Esci

                   

Marco G. Corsini  

  La sindone di Torino

(un falso fotografico su lino dell'XI-XII secolo)

 

Nel precedente lavoro sulla sindone mi ero convinto che si trattava di un falso medievale fabbricato dai cristiani per ottenere finanziamenti e per organizzare le crociate, ufficialmente per la difesa del Santo Sepolcro    mentre sotto sotto gli scopi dell'invasione e della colonizzazione erano ben altri. Ritenevo ancora che il corpo appartenesse ad un crociato dell'età apparente di 45 anni circa fatto prigioniero e  punito dai turchi allo stesso modo del suo dio, fatto che avrebbe poi indotto dei cristiani a sfruttare la circostanza per confezionare una falsa sindone. Avevo trovato un disegno di crociato che assomigliava moltissimo all'uomo della sindone e speravo di saperne di più su chi l'avesse disegnato e da quale fonte. Ma ancora non l'ho trovata. Posso solo supporre che voglia rappresentare Jacques de Molay o un altro maestro dei Templari, anche se l'incisione proposta da Knight e Lomas nel loro libro è diversa, più invecchiata, di un uomo che del resto al momento della tortura aveva ben sessantatre anni. E sono ancor più diverse le incisioni  di Jacques de Molay che mostra un articolo su internet molto critico sul lavoro di Knight e Lomas. 

Durante le mie ricerche su internet a proposito del Nuovo Testamento sono venuto a conoscenza del libro di Knight e Lomas che sostengono che l'immagine della sindone sia quella dell'ultimo grande maestro dei Templari Jacques de Molay e ne ho ordinato una copia. Nel frattempo, messomi a rivedere il file per aggiornarlo sono giunto alla conclusione  che quella della sindone non è un'immagine direttamente o indirettamente prodotta dal corpo di un individuo sanguinante avvolto in un telo di lino che ovviamente ove più ove meno si adagia sulla conformazione irregolare della parte frontale di un corpo umano, mentre per quanto riguarda quella posteriore è evidente che non tutte le parti del corpo sono schiacciate sul telo (supposto com'è ovvio che il morto sia deposto su un ripiano roccioso di una  tomba scavata nella roccia come quelle note a Gerusalemme). In queste condizioni tutt'al più sul telo rimarranno delle chiazze di sangue qua e là non certo tali da  riprodurre una fedele immagine  del defunto come quella che abbiamo sulla sindone. L'immagine sulla sindone è originariamente piatta e non il risultato di una impressione da corpo bombato che poi viene allargata e deformata nel momento in cui il telo viene disteso su una superficie piana: fenomeno della Maschera di Agamennone. Che io sappia esistono -  in teoria -  solo due modi per realizzare un tale risultato: la pittura e la fotografia. In realtà ne esiste solo uno: la fotografia, perché la pittura va esclusa categoricamente,  perché sull'immagine della sindone non vi sono tracce di pennellate, perché gli artisti medievali non avrebbero mai potuto riprodurre fedelmente un corpo umano, perché per osservare l'immagine della sindone occorre stare almeno a due metri di distanza,  e non esistono pennelli tanto lunghi, né mano tanto ferma, perché l'immagine sulla sindone è un negativo ed è assurdo pensare che un pittore dipinga - sia capace di dipingere - al contrario. La prova che si tratti di una fotografia e non dell'impressione del sangue e del siero sul telo è data dal fatto che non abbiamo l'impressione della sommità del capo, dei capelli, intrisi di sangue sul telo. Fra la testa di fronte e la testa di dietro esiste uno spazio vuoto, mentre se l'impressione fosse  dovuta ad un corpo piagato - poiché la sindone fu sovrapposta al corpo passando da sopra la testa, insanguinata dalla corona di spine, che in realtà nell'uomo della sindone è un casco di spine,  in una posizione a U adagiata su un fianco - dovremmo notare in corrispondenza del capo una macchia grosso modo rettangolare terminante da una parte col volto e dall'altra con la nuca del morto. Si potrebbe credere che il morto portasse un copricapo tale da coprire il sangue fintanto che questo fosse asciugato, ma è da escludere che l'uomo della sindone abbia mai avuto un  copricapo (sia stato questo mantenuto addosso al morto o tolto prima di avvolgerlo nella sindone) perché avrebbe lasciato la sua traccia, mentre è evidente che i capelli sulla testa di fronte e dietro sono belli rialzati e non c'è  traccia di berretti di sorta soprattutto dove dovrebbe vedersi, sulla fronte.

Il telo della sindone, conservato nel Duomo di Torino. Foto originale 'negativa' dell'immagine anteriore e parziale di quella posteriore dell'uomo della sindone. 

Foto del volto dell'uomo della sindone che mostra l'immagine 'positiva' cioè reale 

La verità è che il medievale sapeva fare le fotografie ma... non aveva nozioni di prospettiva e non ha pensato di fotografare la sommità del capo fra le due metà della testa, o, forse, ha compreso che la cosa sarebbe stata anche più inverosimile e ha lasciato tutto così, sufficiente a ingannare medievali... e moderni.       Intanto il mio libraio mi ha procurato il libro di Knight e Lomas, Il secondo Messia, Nuovi Misteri, Oscar Mondadori, che  mi è servito parzialmente per il mio lavoro sulla sindone mentre sono certo che ne farò uso se e  quando tornerò sui miei studi neotestamentari. La lettura del primo capitolo, che è in perfetta sintonia con l'indirizzo  preso dai miei studi, mi  fa proporre a Knight e Lomas che  dedichino un  libro intero a questo argomento (e ad altri storico-archeologici in genere, per cui mostrano di avere la stoffa)  piuttosto che perdere tempo dietro a sciocchezze come la celebrazione - ricercando  presunte origini storiche avanti Cristo della massoneria - dell'anticultura ebrea o pseudoebrea. Tornando al nostro argomento, ho riscontrato che i due autori negano che l'immagine sia fotografica [sostenendo una teoria alquanto debole e cioè che 24 ore sarebbero state sufficienti per imprimere l'immagine sul telo - che però non era ovviamente steso orizzontale ma deformato dal corpo del ferito, per cui il telo dovrebbe mostrare delle alterazioni dell'immagine che non vi sono - per convezione; chiunque voglia saperne di più si  legga il libro e, sul sito di N. P. L. Allen, la discussione critica del lavoro di Alan A. Mills (del 1995: Image formation on the Shroud of Turin: The reactive oxigen intermediates hypotesis, in Interdisciplinary Science Reviews, vol. 200, N° 4, pp. 319-327) compresa la teoria dei singoletti d’ossigeno come accolta e descritta da Christopher Knight e Robert Lomas ne Il Secondo Messia] ma danno le coordinate di Nicholas P. L. Allen (che ha scritto Verification of the Nature and Causes of the Photo-negative Images on the Shroud of Lirey-Chambery-Turin; si cita anche il sito internet che non è più lo stesso, ma se si scrive sul motore di ricerca Allen e Shroud of Turin lo si trova immediatamente come ho fatto io con Google; altrimenti si può risalire all'Home con http://www.petech.ac.za/shroud/Default.htm) che invece sostiene trattarsi di un processo fotografico di cui evidentemente i medievali erano a conoscenza (e che si sarebbe potuto realizzare con ingredienti oggi come allora disponibili) e che avrebbero sfruttato per fotografare l'uomo della sindone.  Io concordo con Allen, i cui esperimenti riporto in appendice a questo lavoro. So perfettamente che è incredibile che i medioevali - io penso soprattutto alle conoscenze greche, poi persiane, poi arabe trasmesse ai  turchi che possono essere state portate a conoscenza  (ma penso anche all'attività stessa di uno scienziato greco, persiano o islamico)  al servizio della truffa crociata - possedessero tali conoscenze sia pure di un procedimento differente rispetto a quello oggi noto, quando noi sappiamo o crediamo di sapere che la fotografia è stata inventata nel XIX secolo. Anche se Aristotele era già a conoscenza dell'azione fotochimica della luce. Ma finché non verrà qualcuno a convincermi di aver trovato una terza soluzione, io crederò fermamente alla sindone come negativo fotografico su lino.       Non posso nemmeno credere che l'uomo della sindone sia Jacques de Molay perché se è vero che costui potrebbe rispondere a tre requisiti: 1) è un crociato, dunque di razza europea, di alta e robusta costituzione fisica e seguace della moda europea quanto a foggia di barba, baffi e capelli;  2)  è stato torturato nel 1307 e cioè dentro il tempo che l'analisi al radiocarbonio attribuisce alla sindone o meglio al momento in cui il lino in cui fu tessuta cessò di vivere, fra il 1260 e il 1390 d. C. [notare che anche N. P. L. Allen, che data la sindone fra 1260 e 1355,  sbaglia a mio avviso credendo che la foto-sindone sia stata scattata all'epoca  stabilita dall'esame al radiocarbonio del 1988; questo significa che secondo me bisogna ricercare il materiale disponibile in Palestina  con cui si sarebbe potuto 'fotografare' nell'XI-XII secolo e non fra XIII e XIV. Comunque  Allen, che ha sperimentato con successo  a giudicare dalle foto sul suo sito,  mi conforta affermando che  «   the chemicals and apparatus needed for such a forgery were available collectively well before the eleventh century in Europe and possibly even earlier in the East.  » Inoltre nell'Appendice in fondo al mio lavoro Allen fa riferimento alle ricerche sperimentali degli arabi (cita in particolare il Kitab al-manazir of Ibn al-Haytham, Arabia 965-1039, che scrisse numerosi testi di vario argomento scientifico ottico - che pare di leggere Il Nome della Rosa di Umberto Eco -  e Jabir ibn Haayan, morto intorno al 815, che nel suo De inventione ventatis descrive come si prepara il nitrato d'argento) sulla fotografia, nello stesso tempo in cui gli antenati di Bush contendevano le ghiande ai porci]; 3) è parente del de Charney il cui discendente possedeva  la sindone che la sua vedova espose (la prima pubblica ostensione documentata è del 1357), è vero anche che non si può far finta che non esista la miniatura del codice di Pray, di Budapest, del XII secolo, in cui l'uomo della sindone, della sindone di Torino, evidentemente, è già rappresentato (male dal punto di vista della raffigurazione di barba baffi e capelli, troppo corti, ma) con le quattro bruciature a L del telo, esattamente uguali a quelli sulla sindone di Torino.

I quattro fori-bruciature all’altezza delle mani (foto di destra) identificati anche  in un disegno del Dürer e ovviamente anteriori all’incendio del 1532 che si riscontrano nell’immagine delle donne al sepolcro (foto di sinistra in basso; la mia riproduzione non consente di vederli ma nell'originale  i fori sono esattamente quattro e disposti a L specularmente rovesciata e capovolta - come una T senza la traversa di destra -   sul telo sindonico in verticale sotto il braccio destro della prima donna da sinistra per chi guarda) del codice di Pray  provano fino a prova contraria (che Knight e Lomas non hanno portato - e nemmeno N. P. L. Allen -   ignorando addirittura l'esistenza di questa miniatura, datata al 1192 d. C.) che la miniatura del codice di Pray raffigura la sindone di Torino.

Ciò potrebbe rallegrare quanti negano valore all'analisi del radiocarbonio. Per quanto   non si possa negare l'attendibilità in assoluto di questo processo di datazione   devo ammettere che preferisco datare gli oggetti da storico e da archeolgo e cioè in base alla datazione relativa, basata cioè col raffronto con altri oggetti di sicura datazione. Una datazione assoluta, cioè che prescinde dal contesto storico-archeologico per affidarsi alla sola tecnologia, del radiocarbonio, preferisco sia lasciata ai reperti preistorici.      Comunque non è una novità che l'analisi al radiocarbonio possa sbagliare se i campioni  sono alterati dalla presenza anomala di maggiore o minore carbonio dovuta a fatti diversi. Che poi i tre laboratori abbiano raggiunto una datazione affine non costituisce prova dell'esattezza delle loro analisi. Naturalmente non si facciano illusioni coloro che da queste mie conclusioni potrebbero ricominciare a sperare nella divinità dell'uomo della sindone. E' a tutti evidente che per ipotesi un dio che risorge può imprimere su un telo di lino un'immagine fotografica, ma questa fotografia da resurrezione avrebbe dovuto irraggiare il telo in tutte le direzioni fornendo un'immagine deformata in lunghezza e larghezza. Dunque, a maggior ragione, compresa la calotta cranica, che manca, e non è carino pensare che dio abbia l'encefalogramma... piatto. Se poi dio avesse voluto lasciare un'immagine di sé avrebbe fornito magari solo il volto, addirittura tutta l'immagine anteriore del corpo, ma non certo... il posteriore.    La datazione al radiocarbonio fra 1260 e 1390 conferma semmai (tenendo conto delle anomalie costituite da incendi e accidenti vari che coinvolsero la sindone nel tempo) la mia datazione a non oltre il XII secolo. Fino a prova contraria, ovviamente.    

La sindonologia  nasce con le lastre fotografiche impresse da Secondo Pia il 25 e 28 maggio 1898 e  avrebbe già dovuto concludersi, tenendo conto  della miniatura del codice  Pray del XII secolo. Baima Bollone nel suo lavoro qui citato non ha tenuto minimamente conto dell'ipotesi fotografica nonostante abbia citato lavori che io ritengo conclusivi in proposito:

« A me sembra che, al lume delle moderne conoscenze scientifiche, sia possibile stabilire oggi i seguenti dati di fatto sulle impronte della Sindone di Torino: 

1) L'immagine del corpo umano che essa riproduce è senza dubbio una figura ortogonale, intendendo per figura ortogonale una proiezione ad angolo retto come quella che ci dà lo specchio o che si ottiene sulla lastra fotografica. Immagine quindi a due sole dimensioni, altezza e larghezza; manca la terza dimensione, la profondità...

Ma un'immagine ortogonale si può solo ottenere su un piano liscio come sono appunto lo specchio o la lastra fotografica, e poiché la Sindone  contiene un'impronta ortogonale, ne viene la naturale conseguenza che al momento di formazione di detta impronta la tela doveva trovarsi perfettamente tesa come un piano tanto al di sopra  quanto al di sotto della salma e in posizione parallela ad essa, in modo da raccogliere  la sola proiezione ad angolo retto con esclusione di impronte laterali, mentre è chiaro ed evidente che sulla tela avvolta attorno al corpo e per di più legata e stretta con fasce, dovevano prodursi anche impronte laterali o tridimensionali, che invece mancano completamente...

Ma se la posizione orizzontale e tesa è ammissibile per la parte che si trovava sotto la salma, non pare possibile esserlo per l'altra parte che era al di sopra di essa e che è giocoforza la avvolgesse anche ali lati...

2) Le due figure  della Sindone  che ci rilevano l'impronta anteriore e quella posteriore... hanno gli stessi caratteri morfologici, sono cioè simili e dello stesso tipo; mentre è evidente che l'impronta anteriore avrebbe dovuto presentare una grande differenza da quella posteriore.

Basti pensare al peso del cadavere sulla tela  per convincersi subito che l'impronta del dorso debba avere tutt'altri caratteri di quella del ventre, che è invece determinata dal solo peso della tela sul cadavere. A una differenza ponderale così enorme doveva seguire un'altrettanto enorme differenza fra i due tipi di impronte: lievissima, appena sensibile, quasi insignificante, quella prodotta dal peso del lino sulla salma; assai marcata, dura, densa e opaca quella data dal peso della salma sul lino. Invece le due impronte sono pressoché uguali: la differenza, se pure esiste, è minima e assolutamente non proporzionale alla differenza ponderale... » (B. B., pp. 191-192; G. Caselli, sindonologo, relazione al Congresso del 1950, rimasta inedita... noi aggiungiamo: ovviamente).

« Ogni opera dipinta riproduce gli oggetti non come essi sono nella realtà, ma come essi appaiono quando si proiettano su un  piano. Le impronte per semplice contatto non sono in grado di realizzare questa proiezione. Al contrario se ne è prodotta una sul lenzuolo di Torino. » (B. B., p. 195; P. Vignon, Le Linceul du Christ. Etude scientifique, Parigi, 1902).

E potrei continuare.  Insomma, si ammette la perfezione dell'immagine come fosse una fotografia che appunto si prende da distanza, si nega che possa essere un dipinto (che è l'unica cosa comparabile con una fotografia, ma che si può fare solo da vicino), e si induce a credere che si possa trattare solo di miracolo divino, senza ammettere l'ipotesi del falso fotografico, arricchito dall'aggiunta di schizzi di vero sangue.   

Knight e Lomas ritengono - del tutto verisimilmente - che la famiglia del fratello (Jean de Charney)   di Geoffrey de Charney (il precettore templare di Normandia  morto sul rogo nel 1314 insieme a Jacques de Molay, l'ultimo grande maestro dei Templari) sia stata incaricata dall'inquisitore Imbert di occuparsi dei due dopo le torture del 1307, e ciò spiega perché fu poi un nipote di Geoffrey, anche lui Geoffrey  de Charney, a chiedere e ottenere (nel giugno 1353) al re Giovanni II il Buono  di innalzare una chiesa collegiata a Lirey. Dopo la morte di questo nella battaglia di Poitiers nel 1356 spunta fuori per la prima volta la sindone nelle mani della vedova (Jeanne de Vergy) che avendo bisogno di soldi ottiene dai canonici della collegiata di Lirey di poter esporre come sindone il  telo che aveva scoperto tra le cose appartenute a suo marito. Il figlio di Jeanne de Vergy si chiamava ancora, curiosamente, Geoffrey de Charney. Non appena il vescovo di Poitiers,  Pierre d'Arcis, seppe dell'esposizione fece opposizione affinché il telo non  fosse più esposto, prima cercando di provarne il falso (riferendo le indagini del vescovo precedente, d'Arcis scrive: « Alla fine, dopo attente ricerche e analisi, egli scoprì la frode, per cui... si trattava di un prodotto dell'ingegno umano e non di qualcosa di miracoloso...  Sono convinto di non poter esprimere sulla carta interamente né a sufficienza la deplorevole natura di questo scandalo, l'infamia gettata sulla Chiesa  e sulla giurisdizione ecclesiastica e il pericolo incombente sulle anime. » (K. & L., p. 226)  e poi, quando non poté convincere nemmeno il Papa, Clemente VII, divenuto nel frattempo cugino acquisito del de Charney, ottenendo solo che il Papa ribadisse al de Charney  « l'obbligo di annunciare, a ogni esibizione della Sindone, il fatto che si trattava di " figura o rappresentazione "  »  della sindone di Cristo (K. & L. p. 226).  Il primo de Charney era strettissimo al de Molay  e dunque o l'uno o l'altro o entrambi affidarono le loro cose alla famiglia di Jean de Charney, e fra queste la  falsa sindone di quei primi Templari  che l'avevano confezionata e sfruttata  forse addirittura per creare l'ordine stesso e comunque per ottenere i finanziamenti e nuove crociate come alibi per recarsi in Palestina e a Gerusalemme alla ricerca di tesori e di segreti di cui appropriarsi. E' dunque logico che la sindone, confezionata non oltre il XII secolo per tenere vivo l'interesse europeo per i finanziamenti alle crociate sia rimasta al seguito dei principali Templari e infine, al ritorno dalle crociate quando ormai non serviva più,  come ricordo (da tenere nell'armadio insieme agli altri scheletri) della 'stangata' fatta a prelati e re d'Europa. Se la sindone fosse stata davvero il telo con l'immagine di Gesù recuperata dal Santo Sepolcro a Gerusalemme ancor prima d'essere portata in Europa dal primo de Charney o dal de Molay, ma comunque almeno dal loro ritorno, avrebbe fatto il giro d'Europa e sarebbe stata subito conservata ed esposta a Roma in San Pietro, al posto delle tante false reliquie fabbricate anche in doppioni, tripli ecc., e non per  vie periferiche e dopo cinquant'anni dalla morte dell'ultimo proprietario dalla di lui vedova che aveva bisogno di soldi.  Oggi, quando è la scienza che trionfa (ed è destinata la scienza a trionfare ormai per sempre, finché l'uomo sarà su questa terra) e con lei il laicismo, era tempo di abbandonare a se stesso anche quest'ennesimo 'pacco' cristiano, per cui dopo il verdetto dei radiocarbocronologi anche la chiesa ufficiale non può far altro che chinare il capo.  

Per confezionare il falso occorreva non solo  un individuo che portasse i capelli alla nazarena, ma infliggere sul suo corpo (presumibilmente già morto, a meno che i turchi non abbiano voluto punire il templare con le stesse pene del suo dio) le stesse identiche pene inflitte secondo i vangeli a Gesù. Ovviamente per  i cavalli  dio è un Ribot, per i pigmei   un nano, per i crociati  un franco  alto un metro e ottanta. Occorreva poi fotografarlo (da una distanza da due metri in poi) su lino e fermare il processo chimico fissando l'immagine. Poi il tocco da maestro verisimile e cioè (se sulla sindone c'è davvero il sangue) macchiare qua e là la sindone di sangue umano sottolineando le  ferite.  Pare che delle macchie (di sangue o meno) siano state sparse ad arte sulla foto della sindone dal falsario, come si ricava logicamente da quanto scrive il Prof. Baima Bollone nel libro Sindone la Prova, Nuovi Misteri, Oscar Mondadori,  pp. 139-140:   « sul negativo fotografico in bianco e nero le immagini [della sindone] risultano positive mentre sull'originale e sui positivi fotografici hanno carattere negativo. Ciò non vale per le macchie, che da sempre la tradizione religiosa e popolare ritiene di sangue. In corrispondenza di esse  si è infatti realizzato un reale apporto di materiale al tessuto della Sindone così che, al contrario delle immagini corporee, risultano negative sul negativo fotografico e positive sul positivo, esattamente come qualsiasi registrazione fotografica di tracce. » Confronta anche cosa scrive Allen sul suo sito:

The Stigmata

Nevertheless, apart from Christ's image, the depictions of his stigmata, as seen on the Shroud of Turin tell a very different story. Readers should make themselves familiar with the details of the various images of the stigmata from the frontal and dorsal image (see fig. 1 and 2) These are ostensibly flows of blood from different areas of the body, head, hand, torso, feet etc and are each supposedly caused as a result of different types of wounds caused respectively by nails, javelin points and thorns (see fig. 5,6,7,8, 9 and 10).

You will observe that each 'blood flow' regardless of the wound it supposedly issues from, shares with its siblings, five distinct features:

*    the blood flows are always visible as distinctive and separate flows;

*    the blood flows are always of a similar thickness;

*    there is always clear directionality;

*    there is no smudging as one would have expected had a real bleeding           corpse been wrapped up in a cloth; and

*    an acute angle is evident at least once in any one particular flow direction.

If these are supposed to be natural blood flows issuing from a freshly deceased corpse, then clearly, something very strange was going on at the time. Indeed the blood often defies gravity as well as the contour of the body it is supposed to be running upon. There is a simple explanation for this phenomenon, viz.: the blood flows were applied with an instrument such as a brush or a spouted container (which had a uniform thickness) upon a flat piece of material by human agency. In short, they are clearly applied by hand, showing distinct and common stylistic traits.

Dunque delle due l'una. O sono state impresse prima le  macchie di sangue  e poi l'intera figura (assai inverosimile), oppure prima sono state fotografate le immagini davanti e di dietro e poi è venuta l'idea di dare un maggior tocco di verisimiglianza aggiungendo delle vere macchie, magari di sangue, del falsario stesso o di una sua povera vittima. 

Allen è professore della Facoltà d’Arte e Disegno al Technikon di Port Elizabeth, Sud Africa,  e sostiene che il falsario che fabbricò la sindone, un’icona, tenne presenti i canoni artistici in voga al momento del falso. Giudica che questi canoni fossero quelli in vigore fra XIII e XIV secolo. Però in un passo del 1994 credo che sostenga qualcosa che va nella mia direzione:  

if viewed as an eikon, one may be tempted to favour the interpretation that the Shroud is of Byzantine origin. This is because, without the benefit of photographic enhancement, the image on the Shroud, (ie as it would have appeared to the medieval viewer), depicts Christ with large owlish eyes, whose feet point downwards, seemingly defying gravity. These factors taken together with the observation that the composition is strictly frontal, vertically symmetrical and appears to the uninformed spectator as a mere two-dimensional design, seem to relate the Shroud more readily with the accepted standards of early Byzantine iconography.

Another factor that supports this provisional interpretation, is that, by and large, the west tended to look down on the eastern churches' veneration of images. Geary points out that the latin terms veneratio and adoratio were interchangeable by the ninth century and according to the Libri Carolini, the proper objects of devotion were relics and not images, because the relics of saints (as latria), would share in the resurrection at the end of the world, whereas images were ‘more or less faithful representations and more or less beautiful, but they could not have any more than a didactic function. Any greater honor or veneration was reserved for relics alone' (1978 : 42).

Una reliquia antico-bizantina. Ciò combina con la ricerca occidentale delle reliquie nell’impero bizantino alla vigilia della prima crociata: i veneziani  nell’828 rubarono il corpo di S. Marco da Alessandria d’Egitto sotto gli arabi e i baresi  nel 1087 rubarono e strapparono letteralmente, lasciandone parti sul posto,  i poveri resti del corpo di San Nicola da dove riposavano presso gli ortodossi di Myra in Turchia. La prima crociata è del 1095 e la resa di S. Giovanni d’Acri del 1291. Le crociate nascono con l'inganno e terminano male per i cristiani. Il petrolio è meglio lasciarlo a chi l'ha avuto in eredità dal caso (per me) o dal buon dio (ciò dovrebbe essere, per i cristiani,  che in realtà a dio non credono affatto, credetemi). Inoltre come i rozzi crociati finirono con l'amare il civilissimo e colto islam finendo con lo sputare addosso al crocefisso,  c'è il pericolo (pericolo perché io vorrei rimanere con la mia civiltà europea, ispirata dalla Rivoluzione Francese e dalla Francia odierna, dunque laica) che gli ancor più rozzi soldati americani che oggi calpestano coi loro scarponi chiodati  la culla (non di Betlemme, costruita nel medioevo ad uso degli ingenui  pellegrini che cercavano la grotta di dio senza trovarla, perché non c'era mai stata, bensì) della civiltà umana,  rimangano affascinati dalla medesima civiltà. E' vero che oggi i paesi islamici sono, come tutti, dipendenti dalle scoperte scientifiche americane, ma la superiorità umanistica  dell'islam rimane. Voglio dirvi che quando per la prima volta con la mia parabolica vidi le televisioni e attraverso queste i paesi arabi, rimasi colpito da una cosa che non avrei mai creduto (sulle nostre televisioni italiane,  filoamericane,  filogiudee e filocristiane - ma per fortuna del mondo l'Italia non ha mai contato più del due di briscola -   gli arabi e gli islamici sono il nemico da distruggere e dunque deve apparire brutto, sporco e cattivo come possono esserlo solo dei terroristi, o dei poveri emarginati in casa loro), la civiltà estremamente raffinata  degli arabi (specie quelli degli emirati, ma non solo), per cui gli stessi francesi (i crociati dell'altra crociata), maestri di civiltà occidentale, mi parvero all'improvviso rozzi. E mantengo questa opinione.  Ecco il mondo di cui i rozzi soldati americani (e alleati) potrebbero finire con l'innamorarsi, vivendo gomito a gomito con gli islamici, con esiti imprevedibili. Del resto la storia umana è piena di sorprese. Davide può uccidere Golia, specie se gioca in casa e ha la ragione dalla sua parte.

Infine riporto alcuni passi che possono ancora interessare del mio vecchio articolo.

La crocefissione è una pratica semitica e documentata presso gli islamici ancora nel 1071, 1123, 1245, 1151 e 1247, ultimo caso in cui un giovane turco morì, a quanto si dice nelle cronache, con una fortezza d’animo che certo Cristo non dimostrò con l’unica sua frase documentata da tutti gli evangelisti: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Possiamo dunque ipotizzare che un crociato catturato vivo sia stato dai Turchi punito alla maniera del suo dio. E'  possibile che un falso sia stato realizzato col cadavere fresco fresco di un crociato cui vennero inferte le pene che circolavano nell’opinione comune riguardo alla morte di Cristo e in particolare quelle desumibili dai vangeli.  

Il crocifisso graffito in una taverna di Pozzuoli nei pressi dell’anfiteatro  ha il viso « rivolto in alto con la bocca aperta, in quello che sembra un atteggiamento di «fame d’aria» » (Pierluigi Baima Bollone, Sindone, la prova, Mondadori, p. 60), e le gambe piegate con le ginocchia in fuori, nonostante che il peso del corpo sia sostenuto da un palo trasversale. E’ possibile che il palo trasversale fosse presente anche nelle coeve croci dei tre sul Golgota. Questo potrebbe spiegare lo stupore di Pilato circa la rapida morte di Cristo (Mc XV 44), mentre forse non si sarebbe stupito se Cristo avesse dovuto poggiare tutto il suo peso solo sul chiodo dei piedi. La rottura delle gambe dei due ladroni si spiegherebbe allora non come accelerazione del processo di asfissia, ma come mezzo per accelerare la morte per dissanguamento. Dunque si può tranquillamente affermare che la causa principale della morte del crocifisso è l’asfissia, stato nel quale non si può essere loquaci quanto vorrebbero gli evangelisti. Nel caso di Cristo, poiché fu prelevato dalla croce dopo breve tempo dalla morte, entro le tre ore, il corpo è stato ricomposto agevolmente in un lenzuolo. Tuttavia  la smorfia del crocifisso di Pozzuoli deve essere rimasta stampata sul volto di Cristo che una sola frase ha detto sulla quale sono concordi tutti i vangeli: Dio mio, dio mio, perché mi hai abbandonato? La sua non è stata dunque una morte del tutto serena. E sappiamo che il suo corpo è stato semplicemente posto in un lenzuolo senza alcun trattamento, non certo quello degli specialisti americani  di make up mortuario che abbiamo visto all’opera in più di un film. Guardando invece il morto della sindone risulta persino difficile pensare che sia morto ucciso da fendenti di spada o di mazza e cose del genere. Pare piuttosto che stia dormendo serenamente, non un solo osso, non un solo muscolo fuori posto.  La morte di Cristo avvenne all’ora nona, cioè fra le 3 e le 6 del pomeriggio e fu subito preso in custodia da Giuseppe d’Arimatea (e anche i ladroni furono tolti dalla croce) prima della notte (dalle 6 in poi), che corrispondeva all’inizio del  sabato, affinché non rimanessero sulla croce durante il sabato (Gv XIX 31ss). Poiché secondo l’esperto in materia Baima Bollone il rigor mortis è percepibile dopo  3-4 ore dalla morte e raggiunge l’acme intorno alle 12-20 ore, è evidente che Cristo fu composto nel lenzuolo senza problemi, perché entro l’ora nona, in tre ore, era morto e sepolto. Viceversa nel caso dell’uomo della Sindone, secondo una relazione inedita di Hynek R. W. al I Congresso Internazionale di sindonologia, Torino 1950, condivisa nel suo libro dal prof.  Baima Bollone, « la rigidità subentrò mentre il corpo era in posizione verticale e non orizzontale » (p. 113), cioè quando era ancora sulla croce, contrariamente a quanto deduciamo dai vangeli. E infatti l'uomo della sindone ha le gambe che si sovrappongono o quasi in corrispondenza dei piedi come nel crocifisso tradizionale.  Dunque l’uomo della sindone è presumibilmente un cavaliere crociato crocifisso dai Turchi, come volevasi dimostrare.   

Come si fa a parlare di radiazioni da resurrezione quando non si hanno altre sindoni, con o senza l’immagine dei rispettivi defunti, con cui confrontare la nostra?  A questo proposito devo avvertire che lo studioso serio cerca solo la verità e nient’altro. Circola una tesi priva di qualsiasi fondamento che utilizza un passo del vangelo di Giovanni (XX, 3ss), per sostenere che Giovanni stesso si rese conto fin dall’inizio dell’esistenza di una prova della resurrezione di Cristo: « Uscì allora Simon pietro insieme all’altro discepolo [Giovanni evangelista], e si recarono al sepolcro. Chinatosi, vide le bende per terra, e il sudario, che gli era stato posto sul capo, non per terra con le bende, ma piegato in un luogo a parte. Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette »  (traduzione CEI).

Si afferma che Giovanni scrisse il suo vangelo per quarto, e dunque se qualcosa di straordinario fosse accaduto, tale da dimostrare in sé stesso e magari permanentemente (volto o corpo impresso su sudario o sindone) i primi tre evangelisti  avrebbero avuto tutto il tempo di dircelo, e state certi che ce lo avrebbero detto. Dunque « vide e   credette » appare piuttosto come un meschino espediente per lasciar sospettare qualcosa ai semplici senza tirarsi addosso l’accusa di truffatore che gli sarebbe venuta dai seguaci dei primi tre vangeli. Ma cerchiamo tuttavia di interpretare noi, visto che Giovanni, e con lui  i suoi interpreti interessati, è sibillino, cosa avrebbe potuto significare « vide e credette ». Prima però spieghiamo da dove viene fuori questa sindone o lenzuolo. I vangeli sinottici (Matteo, Marco e Luca) sono concordi nell’affermare che questa fu acquistata da Giuseppe d’Arimatea che vi avvolse il corpo di Cristo (enetylixen auto sindoni/involvit illud in sindone). Giovanni parla invece di Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo che (edesan auto othoniois/ligaverunt illud linteis) lo legarono con bende (il che fa pensare immediatamente alla classica  mummia egizia). Il testo è chiarissimo, e lo analizzeremo nel testo greco originario e latino (A. Merk, Novum Testamentum Graece  et Latine Ed. XI, Romae, Sumptibus Pontificii Instituti  Biblici, 1992). Il testo greco di Giovanni riporta il termine othonia tradotto col latino linteamina, cioè le bende, che dobbiamo intendere (forzando un po’ il senso, a favore dei cristiani, perché ad essere precisi dovremmo negare  che Giovanni, pseudo testimone oculare, sia al corrente dell’esistenza della sindone, dunque a rigore la sindone non sarebbe mai esistita e ne farebbe testimonianza Giovanni stesso) i teli in generale, cioè la supposta Sindone (un telo unico che avvolge il corpo per lungo sotto e sopra unito dalla parte della testa) e le bende poste di traverso da sopra e rimboccate sotto ad unire ciò che altrimenti andrebbe per conto suo, e cioè i due lembi superiore e inferiore della Sindone, all’altezza delle mani e dei piedi. A parte, ripiegato, i due apostoli videro il sudario, greco soudarion, latino sudarium, che stava sulla sua testa (su  questo sudario per ipotesi avrebbe dovuto esserci l’immagine  del volto di Cristo e dunque l’immagine sulla Sindone dovrebbe essere decapitata e cioè con un rettangolo privo di immagini in corrispondenza del volto  a causa del ‘filtro’ costituito dal sudario). Dunque il telo della Sindone smentisce che sul volto del morto relativo sia stato deposto un sudario. O Sindone o sudario quindi.

Noi, per non tralasciare alcuna ipotesi, considereremo che ripiegato a parte gli apostoli videro il sudario e in alternativa (anche se questo non è il dettato del vangelo di Giovanni) la sindone.

Ma dove sta il fatto sconcertante che fece capire a Giovanni che Cristo era resuscitato? Va premesso che Pietro e Giovanni si recarono al sepolcro che era già stato aperto (da chi ovviamente non lo sapremo mai) e dunque anche un trafugamento avrebbe potuto esserci, come in effetti vi fu, tale da indurre Tiberio ad emanare un decreto contro i trafugatori delle salme dei giustiziati, che è stato effettivamente ritrovato in Palestina.

Quanto all’apertura della porta del sepolcro si trattava di un’operazione agevole, spostando la pietra circolare nella sua guida, mentre chissà, qualcuno s’immagina qualcosa di simile alla pietra che chiudeva la caverna del gigante Polifemo, e dunque alla necessità di un intervento trascendente come l’operato degli angeli.

Dov’è la cosa strana? Se Cristo fosse stato bendato come una mummia egiziana le bende giacenti a terra sgonfie per la fuoriuscita del corpo ma ancora tutte perfettamente intrecciate fra loro avrebbero potuto sorprendere chiunque e costituire una prova della resurrezione. Disgraziatamente le bende sono semplicemente le fasce trasversali che rimboccarono all’altezza delle mani e dei piedi la sindone e la sindone stessa e dunque chiunque al limite avrebbe potuto disporre il tutto  nella posizione originaria, mentre il testo non ha nemmeno questa pretesa.  Del resto Giovanni vide e capì solo quando entrò dentro il sepolcro e vide il complesso dei teli, e non quando semplicemente per primo si affacciò e sbirciò vedendo le sole bende  giacenti!  Allora passiamo al sudario ripiegato a parte. Se Cristo fosse stato bendato come una mummia il sudario a parte sarebbe una prova del fatto che da dentro il medesimo sarebbe uscito fuori portatovi ovviamente da qualcuno, e cioè Cristo in persona, e magari con la sua impronta del volto per dare più valore alla cosa. Disgraziatamente Cristo non fu bendato come una mummia e dunque mettere il sudario a parte ripiegato non costituisce prova alcuna. Però si noti bene che il testimone oculare Giovanni è un buon falsario. Prima, contro la verità attestata dai suoi predecessori (dunque che testimone oculare è se anche Matteo che è apostolo dice il contrario?), induce a pensare ad una mummia all’egiziana, poi fa balenare l’idea di  un’immagine di Cristo sul sudario. E’ da qui che nascerà l’idea di fabbricare il Mandylion.

Dopo tutto questo discorso andiamo a vedere  cosa dice realmente Giovanni: « e vide e credette. Non avevano infatti ancora compreso la Scrittura, che egli cioè doveva risuscitare dai morti » (Giov. XX 8ss). Cioè vide e credette che Cristo era risorto… poiché non lo trova nel sepolcro. Se fosse stato lui a spostare la pietra avrei potuto anche capirlo, ma arriva, e le donne prima di lui arrivano, e trovano  la pietra  già  spostata… non si saprà mai da chi. Dunque il Sopolcro era aperto… e lui ne deduce che mancando il corpo questo è resuscitato, cioè si è smaterializzato. Da questa logica così carente dobbiamo farci un giudizio assai negativo sul quoziente intellettivo sia degli Ebrei che dei Cristiani. In linea con quella dello pseudo Giovanni, è l’ingenuità di Pietro, che « tornò a casa pieno di stupore per l’accaduto » (Lc. XXIV 12). Per fortuna questa ingenuità giudeo-cristiana è alla base di una letteratura (Omero compreso) assai ricca e fantasiosa, che narra le favole (vedi Omero) come se fossero fatti reali, tant’è vero che ancora oggi c’è chi giura sulla verità storica dell’arca di Noè, e la va a cercare scalando l’Ararat, o della guerra di Troia o di ogni particolare evangelico riguardante la vita di Cristo narrato nei quattro vangeli.

Il vangelo di Luca documenta che solo Pietro [non Giovanni evangelista] si recò al sepolcro e vide semplicemente e genericamente gli othonia/linteamina, le bende  (XXIV, 12ss) e se ne tornò indietro meravigliato, anima semplice, di quanto avvenuto, cioè della sparizione (per lui ovviamente resurrezione) del corpo.

Il vangelo di Matteo tace del tutto sull’apparizione delle bende agli apostoli. Il vangelo di Marco evangelista  tace ugualmente del tutto sull’argomento. Ciò la dice lunga sul significato da dare a quel « vide e credette ». Se vogliamo, anche dall'evoluzione di questo episodio nei vangeli si ricava al contrario che proprio il vangelo di Giovanni è stato scritto per primo con le sue favole, poi ridimensionate al massimo dalla rilettura degli altri vangeli man mano che rispondevano alle critiche di faciloneria dei pagani e di coloro che rifiutavano di essere evangelizzati da impostori così troppo ingenui e sempliciotti. 

Se il sudario o la sindone avessero ricevuto davvero l’immagine del volto o del corpo di Cristo questo fatto non avrebbe costituito una prova della resurrezione ma sarebbe stato importantissimo come reliquia anzi come somma reliquia e possiamo star certi che ne avrebbero parlato, e da subito, i vangeli, e tutti i papi, vescovi, santi e beati e semplici monaci che per altre sciocchezze ritennero invece di scrivere e scrivere a volte moltissimo. Io non so di alcuna testimonianza né nei vangeli né posteriore, fino al Medioevo, della venerazione di due icone naturalmente prodotte da Cristo stesso al momento della sua permanenza per tre giorni nel sepolcro fino alla sua ‘resurrezione’. Eppure, come tutti sanno, i cristiani amarono dai primi tempi fino al Medioevo e oltre di fabbricare false reliquie, compresa, se ricordo esattamente d’aver letto nel celebre romanzo (Il Nome della Rosa) di Umberto Eco, una testa di San Giovanni Battista, di quando aveva otto anni…

Scherzi a parte, i Cristiani conservano praticamente tutte le reliquie della passione di Cristo: a scelta, varie colonne della flagellazione, spine e corone di spine, titoli (contenenti la motivazione della condanna a morte), legni della croce, sudari (come il Velo della Veronica o Volto Santo o Santo Sudario che dir si voglia conservato a S. Pietro in Vaticano, Moroni, vol. 103, pp. 91-99, vol. 55 p. 265 e vol. 88 p. 231, vol. 103 pp. 92-93, la cui immagine del volto non ha nulla a che vedere, ed è certo un falso, e invece per ipotesi dovrebbe combaciare, con quella della Sindone), velo/perizoma sulla croce che secondo il Moroni, Dizionario  di erudizione storico-ecclesiastica da S. Pietro ai nostri giorni, vol. 77, p. 90,  si conserverebbe nella chiesa di S. Giovanni in Laterano a Roma (rinvio a quanto ho scritto a proposito delle tracce che di questo velo si dovrebbero vedere sulla Sindone), chiodi, ecc. ecc. Si tirano in ballo  tante scuse per spiegare il silenzio durato tanti secoli sull’esistenza del sudario e della sindone con l’immagine presunta del volto e del corpo di Cristo. E’ vero che fino a Costantino i cristiani furono perseguitati, sarà pur vero che in terra ebraica esporre un telo funebre oltre tutto con un’immagine sarà stato proibito… Il fatto è che di queste icone per ipotesi straordinariamente sante non è fatto cenno in nessun testo cristiano dei primi secoli, anche quando l’Oriente  era esclusivo dominio dei cristiani. Nei loro testi che pure sono sopravvissuti tutti alle persecuzioni di ogni genere e in grandissimo numero, i cristiani mostrano di non conoscere l’esistenza del sudario e della sindone con l’icona di Cristo. Questa è la sola cruda verità.

Del resto il pagano Celso (II-III sec. d. C.), che è scrupolosamente informato  sui cristiani (e come avrebbe potuto non solo informarsi ma anche scrivere su questo argomento se fosse stato vietato da qualcuno? Come avrebbe potuto scrivere lo stesso Origene la sua confutazione?) e contesta che la nascita di Cristo sia stata annunciata dalla cometa, quanta maggiore materia di discussione avrebbe avuto confutando l’esistenza di un velo dipinto a mano eventualmente con sangue umano (pratica ripugnante ad ogni etica qualora un simile velo i cristiani avessero davvero confezionato) o di una Sindone (la nostra Sindone)?

Invece il più assoluto silenzio. Come avrebbero potuto Celso e i Cristiani stessi discutere dell’immagine di un uomo brutto e insignificante come Cristo secondo le scritture se avessero avuto a disposizione almeno la sua immagine sulla Sindone, che al contrario è di un bel pezzo d’uomo che certo non poteva passare inosservato fra i semiti brutti, piccoli e neri, di Palestina?

Ad avvalorare l’ipotesi che il morto non sia Cristo c’è la descrizione fisica che l’antichità ci ha lasciato del medesimo. Sia ben chiaro che per i Romani di allora Cristo fu un perfetto sconosciuto. La sua fama seguì solo alla vittoria dei cristiani nel III d. C. che del resto essi pure  conservano pochissime o nulle informazioni attendibili sulla sua figura esteriore. Secondo Celso, che nel II-III d. C. scrisse contro i Cristiani  il ‘Discorso della verità’ Cristo « come dicono, era piccolo, brutto e volgare » (VI, 75). Secondo Giustino, Trif. 14,8 «  fu annunciato che apparirà senza gloria, senza bellezza e soggetto alla morte ». Secondo Clemente Aless. Pedag. 3,1 « Che lo stesso Signore  sia stato brutto all’aspetto, lo testimonia lo Spirito per mezzo di Isaia (53,3): e lo vedemmo e non aveva bell’aspetto, né bellezza, ma il suo aspetto era senza pregio ».

Per la verità Isaia 53,2 (ed. Paoline) dice: « senza grazia, senza beltà da attrarre lo sguardo, non aspetto da doversene compiacere » e Isaia 53,3 « Disprezzato, rifiuto dell’umanità, uomo di dolori, assuefatto alla sofferenza, come uno davanti al quale ci si copre il volto, vilipeso, e di nessun conto per noi ». La traduzione della ed. ufficiale della CEI è sostanzialmente la stessa.

Viceversa l’uomo della sindone è un uomo ben fatto e di bella statura (e, come si dice, altezza, mezza bellezza). Concludendo, delle due l’una, o sono false le profezie o la sindone non contiene l’immagine di Cristo. O entrambe le cose. No, no, no e poi no. La Sindone è un falso cristiano medioevale.

Chi realizzò la falsa Sindone si documentò in modo da non sollevare i sospetti di falso inserendo tutto quel che circolava nelle fantasie dei pittori del tempo oltre quanto poteva apprendere dai Vangeli.  La prima crociata fu promossa nel 1095. Con tutta verosimiglianza la sindone fu realizzata a supporto delle crociate. Andare a liberare il sacro lenzuolo con l’immagine di Cristo sarebbe stato più stimolante per i volontari di questa armata Brancaleone. E’ perciò possimile che il nostro falso dati perfio all’XI sec. a. C.  Tenuto conto che l’inquinamento carbonico della sindone l’ha ringiovanita si spiega una datazione al radiocarbonio più recente di quella effettiva. La Sindone è sempre rimasta nelle mani di persone normali, e mai fu contesa da re o alte gerarchie della chiesa. Ciò basta già a farlo ritenere quello che è, un falso. Ne L’Histoire de ceux qui conquirent Constantinople di Robert de Clerì, che partecipò alla IV crociata si parla di un « monastero chiamato Santa Maria delle Blacherne, dove stava la Sindone in cui fu avvolto Nostro Signore, che ogni venerdì si alzava tutto dritto, così che se ne poteva vedere bene la figura ». Lo stesso de Clarì dice che  « Nessuno, né greco né latino, conosce cosa avvenne della Sindone dopo il saccheggio della città ».

I Cristiani dapprima cominciarono a produrre false reliquie della passione di Cristo e poi anche sulla base del sibillino « vide e credette » di Giovanni anche falsi sudari. Pensare di dipingere il corpo intero su lenzuolo fu passo breve. L’immagine detta Mandylion, fazzoletto, ebbe una certa fortuna in oriente e nel 944 fu portata da Edessa in Turchia a Costantinopoli. Secondo lo storico inglese Ian Wilson questa era la Sindone ripiegata in modo da potersene vedere la testa e dunque apparire come se fosse un sudario. Contro questa ipotesi c’è il fatto che la Sindone è ripiegata in 48 rettangoli e la prima fra tutte le pieghe è proprio quella longitudinale mediana che taglia cioè a metà per lungo l’immagine del morto. Le quattro bruciature a L di cui abbiamo detto provano che in età più antica il lenzuolo era ripiegato in 4 o 12 rettangoli. Queste piegature originarie sono state conservate da quelle posteriori in 48 rettangoli, ciò che prova che mai nessuno si azzardò a piegare in maniera diversa il lenzuolo per non creare ulteriori inutili danni allo stesso (anche se in effetti il primo danno fu proprio quello di piegare a metà il lenzuolo longitudinalmente; ma ciò si può spiegare proprio perché si sapeva di aver a che fare con un falso, altrimenti si avrebbe avuto più rispetto per il volto di Cristo). Se lo storico inglese avesse ragione le pieghe tradizionali sulla Sindone sarebbero ben diverse.

La confusione fra volto e corpo intero riprodotto su tela avviene ben presto, per cui fu facile interpretare il Mandylion come una sindone con impresso tutto il corpo, ciò soprattutto dopo che il falso della Sindone era già circolante. E’ per questo che in una miniatura del XIII secolo nel codice Skylitzes alla Biblioteca nazionale di Madrid il Mandylion all’arrivo a Costantinopoli, ossequiato dall’imperatore Romano I Lecapeno, è già raffigurato come se fosse una sindone e cioè una testa di uomo con capelli corti e barba corta che esce dalla metà di un lenzuolo completamente bianco.

 

Come che sia è certo che questo Mandylion, sudario o sindone che sia, non è la nostra Sindone, era certamente anch’esso un falso, e andò distrutto nell’incendio che nel 1349 distrusse la cattedrale di Santo Stefano a Besançon dove, secondo un documento (andato distrutto nella seconda guerra mondiale) copiato dal paleografo e umanista Benedetto d’Acquisto, sarebbe stato inviato da Otto de la Roche, duca di Atene dal 1205 alla morte avvenuta nel 1225.

Il corpo del morto della Sindone è nudo, mentre è del tutto verisimile che Cristo avesse uno straccio attorno ai fianchi, straccio che nessuno, credo, avrebbe mai osato togliergli (violando con la vista l’intime parti del corpo di un dio) per cospargerlo di unguenti al momento della sepoltura. Dei contorni di questo perizoma non v’è traccia.

Anche il rinvenimento sulla Sindone di polline della Terra Santa, Turchia, fino alla Francia e alla Savoia non dice null’altro se non  che la sindone fu confezionata in Terra Santa (e ciò è pacifico, perché solo qui poteva essere confezionato un falso; mentre, se Knight e Lomas avessero ragione la sindone portata candida dalla Palestina sarebbe stata impressa fotograficamente nel 1307 e a Parigi da un de Charney, ciò che non mi persuade) e da qui giunse, come bene sappiamo in Francia dove poi divenne proprietà dei Savoia. Nessuno, che io sappia, è in grado di affermare che il polline trovato sulla sindone è proprio il polline del tempo di Cristo e non quello generico della Terra Santa di ieri come di oggi. Solo un’analisi del sangue del morto della sindone (confrontandolo magari con la raggiunta mappatura del DNA) potrebbe  dimostrare che il sangue dell’uomo della sindone non può essere quello di un ebreo (e magari confermerebbe che appartiene ad un europeo), e potrebbe dirimere la questione definitivamente. Questa e solo questa era l’indagine che l’autorità ecclesiastica avrebbe dovuto e dovrebbe autorizzare come l’unica capace, come si dice, di tagliare la testa al toro. Ma considerato il fatto che troppi interessi religiosi e d’altro genere vengono toccati a quanto pare quando si parla di questi argomenti ritengo che ci sarà sempre qualcuno disposto a rimettere in gioco anche l’eventuale responso degli esperti del DNA. Sembrerebbe che si tratti di sangue, maschile… e anche femminile.  Pier Luigi Baima Bollone sostiene che il sangue della Sindone è di gruppo AB.

Se il sangue dovrebbe esserci è evidente che sulla Sindone ci sono anche aloe e mirra, che invece non dovrebbero esserci, a meno che il vangelo di Marco e Luca dichiarino il falso. Secondo Marco la domenica le donne comprarono gli aromi per imbalsamare Gesù, ma giunte al Sepolcro lo trovano vuoto e dunque non li utilizzano (XVI 1ss). Secondo Luca le donne di sabato seguono Giuseppe d’Arimatea e si rendono conto dove depone Cristo, avvolto nel lenzuolo, poi comprano aromi e profumi ma essendo sabato stettero in riposo. La domenica vanno al Sepolcro e lo trovano vuoto (XXIII 53ss-XXIV 1ss). Si noti che il particolare degli aromi comprati ma non usati deve essere autentico, poiché essi erano essenziali nel rituale funerario giudeo e  dunque si poteva anche omettere di parlarne come cosa scontata. Tant’è vero che Matteo, come e prima degli altri, dice che Cristo fu avvolto nel lenzuolo e non parla di aromi, evidentemente  perché, come sostengono gli altri due, non ne furono usati (XXVII 59ss). Chi parla di aromi (proprio aloe e mirra) è lo pseudo Giovanni (XIX 38bss), che sicuramente non fu testimone della vita di Cristo (e se ha azzeccato la circostanza degli aromi s’è sbagliato sulla sindone, cui non fa riferimento, dando l’idea che Cristo sia stato fasciato alla maniera di una mummia egizia). Ma il falsario medioevale lo credette invece come il più ispirato e lo seguì nell’aggiungere al suo falso anche gli aromi.

Inoltre   le bende trasversali  non furono utilizzate sulla sindone di Torino perché  non avrebbero mancato di lasciare indirettamente le proprie tracce, che invece mancano.   

Dato quanto precede non posso accettare i risultati della ricerca, peraltro certamente condotta in piena buona fede, fra gli altri dal prof. Pier Luigi Baima Bollone, presidente del Centro internazionale di Sindonologia, che dichiara:          « Abbiamo raggiunto la certezza che le due tanto discusse monetine esistano senza possibilità d’errore » (Teologica, Edizioni Segno, Udine, n° 14 marzo/aprile 1998, p. 5). Si tratterebbe di due monetine sull’occhio destro e sinistro del morto  emesse nell’anno 16 dell’impero di Tiberio, dunque nel 29 d. C., dal prefetto Ponzio Pilato, monetine di circa 17 millimetri di diametro che di solito portavano sul recto la dicitura in lingua greca (la lingua della parte orientale dell’impero, dove il latino era pressoché sconosciuto e comunque snobbato) TIBERIOU KAICAROC, con il sigma lunato C, e con differente immagine impressa, sul recto della prima un lituo e su quello della seconda un  simpulum, la coppa delle libagioni pagane. Queste monetine sono conosciute e fotografate in vari esemplari sia sul recto che sul verso. Che però corrispondano a quelle supposte impresse sulla Sindone è un altro discorso. Cominciamo con la prima. Vi sarebbero impresse solo le lettere UCAI, presunte corrispondenti al greco  (TIBERIO)U KAI(CAROC), con U italiana (i latini avrebbero scritto V) e C latina! Una contaminazione latino-greca è inammissibile. Pertanto  la moneta è stata scritta interamente in latino, il che è inverosimile. Dunque se davvero questa dicitura è visibile sulla sindone si tratta di un falso. Cosa pensare di una moneta scoperta nel 1992 con lo stesso… errore di conio e addirittura riportante sul verso l’anno di conio in lettere latine LIS (anche se nell’esemplare – con conio corretto, in greco –  disegnato  a p. 239 leggo LIZ), che, non capisco come, vorrebbe indicare il 16° (o 17° o 18°) anno di regno di Tiberio (14-37 d. C.). Passiamo alla seconda monetina che sul recto, dopo l’iscrizione greca già detta, di cui conserva solo le tre lettere iniziali TIB, e oltre all’immagine del simpulum, conserva, sempre sul recto, la sigla LIS, in latino, che convenzionalmente (chi lo dice?) significherebbe il 16° anno del regno di Tiberio. Io confesso di non riuscire a distinguere nulla delle dette monetine che « sull’originale e nelle fotografie si distinguono con estrema chiarezza » (P. L. Baima Bollone, Sindone la Prova, Nuovi Misteri, Oscar Mondadori,  p. 241). Accludo in fondo a questo lavoro le foto che evidenzierebbero tale estrema chiarezza (ma lo stesso professore di seguito dice: « La realtà è che qualora vi fosse davvero la presenza delle due monetine in corrispondenza delle due orbite, il che viene confermato da più parti… »; ora disgraziatamente una certezza è tale in base a quanto ci dice la scienza e non  perché confermata da molti che si possono sbagliare). E’ però interessante che il prof. Pier Luigi Baima Bollone affermi che    « In realtà… le due monetine… sollevano un maggior numero di dubbi rispetto a quelli che risolvono… le dimensioni delle scritte sono al di là delle possibilità teoriche di impressione di una struttura tessile come quelle della Sindone… non è noto un uso giudaico di quell’epoca di porre… delle monetine, sulle palpebre dei defunti… E’ quindi inspiegabile come per la sepoltura di un Maestro come indiscutibilmente era Gesù siano state messe sulle palpebre del suo cadavere monete contrarie alla sua fede e ai suoi insegnamenti », offendenti coi loro simboli del potere romano la sensibilità e l’orgoglio dei giudei sottomessi (P. L. Baima Bollone, op. cit. p. 242). Ma se le monetine ci sono davvero il falsario della Sindone ha commesso un errore, anzi due, e cioè la falsificazione della prima monetina e l’aver messo entrambe le monete dalla parte del recto e anche in posizione verticale: « Ciò che è certo è che le due monete sono state entrambe orientate secondo il loro asse verticale, vale a dire in maniera che potessero essere viste e lette da chi osservava il volto del cadavere » (P. L. Baima Bollone, op. cit. p. 242).

Dunque le monetine sulla Sindone non ci sono (almeno io non sono capace di vedere le ‘prove’ addotte in foto dal prof. Baima Bollone), ma se per avventura ci fossero sarebbero la prova delle prove del falso, perché chi pone le monete su un cadavere, per legge, per consuetudine, per pratica religiosa, ecc. ha il solo scopo di deporre due piccoli oggetti sulle palpebre per tenerle abbassate, per il traghettamento all’Aldilà  o altro. Non si cura di metterle dal dritto o dal rovescio, datosi che il loro valore venale è noto ad una sommaria occhiata… anche dall’eventuale Caronte. Il nostro falsario medioevale - molto furbo e abbastanza documentato... anche troppo -  s’è tradito volendo dare una prova temporale della sua immagine di Cristo confezionata in lenzuolo.  

In appendice riporto i brani che mi paiono più significativi dal sito di Allen coi  suoi esperimenti fotografici.

Since 1988 I have been conducting research which is looking very seriously at the possibility that a form of photography was the cause of the image on the Shroud. It has been discovered that a person can very easily make a permanent photographic negative image on linen which utilises chemicals and substances which collectively, were known to have existed at least by 1280 AD, viz:

·         silver nitrate (in solution), (4)

·         ammonia (in solution),

·         linen cloth (which naturally contains cellulose, hemicellulose, lignin, pectin etc.,

·         natural quartz (optical quality)

·         magnifying glass or bi-convex lens.

It has been found that if any three-dimensional object (including a deceased human subject) (5) is set up in front of a camera obscura and is illuminated by direct sunlight over a period of a few days, (6) that a negative purple-brown image will form on linen cloth which has been impregnated with silver nitrate in solution. In addition, this image may be 'fixed' simply by soaking the cloth in a mild solution of ammonia. During this process the image turns to faint straw-yellow. This image is in the negative and only forms on the upper fibrils of the linen material. In other words, no image is visible on the reverse side of the cloth. This image is extremely subtle and (like the images as viewed in a camera obscura with pin-hole apertures and apertures with a fixed lens) not easily discernable at close range. In addition the image is not a 'snap-shot' of a particular moment in time (as is the case with most modern photographs). Rather it is the record of the passing of many days. This means that those parts of the body which have literally received more sun (such as the bridge of the nose, cheeks, eye brows etc) are registered more intensely on the cloth than those areas which were further away (such as the neck, sides of the head etc) or received less radiation (such as the sides of the nose).

Although an image may be focused onto a piece of linen cloth by means of a simple bi-convex lens and this image (viewed at the correct distance) is clearly visible with the naked eye (inside the camera obscura) it was discovered that in actual fact, the visible spectrum had no discernable affect on the silver-nitrate solution at all. Rather, it was the action of ultra violet radiation (specifically 320 - 190 nm) that actually formed the image over a period of many hours. In this regard a glass lens is quite useless for this technique since glass absorbs ultra violet light whereas quartz will not.

It was also discovered that if the subject (to be 'photographed') was painted white that the image formation would take place in considerably less time. In short, increased reflectivity of the surface of the subject ensured that higher concentrations of ultra violet radiation would enter the camera obscura. In many ways the images that were achieved had all the characteristics of a severe suntan and were uncannily similar to the image on the Shroud of Turin (Cf plates 5, 6 and 7). I am certain, that if a human subject could be found who has the identical physiognomy to the unfortunate man who died sometime before 1357 AD, that for all intents and purposes an identical image could be achieved today. Stigmata and other 'blood' areas on the Shroud were most probably daubed on by brush in real blood (with or without a slight addition of red ochre) after the negative body image had been achieved (this latter image needing two separate exposures to obtain the frontal and dorsal views of the suspended man).  

 

Osservando questo modello che compare sul sito di Allen si può notare che il morto è appeso a un cappio. Baima Bollone nel libro citato scrive che « Il capo, senza appoggi, è flesso in avanti in maniera che il volto risulta piegato verso il petto. Questa posizione forzata fa sì che manchi l'immagine anteriore del collo, mentre essa risulta allungata all'indietro. »  (p. 100)   Quanto all'assenza dell'immagine del cappio dalla foto-sindone si dovrà pensare che il fotografo abbia  focalizzato l'immagine davanti o dietro ciò che non  voleva riprendere (la corda e il cappio) che così non stato ripreso. 

This subject (corpse) would have had to have been situated opposite an aperture (containing a simple bi-convex quartz lens) of a light-proof room (camera obscura). Inside this room or camera, it would have been necessary for a large screen to support the linen cloth (Shroud) which had been previously treated with a very dilute solution of silver-nitrate (0.5%). The inverted image of the corpse would have been focused onto this prepared support and after a few days the UV sensitive silver-nitrate or silver-sulphate would have turned purplish-brown, forming as it did a negative photographic image of the subject (cf plates 4 and 5). In order to achieve the two-fold image which now appears on the Shroud of Turin, it would have been necessary for this operation to have been repeated twice so as to obtain an impression of both the frontal and dorsal images of the sun-illuminated corpse. After both exposures had been completed the linen cloth would have been soaked briefly in a dilute solution of ammonium hydroxide (5%) or possibly even urine. This latter action would have ostensibly removed all silver (both exposed and unexposed) from the linen cloth and also allowed for it to be exhibited outside of the camera without further discolouration occurring.

However, despite this, the cloth would have still contained a faint negative straw-yellow image -one which seemed to be encoded in the very structure of the linen itself, albeit on the upper fibrils (cf plate 6) 1,2.

  

Towards formulating a theoretical model for image formation

From this visible result, the following hypothesis may be conjectured:

* the purplish-brown image (Plate. 5) is caused by reduced silver-nitrate in the presence of UV radiation;

* after immersion in an ammonia solution, most of the silver is removed from the linen cloth; and

* the resultant straw-yellow image is formed not by the presence of silver but by a structural (chemical) alteration to the linen (cellulose) itself.

To examine this hypothesis a number of tests were conducted...

 

Discussion

In the light of the work undertaken by the STURP commission in 1978 and from the data reviewed briefly in this article, it is possible to propose a hypothetical model for both the nature and the causes of the structural alteration which occurs to the cellulose of organic fibres such as linen, cotton and hemp when they are saturated in silver-nitrate solution, exposed to UV radiation and immersed in dilute ammonia, viz:

The silver-nitrate is reduced by the actions of the UV range of the light spectrum. This reduction may be expressed chemically as

Ag NO3 UV radiation Ag+ NO-3

and is thus responsible for the production of free radicals (either silver or nitrate ions) which cleave the molecular chains which form the cellulose structures of the linen fibrils. These cleavages (oxidation) are possible in certain places along the cellulose polymers (ie both branched and linear structures). It should be kept in mind that linen is a very complicated structure and that it would be very difficult to state with any degree of certainty, the specifics of these cleavages. In this regard, the following diagram (Figure 1) is a proposed model which explains one possible occurrence of photochemical degradation of a typical carbohydrate polymer (such as may be found in an organic fiber such as linen).


 

Figure 1

Showing reaction type a: photochemical oxidation; and type b: hydrolytic cleavage (Chemical notation by Mr Ray Venter, PE Technikon)


Figure 1a represents a section of a carbohydrate polymer, if this is saturated with a silver salt and subjected to UV radiation, photochemical degradation of the carbohydrate polymer will result. In the case of silver nitrate, the silver ions would reduce to silver atoms, releasing radicals which would cause a photochemical degradation of the carbohydrate (cellulose) polymer. In addition, the nitrate anions may also form radicals which would speed up the process of photochemical degradation. In the case of silver sulphate, the silver ions would reduce to silver atoms, releasing radicals which would cause a photochemical degradation of the carbohydrate (cellulose) polymer. It is unlikely that the sulphate anions form radicals to any significant degree (if at all) and this point is supported by the fact that it takes longer to produce a 'shroud' with silver sulphate than with silver nitrate.

Figure 1b shows subsequent hydrolytic cleavages that would occur as a result of the photochemical degradation. This chemically induced oxidation of the cellulose, which is structurally similar to oxidation caused by natural ageing and scorching is proportionally more prevalent on the upper-most fibrils which constitute the linen threads and is presumed to be more intense in low crystallinity zones.

It is also important to note that in addition to the possible cleavages caused directly by the action of either silver or nitrate ions (free radicals) as stated above, the possibility equally exists that these free radicals could give rise to an energy transfer. Briefly stated, as a result of the action of UV radiation, the generated radicals (either silver or nitrate ions) could cleave the hydrogen bond of the hydroxyl group of cellulose. This in turn could liberate a hydrogen ion which could also be responsible for yet further cleavages in any of the following cellulose groups, viz:

* the carboxyl group;

* the ketone group;

* the adelhyde group;

It is quite certain that it is not possible to achieve the very specific qualities of image as found on the Shroud of Turin (Plate 1) and the 1992 test samples (Plate 6) by any artistic or natural process which involves the use of vapours, dyes, pigments, powders or stains. It is known that the Shroud was most likely manufactured sometime after the mid-thirteenth century 10 (definitely not later than 1357 AD), and is not miraculous. It would seem therefore, (subject to further corroborative testing of the Shroud itself), that the hypothetical photographic technique as elucidated earlier in this article, is the only plausible explanation for image formation on the Shroud of Turin and implies very strongly that persons living in the late thirteenth or early fourteenth century were indeed privy to a photographic technology which was previously thought to be unknown before the beginning of the nineteenth century.

 

Since 1990, the author has conducted a number of experiments which have employed the kind of technology available to certain medieval societies c 1200 - 1350 AD, and has shown that it is quite possible to produce a fixed negative photographic image on a piece of linen employing only three substances, all of which (as will be proved) were available to persons living well before the thirteenth century. These substances are quartz (rock-crystal), silver nitrate (eau prime and silver) and ammonia (Allen, 1993a & 1993b).

More specifically, if a piece of linen, permeated with a dilute solution of silver nitrate is positioned inside a camera obscura (see plate 1, 2 and 3), it can record (in the negative) the details of a sun-illuminated subject situated outside of the camera. This image is focussed onto the linen cloth by means of a quartz bi-convex lens. It is important to stress here, that a glass lens will not suffice for this purpose, because only optical quality quartz will permit the passage of UV radiation from the subject to the silver nitrate impregnated linen and silver nitrate is only sensitive to the UV end of the light spectrum (specifically 195 to 240 nm). The image thus obtained (see plate 2) is faint, extremely subtle and (surprising as it may seem), chemically stable. By immersing the cloth in urine or dilute ammonia it is possible to remove all traces of silver (reduced or otherwise), and the cloth together with its encoded image may be brought out of the camera into the light of day. The image is only visually coherent at a distance of some two metres, appears only on the upper fibrils of the cloth and is a record of the illumination of the subject over a period of days. For this latter reason, the visual record contains a negative encoding of the three-dimensional characteristics of the original subject. In this context at least, the image is unlike a modern photographic negative in that it is not a snap-shot of a particular moment in time, but rather the record of the original subject according to the physical distance of a particular feature of the subject from the prepared linen cloth.

Is it really possible that someone living in the late thirteenth century had the necessary knowledge to produce the Shroud by means of a photographically related technique? Surprising as it may seem, this was quite possibly the optimum period for this type of scientific/artistic innovation. For example, if one reviews both the level and the kinds of technology available in the late thirteenth and early fourteenth centuries one is immediately struck by the fact that there was a particularly great interest in the subject of optics between 1250-1350. This undisputed fact is borne out by the number of important natural scientists and philosophers of both the Latin Christian west and the Moslem east who concerned themselves with optical issues 5.

Most authorities agree that this interest was due to the singular influence of the Kitab al-manazir of Ibn al-Haytham. This publication was known in the West as early as the thirteenth century as the Perspectiva or De aspectibus. This was later published by Friedrich Risner along with Witelo's Perspectiva as the Opticae thesaurus Alhazeni Arabis libri septem in 1572. Sarton (1947 : 141) asks

How shall we account for such ubiquitous and simultaneous efflorescence? The explanation is that all these scholars were drinking from the same source, which became available to them (or which they were ready to use) at about the same time. That source was the Kitab al-manazir.


Figure 1

Diagram illustrating Al-Haytham's theory of image formation. (Lindberg, 1968 : 155.)


Abu `Ali al-Hasan ibn al-Hasan ibn al-Haytham (known as Alhazen or Alhacen in the Latin west) lived in Arabia c 965 - c 1039 AD and not only produced the Kitab al-manazir but numerous other texts which covered such subjects as optical illusions, the height of the atmosphere, the apparent increase of the size of the moon near the horizon and atmospheric refraction, perspective, binocular vision, shadows and colours. In addition he produced a treatise on burning mirrors (translated into Latin as the De speculis comburentibus). More importantly, he also wrote on the structure of the human eye and the camera obscura. In particular, he formulated a detailed and fairly accurate analysis of pinhole images 6. In addition, al-Haytham was probably one of the first recorded natural scientists to realize that images, produced by the aid of an aperture (finite or geometric) were in fact composite. In other words, he fully realised that the image is formed by the superimposition of an incalculable number of image patches, each in the shape of the aperture and each radiated from every point of the object (see figure 1). These overlapped images give the soft-focus appearance of the original object and not the shape of the aperture. This of course explains why a pinhole image is more focussed in appearance than an image produced with the aid of a larger aperture. Hence, an image in a camera obscura may only be discerned at some distance and often is unrecognizable at close range.

If one doubts that medieval cultures had light sensitive substances at their disposal it is worthwhile to consider that a number of very simple chemical compounds that are more or less sensitive to light exist in the natural world. The most obvious examples being silver chloride and silver nitrate.

Silver chloride, which is a solid (often produced by precipitation), is not soluble in water and whether in liquid suspension or dry powder form is extremely sensitive to the action of sunlight. Mellor (1922 : 390), informs us that in nature, silver chloride occurs in veins of clay slate together with other silver ores, and is known as

horn silver, chlorargyrite, ceragyrite, or keragyrite...[t]here can be little doubt that silver chloride was known in the time of Pliny for in his Historiae naturalis...he refers to operations in which this compound must have been formed. Geber also, in his Summa perfectionis magisterii, describes its color mirabilis.

If used as a light sensitive emulsion/solution on a suitable two dimensional support it will form a latent image fairly rapidly. After some time a visible dark grey-brown discolouration will appear.

Silver nitrate, is highly soluble in water and will change from a colourless to a purplish-brown liquid in the presence of direct sunlight. There is much evidence for the existence of this reagent in both medieval Christian and Moslem societies. Jabir ibn Haayan (Geber) (died c 815 AD), in his De inventione ventatis (12th or 13th century AD) not only describes how silver nitrate may be prepared by dissolving silver in nitric acid (eau prime) but also showed how silver nitrate (as a solid) may be prepared by crystallization from a solution of silver in diluted nitric acid. (Mellor, 1922 : 459.)

In addition, there is no doubt that Albertus Magnus (c 1193/1207-1280), must have also produced silver nitrate. Although he doesn't give this reagent a name, he does mention that silver dissolved in eau prime `tingit cutem hominis nigro colore et difficulter mobili' (Hoefer, 1866 : 389). However, no evidence exists that Albertus Magnus or indeed any other alchemist or metallurgist (before the seventeenth century) knew exactly why silver nitrate changed colour. Even so, given the early occurrence of this reagent in western history, it would be safe to assume, that both silver nitrate and silver chloride could have been employed by a hypothetical medieval `photographer'.

If one also doubts that medieval cultures had the ability to produce bi-convex lenses, then one should consider that until quite recently, most authorities believed that the die-sinking and gem-cutting tasks of ancient times were undertaken by persons who were very short sighted. (Beck, 1928 : 327.) Such persons, (according to this scenario) would have been much sought after since they would have possessed (in effect) a pair of magnifying glasses permanently attached to their eyes. Beck, 1928 : 327) states that

[t]his idea is so prevalent that when ancient magnifying glasses are found, scholars go to the trouble of trying to find some other use to which they could be put, the favourite suggestion being that they must have been ornaments.

In fact, the invention of glass and the subsequent manufacture of lenses may be traced back to Predynastic Egypt, the Ancient Near East and the Aegean. In this regard, a large piece of blue glass was found at Abu Shahrein in Mesopotamia which dates from c 3000 BC.

Magnifying glasses were not always made from glass and many have been found which are made from crystal (optical quality quartz). This latter point is important, since it implies that the discovery of the lens does not necessarily depend on the manufacture of glass per se. In this context it is interesting to note that in the British Museum there are housed two Egyptian magnifying glasses. They are now tarnished through age, but originally would have been quite able to focus the Sun's rays. Both lenses, are about two and a half inches diameter (55 mm) and three and a half inches focus (80 mm), which would mean they could magnify about three diameters. Both of these examples, which I have seen at first hand, are ground glass lenses and are not cast. Both of these lenses were found at Tanis and have been dated to c 150 AD.

Although, as has been ascertained, the late thirteenth century witnessed the genesis of what was to become the scientific era and by employing the levels of technology available to this period it is quite possible to produce a 'photographic' or 'solarographic' image on linen, medieval alchemists and natural scientists were more inclined to understand their world in terms of both symbol and allegory. For them, the world was filled with constant reminders of God's divinity (Eco : 1986 : 53).

For example, important medieval thinkers such as St Thomas Aquinas, in keeping with the Aristotelian principles of hylomorphism, held that all material substances were compounds of prime matter (which had the potential to become form); and substantial form. This latter aspect of a substance was what made it possible to determine what a particular substance was. According to this theory it was possible to logically infer the existence of a metaphysical realm by contemplation of the concrete objects that make up the natural world. In other words by reflecting on the intrinsic nature of God's creations it was possible to make deductions about God himself.

In this regard, John Scotus Eriugena believed that the world was a grand theophany - one which manifested God through its primordial and eternal causes. He states that there 'is nothing among visible and corporeal things which does not signify something incorporeal and intelligible' (Eco, 1986 : 56-7).

However, it was not possible, in terms of this philosophy, for essence and existence to exist as phenomenologically separate entities. They could however, be distinguished intellectually as the two consecutive metaphysical principles of every finite being. Only in God (as the uncreated, infinite and pure spirit), could these two principles be identical and in his Summa Contra Gentiles, St Thomas Aquinas, (whilst comparing God unto light), tells us that: "God exists necessarily because His essence is existence: all other things receive or 'participate in' existence, and that which receives must be distinct from that which is received." (Copleston 1965 : 333). Eco (1986 : 54) sums up this point beautifully when he states,

Even at its most dreadful, nature appeared to the symbolical imagination to be a kind of alphabet through which God spoke to men and revealed the order in things, the blessings of the supernatural, how to conduct oneself in the midst of this divine order and how to win heaven.

Thus, the medieval mind believed that the natural world mirrored the transcendent world where symbols and the divine principles that they engendered were believed to have certain characteristics which may be related.

Having deduced that it was perfectly possible for an alchemist or natural scientist living in the late thirteenth century to have utilised the specific substances, forms and processes that are pre-requisites for manufacturing a Shroud-like image, it also occurred to me that perhaps this photographic technique (far from being viewed as a fraudulent act), may have been considered to have been miraculous and/or divinely sanctioned. For example, a devout Roman Catholic who accepts the hylomorphic framework of the Eucharist will not consider transubstantiated bread and wine to be 'forgeries' of Christ's body and blood.

In the same way, the hypothetical photographic manufacturers of the Shroud, apart from their indebtedness to certain aspects of Islamic scientific knowledge, may also have worked within the symbolic framework of their hylomorphic universe. Moreover, if there is any validity to this argument, it should be possible to find some symbolical correspondence between such substances and forms as linen, crystal, silver, ammonia etc.

Incredible as it may seem, all of the substances which are critical to the success of this technique (ie making a photographic image), are indeed related symbolically and there appears to be a correspondence between them and the fundamental principles and tenets which underscore the Christian concept of the intercession of Christ and the atonement of sin (see figure 2). In this regard, the relevant forms and substances listed below, may be interpreted as follows:

* The square camera obscura.

A dark, enclosed chamber may be viewed as a symbol of the earth (square) and the fallen and sinful state of man (darkness representing man's separation from God's divine light).

* The linen cloth.

Apart from its more obvious reference to the burial cloth of Christ, linen is a symbol of purity. According to Pliny, linen was the most beautiful dress material or pulchioriam vestem (de Vries, 1981 : 299), and according to Ovid, Io (who was venerated as Isis in Egypt), was administered to by priests who were referred to as the linen-robed throng (de Vries, 1981 : 299). Thus, linen refers indirectly to the status of priesthood and symbolizes the spirit of mediation. Twelfth century cabalists referred to the sephiroth which represented intercession as Tipareth (beauty). Linen also speaks of the atonement of sin and release from divine punishment. In this regard, it was a man dressed in linen and carrying an ink horn, who went through Jerusalem to mark with a special sign those who were righteous in the eyes of God. Those who were not marked in this manner, were killed (Ezekiel, 9 : 1-11). Linen may also refer indirectly to the Virgin Mary as only virtuous woman wore linen as apposed to promiscuous women who wore silk. In addition, the very art of weaving is symbolic of the incomplete man (de Vries, 1981 : 495; Olderr, 1986 : 147; Cooper, 1978).

* The crystal lens.

Crystal is as an overt Marian symbol and may be seen as the embodiment of the Virgin Mary as the speculum sine maculum, which in turn encapsulates the spiritual qualities of the immaculate conception.

Two circles are normally employed to symbolize the upper and lower worlds ie heaven and earth or the macrocosm and the microcosm, and the union of these two worlds is the almond shaped zone of intersection or interpenetration which in turn represents the world of appearances. This almond shape (which is normally depicted in the vertical axis) is the Vesica Piscis or Mandorla, and is also coincidently the shape of a bi-convex lens as seen in profile. According to Cirlot (1971 : 203-4), the Vesica Piscis is also a symbol of perpetual sacrifice that regenerates the creative force through the dual streams of ascent and descent, appearance and disappearance, life and death, evolution and involution. In terms of its morphology the Mandorla is cognate with the spindle of the magna mater and with the magical spinners of thread.

The substance of crystal by virtue of its transparency represents the 'conjunction of opposites' and 'matter seen through' (de Vries, 1981 : 121). It also refers to intuitive knowledge, translucence of thought, the spirit and the intellect and is associated with the human eye (de Vries, 1981 : 121). It is also related to the sacrament of baptism with water and crystal as fossil ice or frozen dew or tears is associated with both immortality and the firmament over the four living creatures (Ezekiel, 1 : 22). Finally, crystal being formed of moisture falling from the sky like pure snow refers to the icy north and north is where God dwells (de Vries, 1981 : 121). It should be pointed out here, that anyone producing a Shroud-like image in the northern hemisphere would have had to have positioned the quartz lens in the north facing wall of the camera obscura in order to receive both the morning and afternoon light. This set-up is crucial to the success of the endeavour (Allen, 1993a).

* Silver.

Silver is the symbol of purity, innocence and a clear conscience and refers in this context to the qualities of the Virgin Mary. Traditionally, chastity, fidelity and virginity are related to the Moon-Diana (de Vries, 1981 : 424).


Figure 2

MEDIEVAL SYMBOLS AND THEIR SIGNIFICANCE

APPARATUS OR SUBSTANCE SYMBOLIC REFERENCE
Sunlight Almighty God, Divine Spirit, Heaven, Kefer
Crystal Virgin Mary, Innocence
Vesica Piscis Intercession, Divine Union, Perpetual Sacrifice, Tipareth
Silver Purity of Heart, Wisdom of God, Creation
Linen Beauty, Purity, Priesthood, Tipareth
Urine Life indicator of man
Nakedness, Venus Pudica Shame, Loss of control
Camera Obscura The Earth, Darkness, Sin, Malkuth

Silver also refers to the wisdom of God: 'The words of the Lord are pure words: as silver tried in a furnace of earth, purified seven times' (Psalms, 12 : 6). Again, 'the tongue of the just is as choice silver' (Proverbs, 10 : 20). Silver relates here to speech and indirectly refers to the incarnation of Christ, viz., 'And the word was made flesh, and dwelt among us, and we beheld his glory, the glory as of the only begotten of the father, full of grace and truth' (John, 1 : 14). Not surprisingly, silver is also related to mirror and to pearl, both of which are Marian symbols.

* A crucified, naked man.

A naked man was used as the subject for this image. Nakedness itself is a symbol of man's separation from God and signifies his uncleanness and impurity (Ezekiel, 16 : 39; 23 : 29). Camille (1990 : 93), reminds us that the sons of Noah covered their eyes so as not to see the nakedness of their father. Because of Noah's drunkenness, he demonstrates his loss of control which in turn leads to his shame. It is important to remember here, that despite the fact that the Shroud depicts nudity this was never really conspicuous before the advent of modern photography. In addition, in the Shroud, Christ crosses his arms over his pelvic region for the purposes of modesty (ie the venus pudica pose) and no doubt to symbolize the crucifixion itself. Indeed, the depiction of the naked upper torso seems to have been quite acceptable to medieval mores 7.

Although this paper has explored (albeit cursorily), some of the possible responses that the Shroud of Lirey-Chambéry-Turin might have elicited from thirteenth century Christians there is obviously much doubt that this encolpia of the Eucharist was originally intended for the eyes of the vulgar. Indeed, we can only speculate as to how a minor French noble (Geoffrey de Charny) ended up possessing such a prominent artifact and there seems to be little doubt that whilst he was yet alive (ie before 1356), few persons, if any were aware of its existence. This interpretation seems to be supported by the fact that immediate clerical pressure was brought to bear on both his widow and son once they started to hold the first recorded expositions of the Shroud at Lirey in 1357. It is quite clear that even at this early date, the Catholic Church did not know how to deal with the Shroud's import and this relic had to wait another 150 years (ie until the reign of Pope Julius II [1506]), before it was unreservedly accepted as a most important relic of the Passion of Christ, celebrated as the Feast of the Holy Shroud (May 4), complete with its own Mass and Office.

Regrettably, the Catholic Church (together with the modern scientific community) is once again uncertain as to how this artifact should be treated, many having too conveniently labelled it as a 'fake'. However, I am certain that time will prove my suspicion, that this incredible product of medieval ingenuity, will come to be more correctly regarded as one of the most significant embodiments of the late thirteenth century, not only because of its wealth of socio-theological content but more precisely because it is quite possibly, the single, greatest technological and artistic masterpiece ever produced for its time.

    

 Esci