a Troia, l’affermazione in Palestina con i re David e Saul, e forse lo sfondamento fino al Golfo Persico)  resisteva ancora l’asse metallurgico Roma-Focea, intorno a Troia.  Romolo ritengo sia venuto a Roma  in veste di augure  come collega (controllore) di Tito Tazio. La magistratura duale è documentata nel Lazio prima della monarchia istituita da Romolo.  Sfruttò questa posizione religiosa come tutti i preti da “Pietro” a S. Agostino ai papi medievali che vogliono mettersi sopra ai re e ai principi e così fece il suo colpo di stato imponendo Giahvè.  Romolo non ha fondato Roma, bensì la monarchia (fondando il suo palazzo sul Palatino). Provenendo da Focea, si rendeva ben conto dell'aggressione greca ai residui del mondo tirrenico orientale, e che presto, senza contromisure, Roma stessa sarebbe morta in un cul de sac, come un topo nella sua tana. Pertanto decise il colpo di stato contro Tito Tazio per rendere Roma una potenza guerriera di primo piano, in mano ad un solo uomo, capace di decidere tutto da solo, in tempi brevissimi (da qui anche l'introduzione di quello che anche gli Americani si inventarono nella guerra di rivoluzione, il minute man). Fece davvero bene? La tradizione tutto sommato ci presenta un Romolo tiranno che alla fine se non fu ammazzato ci si attenderebbe che lo fosse stato, tanto era odiato. Forse non era necessario abbandonare la magistratura duale e soprattutto democratica, tanto è vero che la monarchia durò fino a Tarquinio Superbo, e poi fu rovesciata, 510 a. C.,  per tornare alla Repubblica e ai due consoli. E la Repubblica, eroicamente, ricreò l’impero.

Così alla fine i Focei, gli ultimi eredi della potenza romana in Oriente, finiscono con l’essere presentati da Erodoto imbroglione  come  «  i primi Greci a compiere lunghe navigazioni: furono loro a scoprire l'Adriatico, la Tirrenia, l'Iberia e la regione di Tartesso: non navigavano con grandi navi da carico ma con delle penteconteri. » (Erodoto I, 163) Ovvio dunque che Omero parli di Feaci/Focei al posto di Romani (per lusingare i Greci e  attirare a Roma i loro capitali). I Feaci/Focei sono greci di lingua e parlano in greco con Odisseo senza  bisogno di interpreti.  I Feaci/Focei non sono Greci nel comune senso della parola, bensì di stirpe tirrenica, sono Romani, assai più antichi e più autenticamente greci dei Greci.  Sembra che i primi a lavorare il ferro siano stati  i “Tibareni” della costa settentrionale dell’Anatolia. Tenuto conto della somiglianza del nome azzarderei facilmente che si tratta invece di  Tiberini. Gli antichi tendono a storpiare i nomi dei nostri antenati, delle città, di tutto, per occultarne la grandezza di cui sono invidiosi e appropriarsela. 

A Roma, nella Tirrenia, dovunque sia una sede reale o un palazzo aristocratico, risuonano le gesta degli eroi cantate dalla casta di maestri di palazzo, i  cortigiani (civiltà curtense, delle molteplici corti in ville e castelli) letterati tradizionali nella civiltà italica. La poesia epica (l’esametro è nato a Roma) è  il codice delle belle maniere, del Galateo, dei valori morali e cavallereschi della civiltà aristocratica ed è rivolta non tanto agli uomini d’arme quanto  ad intrattenere quelle dame  la cui condizione sociale fa sì che la loro vita sia limitata al palazzo o poco più. Contrariamente a quanto ritiene qualche imbecille che ha studiato e ricercato invano, questa è una civiltà di stampo medievale e cavalleresco in  tutto e per tutto. Le torri nuragiche sono dei veri e propri castelli. I Romani sono, a quanto appare dai bronzetti sardi, dei guerrieri temibili con cotte di maglia e spadoni. Le dame portano il velo, accompagnate da ancelle, palpitano e tessono per i loro guerrieri prediletti scene di duelli e battaglie, perfino i lenzuoli funebri in cui avvolgerli nell’estremo saluto. I re tornano dalle crociate in Terra Santa dove già si diffonde il giahveismo che possiamo ben paragonare all’islam e soccombono nell’agguato teso dalla regina e dal suo amante con la complicità del maestro di palazzo.  

La poesia di Omero (VII sec.) prova alla perfezione  che dagli inizi del II millennio ai suoi tempi la civiltà della prima Roma  non ha avuto soluzione di continuità, così come ce l’aveva già suggerito il bronzetto shardana coevo.  La stessa potenza militare romana seppur ridimensionata (è possibile che anche in questo caso la peste abbia avuto il suo peso come nel secondo impero romano, 166 d. C., dove fu decisiva, altro che  cristiani, germani e sassanidi) è quella di sempre.   Non c’è stata nessuna interruzione di civiltà, nessuna fine per un successivo lento inizio, ma solo il buio delle informazioni dovuto al tempo che tutto distrugge (e ai depistaggi greco-giudaici-egizi).   I kléa andrôn (le clarorum hominum virtutes di Catone) cantati da Achille tirreno allietarono i Romani delle origini (delle origini tirreniche di lingua greca!) nei banchetti, accompagnati dal flauto, come tramanda Catone nelle Origini (Cicerone, Tuscolane, I, 2), in sintonia con quanto canta Omero intorno al 650 a. C.: « E sempre il festino c’è caro, la cetra, la danza » (Od. VIII, 247ss). Ecco perché mi appariva da tempo che con l’entrata in contatto dei Romani con la Magna Grecia e poi con la Grecia sottomessa, i primi cominciassero a scrivere in greco NON sulla base di una qualche sorta di fascino suscitato da quella lingua, bensì sulla base della riscoperta di una lingua avita che ora appunto da dominatori avevano la possibilità di riacquisire come propria.    A favore di questa continuità scrittoria e in un certo senso linguistica parlano chiaro le due fonti greca e giudaica che ho dimostrato risalire a Roma e che non a caso pongono sotto    il generale romano, di Gerusalemme, David (1000) l’unico loro accenno all’esistenza della scrittura in tempi antichi.  L'educazione di David signore della guerra romano, è la stessa attestata per Romolo. Davide è  abile citaredo, forte e valoroso, abile nelle armi, buon parlatore, e Saul lo fece anche suo scudiero  (1 Samuele, 16). I Romani dell’élite aristocratica hanno la loro formazione completa, militare e letteraria.  La testina piumata di “Filisteo” è la testina piumata del comandante romano,  kyrios, in scrittura sillabica kowiranos, da cui *seren pl. seranim. 

Secondo la tradizione Romolo era stato educato alla lingua greca, per il semplice motivo che ancora al suo tempo i Romani parlavano e scrivevano greco (ovviamente la loro lingua si chiamava in altro modo: romano, tirrenico, che so io; si chiamò greco a posteriori, dato che fu in Grecia che questa lingua sopravvisse). I dati in nostro possesso ci attestano la scrittura alfabetica trascrivente il greco a Ischia-Pithecusa, fondata nel 775 a. C. per lavorare il ferro, e dove fu rinvenuta la coppa inscritta, in versi, di "Nestore", del 730-20. La tradizione di Romolo riporta significativi riferimenti alla relazione fra Roma e siti (come Cenina) sulla direttrice commerciale congiungente l'Etruria alla Campania e a Capua, in prossimità di Cuma, fondata intorno al 750 dalla stessa Pithecusa. L'alfabeto a Osteria dell'Osa conferma la tradizione di Romolo che parlava greco.  L'epica  era già ampiamente coltivata a Roma. Si tenga presente che verisimilmente la scrittura più arcaica etrusca e romana con punteggiatura sillabica è il retaggio di pratica scrittoria di tipo sillabico, cioè marca il graduale passaggio dalla mentalità sillabica alla nuova pratica della scrittura alfabetica. Poiché la Roma Romulea fu fondata sul Palatino nel 753 a. C. da subito  i versi poetici furono messi per iscritto probabilmente da un  antenato di Omero celebratore dell’impresa di Romolo, il colpo di stato contro i suoi compatrioti sabini per destituire Tito Tazio e fondare la monarchia.

Fra gli Ateniesi (Ioni) e i Dori di Sparta che si dicevano discendenti degli Eraclidi,  e  ritenevano ancora nel 300 a. C. di avere origini comuni con gli Ebrei di Gerusalemme non c’è davvero nessuna differenza, in quanto  si tratta all’inizio di Hyksos/Cananei/Pelasgi su cui hanno dominato i Romani introducendovi il greco  (Minosse  ha assoggettato l’Attica introducendovi il greco — eppure i Greci lo considerano un nemico straniero; ed a ragione — e terrorizzato Atene con i tributi al Minotauro), e da ultimo di traco-illiri immigrati (movimento dei Teucri e Misi dopo l’esondazione del Mar Nero).  Questi popoli indeuropei ma non di lingua greca, le Amazzoni del Termodonte, invadono l’Attica e Atene.  Omero detesta gli “ellenofoni” Dori distruttori della civiltà aurea di Roma, che  hanno precipitato il mondo nel buio della ragione che genera mostri, nello giahveismo: « nemmeno il banchetto splendido darà più gioia, quando il peggio la vinca » (Iliade I, 575-576), ed apprezza i Pelasgi (in cui vede i Romani così come li depistano i Greci), “i gloriosi Pelasgi” di Od. XIX, 177. Io al momento, essendo giunto alla conclusione che il greco è stato portato in Grecia (anche in Attica e Atene) a partire dalla  metà del XVI secolo dai Romani,  e che l’invasione dei popoli del mare in Grecia è di tipo indoeuropeo (Traco-Illiri; che dunque stanno al posto dei “Dori”), immagino che il greco storico sia la risultante della lingua parlata dai Romani introdotta in Grecia, in bocca e nell’uso degli invasori Traco-Illirici su tutto il territorio greco con ovvie varianti dialettali locali.

Greci ed Ebrei (traco-illiri-armeni in origine) ebbero  interesse a trasferire sui Mitanni, confusi con gli abitanti di Colchide, a Oriente del Mar Nero, la tradizione di Roma tirrenica. Dobbiamo prima di tutto domandarci il perché.  Prima di tutto perché loro scapparono dall’esondazione del Mar Nero dalla parte dell’Armenia (dove si praticavano sacrifici umani come anche in Tracia), dall’Ararat da cui fluiscono i fiumi dell’Eden/Steppa Tigri ed Eufrate, e su cui si è arenata l’arca di ”Noè” dei popoli del mare.

Al tempo dell’esondazione del Mar Nero (al tempo del Diluvio di Dardano) gli Shardana e Danai evacuarono la Colchide, il loro paradiso/terra d’origine. E infatti i popoli del mare giungono in Palestina da nord e dal mare, dalla piana di Israel, anche via terra, dall’Anatolia orientale, via Transgiordania,  in senso orario e non dal Mar Rosso,   dall'Egitto, da sud, in senso antiorario, come pretende la Bibbia. Ma è anche vero che Mitanni non è solo un satellite di Roma, è anche guidato da antenati degli Ebrei come Abramo/Minosse (lo Yuya degli egittologi, generale dei carristi di cui abbiamo la mummia con caratteristiche caucasiche; ho già detto più volte che intorno a Minosse mitannico,  armeno, aleggiano i sacrifici umani come si intuisce dal sacrificio di un toro “umano” sul sarcofago di Radamanto da Haghia Triada).  Ma hanno commesso un errore considerando Pasifae figlia del Sole di Colchide, perché questa corrisponde a Tuja, negroide di pelle nera (di cui abbiamo la mummia) che mai e poi mai poteva originare da Colchide caucasica. Fu Tuya dell’harem di Amenofi III la Agar la moglie di A>bramo e madre del legittimo erede Ismaele e non Sara, che con Isacco sparisce di scena. Dunque lo scopo era quello di cancellare il cordone ombelicale che legava l’antichità con  Roma e spostarlo ad Oriente orientalizzando Minosse/Abramo che, addirittura, più che da Mitanni finisce col provenire da Ur sumero-babilonese.  Abramo in quanto patriarca antenato di Giacobbe è diventato l’antenato degli arabi tramite Ismaele e origina da Ur. Come personaggio originario Giuda/Minosse  è un signore della guerra ariano di Mitanni satellite di  Roma, ma anche connesso con la Sicilia. Fatto sta che morì a Camico (che c’era andato a fare?) alla corte di re Cocalo, e fu sepolto presso Agrigento.

I Tirreni, secondo Dionisio d’Alicarnasso, furono i migliori marinai dell’antichità: « I Pelasgi erano divenuti migliori di molti popoli nel fare la guerra perché, vivendo tra genti bellicose, erano abituati ad imprese rischiose ed ancor più essi erano esperti nella navigazione per aver vissuto coi Tirreni. » (I, 25, 1, 1) A Troia VI, colonia di Roma, si parlava greco eolico. Dopo la dark age, l'eolico è parlato a settentrione dell’Anatolia occidentale, seguito a sud dallo ionico e dal  dorico ancora più a sud. Gli sciatti Greci continuano a chiamare Tirreni anche gli Etruschi che si sono sovrapposti ai Tirreni, e così finiscono per non fare differenza fra Pelasgi anellenici e Tirreni anellenici. Con l’arrivo dei Greci (degli Ebrei, dei Cristiani) la terra diventa piatta.

Dopo il furto greco  noi Italiani/Tirreni siamo divenuti da padroni garzoni e occupiamo le ultime righe della civilizzazione tarda, alla fine di tutto, quando il nostro Odisseo (figlio di Sisifo eolide; da Periere figlio di Eolo  nascono fra gli altri Icario padre di Penelope e Tindareo che insieme a Leda generò Clitemnestra, Elena e i Dioscuri; questa è la versione più logica, ma anche se Periere discende da Atlante a maggior ragione è dei nostri)  torna… a Itaca ultimo fra gli… Achei, e passa da Calipso (figlia di Atlante) di Ogigia/Sardegna, isola pertinente ad Atlantide,  da cui ha Latino nelle isole sacre dei Tirreni.  E ovviamente  gli imbecilli che siedono sui cessi delle Università, scrivendo sulla carta igienica, hanno bevuto tutto, che i Greci sono i fondatori della Civiltà, e lo insegnano a discepoli ignoranti come loro. Però è curioso che Apollodoro concluda la sua opera dicendo che alla fine Odisseo andò in… Etolia, dove sposò la figlia del re e morì in tarda età. E’ proprio vero, tutte le strade portano a Etolia! E i professori universitari vanno ad alcool etolico! Come ho già esposto in altri lavori sui miei siti nella versione originale del Viaggio,  Odisseo partiva per il suo viaggio esplorativo  per poi tornare e riferire al suo re e alla sua regina (Alcìnoo e Arete),  di cui certo avrebbe sposato la figlia Nausicàa, vero esempio di  bella e atletica donna romana.  

Lavorerò forse ancora al perfezionamento di questa ricerca e delle altre o smetterò, per costruire il cronovisore e la macchina del tempo.  Tanto, fintantoché le poltrone sono occupate da imbecilli perdo solo il mio tempo.

Fine

 

ATTENZIONE! Avete creato o avete intenzione di creare un sito con contenuti seri, scientifici, o cui comunque tenete particolarmente, sull’insieme Xoomer.it, Virgilio.it, Telecomitalia? NON FATELO! Tutti i miei lavori (frutto di anni di lavoro intenso) postati sul sito di questo GESTORE INFEDELE, XOOMER.IT: http://xoomer.virgilio.it/corsinimg sono stati rimossi insieme al sito stesso senza alcun preavviso e motivazione. Non pensavo minimamente che potesse accadere un’assurdità simile, ed è per ciò che il fatto mi ha colto di sorpresa. Quando me ne sono accorto e ho reclamato, la motivazione dei tecnici (perché solo da loro ho ricevuto risposta) è stata che non usavo il sito da tempo! Cioè non inserivo nuovi lavori… Queste teste di cazzo non capiscono che non sono io a dover frequentare il mio sito, ma gli utenti, voi,  che vi ci collegate e che in ogni tempo trovate lavori da consultare, per sempre. E pensare che questa storia da incubo iniziò quando mi arrivarono delle e-mail di Telecomitalia che  mi… pregava di postare i miei lavori su Xoomer.it, e io stupidamente accettai.

 

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