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 Marco Guido Corsini

                                                    

 Manuale di Studi Veterotestamentari

(come interpretare il più antico corpus di testi prodotto da una civiltà araba)

26 Maggio 2013 – Tutti i diritti riservati

 

 

Il recupero della storia del Vicino Oriente antico fu stimolato dagli studi biblici e da autori come Erodoto, Diodoro, Ctesia, Strabone, e divenne scienza   soprattutto dopo la traduzione delle tavolette d’argilla cuneiformi trovate nei palazzi, particolarmente dapprima nella biblioteca del palazzo di Assurbanipal a Ninive, costituita da ben cinquantamila tavolette. Grazie alla decifrazione dapprima della cuneiforme persiana da parte di H. C. Rawlinson (1846), e poi della enormemente più complessa  cuneiforme assiro-babilonese (soprattutto da parte di Rawlinson e J. Oppert, entro il 1857),  e del contributo di numerosi altri studiosi europei, G. Smith, assistente della sezione egizio-assira del British Museum di Londra, era già in grado di identificare, fra le tavolette provenienti dal palazzo di Assurbanipal (669-631 a. C.),  il testo del Diluvio universale di Ut-Napishtim/Noè biblico (1872).  Gli archeologi scoprivano uno dietro l’altro la Torre di Babele  (R. Koldewey, 1899) e financo il profondo strato di sedimentazione del Diluvio a Ur (L. Woolley, 1929), e ancora oggi di tanto in tanto qualche sprovveduto  si mette alla ricerca dell’Arca di Noè sul monte Ararat. Parallelamente, gli  studiosi del testo biblico (in ebraico, aramaico, greco, latino…, lingue  e scritture che non erano mai morte),  avevano già dimostrato definitivamente, prima del 1882 (con Julius Wellhausen), che il Pentateuco “Cinque rotoli” o Torah “Legge” (Genesi, Esodo, Levitico, Numeri e Deuteronomio), cuore dell’Antico Testamento, è un testo scritto da mani diverse  e redatto definitivamente solo nel V secolo a. C.

Secondo una scuola di pensiero più pericolosa che semplicistica,  la tradizione contiene sempre un nucleo di verità (quando ero ragazzo andavano di moda libri del tipo: La Bibbia aveva ragione; ed era falso). Da storico, che studia i documenti antichi nelle loro differenti lingue,  sostengo che si deve  diffidare della stessa tradizione in generale, perché ogni tradizione che ci perviene è per definizione  l’immagine pubblicitaria dei potenti (che di solito sono i soli a gestire la scrittura in un mondo ampiamente analfabeta), di una determinata casta politica o religiosa, ovviamente interessata, e disposta ad ogni menzogna pur di raggiungere i propri fini di potere politico-economico. La tradizione che ruota intorno al tempio di Gerusalemme è, a questo riguardo, paradigmatica.

J. Wellhausen tirò le somme degli studi dei suoi predecessori in modo scientificamente organico, e perciò è giustamente considerato il fondatore della scienza veterotestamentaria.  Nel 1882,  a causa delle contestazioni di carattere religioso che la sua teoria causava, lasciò la cattedra di Greifswald. Il lavoro in cui pubblica la cosiddetta ipotesi documentaria, Storia israelitica e giudaica,  è del 1894. La carriera della Bibbia come documento storico, appena iniziata, era già finita!

 

Vi sono  quattro codici: E Elohista (dal nome impiegato per indicare Dio, ebr. El, Eloah, Elohim, aramaico Elah, siriaco Alah, da cui io suppongo al-Alah > Allah, “il (vero) Dio” dell’Islam), D Deuteronomio (questo codice è a se stante e infatti costituisce un libro distinto del Pentateuco, senza elementi in comune con le altre tre fonti, come osservò  W. M. L. De Wette nella sua tesi di dottorato; al tempo della redazione finale fu posto alla fine del Pentateuco come raccordo con la successiva storia deuteronomistica fino a 2 Re), J Jahveista (dal nome Jahveh,  tradotto  Signore, per distinguerlo dal Dio elohista) e P dal tedesco Priesterlich, o Priestercodex, cioè codice Sacerdotale, formalmente elohista ma intimamente jahveista, che costituisce da solo circa la metà del Pentateuco e oltre a replicare alcune storie di E e J contiene soprattutto un enorme corpus di leggi nell’intero Levitico e circa trenta capitoli dell’Esodo e dei Numeri. A ciò dobbiamo aggiungere  R, il Redattore finale, che ha dato la sistemazione finale facendo iniziare tutti i libri con passi del Sacerdotale (il Levitico è tutto sacerdotale), e utilizzando liste genealogiche e altri espedienti  come raccordo.   L’ordine  in cui ho messo questi documenti esprime quel che penso circa la loro cronologia e sacerdozio di appartenenza. Secondo me è chiaro come il Sole che solo un documento è veramente  anteriore alla fine del regno nordista di Israele (722 a. C.), E, mentre D (scritto dal profeta Geremia, alla cui scuola sacerdotale elohista appartiene pure E) è del tempo del re Giosia (640-609), e fu “ritrovato” nei lavori di ristrutturazione del cosiddetto primo Tempio di Gerusalemme nel 622  a. C. Viceversa J e P, di scuola aronnita,  sono esilici, il secondo di qualche tempo anteriore al 389 a. C., quando lo scriba aronnita Ezra (che forse è il suo autore e anche il redattore finale della Torah, come sostiene F. M. Cross; la tradizione infatti suggerisce che Ezra sia l’autore finale della Torah) lo lesse pubblicamente a Gerusalemme al tempo della seconda missione del governatore Neemia. Dunque secondo me la redazione finale del Pentateuco deve risalire alla fine del V secolo a. C.   

 

E’ certamente utile all’interprete,  in prima approssimazione, la spia dell’appartenenza dei documenti all’uno o all’altro sacerdozio in base alla comparsa dei nomi divini Elohim  e Jahveh  e rispettivamente Oreb/Sinai e Ietro/Reuel come nomi del monte su cui Mosè salì per ricevere la Legge e del suocero di Mosè. Magari tutto si esaurisse qui. Prima di tutto  lo studioso deve avere un bel bagaglio di conoscenze linguistiche, storiche, archeologiche e letterarie senza le quali non si va da nessuna parte. Gli scribi aronniti non rispettarono i documenti delle differenti corporazioni “religiose” fino ad usare forbici e colla per fonderli in uno che agli occhi del lettore distratto appare scrito dalla stessa mano. Essi li manipolarono senza alcun riguardo al momento stesso in cui arrivarono al potere per fra grande il loro profeta (Aronne a spese di Mosè). Direi che non il rispetto della parte avversa guidò soprattutto i neo arrivati aronniti di Giuda nel fondere con  la propria la tradizione dei musiti/leviti di Israele, bensì  il fine di rafforzare la propria tradizione artificiale, ovverosia falsa, sulla base di quella storicamente autentica e affermata dei rivali.

 

E’  paradigmatico il sacrificio di Isacco. 

I musiti/leviti  ebbero il potere per primi non solo al tempo del cosiddetto primo tempio (che per me resta ancora non identificato, soprattutto ora che ritengo di identificare Salomone, un falso assoluto, col faraone libico Sheshonq), ma anche subito dopo il rientro dall’Egitto a Gerusalemme (ciò che alcuni ignorano o fanno finta di ignorare). Viceversa gli aronniti esuli a Babilonia rientrarono solo verso la fine del V secolo, portandosi dietro una tradizione scritta a tavolino nelle biblioteche babilonesi, ispirata, ma in contrapposizione, a quella israelita.

Dopo le guerre reciproche (perché secondo me i musiti/leviti tornarono al potere coi Maccabei nel II secolo a. C.) a colpi di penna e perfino di forbici  realizzati  degli aronniti nella tradizione opposta, non è facile ricostruire la storia originale dei musiti/leviti, ma una buona guida è fornita alla fine del libro di    R. E. Friedman, Chi ha scritto la Bibbia, Bollati Boringhieri, Torino, 1991, il quale è erede di una ottima scuola esegetica (e non a caso il suo libro è difficilmente reperibile, nell’Italia dove dominano i baroni  dell’università che hanno soli licenza di riempire di cartaccia le librerie del cittadino schiavo; ad esempio io non ho un istituto dove ricercare o una cattedra dove insegnare), solo che non sempre trae tutte le logiche conseguenze che si potrebbero e dovrebbero trarre. In questo prospetto i passi biblici  del Pentateuco sono ripartiti cronologicamente e a seconda dei differenti documenti (E, J, P, R e inifine, a parte, Dtr¹ e Dtr²). E’ evidente che la tradizione elohista (Elohim)  inizia oggi in pratica con Giacobbe/Israele, il patriarca che con i suoi  dieci figli  (quelle che saranno poi le dieci tribù perdute di Israele) si spostò nel Goshen su invito di Faraone che aveva nominato come visir Giuseppe figlio di Giacobbe.  Ho dimostrato altrove che Jahqub è personaggio storico, un re hyksos vissuto intorno al 1650 a. C. di cui possediamo alcuni cartigli su scarabei. Ma è anche arcinoto, soprattutto dalla documentazione egizia, che gli Hyksos furono cacciati dall’Egitto intorno al 1520 a. C. (e mi fa piacere che i protestanti della Traduzione del Nuovo Mondo delle Sacre Scritture siano anche loro su questa linea interpretativa, p. 12, tra l’altro questa edizione è praticamente la migliore che conosco nel rispettare il testo, ma si potrebbe migliorare, anche se ha la pecca di non contenere  certi libri che sono nel canone cattolico) dal faraone (romano Ahmose, vedi il mio lavoro Roma su questo sito).  Guardando astrattamente alla storia di Genesi  (immaginando che in qualche modo J e P aronniti riportino anche la storia antica per ipotesi in qualche modo censurata o altro all’inizio di E) ci aspetteremmo che gli Hyksos/Israeliti discendenti di Jahqub si ritenessero  discendenti da Isacco, padre anche di Edom/Esaù. Al contrario, secondo la loro tradizione, E, Isacco veniva sacrificato da Abramo a Elohim, per cui dobbiamo assolutamente dedurne che gli Hyksos, arabi come i loro fratelli  Edomiti, si ritenevano discendenti di Ismaele, il circonciso primogenito arabo, da Agar l’egiziana, di Abramo, lo sceicco della steppa arabo, che da Chetura è padre di altre tribù arabe come Madian e Saba. Tutto ciò equivale a dire che la Bibbia ha le sue radici nella civiltà araba!

Il sacrificio di Isacco compare in un testo originariamente elohista (il quale menzionava Elohim). Questo testo  è stato palesemente rimaneggiato inserendovi il nome Jahveh, che ferma la mano di Abramo, che sacrificherà al posto di Isacco un ariete: « così arrivarono al luogo che Elohim gli aveva indicato; qui Abramo costruì l’altare, collocò la legna, legò il figlio Isacco e lo depose sull’altare, sopra la legna.   Poi Abramo stese la mano e prese il coltello per immolare suo figlio. (Ma l’angelo di Jahveh lo chiamò dal cielo e gli disse: “Abramo, Abramo! “  Rispose: “Eccomi!” L’angelo disse: “ Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli alcun male!) Ora so che temi Elohim e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unico figlio. ” Allora Abramo alzò gli occhi e vide  un ariete…   (Gen 22, 9-13)… Poi Abramo tornò [da solo!] dai suoi servi… Gli anni della vita di Sara furono centoventisette; questi furono gli anni della vita di Sara… »  Gen. 22, 19 e 23, 1ss). E’ evidente che nella prima stesura elohista Abramo tornava a casa da solo dopo aver sacrificato Isacco e, poco tempo dopo, come conseguenza immediata, Sara moriva di crepacuore. Nonostante il ritocco nella prima parte, lo scriba aronnita non operò ugualmente un ritocco nella seconda parte, quando scrisse intorno al 400 a. C. Questa scoperta è devastante, perché dimostra che la Bibbia fu scritta dal popolo arabo degli Israeliti (stato del nord). Con l’arrivo al potere degli aronniti di Giuda nel 400 a. C., si respira a Gerusalemme un sentimento razzista e antiarabo (non solo nel prisma di Sennacherib e in Erodoto, ma anche al tempo di Neemia e Ezra si parla di arabi e ancora non di Ebrei, nome artificiale derivato dalla V satrapia della Transeufratene, Eber, in età persiana ed ellenistica), che spinge lo scriba Ezra (o chi per lui) a mettere mano nel passo di Genesi per resuscitare Isacco e così distaccare Giacobbe e Esaù da Ismaele, che, da primogenito circonciso, viene addirittura cacciato da Sara, in quanto gli aronniti sono matriarcali, dipendono nel modo più assoluto dalle donne. Abramo si fa mettere i piedi in testa e (com’è tipico degli aronniti che rassomigliano a mafiosi) diventa esecutore materiale di un’idea che non gli piacerebbe ma che viene costretto a condividere. Di buon mattino  caricò sulle spalle di Agar un pane e un otre d’acqua, le consegnò il fanciullo e la mandò via (Gen 21, 14). Lo stesso odio antiarabo brucia dentro  Rebecca. Non ci facciamo ingannare dal fatto che porta l’anello al naso (Genesi 24, 22). Questa arpia che pare essere stata a scuola dai peggiori ordini sacerdotali cattolici, detesta Edom soprattutto perché è il primogenito arabo  del culto originario israelita di Yahw/Sin, il dio Luno dell’Oreb/Petra, il Dushara/Qaush dei Nabatei. Si intravvede che Esaù/Usous di Sancuniaton  era il dio stesso che, come Jahvè in Eden, fabbricava abiti in pelle per rivestire Adamo ed Eva. Costui è l’autore dei due pilastri consacrati al Fuoco e al Vento (poi Jachin e Boaz) su cui spargeva il sangue delle bestie che cacciava. Sede di questa pratica furono probabilmente gli obelischi di Zibb Attuf (Fallo della Misericordia) all’ingresso del santuario al Madhbah di Petra (cf. A. Collins e Ch. Ogilvie-Herald,  La Cospirazione di Tutankhamen, Newton Compton, pp. 286-289). Rebecca  si rigira Isacco a favore di Giacobbe che rispetta la legge del matriarcato e cioè si va a scegliere le mogli nell’ambito della tribù materna (ad Harran, sede di culto di Sin, oltre che del dio dei barbari del Mar Nero).  Così Rebecca  fa travestire Giacobbe per  farlo passare per il primogenito Esaù, il peloso, ed essere benedetto al suo posto. Gli aronniti non hanno una morale come noi moderni. Per essi dire il falso è solo un mezzo per raggiungere lo scopo. Sono machiavellici/furbi ante litteram. E il loro dio Jahveh è sempre pronto a dargli una mano.  Se vogliamo questa è una caratteristica in generale dell’arabo, furbo, come ci proviene dalla tradizione occidentale.

 

Avevo annotato che Friedman registra il patto di Jahvè con Abramo in Genesi 15 (Transeufratene, dal Nilo all’Eufrate = Arabia) e quello di Elohim con Abramo in Genesi 17, in cui fra l’altro Elohim promette ad Abramo Canaan, cioè la terra dove si sono stanziati gli Hyksos/Israeliti. Questa è una prova evidente che il testo non appartiene a P come sostiene Friedman, bensì a E. Alla luce della mia scoperta, rileggendolo, registro infatti, che Jahveh all’inizio è solo  una manipolazione che riconduce agli aronniti, ovviamente, ma poi il testo è tutto elohista di E. Che senso ha che Jahveh, ormai noto con questo nome dagli aronniti,  si presenti poi come Dio Onnipotente (El Shaddài)? E ancora abbiamo Elohim, da 17, 3 a 17, 14.18 dove si parla solo di Ismaele e del patto  attraverso la circoncisione, tipico istituto arabo/islamico. A differenza di altri testi jahveizzati con l’aggiunta di Jahveh a Elohim, qui si ha solo Elohim e perciò io ritengo che ci troviamo in un documento E. Qui abbiamo anche la riprova che Abramo era contemplato prima di tutto da E come il primo patriarca arabo. Per colmo di fortuna troviamo anche l’attestazione di Allah attraverso “il [vero] Dio” (ha’Elohim) di 17, 18.

 

Abbiamo dunque fissato anche un altro concetto, quello della contrapposizione degli aronniti ultimi arrivati, razzisti e xenofobi, soprattutto antiarabi (pur essendo essi stessi arabi per cultura originaria), e gli arabi israeliti con cui nasce  la civiltà ebraica elohista degli Hyksos che erano già  stabiliti in Canaan, e da qui penetrarono nel delta orientale (Goshen) egizio, e una volta cacciati dall’Egitto tornarono in Canaan, i cui discendenti Cananei, Aramei, Fenici, Israeliti, chiamarono il loro dio  genericamente Baal, “Signore”, (anche Seth/Tifone, il tornado, il fallo del Toro celeste che fende e feconda la steppa)  e successivamente genericamente “dio”, El, Eloah, Elohim, siriaco Alah, al-Alah > Allah (in genere a capo di un pantheon se non venerato come dio unico). Per essere precisi El è a capo del pantheon ugaritico come “creatore delle creature”, “padre dell’uomo”,  “toro El”, il che giustifica la stessa immagine di El come vero e proprio dio Toro o Vitello  (si focalizzi  sul crescente della Luna richiamato dalle corna del toro).

C’era un passo della storia di Noè che non riuscivo a comprendere bene, quello in cui questo rappresentante degli illiro-traco-armeni intorno al Mar Nero che ritengo responsabili della seconda stratificazione ebraica (l’unica che possa aver introdotto in Palestina l’ario Jahveh) al tempo dell’esondazione fra XIV e XIII secolo, fu trovato ubriaco e nudo dal figlio Cam/Khemet (l’egiziano) che invece di coprirlo andò a riferire la cosa a Sem e Giapeto. Noè, maledisse Canaan. Non tanto perché evidentemente lo stato di ubriachezza gli era normale, ma soprattutto perché questa figura poco raccomandabile era frutto delle farneticazioni aronnite (solo gli aronniti scrissero una storia completamente inventata dalla crazione dell’universo e da Adamo a Noè prediluviani e da Sem (Cam e Giapeto) a Abramo postdiluviani, nei codici J e P di cui abbiamo detto). Insomma la morale era che Cam/Khemet/Egitto era colpevole per aver ospitato Canaan/Hyksos che automaticamente era considerato suo figlio, mentre Canaan/Hyksos/Israele  era entrato in Egitto da semitico e oppressore e da semitico ne era uscito, cacciato via. Ancora qui, sottilmente e perfidamente, gli aronniti liquidano i loro avversari religiosi arabi come popolo straniero da tenere alla larga. Gli Arabi occupano tutta la Transeufratene, cioè l’Arabia, fra il fiume Egitto (Nilo, ancora oggi in arabo Egitto e Nilo sono la stessa cosa) e l’Eufrate. Dunque gli aronniti intendono differenziarsi dagli Arabi pur venendo fuori dagli stessi, tanto più che erano in origine pagani e politeisti e adesso si costruiscono una immagine artefatta pur di essere più ebrei degli elohisti, che a loro volta sono pagani. E’ dunque la ricerca spasmodica di una unicità assoluta che guida gli aronniti. Essere tanto unici da poter fondare una banca che possa essere tutta loro e raccogliere soldi da ogni dove senza concorrenza di altri banchieri e di altri dèi. Così i patriarchi proibiscono ai loro figli di cercare moglie in Canaan e gli impongono di andarsela a trovare in Harran/Mitanni (culturalmente connesso con Illirico/Tracia/Caucaso/Colchide/Armenia), che è come dire intorno a quel Mar Nero (medievale Mar Russo/Rosso), patria di questi barbari che oltre ad ubriacarsi (il vino è connesso con Dioniso/Bacco nipote di Cadmo/Fenicio, e alle Baccanti/Menadi) e mettere a ferro e fuoco tutto coi loro olocausti, praticano i sacrifici umani andando dietro a sciamani dai lunghi capelli incolti e che non si lavano nemmeno a pagarli, di un demone della peste,  della morte e della guerra (Jahveh/Apollo/Reshef) che manda oracoli dalle foglie delle quercie,   chiuso dentro una bara dagli effetti micidiali che costoro si portano dietro ovunque vadano.

Anche se il codice E  non inizia oggi fin da Abramo, ciò non significa che in origine non lo facesse.  Certamente l’Abramo israelita era fin dall’inizio un autentico sceicco della steppa in sintonia con quanto ho sopra esposto. Gli ‘Amu, gli Asiatici (“Abramo”), alla fine del III millennio penetrano in Egitto in cerca di cibo per sé e per il loro bestiame, occupando il delta. Al tempo della XIII dinastia, intorno al 1700,  troviamo un faraone Horneigheritef “l’Asiatico” collegato con Ebla, preceduto da un Amenhemet VI “Ameny l’Asiatico”.

 

Asiatici che entrano in Egitto alla fine del III millennio a. C.

 

Ho da tempo dimostrato, sulla base della comparazione con la tradizione romana in lingua “greca” di Atlantide (divenuta greca solo perché nel Lazio, a causa di penetrazioni sabine la lingua si trasformo nel latino e dunque i barbari illirico-traci-armeni penetrati in Grecia  ereditarono la lingua e la tradizione romana in Oriente; vedi il mio lavoro Roma su questo sito) che Isacco/Frisso scompare di scena nel Caucaso/Armenia/Colchide.  E’ poi evidente che la figura di Isacco è una scialba invenzione degli aronniti, in quanto non ha una sua storia originale, bensì è un duplicato della storia di Giacobbe che cerca moglie da Labano in Harran  e di  quella di Abramo che in seguito alla carestia si reca dal filisteo Abimelech di Gerar. Dunque,  per la corporazione dei musiti/elohisti di Israele, Isacco è stato sacrificato ed è logico, perché l’unica tradizione originaria era quella israelita e quella aronnita un’impostura.

 

In qualche modo abbiamo anticipato la questione dell’esodo dall’Egitto.

L’Antico Testamento è prima di tutto la pubblicità del dio volta per volta portato avanti da questa o quella corporazione di sacerdoti e della corporazione stessa, ma non disinteressatamente (almeno per ciò che riguarda gli aronniti), come opererebbe lo storico autentico, bensì al fine di acquisire e mantenere il potere sulla banca/tempio di Gerusalemme, per cui ogni menzogna è autorizzata purché sia credibile e creduta (in fondo noi occidentali conosciamo l’arabo come furbo che proprio in quanto furbo viene apprezzato dai suoi connazionali), ed è per ciò, per la verisimiglianza, che la a mio avviso tutto fuorché “pia” frode dei furbi sacerdoti ha potuto campare a lungo, fino ai nostri tempi moderni razionalisti, in cui numerose scienze sono disponibili per smascherarla. Per quanto possa sembrare strano, la pubblicità preferita da tutte e due le corporazioni dei musiti/leviti e degli aronniti, fu quella del  popolo proto-ebreo perseguitato dai popoli circostanti fino a che un dio, il suo dio, lo libera dalla schiavitù facendolo uscire dall’Egitto. Gli Israeliti del nord, discendenti di Giacobbe re-pastore (pastore non era inteso originariamente come pastore di pecore, bensì come pastore di uomini, re), narravano di essere stati cacciati dall’Egitto al tempo del faraone (romano Ahmose), guidati da Mosè, nel 1520 a. C. I Giudei aronniti del sud prima dell’arrivo a Gerusalemme dei profughi israeliti di Samaria conquistata (722 a. C.) da Sargon II, erano dei pagani idolatri, per cui non avevano né potevano avere alcuna tradizione. Se la costruirono in esilio  a Babilonia a partire dal 578 a. C. della distruzione di Gerusalemme. Loro unico interesse era arrivare alla sommità del tempio/banca e della cassa e infatti facevano parte di una cordata di banchieri ebrei di Babilonia. Una scalata alla banca come avverrebbe oggi, ma con forse ancora meno scrupoli. C’era l’indispensabile appoggio dei Persiani sovrani, ma occorreva anche far vedere di possedere una tradizione sacerdotale con rotoli come li avevano i musiti/leviti israeliti. Partendo dalla storia di Giuda e aiutandosi con la tradizione sumerica e assiro-babilonese in aramaico raccolta nelle biblioteche di Babilonia, avendo infine davanti la versione israelita che si doveva usare come modello contro cui rivaleggiare, i cinici aronniti, più banchieri e politici che religiosi, si scrissero i loro documenti J e P.  La loro versione dell’esodo al tempo di Ramses II non solo non  ha alcun valore storico, ma nemmeno alcuna relazione con l’oggetto specifico che essi si propongono: fare degli Ebrei un popolo reietto dagli altri (a causa di pratiche  sessuali, culinarie, igieniche, cultuali aliene e perciò sospette tutte le volte che una catastrofe risveglia gli istinti zenofobi degli ignoranti, cioè della massa asina e ciuca) affinché rinchiuso in se stesso, si emendi di queste pecche e, una volta divenuto assolutamente diverso dagli altri popoli arabi, li detesti con tutto il cuore per fare della banca (tempio) di Gerusalemme la banca mondiale dei Jahveisti aronniti (mettendo all’uscio gli stessi elohisti, con tutti gli altri stranieri).   

 

La tradizione aronnita dell’esodo al tempo di Ramses II è completamente falsa, ma ha la furbizia di  riallacciarsi a quella degli Hyksos/Israeliti, degli elohisti. Sostiene  che gli Israeliti/Hyksos venuti in Egitto con Giacobbe/Jahqub nel 1650 ca. siano rimasti in Egitto per 400 anni,  da ultimo schiavizzati da Ramses II per costruire le città di Atum e Ramses.  A questo punto, verso il 1250 a. C.   Jahveh, incontrato da Mosè sul Sinai (l’Oreb dei musiti/leviti), li avrebbe liberati dalla schiavitù portandoli in vista della Terra Santa.

Che l’esodo sia avvenuto intorno al 1250 a. C.  è un colossale falso riconoscibile da un secolo e mezzo, dato che nel 1863 A. Mariette scoprì a Tanis la cosiddetta stele dei 400 anni in cui Ramses II  rievocava la fondazione della città di Awaris e del tempio del dio Seth 400 anni prima. Tutto ciò ho dovuto scoprire da solo perché nessun testo cosiddetto “scientifico”,  per ignoranza o condiscendenza verso la falsità della religione giudeo-cristiana ne faceva cenno.

 

La stele dei 400 anni da Tanis eretta da Ramses II per celebrare la fondazione del tempio di Seth ad Awaris, capitale degli Hyksos, 400 anni prima.

 

Per colmo di arroganza gli aronniti tacevano il fatto che Ramses II venerava primo fra tutti proprio il dio Seth, che era il suo dio di famiglia da generazioni e generazioni, anche di sacerdoti, per cui non avrebbe mai cacciato i suoi correligionari Hyksos (discendenti di Jahqub/Israele), adoratori di Seth. Come conseguenza di quasta “pia” frode, gli aronniti spostarono l’esodo al 1250 a. C. e con esso anche la sua guida, il levita Mosè, facendone un assassino (essi non perdono mai tempo per sminuire i loro avversari), perché aveva ucciso un egiziano… che maltrattava un ebreo; strano davvero per un ebreo adottato fin da appena nato alla corte del faraone e dunque allevato come egiziano… addirittura della casta superiore; a lui degli Ebrei non gliene avrebbe dovuto fregare di meno).

Facciamo il punto.  La tradizione israelita abbia o meno avuto una tradizione di padre in figlio, di sacerdote in sacerdote, coglieva nel giusto, vedendosi come erede sul suolo di Canaan degli Hyksos e delle sue divinità elohiste, tanto più che Geroboamo, primo re di Israele (successo al poligamo Salomone che aveva mille fra mogli e concubine ed era perciò politeista al massimo), diede al suo stato  un’impronta pacifista e internazionalista integrandolo culturalmente e cultualmente in mezzo ai suoi vicini ex-Hyksos, Cananei, Aramei, Fenici, adottando El (genericamente “dio”) come nome della divinità nei santuari di Dan e Bet-el (casa del dio), da un capo  all’altro di Israele, e ponendoli sotto il controllo di un clero che nulla aveva a che fare coi forsennati sciamani del Mar Nero di cui parlo solo io e nessun altro (men che meno la Bibbia), seconda stratificazione proto ebraica.

 

Però adesso comincio a credere che gli Israeliti/Hyksos avessero davvero una tradizione antica per cui ricordavano l’Esodo dal Mar Rosso. Ho dalla mia parte sia Erodoto che Giustino, che scrisse sotto gli Antonini, fra II e III sec. d. C. Entrambi si rifacevano ad una tradizione di Tiro (città fenicia, è vero, ma che sorgeva sulle fondamenta dell’antica civiltà hyksos) secondo cui sarebbero giunti in Canaan dopo terremoti e maremoti che li avrebbero costretti a passare il Mar Rosso e giungere  in Fenicia in tempi assai remoti. Tutto ciò non può che coincidere con la cacciata degli Hyksos al tempo di Ahmose, quando questi sconvolgimenti sono documentati dalla Stele della Tempesta e dal verso del papiro matematico Rhind. 

 

Ho detto che i musiti/leviti solo grazie a Geroboamo si erano trasformati dai cattivi delle origini nei buoni vicini amanti della pace, delle relazioni e dei matrimoni misti, della concordia, del vivi e lascia vivere. Nonostante discendesse degli sciamani del santuario di Silo, dell’arca e di Jahveh o come si sia chiamato (alla fine sempre connesso col “Cielo” era) Geremia di tutto ciò e soprattutto dell’arca non ne voleva sapere, forse ricordando per tradizione ricevuta la tramenda sconfitta del 1050 ad Afèq quando tutto fu distrutto dai Romani compresa l’arca. Se poi non crede nelle tavolette d’argilla cotta della legge o nei cherubini era perché tutto ciò faceva parte della falsa tradizione aronnita (da Babilonia). Quando ripresero il potere nel II secolo, i musiti Maccabei fecero sparire tutto. Geremia credeva solo nella tenda beduina o tabernacolo.

 

Viceversa gli aronniti, che in origine erano pagani e della religione non glie ne poteva fregare di meno, solo di mettere le mani sulla cassaforte, si inventarono una religione razzista e xenofoba, soprattutto contro gli arabi che abitano tutta la regione dell’Arabia fra il fiume d’Egitto, il Nilo, e l’Eufrate, la V satrapia persiana detta Transeufratene. Abbiamo visto che conoscono, in quanto Giudei, la tradizione di Giuda/Minosse, che io ho identificato grazie alla mia decifrazione e traduzione del Disco di Festo (vedi anche nel mio lavoro Roma su questo sito). Costui, come dice il nome (Yaehud, su uno scarabeo del matrimonio di Amenophis III), dovette dare il nome allo stato di Giuda in quanto caposaldo della conquista romana (i cosiddetti “Filistei”)  in Palestina contro i popoli del mare che penetravano dalla piana di Israele che la stele di Merenptah da (gli egiziani sono sempre esagerati come tutti gli orientali) per sterminati. Era un signore della guerra ariano mitannico, profeta, titolo egizio, e visir di Tuthmosis IV e Amenophis III. Il Minosse della tradizione romana in greco poi passata ai Greci, che parlava con Zeus faccia a faccia nell’antro dell’Ida cretese, mentre Mosè parlava faccia a faccia con Jahveh (Aton/Sole) che gli bruciava la faccia. Il figlio di Minosse era Ey, profeta, signore della guerra, visir di AmenophisIV/Ekhnaton e faraone succeduto a Tutankhamon dopo averne sposato la vedova Ankhesenpaaten/Asenat. Dunque conoscevano direttamente la storia della fine dell’eresia amarniana di Aton. Una catastrofica epidemia nel Vicino Oriente e che colpì lo stesso Egitto (morte della madre di Ekhnaton, Teje; scene di vomito della famiglia reale sulle pareti di Amarna), fece pensare al popolo che gli dèi trascurati s’erano vendicati contro il faraone eretico, ciò che ne decretò l’immediata fine. Tutankhamon guidato da Ey visir e Horemhab generale, tornò al culto di Amon e così fece apparentemente anche Ey/Giuseppe, tradendo il suo ipotetico Jahveh (l’Inno di Aton nella sua tomba di Amarna è il più lungo che conosciamo). Niente di più logico che identificare nei reietti adoratori di Aton i componenti dell’esodo,  sotto il faraone Horemhab (1323 ca.), come sostiene Manetone, sacerdote di Eliopoli e autore in greco di non meno di 80 libri fra 280 e 250 a. C., al tempo di Tolomeo II Filadelfo. Notare che  tutti i personaggi della storia dell’eresia atoniana entrano in Genesi e dunque sono utilizzati dagli aronniti per una storia falsa e comunque che non ha più nulla a che fare col culto di Aton. Gli ebrei non adorano Aton più di quanto non adorino Seth. Giuda/Minosse è stato associato ad Abramo padre di Ismaele, antenato di Giacobbe l’Hyksos,  e suo figlio Ey è stato associato a Giuseppe e collocato come figlio di Giacobbe. Ma   gli aronniti non ci fanno fessi, in quanto la peste avvenuta sotto Ekhnaton e causa della sua caduta è non solo storicamente accertata ma anche essenziale prer costruirci sopra quella religione razzista e xenofoba, particolarmente antiaraba, che gli aronniti hanno in mente come caval.lo di Troia per costringere tutte le volte che serve un popolo ebraico chiuso in se e nemico di tutti, intorno a Jahveh, al suo clero aronnita di banchieri esclusivi degli Ebrei nel mondo. Il bello è che, come si sarà già intuito, che agli aronniti serve questa tradizione e ne fanno uso ai fini che ho detto, ma non come vissuto personale e tragico, perché mai  l’hanno sperimentata sulla loro pelle.

Gli aronniti venivano da Giuda roccaforte romana di cui sia Egizi che Mitanni erano sudditi e longa manus. Roma non vi avrebbe mai fatto entrare   eversori come gli atoniani come del resto vi  tenne lontani gli sciamani “israeliti” di seconda stratificazione. A parte il fatto che i Romani all’epoca veneravano Posidone/Dagon, molte regine provenienti da  Roma portano, come anche il faraone Ahmose, un nome teoforico  lunare (Ah)  che richiama curiosamente la lunare divinità araba.

 

Ciò detto non rimane che teorizzare che l’esodo sotto Ramses II celi in realtà l’esodo dal Mar Nero con toccata e fuga dal delta verso Aram/Siria messa a ferro e fuoco da questi barbari al tempo di Ramses III (1179 a. C.). Gli esaltati estremisti di qualsiasi religione non solo non rinnegheranno mai i loro idoli, ma poiché si ritengono più furbi deegli altri glieli sbattono in faccia senza che questi se ne accorgano.

 

Gli aronniti riallacciano sempre e comunque la loro tradizione a quella musita/levita degli Hyksos usciti dall’Egitto, per servirsi della  autorevolezza di questa. Ma fanno leva sulla peste  che colpì (gli Hyksos o gli stranieri di età atoniana) in Egitto rendendoli odiosi come stranieri praticanti usi e costumi alieni e sospetti, ritenuti all’origene della vendetta degli dèi. Che la tradizione aronnita si innesti perfettamente in quella elohista lo prova il fatto che  prima di andarsene, gli Hyksos/Israelitii spogliarono gli Egizi delle loro ricchezze (Esodo 12, 35-36) procedendo in formazione di battaglia (13, 18), ciò che andava d’accordo con  un popolo guerriero che aveva oppresso il delta,   non con la fuga di un popolo di pastorelli o di muratori schiavizzato da Ramses II, né con quella di poveri eretici perseguitati da Horemhab per la loro religione pacifista di Aton, cui del resto non fanno direttamente cenno se non per la peste e l’odio xenofobo degli Egizi, appunto. 

 

Solo l’elemento della lebbra/peste/impurità fisica  è pertinente, perché si riallaccia alle piaghe d’Egitto e ad uno degli elementi fondanti della religione ebraica, quello delle norme di purità fisiche (agli ebrei non interessa la purezza morale come la intendiamo noi, bensì quella fisica, come il mangiare certi cibi e evitarne altri, come la carne di porco, analogamente agli arabi; lavarsi le mani prima di mangiare; evitare il contatto di persone malate o che praticano determinati lavori considerati “sporchi”, come i pubblicani, gli esattori delle tasse per conto dei Romani, e così via,  prescrizioni tutte che poi ritroviamo praticate  dai farisei dei quattro Vangeli canonici). Io ritengo che al tempo di Ahmose e di Ekhnaton abbiamo due successive eruzioni del Thera con esondazione del Nilo, ciò che può anche aver fatto pensare ad una stessa catastrofe conclusasi con l’esodo. Le norme di purità cui gli Ebrei sono maniacalmente attaccati hanno proprio qui la loro causa, ma non come esperienza fatta sulla loro pelle. Gli aronniti si servirono semplicemente della tradizione storica della peste e dell’emarginazione degli stranieri.

 

Gli elohisti, ripeto, non sono razzisti e xenofobi e pertanto nessun interesse avevrebbero avuto ad una tradizione in cui presentarsi come odiati dagli stranieri a causa del loro dio, anche perché di dèi ne avevano tanti e oltretutto li chiamavano in modo sincretistico Baal o El/Eloah/Elohim che avevano il significato generico di Signore e Dio. Nemmeno Aton aveva a che fare con questa repressione (e del resto non è un dio ebraico). Colpevole di questa reazione xenofoba nella storia d’Egitto può essere stata in prima persona la bieca figura di Giuseppe (ma non in quanto seguace di Aton), che mise in ginocchio l’Egitto con la sua libidine sessuale e di potere, corrompendo le istituzioni  politiche. Giuseppe/Ey non era assolutamente un veneratore di Jahveh e francamente non è da nessun punto di vista definibile come ebreo e nemmeno semitico. Era semplicemente uno straniero (dell’élite ariana dei mitanni) e come tale lui e quelli che lo circondavano come raccomandati nel governo furono ritenuti responsabili della catastrofe. Gli aronniti si ispirarono a questa storia per fini xenofobi acquisendo Giuda/Minosse e suo figlio Ey come jahveisti e dunque “ebrei” nonostante fossero ariani e venerassero Aton/Sole.

 

Gli Egizi erano un popolo civile, il più civile dell’antichità, per cui non è  credibile una persecuzione degli eretici adoratori di Aton  (oltretutto concentrati nell’isolata città medioegizia di Amarna).  Il faraone Amenophis IV/Ekhnaton (forse su influenza delle grandi spose reali indoarie della sua famiglia, che provenivano da Mitanni),  impose il culto monoteista di Aton/Sole in senso fisico, il Sole che possiamo osservare ogni giorno, trascurando gli dèi millenari d’Egitto.  Il culto di Aton si affaccia già sotto il profeta, titolo egizio, Giuda/Minosse (1400 a. C. ca. che gli aronniti identificano con Abramo), signore della guerra carrista e visir di Amenophis III e  Tuthmosis IV, che    riposa al Museo del Cairo sotto il nome di Yuya come mummia di caucasico (bianco) con le mani unite sul petto in atto di preghiera.  Il figlio di Minosse, Ey/Giuseppe anch’egli profeta, signore della guerra carrista,  visir e faraone  dopo aver accoppato il giovane faraone Tutankhamon (e dopo aver fatto accoppare il principe ittita Zannanza inviato dal padre Suppiluliumas per impalmare la vedova del primo) e sposato la vedova Ankhesenaaten che ho dimostrato essere l’Asenat della tradizione biblica. Contrariamente a quanto afferma la tradizione biblica sicuramente Ey/Giuseppe cercò di sedurre la bellissima e disinvolta Nefertiti, moglie dell’eunuco sacerdote di On, cioè dello sterile Amenophis IV. Questa evidentemente gli si rifiutò davvero (e anche Ankhesenaaten, figlia di Nefertiti, rimasta vedova, scrisse invano a Suppiluliumas per sposarne un figlio e non andare in sposa ad un servo, così definiva Ey/Giuseppe). Come faraone Ey/Giuseppe centralizzò l’amministrazione e la rese arbitraria e corrotta sencondo lo schema delle satrapie orientali,  spremendo l’Egitto e costringendo il suo successore Horemhab a severissime misure repressive (esilio, taglio del naso, bastonatura a sangue) per rimetterla a posto (la carestia in Egitto la provocò Giiuseppe). 

 

Quando salì al potere,  Horemhab, il faraone che non… riconosceva Giuseppe, condannò alla damnatio memoriae i faraoni precedenti di cui scalpellò via i nomi riallacciandosi ad Amenophis III, come se ne fosse davvero il successore diretto. Ciò fa comprendere  quanto sia stata grande la capacità di detective di H. Carter che, sulla base di pochi frammenti, riuscì a teorizzare e poi a scoprire la tomba di Tutankhamon.  Come dirò più volte il culto di Aton/Sole non ha a che fare con la religione ebraica del sud, più di quanto l’abbia Seth per il nord. Se Aton fosse stato il dio di Mosé questo se lo sarebbe portato dietro da Amarna, dall’Egitto, senza andarselo a cercare in Madian, una regione araba. Ciò non toglie che  lo stesso Ey/Giuseppe potrebbe essere la guida che portò in Israele (?) gli atoniani reietti. Che io sappia, di lui non è stato trovato il sarcofago né tanto meno la mummia. Aveva chiesto agli Ebrei di portare la sua mummia con loro al momento della fuga dall’Egitto. Potrebbe essere che la sua richiesta sia stata esaudita e tradizionalmente si dice fosse sepolto in Sichem, nella regioe tribale di Manasse. Efraim, l’altro figlio di Giuseppe (con Manasse) adottato da Giacobbe, era un altro nome di Israele.

 

Ora si può capire perché Flavio Giuseppe era arrabbiato con  Manetone. Manetone vedeva  la parte essenziale della cacciata dei reietti appestati (atoniani ma più in generale stranieri) acquisita nella tradizione aronnita vincente e più vicina al tempo in cui scriveva, mentre Giuseppe, più illuso, sosteneva che l’esodo era quello degli Hyksos della tradizione musita.

 

Dunque i jahveisti giudei, che prima dell’arrivo a Gerusalemme degli israeliti elohisti non avevano alcuna religione ebraica ed erano solo dei politeisti e pagani, che non ebbero mai a che fare con gli invasori barbarici, decisero in esilio a Babilonia di ispirarsi agli israeliti e di costruirsi una tradizione “israelita” in funzione di rivalità coi musiti/leviti israeliti. Decisero di essere più israeliti degli israeliti, più jahveisti dei jahveisti che, si può dire, da molto tempo, erano elohisti.  Si dissero poi anche che se avessero costruito una loro tradizione ebraica come emarginati a causa della xenofobia e delle loro tipiche paratiche sessuali, culinarie, religiose e quant’altro, viste con sospetto dagli Egiziani, allora avrebbero creato una fobia nella loro razza, tendente sempre di più a isolarsi dagli altri per non incorrere nel loro odio ma nello stesso tempo ad escludere tutti gli stranieri dalla loro stretta comunità mirante a creare un mercato unico attorno ad una unica banca degli Ebrei nel mondo con sede a Gerusalemme.  

 

Il grammatico latino Pompeo Trogo (Historiae Philippicae) coglie perfettamente la nascita di una religione aronnita « dal momento che Mosè si ricordava che erano stati cacciati dall’Egitto per la paura del contagio, essi si preoccuparono di non vivere con gli altri, per non divenire odiosi ai loro occhi per lo stesso motivo.  Questa regola derivante da una causa specifica, egli la trasformò gradualmente in  un uso fisso e in una religione. » Per me più esattamente gli aronniti utilizzano la tradizione di una cacciata xenofoba (più che contro dèi particolari, come Aton, perché gli egizi sono comunque il popolo più civile dell’antichità) di cui non ebbero mai esperienza diretta  per immaginare che se si fossero segregati in base a questa falsa tradizione  (escludendo di riflesso  gli stranieri  dalla propria comunità), si sarebbe creata una razza pura tutta concentrata intorno a Geriusalemme, il suo clero, la sua banca, che sarebbe diventata la banca centrale degli ebrei nel mondo.  

 

Gli aronniti pongono  l’accento sul divieto dei matrimoni con donne straniere nella paura che queste inducano mariti e figli a venerare dèi stranieri e dunque ad allontanarsi da Jahveh (e vanificare la banca mondiale ebrea). Questa motivazione non è più credibile come modo di evitare altre epidemie, altre cacciate, altre persecuzioni, ma serve solo a stringere una nazione razzista ed endogamica intorno ad una città (Gerusalemme) e ad un tempio, cioè ad una banca, quella del secondo tempio, che è la banca di tutti gli Ebrei nel mondo e dunque potentissima.      Ma le norme di purità fisica rimangono come cavallo di Troia per far accettare tutto il resto. Ancora una volta gli aronniti  affermano una tradizione falsa, che mira solo a tirare i cordoni della borsa.

 

E’ inquietante che per gli aronniti la peste sarebbe stata causata da Jahveh  dio della guerra delle morte e della pestilenza (come Apollo e Reshef), il quale sarebbe stato piuttosto un dèmone malvagio che nella originaria religione lunare araba uccideva il bestiame e gli esseri umani se non si esorcizzava il suo passaggio con unzioni di sangue sugli stipiti delle tende.

 

Ho già scritto che Saul e David furono generali romani che raggiunto un eccessivo potere nel reclutamento delle truppe e carisma cominciarono a lavorare per crearsi dei propri regni di piccole dimensioni.

 

Sono sempre  stato scettico sulla fondatezza storica del fantasioso re Salomone, costruito artificialmente a posteriori come re di un impero che corrispondeva alla V satrapia (Transeufratene) che Jahveh avrebbe promesso ai discendenti di Abramo. Continuo ad essere scettico ma credo di aver identificato il personaggio storico intorno al quale spuntò nella tradizione ebraica il re Salomone. Era evidente che mai e poi mai un faraone egiziano avrebbe concesso sua figlia in moglie ad un reuccio straniero che onorava tardi (dopo venti anni) e male (con venti villaggi che Hiram sedicente re di Tiro — per me si doveva trattare di un re di Biblo, perché è da qui che la Bibbia e il Viaggiuo di Unamon fanno provenire  i marinai, i carpentieri di  navi e il cedro — chiamò spregiativamente  paese di Kabul) i suoi debiti per il legname impiegato nella costruzione del tempio e della reggia (che io finora non sono riuscito ad identificare perché probabilmente non esisterono mai); e talmente famoso per la sua saggezza che addirittura si sarebbe scomodato per andarlo a trovare, non dico un re delle millenarie  Tebe d’Egitto o  Babilonia, ma…  la regina di un regnucolo, che altrimenti sarebbe rimasto sconosciuto, dell’Arabia, la regina di Saba, che, si badi bene, “diede al re centoventi talenti d’oro, aromi in gran quantità e pietre preziose. Non arrivarono mai tanti aromi  quanti ne portò la regina di Saba a  Salomone.” (1 Re 10, 10) Una tale meraviglia sui doni di una regina del deserto arabico non si addice ad un re presentato come ricchissimo e genero del faraone (presunto tebano). Dunque il faraone disposto a dare sua figlia ad un Salomone andava ricercato in quelle dinastie libiche o etiopiche che, proprio per non essere più egizie e al contrario  affini per stirpe/religione agli ebrei, avrebbero  potuto addivenire senza problemi al matrimonio con un  regolo di Gerusalemme. Ed ecco che, rileggendomi sulla Storia Universale Feltrinelli, vol 4, gli Imperi dell’Antico Oriente (III) e La prima metà del I millennio a. C., ho focalizzato sul re Sheshonq/Sisak I (945-924; curioso che  secondo un racconto ricavato dagli Annali di Tiro riportato da Flavio Giuseppe in Antichità giudaiche, in una gara intellettuale fra Salomone e Hiram di Tiro fu l’ambasciatore di quest’ultimo a riportare la vittoria su Salomone, p. 177) fondatore della XXII dinastia libica tanita. Nicolas Grimal in Storia dell’Antico Egitto, Laterza, p. 410, ci informa che quando Sheshonq I salì al trono era già l’uomo forte dell’Egitto, generale in capo e consigliere del re (Siamon della XXI din. tanita), di cui aveva sposato la figlia Maatkara. Sheshonq I fu un grande costruttore. La “sala delle feste” da lui eretta ad Amon di Karnak testimonia anch’essa una spettacolare rinascita dell’Egitto, sulle dimensioni del Vicino Oriente del tempo (Grimal, p. 411). Aveva tratto profitto dalla politica  estera di Siamon riallacciando i rapporti con Biblo (!),  sbocco tradizionale del commercio egiziano. Una sua statua, dedicata dal re Abibaal nel tempio della Baalat (“Signora”) di Biblo, è forse il segno di un trattato più economico che militare (Grimal, p. 412). Durante il regno di Salomone (tradotto: durante il suo regno, Sheshonq) aveva dato asilo a Geroboamo di Israele ma (dopo la morte di Salomone; tradotto: poco tempo dopo ci ripensò e) prese a pretesto delle incursioni di beduini per marciare sulla  Gerusalemme di Roboamo di cui depredò i tesori   e poi passò in Israele (Roboamo fuggì oltre il Giordano) per poi tornare attraverso la filistea.  L’Egitto  era tornato  per un attimo il signore della Siria e della Palestina (Grimal, p. 413).  

 

Sotto il re di Gerusalemme Ezechia (716-687) i profughi israeliti da Samaria (conquistata dal re assiro Sargon II nel 722 a. C.) gettano le basi della religione elohista. Per me è logico che una volta arrivati a Gerusalemme questi sacerdoti in qualche modo si affermarono tanto da emarginare i sacerdoti politeisti. E’ dunque solo da questa data che a Gerusalemme si afferma la religione ebraica. Dobbiamo aspettare il regno di Giosia per assistere con il profeta Geremia all’affermarsi pieno della religione elohista a Gerusalemme. Siamo appena nel 622 a. C. circa e fra poco (578 a. C.) gli Ebrei andranno in esilio a Babilonia (i pagani esclusi dal sacerdozio col profeta Ezechiele) o in Egitto (gli elohisti col profeta Geremia).    Anteriormente all’esilio esisteva dunque un solo clero, musita/levita, da poco affermatosi e per poco tempo, e solo sul territorio di Giuda (Israele non esisteva più e nemmeno le sue dieci tribù scomparse, perché deportate e disperse nell’impero assiro) che faceva riferimento ai libri del Pentateuco seguiti dalla storia deuteronomistica fino a 2 Re¹. Questi 11 libri, Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio¹, Giosuè, Giudici, 1 Samuele, 2 Samuele, 1 Re, 2 Re¹ sono detti anche “Prima Bibbia”. Non me la sento di datare questi 11 libri integralmente al tempo di Geremia o comunque del I tempio. Posso pensare solo che appartengano al clero elohista fra primo e secondo tempio, prima dell’affermarsi  degli aronniti intorno al 400 a. C. Senza contare che qua e là devono aver subito rimaneggiamenti fino a che fu stabilito il testo canonico non più toccabile, eciò è avvenuto assai tardi.  E’ facile immaginare che esistesse un clero giudaico pagano soppiantato dai nuovi venuti sacerdoti israeliti rancoroso verso questi e desideroso di mettere le mani sulla cassa  del tempio-banca. Vi lavorarono in età esilica a Babilonia.

Durante l’esilio questi sacerdoti pagani cui non la religione interessava bensì la politica/potere economico con essa identificantesi,  si prepararono a dare la scalata al potere sacerdotale dapprima in senso lato (codice J, elaborato sulla base delle tradizioni giudaiche, ma  a imitazione della tradizione sumerica e assiro-babilonese in lingua aramaica e in analogia/contrapposizione alla tradizione israelita) e poi, dopo che Ciro II persiano si sostituì come dominatore al re di Babilonia, anche  in senso stretto (codice P e redazione finale del Pentateuco), come accentramento del culto intorno al solo tempio di Gerusalemme dalla fine del V sec. Ma il primo rientro a Gerusalemme dopo il 525 in cui Cambise II conquista l’Egitto, è dei musiti/leviti tornati dall’Egitto e che hanno nomi egizi, dietro al sommo sacerdote Giosuè  e al discendente della casa di David, Zorobabele. Zorobabele viene assassinato (dagli aronniti) prima dell’inaugurazione del tempio (515). Questa data potrebbe a mio avviso essere tarda rispetto all’arrivo dei musiti/leviti e dunque inventata a favore dell’arrivo degli aronniti.  Il problema fondamentale è che gli aronniti, una volta al potere intorno al 400 a. C. procedettero alla damnatio memoriae dei reduci leviti dall’Egitto e come conseguenza risultava che i soli a tornare a Gerusalemme erano stati gli aronniti di Babilonia, mentre  più di un secolo di governo levita a Gerusalemme  era come non fosse mai esistito. Ma agli inizi, e fino alla 2a missione di Neemia e Ezra (sotto il sommo sacerdozio di Giovanni/alias Gionata), è il sacerdote levita Giosuè (seguito da Ioiachìm, Eliasìb, Ioiadà, Giònata; Neemia 12, 10, con cui la dinastia sacerdotale levita deve giungere a temine sostituita dagli aronniti) a governare Gerusalemme conciliando gli interessi dei latifondisti rimasti e dei reduci, accettando i matrimoni misti, con le donne straniere, il culto di Jahveh da parte di tutti, anche degli stranieri, secondo uno spirito di concordia e integrazione intorno a Jahveh dio della Transeufratene, la V satrapia, voluto dal re persiano Cambise II, ed è infatti sotto Cambise II che Giuseppe Flavio (Ant Iud 11, 26ss) pone il tentativo di ricostruzione delle mura, per cui c’è da supporre che il rimpatrio dall’Egitto sia avvenuto subito dopo il 525 a. C. Questa operazione aronnita di centralizzazione del culto di Jahveh avvenne o meglio sarebbe avvenuta (ma è molto difficile ricostruire la cronologia che ci proviene dagli aronniti)  fra il 519 di Dario I (prima missione di Neemia; che però praticamente fallì perché, tornato a Gerusalemme per la seconda missione, Neemia dovette ricominciare tutto daccapo in  quanto praticamente tutti si erano rifiutati di comportarsi da razzisti) e il   398 di Artaserse II (seconda missione di Neemia con Ezra al seguito, che legge in pubblico il Pentateuco strutturato all’interno della cornice del codice P). Gli aronniti erano i sedicenti discendenti del sommo sacerdote Aronne, fratello maggiore di Mosè. Con gli aronniti, che si avvalgono di banchieri esperti che hanno fatto la loro fortuna a Babilonia, si avverte che la religione è il pretesto per tenere le chiavi della banca centralizzata degli Ebrei della diaspora, sparsi in tutto il mondo. Il tempio è diventato ora l’unica  banca degli Ebrei nel mondo. La mentalità ellenistica che mette al centro l’uomo che partecipa agli stessi diritti e doveri sullo stesso territorio ottiene un grande successo fra gli ebrei che nella stragrande maggioranza abbandonano spontaneamente la loro religione e andando in palestra (introdotta in molte città insieme al teatro) si vergognano della circoncisione. Con la loro ribellione i Maccabei  volevano solo il potere e infatti si comportarono da principi ellenistici. Però vale la pena di rilevare che essi,  per quanto riguarda i testi, si rifecero a Geremia e dunque ai musiti/leviti, e subordinatamente a Neemia, il quale, avendo basato la sua prima missione sul Deuteronomio, poté apparire anche lui come musita/levita. Nella realtà il comportamento di Neemia fu sempre di razzista aronnita e non a caso il suo Deuteronomio era  Dtr² manipolato dagli aronniti come testo d’uso temporaneo in attesa di quello che Ezra avrebbe portato a Gerusalemme come Pentateuco, strutturato all’interno della cornice del sacerdotale (P). Come ultimi documenti importanti per avere un quadro della civiltà ebraica in relazione anche a quella araba islamica vanno ricordati i libri di Daniele e di 2 Maccabei del II sec. a. C. Ritengo che in base ai documenti possiamo affermare che con il ritorno al potere dei leviti sono costoro a garantire un’interpretazione pacifista dell’Antico Testamento. Poiché già il codice sacerdotale era formalmente elohista e veniva a tendere una mano agli sconfitti leviti retrocessi a sacrestani, potrei perfino avanzare l’ipotesi che l’elohismo costituisse nel sacerdotale una specie di introduzione volta a sostenere che dall’inizio in poi il testo dovesse essere letto come elohista reinterpretando in tal senso il nome di Eloah/Allah laddove era scritto Jahveh. Ovvio che non si poteva riscrivere la Bibbia daccapo, ciò che sarebbe stato in teoria possibile e non vietato da nessuno e men che meno dalla vetustà dei testi originari, e dunque si lasciava al lettore singolo di leggere Eloah al posto di Jahveh.

L’ottica da cui osserviamo la cultura araba degli ebrei è dunque tarda, la redazione finale dell’Antico Testamento partendo dalla fine del V secolo accompagnata e seguita da documenti che ci interessano in questo lavoro  fino al II secolo a. C. quando i musiti/leviti replicarono agli aronniti:

“ Come potete dire: « Noi siamo saggi, la torah di Jahveh è con noi », quando a menzogna l’ha ridotta la penna bugiarda degli scribi? “ (8, 8).

 

Fu con questo sigillo elohista che si arrivò alla maggiore affinità fra Eloah ebraico e Allah islamico di Daniele (nei testi siriaci corrispondenti a quelli aramaici).

Da questa ricostruzione che pone i documenti leviti e aronniti gli uni contro gli altri successivamente alla presa di potere dei primi o dei secondi deriva che esistono due corporazioni religiose dei musiti/leviti israeliti del nord e degli aronniti giudei del sud. Si potrà dunque definire il corpus dei testi dell’Antico Testamento come il risultato della lotta di queste due corporazioni religiose per l’affermazione delle proprie scritture, canoniche o meno canoniche, in vista del controllo della banca del II tempio di Gerusalemme. E’ un punto di osservazione tardo ed incentrato su Gerusalemme capitale dello stato di Giuda quando vi dominavano soprattutto gli aronniti, che realizzarono la centralizzazione del culto. 

 

La Bibbia è per molti parola di dio, per cui viene letta e interpretata e tradotta al fine di rendere chiara questa parola  (bassa critica) di dio che è sacro. Qui ci occupiamo di alta critica e cioè di identificare la stratigrafia dei testi e le differenti mani che ci hanno lavorato sopra. Per me di sacro c’è solo il testo letterario, espressione di una  particolare cultura araba.

 

Leviti e aronniti si scontrarono intorno alla questione del centralismo religioso. Per la verità a mio parere furono gli aronniti, quando salirono al potere alla fine del V secolo, che imposero per la prima volta il centralismo religioso nel tempio di Gerusalemme. Vale a dire che il tempio di Gerusalemme era l’unico tempio, l’unica banca autorizzata, cui gli ebrei potessero rivolgersi. I leviti invece non avevano mai posto la questione della centralizzazione. In quanto di origine israelita (Israele, lo stato del nord) conoscevano in passato i santuari designati dal re  Geroboamo (931-910), successo a Salomone, e cioè Dan e Bet-el. Secondo il Deuteronomio rimaneggiato dagli aronniti Mosè incaricava Giosuè, una volta passato il Giordano, di erigere un altare a “Jahveh” sul monte Garizim (27, 1-8: nel testo si legge Ebal, ma l’Ebal, che in un altro passo di Deut., 11, 29, è maledetto, e perciò non può essere stato preso in considerazione, si trova di fronte al Garizim), che poi diventò in età aronnita, ellenistica, il rivale del tempio di Gerusalemme. Inoltre né sotto Giosia né tanto meno sotto Ezechia (716-687) c’era stata una centralizzazione del culto in Gerusalemme sotto influenza dei leviti, esistendo sempre i luoghi di culto considerati pagani dagli aronniti. 

Prendiamo le mosse dalla centralizzazione realizzata dal 400 a. C. ca. dagli aronniti. Come tutti i templi dell’antichità il tempio di Gerusalemme fu dapprima una macelleria, un mattatoio. Qualsiasi privato che volesse mangiarsi un bue o una pecora doveva andare obbligatoriamente  nel luogo autorizzato (tempio) dove un sacerdote autorizzato  ne eseguiva la macellazione rituale. Fin dalla più remota antichità e presso i popoli più diversi si avverte la necessità di espiare, risarcire, per l’uccisione di un animale, per il sangue che fluisce da lui portandosene via la vita. Qui si inserisce il sacerdozio, che fa da tramite fra l’uomo e la sfera del “sacro”, cioè della superpotenza divina che chiede vendetta del sangue versato e “maledice” chi non abbia ucciso in modo rituale.  In cambio del  rischio che il clero si assume di attirare su di sé come un parafulmine le ire di un mondo superiore tanto ignoto quanto tremendo nella sua apparente ira (fulmini, terremoti, maremoti), pretende la decima, cioè, come afferma Deuteronomio 18, 3-4: “la spalla, le due mascelle e lo stomaco… le primizie del tuo frumento, del tuo mosto, del tuo olio e le primizie della tosatura delle tue pecore.”  (Deut  14, 22ss parla delle decime presentate in natura al tempio di Gerusalemme, mentre se uno vive lontano è tenuto ad acquistare direttamente a Gerusalemme, in denaro, ciò che deve offrire: “bestiame grosso o minuto, vino, bevande inebrianti…”; queste bevande inebrianti, oltre al vino, ci rinviano alle barbare popolazioni  illirico-traco-armene  intorno al Mar Nero veneratrici di Jahveh/Zeus/ Djaus (il Cielo, dio indoario, la stessa cosa di El/Eloah/Elohim semitico) e di Dioniso/Baccanti/Menadi, scopritori del vino come Noè, e dediti all’estasi in preda ai fumi dell’alcool, nonché ai sacrifici umani e animali. Vedasi il sedicente giudice — giudici/suffeti erano i capi delle città cananee difese dai carristi maryannu dipendenti dai Romani —, in realtà capo sciamano Jefte/Deucalione che sacrificò sua figlia/figlio  come voto a Jahveh/Zeus in uno scenario da Menadi erranti per i monti con gli alti pali (Giudici 11, 37-38). A fianco dell’estasi alcoolica costoro praticavano l’estasi sessuale, la cosiddetta prostituzione sacra praticata nel cosiddetto primo tempio (per la verità al tempo di Geremia e Giosia ritengo che dietro al culto elohista si celasse il serpente Apopis/Necustan degli Hyksos). Quando Gesù evangelico (ho dimostrato che storicamente si tratta del falso profeta egiziano, probabilmente di Alessandria, crocifisso verisimilmente agli inizi degli anni 60 d. C.) si scaglia contro i cambiavalute e i mercanti del Tempio di Gerusalemme, dimostra di nulla sapere (pur sedicente dio) dell’origine e funzione del Tempio o, a scelta, di essere un ipocrita demagogo, perché il Tempio,  da  cinque  secoli, era  una banca, anzi, “la” Banca, centralizzata, l’unica autorizzata, dei Giudei.  In origine i sacerdoti erano macellai. Li può esemplificare il servo dei figli del sacerdote Eli di Silo (che era un antenato degli elohisti israeliti  ma la sua tradizione venne fatta propria dagli aronniti giudei che appunto si rifanno all’indoario Jahveh di Silo  al suo clero sciamanico, all’arca, distrutta dai Romani/”Filistei” nel 1050 insieme al santuario e al clero; mentre Geremia non ne vuol sapere dell’arca e crede solo nel tabernacolo, la tenda beduina), che infilava il forchettone nella pentola e tirava su la carne del sacrificio o, addirittura, imponeva  ai privati di dargli la carne cruda prima che ne fosse bruciato il grasso: “dammi la carne da arrostire per il sacerdote, perché non vuole avere da te carne cotta, ma cruda.” (1 Samuele, 2, 15).  Col tempo  (quando entrò in uso il metallo pregiato e poi la moneta come mezzo di scambio) l’accumulo di decime versato dai privati al clero autorizzato si trasformò in grandi accumuli di denaro e il tempio si trasformò in banca e i sacerdoti aronniti, di età persiana e macedone, in banchieri. Gli Ebrei, sulla base dell’esperienza maturata durante l’esilio, sia del clero centralizzatore del tempio del dio Marduk di Babilonia (gli Ebrei ne riportarono il vocabolo ’ekàl  [da E-kallu, “la casa grande”] per indicare il tempio), che del dio Amon di Tebe, Sais e  Napata (Nubia/Kush/Etiopia/Sudan), arrivarono, diciamo così, ultimi alla centralizzazione del culto, consapevoli che una sola banca raccoglie molto più denaro ed è perciò molto più potente di diverse piccole banche che si devono spartire la torta essendo in concorrenza fra loro. La banca centralizzata acquisiva tanto potere da poter minacciare e prevalere sullo stesso potere regale. Insomma, la storia della religione dall’inizio dei tempi a oggi a tutte le latitudini e longitudini. Alle origini, come comprendiamo dal caso della prima fondazione del tempio di Dan (appendice 1 a Giudici), quando un genitore con qualche possibilità economica  aveva un figlio che ad una certa età non aveva ancora trovato lavoro, e per di più rubava in casa, poteva mettergli a disposizione un gruzzolo per fondare un santuario casereccio fai da te, gestito in famiglia, da cui ricavare un reddito vivendo di offerte alle spalle degli altri. Poi da cosa nasce cosa e poteva capitare che un levita giudeo (si tratta di un falso  aronnita, trovandoci al tempo del movimento dei popoli del mare, 1200 ca., ma è indicativo del fatto che sono gli aronniti giudei a far uso di tradizioni che risalgono ai popoli del mare e a Silo, all’arca, ai santuari di Dan ecc.) passasse nei paraggi, in questa regione di Efraim (altro nome di Israele), e fosse nominato sacerdote in cambio di “dieci sicli d’argento all’anno, un corredo, vitto e alloggio” (10). E  poteva capitare che arrivassero  i barbari Danai (i Danai di Omero) con le loro veloci navi predone e  assaltassero il “santuario” familiare depredandone tutti gli arredi di valore  e portandosi dietro il sacerdote (“cosa è meglio per te, essere sacerdote nella casa di un uomo solo, oppure di una tribù e di una famiglia in Israele?”, 19), e che,  dopo aver massacrato  a fil di spada il popolo inerme, e bruciatene le case, si stabilissero in una cittadina  dandogli il nome di Dan. Così gli aronniti narravano le origini remote del futuro santuario di Dan (con intento certamente denigratorio) stabilito dal re d’Israele Geroboamo (l’altro era a Bet-el,”casa di dio”).  Si noti che questi predoni jahveisti amavano mettere a ferro e fuoco tutto, con gli  “olocausti”, ma non si dimenticavano di portarsi dietro  come concubine  e sacerdotesse (prostitute sacre) le belle e giovani ragazze coscia lunga, come del resto fanno i loro parenti danai e achei nella tradizione della guerra di Troia. Anche per i preti l’occhio vuole la sua parte!

Dunque se hai un tempio mangi, altrimenti devi trovartene uno, se non vuoi vivere come i comuni mortali, col sudore della tua fronte. Secondo la filosofia degli aronniti (codice J e P) Adamo ed Eva, prima del loro peccato contro il sacerdozio jahveista, unico legittimato a ricevere gli oracoli di Jahveh tramite la quercia oracolare —  essi mangiarono del frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male, cioè della quercia oracolare al centro del giardino dell’Eden, attentando così all’esclusività del sacerdozio aronnita — vivevano in un paese di Cuccagna come appunto i sacerdoti, che vivono alle spalle della società, mentre, dopo essere stati cacciati da Jahveh, dovettero guadagnarsi il pane lavorando. Nei miei studi ho trovato connessi alla quercia oracolare  anche gli Shardana, però ritengo si debbano  distinguere  gli Shardana/Sardi originari che compongono  la flotta di Atlantide impero di Roma,  dai barbari Shardana di area tracia e di Labraunda in Caria (veneratori di Zeus/Jahveh Stratios/Zebaoth).

I sacerdoti/banchieri si comportavano non diversamente dagli attuali finanzieri disposti a tutto pur di riuscire a dare la scalata ad una banca (il Tempio di Gerusalemme), magari anche  ad uccidersi (fra aronniti stessi). Certo che diversi omicidi vennero perpetrati dentro e intorno al tempio di Gerusalemme da parte degli aspiranti sommi sacerdoti e dei loro seguaci in età aronnita. Per possedere  una banca oggi basta controllarne  il pacchetto azionario di maggioranza relativa. Analogamente, sotto gli aronniti  il sommo sacerdozio si comprava, dai Tolomei o dai Seleucidi,  discendenti dei generali di Alessandro Magno che avevano conquistato l’Oriente e che controllavano, ora l’uno ora l’altro, Gerusalemme. Ma ovviamente la corporazione sacerdotale (aronnita) che dava la scalata al potere  si premurava anche di dare di sé una determinata immagine pubblicitaria attraverso la costruzione di una tradizione scritta costituita dai propri libri (ma dato che era falsa e partiva da Babilonia non parlava di rotoli come sarebbe stato logico, bensì di tavole d’argilla cotta scritte in aramaico) sacerdotali. Dunque questa immagine  funzionale alla scalata al potere su una banca e al suo mantenimento è quanto di più lontano ci possa essere  dall’autenticità storica della stessa casta sacedotale, figuriamoci dall’autenticità dell’origine e della storia del popolo ebraico (giudaico). Quel che  di storico possiamo trovare nell’Antico Testamento è principalmente quale immagine di sé e del proprio culto vollero dare le corporazioni sacerdotali dei leviti e, soprattutto, degli aronniti. In realtà è facile constatare che di popolo ebraico (inteso come popolo razzista, aronnita, chiuso in sé e intorno ad  un dio unico Jahveh che è  il suo esclusivo e di nessun altro) si può lecitamente parlare solo a partire dal 400 a. C. fino al 70 d. C (nemmeno cinque secoli, in cui si coagulò l’anima ebrea per poi essere dispersa ovunque e patire vicissitudini inenarrabili fino alla nascita del moderno stato ebraico il 14, 5, 1948), quando i Romani (dopo che  i terroristi  samaritani ribelli, fra cui Simone di Ghiora/Pietro e Giovanni di Giscala/proto evangelista, che nulla avevano a che fare con la religione, la nazionalità ebraica, e il Tempio, occuparono la città, seguaci di colui che per primo aveva ispirato l’assalto a Gerusalemme dal monte degli Olivi, l’ideologo dei terroristi palestinesi, il falso profeta detto l’Egiziano, il Gesù evangelico) distrussero Gerusalemme nel 70 d. C. Dunque, contrariamente alla propaganda cattolica, non gli ebrei  crocifissero Gesù (e se l’avessero fatto avrebbero fatto bene) bensì gli “eroi” dei cristiani (ricacciati dei Vangeli nel passato della rivolta di Giuda galileo), rinchiudendo i fedeli ebrei accorsi per le festività pasquali all’interno di Gerusalemme ne causarono lo sterminio o  la schiavizzazione da parte dei Romani.

 

Una qualche precedenza nella riforma di centralizzazione del culto  fu riconosciuta ad Ezechia  apparentemente, e abusivamente, da Geremia in 2 Re¹ (in realtà dall’interpolatore aronnita),  perché è evidente dallo stesso contesto e dai due successori ritornati al politeismo (si trattò più verisimilmente di accettazione delle leggi assire che miravano a integrare i giudei nell’impero con una sola legge valida per tutti) sotto dominazione assira, che non vi fu alcuna  riforma centralista. L’unico merito di Ezechia sarebbe consistito invece (per questo interpolatore aronnita) nella distruzione del serpente di bronzo, Necustan (2 Re 18. 4), fatto fondere da Mosè (Numeri 21, 4-9) e che al tempo di Ezechia era ancora oggetto di culto. Fra l’altro necustan in ebraico significa “di bronzo” il che vuol dire che è verisimilmente Apopis il nome soggiacente. Dunque un’azione spregevole nei confronti del profeta (da cui discendevano idealmente anche gli aronniti). Vedendo la cosa con più distacco si potrebbe ritenere tutto ciò ammissibile. A distanza di tanto tempo  questo culto avrebbe potuto essere visto come pagano dagli stessi musiti/leviti per ipotesi evolutisi secondo un culto jahveista (esempi  analoghi sono l’avversione degli aronniti per il dio Luno/Sin sotto il nome di Yahw dei Nabatei/Edomiti/Shasu, che gli aronniti hanno venerato strumentalmente prima di passare all’”omofono” e ariano Jahweh; e l’avversione sempre dei jahveisti nei confronti del Jahveh “eretico” di Elefantina/Assuan).  Ma poiché in questo unico atto della politica religiosa  di Ezechia (oltretutto di troppo prematura fede in Jahveh) vedo  un attacco gratuito degli aronniti contro Mosè, per me non c’è dubbio che a “distruggere” (con la penna, a posteriori, con una come al solito più prepotente che maldestra interpolazione) il serpente Necustan siano stati proprio i parvenu aronniti, una  volta raggiunto il potere sul sommo sacerdozio di Gerusalemme  verso il 400 a. C., con Neemia e Ezra, così facendo a pezzi i rivali leviti (e prima di tutto il loro antenato Mosè, per innalzare al contrario il loro “capostipite” Aronne), che da questo momento in poi non potranno rinnegare Jahveh nei loro scritti sacerdotali.

Il codice sacerdotale (P) è stato scritto per ultimo e non ha nulla a che vedere con la da Friedman supposta riforma centralizzatrice di Ezechia. Non è affatto vero che Ezechia procedette ad una centralizzazione del culto. La verità è che Ezechia, reo di aver trattenuto come prigioniero il legitimo re di Ekron fedele all’Assiria, dovette ringraziare il fatto che Sennacherib fu verisimilmente richiamato da problemi di casa sua, se riuscì a salvare Gerusalemme dalla conquista assira, pagando comunque un fortissimo tributo, lasciando in piedi i culti delle alture (2 Re 23, 13-20; e come avrebbe potuto avventurarsi fuori Gerusalemme, questo uccello in gabbia, quando Sennacherib devastò Giuda, ne asportò parte del territorio a favore di re filistei fedeli all’Assiria,  e ne deportò buona parte di uomini e bestie?, Storia Universale Feltrinelli, vol. 4, pp. 195-196) e distruggendo… solo quello musita del serpente Necustan,  ciò che vuol dire che la figura di Ezechia interessò molto, a posteriori, le manipolazioni aronnite. P sarebbe per Friedman la risposta aronnita ai primi due codici E e J già da un pezzo fusi insieme, che tratterebbero male Aronne. Ma come si fa a considerare J, aronnita, un codice che tratta male Aronne? Al contrario la figura di Aronne vi appare per la prima volta, e all’apice, proprio perché solo ora, intorno al 400 a. C., gli aronniti  dominano sul secondo tempio, mentre i leviti/musiti sono emarginati al rango di sacrestani.  Non esiste alcun parallelismo a priori di J e E come se fossero due tradizioni antiche e indipendenti del sud e del nord. J non sarebbe quello che è se non fosse stato preceduto da E, di cui è la risposta,  esilica, dei giudei.

La distruzione di Apopis/Necustan, ammesso e non concesso che sia avvenuta, non distrusse la fede dei leviti nel serpente. Sotto il re Giosia (640-609 a. C.), alla vigilia della conquista di Gerusalemme da parte di Nabucodonosor II, il profeta Geremia credeva certo nel serpente.

Il profeta Geremia, suocero di Giosia (2 Re 23, 31; anche se i commentatori negano che si tratti del nostro Geremia io non vedo attraverso quale via Geremia avrebbe potuto influenzare la corte se  non  attraverso sua figlia Amutal data in sposa a Giosia;  un figlio di Giosia, Ioyaqim, sposa una tale Necusta, teoforico del dio di Mosè Necustan , 2 Re 24, 8, il che prova il perdurare del culto di Necustan nell’ambito della corte influenzata dai geremiadi musiti/leviti di origine israelita), riuscì ad influenzarne la politica religiosa introducendo a corte la sua tradizione costituita dal codice Elohista, dal Deuteronomio   e dai libri della cosiddetta storia deuteronomistica  (come la definì Martin Noth nel 1943) dal Deuteronomio (per l’esattezza Dtr¹ che va fino al regno di  Giosia,  opera di Geremia o comunque della sua scuola; fu F. M. Cross a notare la differenza fra Dtr¹ e Dtr²) fino a 2 Re (fino a  2 Re¹ che va fino al regno di Giosia). I primi 11 libri dell’Antico testamento sono anche detti, sulla scia di D. N. Freedman,   “prima Bibbia”. Fu il sommo sacerdote Chelkia, padre di Geremia, a “ritrovare” (questa ed altre simili vengono chiamate pie frodi; per me si tratta sempre e comunque di frodi) il rotolo della legge (il Deuteronomio)  nel 622 a. C. Questa famiglia sacerdotale era ormai da tempo, almeno dal tempo di Ezechia,  che non viveva più in clandestinità, mentre precedentemente era stata emarginata,   non solo sotto Geroboamo, che aveva allontanato tutti i fondamentalisti, ma ancor prima era  vissuta in clandestinità al tempo  del regno “unito” (romano, di Saul e David), andando indietro fino alla  battaglia di Afèq (1050 a. C.) in cui i Romani distrussero l’arca puzzolente di Jahveh e il sudicio clero degli sciamani dei dintorni del Man Nero. Ma sempre un superstite rispunta fuori. Questa corporazione sacerdotale  per la sua sopravvivenza in clandestinità è stata paragonata giustamente da R. E. Friedman alla setta di Qumran (nei miei lavori neotestamentari su internet identifico come capo di questa comunità del deserto il Falso profeta detto l’Egiziano/alias Gesù, che vi si è rifugiato coi suoi 4000 seguaci, secondo quanto scrive in Atti, ex relazione all’imperatore, il persecutore Paolo/Saul, sacerdote del Tempio e 007 al servizio di Nerone).

 

La solita jella che perseguita gli Ebrei come la nuvoletta di Fantozzi, vuole che abbiano faticato tanto per la centralizzazione del culto, e soprattutto del culto di Jahveh, e ci siano riusciti al tempo di Giosia solo per perdere tutto a causa della conquista e distruzione di Gerusalemme da parte di Nabucodonosor II, e andare in esilio a Babilonia o in Egitto nel 587 a. C. Naturalmente non credo (sulla base di quanto dice il profeta Geremia) ai sacrifici sotto i leviti del tempo di Giosia, figuriamoci alla centralizzazione…  del culto di Jahveh! 

Giosia morì, nella sua anacronistica guerra antiassira, nel 609 combattendo contro il faraone Neco II, che pose sul trono come vassallo dell’Egitto Ioyaqim. Nel 605 gli egiziani furono sconfitti a Karkemish da  Nabucodonosor (II) e lo stato di Giuda divenne vassallo di Babilonia. Il re-vassallo Ioyaqim  si ribellò prendendo le parti dell’egizio Neco II. Arrivato a Gerusalemme nel 598 Nabucodonosor II, presa Gerusalemme, saccheggiato il tempio e provveduto ad una prima deportazione di giudei a Babilonia, nominò come re-vassallo Sedecia, un fratello di Ioyaqim, che a sua volta si ribellò dietro all’egizio Apries. Nel  587, Nabucodonosor,  saccheggiata nuovamente Gerusalemme e provveduto ad una nuova deportazione di giudei, nominò come loro governatore l’ebreo Godolia, della cerchia politica del profeta Geremia, filo babilonese e antiegiziano. Un membro della famiglia reale  assassinò (587/586) Godolia e, per timore di essere accusati del fatto, una quantità di mercenari ripararono in… Egitto portandosi dietro Geremia e il suo scriba Baruc (alcuni di questi mercenari costituirono la colonia di Elefantina/Assuan presso la 1ª cateratta — che divideva idealmente l’Egitto dalla Nubia/Kush/Etiopia/Sudan  —  con un tempio “eretico” di Jahveh). La destinazione dei deportati-rifugiati è importante per comprendere gli sviluppi (direi perfino la nascita) del pensiero religioso levita e aronnita  e il suo contorno scenografico culturale. La corporazione dei leviti poté sottolineare due volte l’”esodo” dall’Egitto, al tempo degli Hyksos figli di Giacobbe/Israele cacciati dal faraone romano Ahmose I, e al tempo della conquista dell’Egitto da parte di Cambise II figlio di Ciro II, nel 525, con conseguente facoltà dei rifugiati di tornare a Gerusalemme. Ci risulta che tornarono nel 521 all’inizio del regno di Dario I, il che vuol dire che se la data non è falsa, nel senso di troppo tarda, il rientro dovette comunque essere stato promosso da Cambise II. Secondo Giuseppe Flavio avviene sotto Cambise II il tentativo della ricostruzione delle mura di Gerusalemme (Ant Iud 11, 26ss). La corporazione  degli aronniti poté consultare testi accadici e aramaici (in breve torno di tempo si passò dall’accadico all’aramaico come lingua internazionale) nelle biblioteche di Babilonia sia sotto i babilonesi che sotto i persiani, e costruire in modo tanto  furbesco che maldestro, in quanto prepotentemente appoggiati dai re persiani, una tradizione del clero giudeo (codice J e poi P) che partiva niente di meno che  dalla creazione del mondo da parte di Jahveh, il cui Eden era protetto dai kerubim (i cherubini), da bab-karibu, i tori alati con testa umana che custodivano le porte dei templi e dei palazzi assiro-babilonesi (si noti che mentre nella tradizione elohista le leggi vendono date da dio su rotoli di papiro, in quella jahveista sono scritte su tavolette d’argilla cotta). 

 

 

Cherubino da Ninive, VIII sec. a. C.

 

Dopo la morte di Geremia, lapidato dagli esuli in Egitto stanchi delle sue prediche da disco rotto, geremiadi appunto, contro gli dèi pagani sotto i quali invece costoro si erano sempre trovati bene, il suo scriba Baruc riparò in Babilonia, per cui avrebbe potuto non solo riportare ai “babilonesi” le esperienze “egizie” ma, soprattutto, la tradizione levita aggiornata fino ad allora. Ma tutto ciò sarebbe servito ai “babilonesi” più tardi. Furono infatti secondo me  gli “egizi” leviti a governare per primi a Gerusalemme al primo rientro dall’asilo in Egitto.

Il sacerdotale (P) ha come personaggio chiave il sacerdote e il sacrificio, mezzo di sussistenza del clero, che ora (400 a. C.) per la prima volta è concentrato nel tempio di Gerusalemme. L’elohista (e lo stesso vale per il codice J, scritto prima che agli aronniti saltasse alla mente l’importanza della centralizzazione) non assegna particolare importanza al sacrificio né rivendica ai soli sacerdoti il privilegio della sua celebrazione.  J fa menzione di sacrifici eseguiti da Caino, Abele, Noè, Abramo, Isacco, e, a partire da Giacobbe, anche E. P fa cominciare i sacrifici con Aronne sommo sacerdote (ecco perché in P bastano due coppie per ogni animale nell’arca di Noè, perché solo Aronne, per primo, compirà sacrifici, e dunque fino ad allora le coppie di animali avranno tutto il tempo di riprodursi). Quando rimonteranno gli elohisti, io credo  al tempo dei Maccabei, Geremia fa dichiarare a Jahveh (contro P): In verità, io non parlai coi vostri padri né diedi loro comandi sull’olocausto  e sul sacrificio, il giorno in cui li feci uscire dal paese d’Egitto (Ger 7, 22). Il  dio di P è un dio del suo tempo (persiano-ellenistico) e dunque assai evoluto, moderno e cinico. Se in J la creazione va dalla terra al cielo in P si inverte il processo dal cielo alla terra. 

Essendosi rifugiati in Egitto dopo l’assassinio del governatore Godolia, ebreo filo-babilonese della stessa parte politica di Geremia, i leviti, che a mio avviso  nascono soprattutto ora, in asilo, coi loro nomi egizi, hanno una formazione religiosa fortemente influenzata dall’Egitto e di ciò dobbiamo tenere conto, perché è la loro tradizione quella basilare, a cavallo fra cosiddetto primo (che io ancora non sono riuscito a riscontrare, tanto più ora che Salomone ha preso le sembianze del faraone libico Sheshonq) e secondo Tempio, che batte di continuo sul fatto che ogni volta che Israele  abbandona Jahveh viene condannata all’esilio in Egitto.

Io non avverto nessun parallelismo fra E e J (per ipotesi  fusi insieme sotto Ezechia, quando sacerdoti elohisti scampati alla conquista assira di Israele ripararono in Giuda), anche se sono i più antichi e pertanto citati (ma non come fusi insieme, almeno così mi appare) dai documenti posteriori  P e R. Nel caso che Deuteronomio citi J si deve automaticamente ritenere che si tratta di interpolazione aronnita in D, mentre se cita P si deve pensare a  interpolazione maccabaica (elohista) posteriore a P. Analogamente, se Geremia cita P, e lo cita, come sostiene giustamente Friedman,  dobbiamo pensare ad una tarda manipolazione di età maccabaica in Geremia: mentre P usa l’espressione “siate fecondi e moltiplicatevi” e sottolinea  l’importanza dell’Arca alloggiata nel Tabernacolo, Geremia profetizza: “E avverrà che quando vi sarete moltiplicati e sarete stati fecondi nel paese, in quei giorni — dice Jahveh —  non si parlerà più dell’arca del patto di Jahveh; nessuno ci penserà né se ne ricorderà; non sarà rimpianta né ricostruita… In quei giorni la casa di Giuda andrà verso la casa di Israele e tutte e due torneranno insieme dalla regione settentrionale nel paese che io avevo dato in eredità ai loro padri. ” (Ger 3, 16-18; qui c’è anche il riconoscimento agli aronniti di aver armonizzato il testo biblico — il sacerdotale è apparentemente elohista e sostanzialmente aronnita — per essere accolto anche dai leviti/musiti.

Fra tutti gli esempi citati da R. E. Friedman (erede di una scuola  che meglio ha penetrato la materia, pur non traendone sempre le corrette implicazioni) per dimostrare la fusione di E e J cui gli aronniti avrebbero opposto P in quanto Aronne era maltrattato,  nemmeno uno, a mio avviso,  coglie nel segno. A p. 169 (episodio dell’acqua scaturita a Massa e Meriba, Esodo 17, 2-7 elohista e Numeri 20, 2-13 sacerdotale) mette a confronto P e E (solo  E non anche J, che evidentemente non ha questo episodio), ciò che è corretto in teoria, perché P è aronnita e E musita/levita, anche se in apparenza elohisti entrambi, perché usano il nome divino Elohim. Ma qui non c’è nessun interesse da parte di P di contrapporsi a E per negarne le asserzioni. E viene integrato nel testo sacerdotale. Un gesto di integrazione culturale. Gli aronniti hanno qui per la prima volta preso il potere e non intendono certo fare muro contro muro con i leviti elohisti declassati a ausiliari dopo avere da molto tempo esercitato, per primi, il sacerdozio. Ma in ogni caso  il sacerdotale ha come fine di innalzare Aronne e abbassare Mosè fino al limite, nel caso sotto osservazione, di far ricadere sull’innocente Aronne la colpa (non si capisce quale) di Mosè, coll’esito finale che entrambi non entreranno in Israele. Per la verità secondo me non c’è nemmeno da escludere che questo sia un J celato sotto l’aspetto di E (in realtà viene considerato elohista solo perché il monte è chiamato Oreb elohista invece di Sinai jahveista; e inoltre la constatazione  che morirono entrambi fuori della Terra Promessa fu il fatto che si “doveva” spiegare con una colpa). La classificazione dei documenti in J ed E a seconda del nome di dio o del monte della rivelazione (Sinai/Oreb) deve valere solo come un  primo approccio per l’interpretazione, in quanto le interpolazioni non mancarono, come abbiamo già visto all’inizio di questo lavoro.

Anche nel caso del vitello d’oro (in E, ma ampiamente manipolato dagli aronniti, Esodo 32), appena viene a sapere da Jahveh infuriato che Aronne ha fatto il vitello d’oro, un idolo, Mosè prega Jahveh di non sterminare Israele, ma appena arriva sul luogo del misfatto spezza le tavole della legge mostrando quell’ira da cui Jahveh in persona aveva desistito, brucia il vitello d’oro, i leviti compiono una strage di tremila seguaci di Aronne. Dopo di che il giorno dopo Mosè va di nuovo a chiedere il perdono a Jahveh sottolineando (influenzando Jahveh) che gli Israeliti hanno commesso un grande peccato, e così Jahveh afferma: « Io cancellerò dal mio libro colui che ha peccato contro di me. » (32, 33)  Questo Mosè manipolato infine dagli elohisti maccabei (II sec. a. C.) ormai abituati ad agire come i jahveisti è alquanto vendicativo e sembra piuttosto il dio “misericordioso” degli ordini sacerdotali cattolici di triste memoria.

 

In età aronnita (quando secondo me per la prima volta esiste la centralizzazione del culto) Jahveh dice a Mosè: “Parla ad Aronne, ai suoi figli e a tutti gli Israeliti…  Qualunque Israelita che abbia intenzione di  scannare un bue o un agnello o una capra  e non lo conduce all’ingresso della tenda del convegno per presentarlo come afferta a Jahveh davanti alla Dimora/Tabernacolo di Jahveh, sarà considerato colpevole di delitto di sangue: ha sparso il sangue e questo uomo sarà eliminato dal suo popolo.”, Levitico 17, 3-4). Jahveh  intima senza giri di parole ai fedeli: “Nessuno venga da me a mani vuote.” (Esodo 34, 20; jahveista), cui fa riscontro Deuteronomio 16, 16: “Nessuno si presenterà davanti a Jahveh a mani vuote.”  

Non c’è dubbio che Deuteronomio è stato contaminato, in tutto il suo corpo,  da interpolazioni aronnite e perciò jahveiste e razziste (in particolare lo “sterminio” dei popoli indigeni palestinesi,  mirante prima di tutto a teorizzare il dominio ebraico su tutto il territorio della Transeufratene (Arabia) e secondariamente  a proibire i matrimoni misti sotto pretesto che la donna straniera induce il marito e i figli ad abbracciare il culto dei suoi idoli; per cui lo sterminio accompagnante le distruzioni e gli incendi  — di cui non v’è traccia archeologica congrua per quanto riguarda l’esodo degli Hyksos o dei profughi atoniani; mentre si dovrebbe soprattutto focalizzare sugli olocausti del tempo dei popoli del mare da Merenptah a  Ramses III —  sarebbe stato soprattutto  immaginato al fine di distruggere preventivamente gli idoli e i popoli che li veneravano, come spiegazione ulteriore del fatto che gli Ebrei occupavano la regione pienamente ma con  piccole enclaves di stranieri, Esodo 23, 27-33; Deut 7, 16:  “il tuo occhio non li compianga”).  Ciò è illuminato da diversi passi di cui darò ragione in questo lavoro, specie laddove Mosè afferma (illogicamente, criticando quel che egli e i suoi fanno al loro tempo  avendo davanti agli occhi la futura centralizzazione aronnita del 400 ca.): “Non farete come facciamo oggi qui, dove ognuno fa ciò che gli pare bene.” (Deut. 12, 8), o in Deut 30, 3, dove si dice esplicitamente che se Israele si rivolgerà a Jahveh con tutto il cuore e con tutta l’anima, allora questo  farà tornare i tuoi deportati.” (da Babilonia)

Che Deuteronomio sia stato rimaneggiato pesantemente proprio dagli aronniti è evidente dal ritratto del re Ezechia (la cui unica azione biblicamente  accertabile fu di eliminare il serpente di bronzo Necustan fatto erigere da Mosè, dunque un atto filo-aronnita e anti-musita) che diventa il solo grande re che abbia camminato sulla via di Jahveh e addirittura sulla via della centralizzazione. Il secondo Deuteronomista (Dtr², aronnita) continua il racconto di 2 Re (2 Re²) dovendo dare ragione del fatto che il regno di Giosia, contrariamente ad essere quello splendido  culmine del regno di Giuda che appariva al tempo di Geremia, fu seguito dalla presa di Gerusalemme e dall’esilio sotto Nabucodonosor II o in Egitto. Della catastrofe da la colpa a Manasse (figlio e successore di Ezechia; se secondo la storia deuteronomistica i figli di Ezechia andarono in esilio per scontare le colpe del padre 2 Re 20, 12-19; secondo 2 Cronache 32, 31, aronnita, questa fu solo una prova mandata da dio per saggiare la fede di Ezechia), che sarebbe tornato al politeismo e ai culti delle alture, per cui da Manasse fino alla fine del regno indipendente di Giuda tutti i re sarebbero stati colpevoli, ivi compreso Giosia, modello ideale dei musiti, che se non altro alla centralizzazione si era avvicinato davvero. Dunque, esaltazione di Ezechia, preso a modello dagli aronniti, e censura velata (comprendendolo nei re da Manasse alla fine del regno indipendente di Gerusalemme) di Giosia, modello dei leviti. In realtà è dal tempo degli assiri che si ha in mente un impero universale e globalizzato, ciò che prevede una religione sincretistica, ciò che questi regoli di Gerusalemme si prestano ad attuare di buon grado, salvo essere criticati dagli stolti profeti di sciagure. E’ evidente che i culti delle alture in bocca ai profeti intransigenti  non indicano né possono riferirsi (anche se l’intento è quello) ai sacrifici umani che avvenivano nei tempi antichi, anche e soprattutto fra i proto-ebrei, i Cananei discendenti degli Hyksos, che adesso vorrebbero tirarsene fuori. Attenzione, che quando  Noè maledice Canaan figlio di Cam (in realtà sarebbe figlio di Sem perché Hyksos e Cananei sono indubbiamente semiti) perché Cam  lo vide ubriaco e nudo senza coprirlo, ma anzi andando a riferire la cosa agli altri fratelli, c’è il veleno aronnita contro appunto i musiti/leviti israeliti, assimilati agli arabi, ciò che si ripete quando si mette in bocca ai patriarchi che non vogliono che i loro figli prendano moglie in Canaan. 

 

Dunque è sicuro che Deuteronomio fu in origine un documento di Geremia profeta musita da porre dalla stessa parte di E ma, allo stato attuale, è diventato un documento aronnita (secondo Deuteronomista) per cui ricostruire il testo originario elohista  è un lavoro di alta critica interpretativa. Dunque così si esprime 2 Re, 21, 10 rimaneggiato dallo scriba aronnita: « Allora Jahveh disse per mezzo dei suoi servi i profeti: “ Poiché Manasse re di Giuda ha compiuto tali abomini… Rigetterò il resto della mia eredità; li metterò nelle mani dei loro nemici; diventeranno preda e bottino di tutti i loro nemici… “  » Qui c’è già il pensiero di Ezechiele, ispiratore degli aronniti, secondo cui il resto (che dovrebbe logicamente corrispondere ai pochi ebrei onesti rimasti in Gerusalemme, mentre i colpevoli in tre ondate erano stati deportati a Babilonia) viene fatto coincidere proprio con gli esiliati a Babilonia mentre i rimasti a Gerusalemme vengono rigettati da Ezechiele e dai furbacchioni suoi pari, nonché dal dio che si sono creati a loro immagine e somiglianza. Alle Cronache non possiamo certo dare credito, essendo il prodotto ancor più ideologico di chi ha scritto il sacerdotale e ha completato 2 Re e manipolato il Deuteronomio. Ovvio che Ezechia assuma contorni tanto più eroici quanto falsi in 2 Cronache 31, 20-21, e anche che Salomone (contro  la storia deuteronomistica di 1 Re 11) sia esaltato in quanto attraverso Sadòq si sarebbe  fatto interprete degli interessi del clero aronnita, che chiude tutti e due gli occhi sui peccati di Salomone, primo dei quali la divisione e lo sfascio del regno. Friedman rileva che  negli ultimi due capitoli  di  2 Re sparisce ogni riferimento al re David, uno dei grandi protagonisti della storia deuteronomistica, e sparisce ogni accenno alla centralizzazione religiosa, nonostante sappiamo che sotto gli ultimi re tornarono in auge le alture. Io ritengo che la prima omissione può dipendere dal fatto che David non è soggetto di questo periodo storico. Altrimenti si tratta di silenzio voluto. Il patto davidico è stato fatto fuori da Ezechiele che non vuole il re e/o dai suoi seguaci, che hanno accoppato Zorobabele. Il patto davidico non è più praticabile. E gli aronniti stanno affilando le loro armi per rubare il patto mosaico ai leviti, facendo perno su Aronne suo “fratello maggiore”. Secondo  la tradizione elohista  originaria c’era stato un patto fra Dio e il popolo, “patto mosaico”. Fu su questo  presupposto che dopo l’assassinio di Zorobabele gli aronniti fecero leva per sostenere il dominio del clero, la teocrazia supportata da un patto con tutto il popolo di Gerusalemme estromettendo il re. Quanto al silenzio sul centralismo religioso  è invece un’omissione che rafforza quanto affermato (e “costruito” in Ezechia) fino a Giosia e nel sacerdotale. Il centralismo rimane al centro della politica aronnita. 

 

Però, che rimangano in Deuteronomio passi di origine elohista (ispirate da Geremia buon diavolo), mi pare evidente ad es. laddove si dice che Dio, oltre a rendere giustizia all’orfano e alla vedova “ ama il forestiero e gli dà pane e vestito. Amate dunque il forestiero, poiché anche voi foste forestieri  nel paese d’Egitto.  ” (Deut. 10, 18-19; Deut. 26, 12-13 si riferisce alle decime distribuite anche ai forestieri; un ricordo assai simile c’è in Menelao rivolto ai suoi servi, in Odissea, presso cui va in visita Telemaco, secondo quarto del VII sec.).

 

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Poi arrivarono i prepotenti aronniti, servi dei re persiani.

Gli aronniti cercano di gettare fumo negli occhi per far credere di essere stati loro per primi a tornare a Gerusalemme da Babilonia. Nessun accenno (damnatio memoriae) al ritorno da parte di coloro che erano riparati in Egitto e dall’Egitto erano tornati, e per primi, i leviti/musiti. Alcuni studiosi e religiosi ci sono o ci fanno  perché   degli esuli in Egitto non fanno alcun cenno. Lo storico non è tenuto a fare congetture sulla conoscenza o meno da parte degli ebrei in esilio della cronologia dei re persiani. Non c’è dubbio per me che la conoscessero, e comunque vale la regola che questa lista sia stata scritta con cognizione di causa, fino a prova contraria. I sacerdoti aronniti conoscono bene i fatti, come gli avvocati, come gli storici di parte, che poi, a parte, se c’è bisogno, si arrangiano a manipolarli per far tornare i conti a vantaggio dei loro clienti. Dunque lo storico deve semplicemente mettere un numero ordinale (sulla base dei dati storici arcinoti) dietro a ciascun nome che succede nella lista dei re persiani in Ezra 4 e 5. E’ così che, del tutto pianamente, si arriva alla seconda missione di Neemia con  Ezra al seguito  l’anno settimo di Artaserse II.

La cronologia parte dall’Editto di Ciro II  nel 538 (probabilmente mai promulgato o comunque non riguardante gli ebrei), cui non seguì necessariamente un rientro, data la difficile situazione abitativa, delle mura diroccate e del tempio da ricostruire. Poi abbiamo  Cambise II (530-522) e ovviamente il ritorno a Gerusalemme dei leviti rifugiati in Egitto fin dal 525 a. C. o poco dopo. Costoro hanno per la prima volta nomi egizi acquisiti  durante l’asilo che gli è stato benevolmente concesso da quell’Egitto contro cui si era scagliato fino a poco prima il loro profeta Geremia, e forse per la prima volta in tutta la storia degli ebrei tornano dall’Egitto, a partire dal 525 a. C., dietro ad un sommo sacerdote Giosuè (che, sarà una coincidenza,  porta il nome del successore di Mosè) attraversando il Mar Rosso. Si avverte chiaramente l’influenza dei leviti, poveri ma onesti (che non avevano nessuno alle loro spalle come invece sarà per i reduci da Babilonia, finanziati da  banchieri ebrei della diaspora per trasformare Gerusalemme e la sua banca nel centro del giudaismo mondiale),  favorevoli alla composizione degli interessi contrapposti dei proprietari terrieri che erano rimasti a Gerusalemme e dei reduci, favorendo i matrimoni misti, cioè con le donne straniere, e l’ammissione al culto di Eloah/al-Alah, degli stranieri, che oltretutto portavano ricchezze al tempio. Ogni citazione dai profeti, pseudoepigrafi, apocrifi, apocalittici, ecc., deve essere presa cum grano salis. E’ già  abbastanza difficile interpretare bene i testi canonici. Ma ad esempio in Zaccaria potrebbe esserci la eco di una opposizione aronnita al sommo sacerdote levita Giosuè che viene sottoposto a processo, ma assolto da dio che non vuole nemmeno ascoltare l’accusa (3, 1-8), patrocinata da satana.  Se parlassi di primo e secondo sadocitismo (dal sommo sacerdote Sadòq), attribuendo il primo sadocitismo all’operato dei leviti e il secondo agli aronniti, qualcuno si arrabbierebbe, e farebbe bene. Sadòq, ammesso e non concesso che sia mai esistito, almeno come figura aronnita, viene contrapposto dagli aronniti ad Ebiatar, sommo sacerdote levita caduto in disgrazia sotto Salomone (che se è Sheshonq siamo rovinati) e rappresentante di tutti i leviti costretti dalla storia a vivere in clandestinità. Per parlar chiaro  si deve distinguere  fra leviti e aronniti (come fa Friedman), subentrati successivamente con Neemia e Ezra.

Ma come tornarono i reduci dall’Egitto se non con un lasciapassare di Cambise II che deve corrispondere a qualcosa come l’editto di Artaserse II (rubato dagli aronniti ai musisti) che legittima Ezra ad agire in Gerusalemme?

Cambise II dunque avrà imposto a tutti coloro che vivevano nel territorio della V satrapia   “Transeufratene” (dal Nilo all’Eufrate, cioè a dire l’Arabia)  il culto e l’insegnamento del culto musita/levita  del  dio del sommo sacerdote Giosuè (e del re Zorobabele, poi assassinato).  Che il culto fosse secondo la tradizione levita lo attesta lo stesso Malachia che parla di Patto di “Jahveh” con Levi (Mal 2, 4.8).   Da questo momento Cambise II imponeva la religione di Elohim/Allah  su tutta la Transeufratene, e ne riteneva responsabile  il sommo sacerdote Giosuè in primis e il re vassallo. Dunque niente di strano se agli inizi tutti, rimasti, reduci e stranieri (Samaritani, Ammoniti, Arabi, ecc.) sparsi sulla Transeufratene offrono a Gerusalemme incenso e  oblazioni legittime a “Jahveh” (Malachia 1, 11, Zaccaria 8, 20-23). Addirittura Tritoisaia preconizza che il sacerdozio possa essere esteso agli stranieri (66, 20-21). Ciò  non era  permesso, o favorito dai sacerdoti, bensì implicitamente imposto da Cambise II con la sua legge  sulla Transeufratene, affidando al tempio di Gerusalemme l’onore e l’onere di attuarla, così altro non facendo che l’interesse dello stesso clero che era appunto di diffondere il culto del suo dio, aumentando al contempo il prestigio e le riccezze del tempio stesso. Questo fine di universalismo e integrazione,  ricercato dagli imperatori assiri, babilonesi, persiani, macedoni, ecc., viene affidato proprio ai leviti la cui tradizione risponde in pieno a questi dettami: una regione, un dio.  E quale dio più universale e integrato di El/Eloah/Allah?  Vi pare serio che l’integrazione si potesse fare attraverso Jahveh dio peculiarissimo degli aronniti? I libri di Rut e Giona sostengono l’apertura verso gli stranieri perché David discendeva da questa moabita, e perché la conversione di Ninive dimostra che gli stranieri convertiti possono essere graditi a Jahveh come gli ebrei. In questo periodo non si parla di trasgressione del sabato (mi chiedo se si rispettasse come giorno festivo il venerdì come presso gli islamici/arabi, nonché gli ortodossi), nel senso che è trasgredito (gli aronniti razzisti e segregazionisti  per il momento si rodono dentro e tacciono).

La datazione di Neemia e Ezra deve partire dalla successione dei re persiani data in Ezra: Ciro II, Serse I, Artaserse I, Dario II e infine Artaserse II, epoca della missione di Ezra (398 a. C.). L’imbroglio di Ezra sta in questa lista che è ordinata cronologicamente ma omette alcuni re. Ovviamente omette Cambise II perché deve cancellare il ricordo dell’arrivo dei leviti a Gerusalemme. E di Dario I, perché è l’ordine di successione di Dario II che gli interessa, una volta tolto il numero ordinale a tutti per rendere l’imbroglio più efficace. In realtà si ricostruisce che il tempio di Gerusalemme fu terminato nel 515 a. C. sotto Dario (I; se ciò corrisponde al vero dipende dal fatto che l’ordine della ricostruzione se non l’inizio dei lavori era stato dato da Cambise II; trovo perlomeno curioso che i rimpatriati “babilonesi” tornino nel 521 di Dario I; preferisco pensaree ad un rientro poco dopo il 525 dei rimpatriati dall’Egitto sotto Cambise II). Nel frattempo Zorobabele, il re vassallo della Persia, è stato ammazzato da un aronnita più testa calda degli altri, ma è Giosuè il sommo sacerdote levita a regnare. Ma l’ordine di successione di Ezra si riferisce ad un Dario II, nel cui sesto anno viene inaugurato il tempio, 419 a. C.    Alla data del 419 un papiro di Elefantina riporta il rescritto di Dario II sulla pasqua. Nessuno crederà che questa sia la data del tempio appena costruito. Ma allora cos’è? Ovvio che si tratti di una nuova inaugurazione del tempio profanato, secondo gli aronniti,  dai sacerdoti leviti. A questa data  uno sporco aronnita razzista ha già messo piede a Gerusalemme facendo sentire il peso dell’ordine voluto dal re di Persia (un re di Persia, Dario II, che… non conosceva Cambise II). E per me questo individuo è Neemia, la cui prima missione si può appunto stabilire, in base ai dati in nostro possesso, intorno a questa data, 419 a. C. (Dario II), come apparirà evidente da quel che diremo.

Vi sono due testi fusi insieme in Neemia (Neemia 7-10 e Neemia 12, 27-13), dai quali emerge che prima vengono restaurate le mura, poi Ezra legge la torah e infine vengono ripudiate le mogli straniere. Mi chiedo se si possa bere una tale sciocchezza, l’attacco alle mura da parte di qualcuno o, peggio, il degrado in cui  erano dai tempi di Nabucodonosor II (se tu ometti di parlarmi di quel che è successo da Ciro II a Cambise II e Dario I non mi rendi chiare le cose). Se coi leviti a Gerusalemme regnava la pace coi vicini arabi, perché costoro dovevano essere tanto sciocchi da provocare tensioni che avrebbero potuto prendere pieghe impensate, visto che c’era di mezzo il re persiano?  Dato il breve tempo impiegato da Neemia (meno di due mesi e addirittura  sotto minaccia di attacco da parte dei pretesi nemici) per restaurare le mura, si deve intendere che queste erano già state ricostruite al tempo di Cambise II,  e che magari qualcuno prezzolato dagli aronniti  aveva inscenato un attentato bruciando le porte e facendo crollare qualche breccia nei punti meno resistenti. Non è chi non veda che questo attentato non fu altro che un pretesto per Neemia di poter applicare la  centralizzazione aronnita del tempio che diventava la banca degli ebrei di tutto il mondo.  Comunque, su ammissione dello stesso Neemia, egli fu boicottato da alcuni ebrei apertamente (come la profetessa Noadia ed altri che si rifiutarono di collaborare ai lavori alle mura; tra l’altro tutte queste donne accreditate come profetesse, tipo la negromante di Endor di Saul o la profetessa Culda interpellata dopo il ritrovamento del Deuteronomio di Giosia, gettano luce  sul  contenuto reale della  religione elohista, nel senso che non può avere a che fare col culto di Jahveh o che questo culto era all’epoca altrettanto eretico di quello di Elefantina/Assuan) e da altri occultamente (infatti ad esempio Eliasib, sommo sacerdote, gli si mostrò collaborativo ma, dopo che se ne andò via, diede il controllo della banca a Tobia, suo parente, con cui i proprietari terrieri, i rimasti, erano, al tempo del restauro delle mura, in stretto contatto epistolare, contro Neemia, Neemia 6, 17-19).

Poiché Neemia si accorge di avere tanti nemici proprio fra gli stranieri arabi, i sacerdoti leviti e i proprietari terrieri che erano rimasti a Gerusalemme, cioè in pratica  tutti eccetto i furbi rimpatriati da Babilonia,  radunati tutti i potenti locali al suo cospetto fece la vista di aver trovato la lista dei primi rimpatriati, deportati da Nabucodonosor II (Neemia 7, 4-6). L’assemblea aveva lo scopo di accertare chi apparteneva a questa lista e chi no. Chi non vi apparteneva o non poteva dimostrare di appartenervi veniva escluso dalle cariche politico-religiose. E i rimpatriati dall’Egitto? Questi non potevano certo dimostrare di appartenere a questa lista, che riguardava i rimpatriati da Babilonia! Avessero anche posseduta la loro lista, questa, in quanto levita,  era esplicitamente esclusa. Dunque i leviti venivano esclusi da ogni potere (Neemia 7, 64)., salvo fare i sacrestani, anche se ciò non viene detto espressamente. Poi Neemia abborda la questione strettamente connessa dei matrimoni misti sulla base di un passo di Deuteronomio 23, 4. Ora basta considerare che finora Gerusalemme era governata da sacerdoti che seguivano il codice E e il Deuteronomio del profeta Geremia per subodorare il crimine commesso da Neemia contro la verità. Certo il Deuteronomio fu manipolato dagli aronniti e usato da Neemia proprio come testo temporaneo nel frattempo che Ezra componeva il codice sacerdotale e lo usava come infrastruttura in cui comprendere tutti i codici del Pentateuco. Così venne utilizzato il passo che negava per sempre all’Ammonita e al Moabita, per vere o presunte motivazioni storiche, di entrare nella comunità ebraica (per la verità il divieto era riservato solo al clero e al culto, non anche allo straniero che volesse vivere da civile entro Gerusalemme e la Giudea). Ma certo Neemia estese l’interpretazione a tutta la sfera civile precludendo la possibilità di matrimonio con le straniere, anche le israelite/elohiste/arabe. L’uso di Jahveh, da solo, nel testo è la spia della manipolazione aronnita, perché non si vede  come potessero armonizzare questi passi con quelli  dove si dice che Dio (anche qui manipolato con l’aggiunta di Jahveh, ma è cosa diversa), oltre a rendere giustizia all’orfano e alla vedova “ ama il forestiero e gli dà pane e vestito. Amate dunque il forestiero, poiché anche voi foste forestieri  nel paese d’Egitto.  ” (Deut. 10, 18-19; Deut. 26, 12-13 si riferisce alle decime distribuite anche ai forestieri). Se Neemia opera sulla base del Deuteronomio aronnita è perché ancora non esisteva il pentateuco di Ezra. Il che viene a dire che questi sono avvenimenti della prima missione di Neemia, 419 a. C. Così Neemia fu il primo firmatario di un patto di tutti i maggiorenti con Jahveh di non addivenire a matrimoni  e commercio con le straniere, a rispettare il sabato e a dare al tempio ciò che gli era dovuto. E’ il patto mosaico rubato attraverso il Deuteronomio ai musiti/leviti ma che adesso è passato in vigore come patto aronnita in quanto è su Aronne sommo sacerdote che si fonda il Deuteronomio manipolato dagli aronniti, al punto da non essere più aperto agli altri popoli con cui si vuol vivere in pace e magari facendo proseliti, bensì chiuso a chiunque non appartenga ai reduci da Babilonia, razzista e discriminatorio perfino nei riguardi degli stessi israeliti/musiti.

Se ho ragione a datare la prima missione di Neemia (grosso modo e con tutti i sospetti verso le manipolazioni aronnite) al 419 di Dario II e la seconda (con Ezra al seguito) al 398 di Artaserse II,  allora tornano i conti, che altrimenti non tornano, di Eliasib  come sommo sacerdote al tempo della prima missione di Neemia: 1) Eliasib, padre di 2) Ioiadà, padre di 3) Giovanni (alias Yeohanan alias Ionatan), padre di 4) Iaddua, tutti sommi sacerdoti, sacerdoti leviti! (Neemia 12, 10-11.23), uno dopo l’altro. Secondo Ezra, al tempo della sua missione, par di capire che sommo sacerdote fosse 3) Giovanni (Ez 10, 6). Ciò è tanto vero che nella sua seconda missione (che pongo  intorno al 398 a. C.),  Neemia caccia da Gerusalemme un figlio di 2) Ioiadà, e cioè  Manasse, fratello di 3) Giovanni il sommo sacerdote, perché, avendo sposato Nikaso, figlia  del governatore della Samaria Sanballàt, s’era rifiutato di ripudiarla. Così Sanballàt offrì a Manasse di diventare sommo sacerdote del tempio sul Garizim (nome corretto della tradizione samaritana, che qui si rifà alla tradizione musita; l’Ebal era maledetto dalla tradizione musita, Deut 11, 29; 27, 13) presso Sichem, che secondo Deuteronomio 27, 4, originale levita, doveva essere vero e autentico tempio levita, centralizzato o no. E io credo che i leviti non cercarono mai la centralizzazione. Se questa è nel Deuteronomio lo è come manipolazione aronnita, e non certo sul Garizim, bensì a Gerusalemme. Comunque la tradizione samaritana è palesemente una ingenua invenzione (del tipo dei Vangeli apocrifi) dove è impresa disperata cercare un fondo di verità. I samaritani non potevano avere una tradizione ebraica autentica, le dieci tribù essendo state disperse nell’impero persiano. Oggi è solo la tradizione biblica e l’epigrafia a fornirci dati credibili sul tempio del Garizim.  

Del resto  il papiro di Elefantina Cowley n° 30, databile a circa il 400 a. C., è indirizzato al governatore della Giudea Bagohi che avrebbe imposto un grave tributo al tempio di Gerusalemme perché il sommo sacerdote 3) Giovanni (alias Yohanan, alias Ionatan) vi avrebbe ucciso un suo fratello amico di Bagohi. Dunque al tempo di Ezra (e della seconda missione di  Neemia) era sommo sacerdote  Giovanni.  

 

Quando Neemia tornò a Gerusalemme per la seconda missione (sulla base di un editto di Artaserse II, posto nelle mani del sacerdote e scriba Ezra, che imponeva sulla Transeufratene il culto e l’insegnamento del culto di Jahveh a tutti), il razzismo e segregazionismo degli aronniti babilonesi non aveva attecchito, tra l’altro con la stessa complicità di personaggi come Eliasib (ora ex sommo sacerdote), il quale sotto sotto era in solidi rapporti con un  Tobia (della famiglia di esattori dei Tobiadi), suo parente, cui, fra la prima e la seconda missione di Neemia, aveva affidato la  gestione della banca all’interno del tempio. Neemia lo cacciò dal tempio (per affidare la banca ad un rappresentante  dei banchieri ebrei di Babilonia). Ora questi banchieri avevano la funzione di esattori delle tasse per conto dei persiani. Erano esentati guarda caso solo i sacerdoti (aronniti) e gli addetti al tempio (i leviti), per cui il tempio di Gerusalemme aveva tutto l’interesse a collaborare e partecipare nella spremitura del popolo a vantaggio dello straniero dominante.  Ora nella sua seconda missione Neemia vuol apparire meno potente di quanto non sia. In effetti si può permettere di scontrarsi con la famiglia che tiene ereditariamente il sommo sacerdozio levita. Cacciò, come ho detto, da Gerusalemme,  Manasse, fratello di Giovanni l’attuale  sommo sacerdote levita, perché, avendo sposato Nikaso, figlia  del governatore della Samaria Sanballàt, s’era rifiutato di ripudiarla. Ovvio che qui si inserisce Ezra e la lettura del sacerdotale. Siamo nella seconda missione di Neemia che nota come una gran parte dei giovani di etnia straniera non sapeva parlare giudaico (Neemia 13, 24). In realtà Neemia avrebbe dovuto dire la verità, che i reduci da Babilonia che ora comandavano (grazie alla sua prima missione che soli li autorizzava a campare in Gerusalemme) sapevano parlare solo in aramaico. E in aramaico rimane  scritta una piccola parte dell’Antico Testamento (che in antico doveva essere assai più estesa).  La parte scritta in aramaico era sicuramente attribuibile agli aronniti di Babilonia e dunque  contrariamente a quel che afferma Ezra aveva scritto in aramaico, la lingua internazionale  e della classe elevata. Viceversa l’ebraico era non solo la lingua più antica in cui avevano scritto i musiti/leviti (e dunque la lingua dei rimasti in Gerusalemme e in  Giuda), ma anche quella dei reduci dall’Egitto che avevano la g dura degli arabi egiziani (cosa verificabile tuttora). In pratica sia il fatto che i rimasti parlavano ebraico, sia la vittoria finale dei musiti/leviti determinò la vittoria dell’ebraico cosicché tutta la Bibbia aronnita fu tradotta in ebraico salvo una piccola parte ritenuta non essenziale. I targumim, i commenti al testo veterotestamentario, non sono in ebraico bensì in aramaico proprio in quanto necessari per gli aronniti provenienti da Babilonia dove si parlava aramaico. 

 

E’ di questo periodo la triste scena della separazione dei reduci babilonesi dalle “mogli e figli stranieri”, con qualche piccola ma eroica eccezione.    Neemia stabilì con mano più pesante le decime da pagare al tempio e con le maniere forti riuscì a far rispettare il sabato. Chi non accettò di adeguarsi fu costretto a prendere la via di Samaria che accoglieva a braccia aperte gli esiliati. Il razzismo più assoluto s’è installato nel tempio di Gerusalemme. Pensiamo genericamente all’ebreo che vive nella paura di essersi contaminato al contatto di chissà cosa e si lava continuamente immaginandosi aggredito perfino dalle ombre. Si sente aggredito da tutti e si rinchiude come in un profilattico. Mi ricorda vagamente la trama di un film comico. 

 

Date queste premesse è evidente che, ammesso e non concesso che gli aronniti babilonesi fossero tornati a Gerusalemme prima dei leviti egizi, non avrebbero avuto spazio di manovra, scontrandosi le loro pretese razziste con quelle dei latifondisti rimasti in patria.  Si noti a margine l’arrogante pretesa degli aronniti,  secondo cui, non Jahveh li avrebbe puniti mandandoli in esilio a Babilonia e dunque, per sottrazione, privilegiando coloro che erano rimasti a Gerusalemme, bensì al contrario, sostengono con Ezechiele che la Gloria di Jahveh abbia lasciato il tempio di Gerusalemme e i rimasti per  seguire i deportati in esilio fino a Babilonia (confr. Ezechiele, capp.1 e 10). Ignorando furbescamente Cambise II, è sotto il suo successore Dario I che Ezra deve porre la costruzione del secondo tempio (520-515) prima del termine della quale Zorobabele, il re vassallo su Gerusalemme designato dai persiani, è sparito di scena, eliminato fisicamente (probabilmente dagli aronniti che, con Ezechiele, loro ispiratore, vogliono una ierocrazia, non una monarchia discendente da David; i “babilonesi” si scagliano contro il re  in esilio che, in quanto governatore vassallo,  di fronte al re babilonese rappresenta Giuda, cioè i rimasti), e rimane il solo sommo sacerdote Giosuè (il cui nome richiama il Giosuè succeduto a Mosè dopo l’uscita dall’Egitto; poteva essere un sommo sacerdote uscito dall’Egitto sotto Cambise II? Considerando la sua politica di integrazione direi sicuramente di sì). Ovviamente una guerra civile fra “babilonesi” intolleranti estremisti ed “egizi”, il cui motto è invece vivi e lascia vivere. Secondo il profeta Ezechiele il tempio doveva essere governato solo dai  “discendenti da Sadòq” (Ez 44, 15), che noi traduciamo con aronniti.

 

Dobbiamo attribuire ai musiti/leviti anche il patto fra Dio e David nella profezia di Natan (2 Samuele 7,16: “La tua casa e il tuo regno saranno saldi per sempre davanti a me e il tuo trono sarà reso stabile per sempre”) secondo cui sarebbe rimasta « in perpetuo una proprietà per David mio servo davanti a me in Gerusalemme, la città che mi sono scelto per porvi il mio nome » (1 Re, 11, 35-36).

Il patto elohista si basava sulla promessa a David di un regno eterno per i suoi discendenti, un patto incondizionato, dunque è evidente che gli elohisti non avevano alcun interesse (e lo dimostra la loro apertura nei confronti non solo dei rimasti ma anche degli stranieri tutti) a sopprimere il re vassallo  Zorobabele (discendente di David) destinato a regnare per conto dei Persiani sulla Gerusalemme dei rimasti e dei reduci.  Viceversa i  reduci da Babilonia dopo l’assassinio di Zorobabele rimangono privi della loro tradizione regalista (in J, il codice scritto più anticamente in esilio a Babilonia) che si basava sulla promessa di Jahveh ad Abramo di un regno estendentesi sulla Transeufratene (guarda caso lo stesso “materializzatosi” al tempo del regno di Salomone; non si materializzò alcunché — la Transeufratene era puramente e semplicemente la V regione (satrapia) dell’impero Persiano in cui ricadeva Gerusalemme — ma lo storico deve accettare questa frode come espressione di ciò che i sacerdoti aronniti (non credevano, ovviamente, ma) volevano si credesse si era realizzato in un passato ormai difficilmente rintracciabile). Dunque, per la fretta di realizzare il progetto di Ezechiele di una ierocrazia, gli aronniti, che avrebbero potuto sperare nel successo gareggiando coi leviti sulla base di una tradizione regalista, persero per il momento ogni possibilità, non avendo predisposto una tradizione adeguata. Governarono così i musiti/leviti, in quanto  avevano  anche la tradizione del patto fra dio e il popolo ebraico (dunque il re non è più necessario) tramite Mosè, patto condizionato all’obbedienza del popolo nei riguardi di Jahveh. Per governare, gli aronniti dovranno rubare ai leviti la loro tradizione, facendo leva però su Aronne, fratello maggiore di Mosè, ed è solo da questo momento che esisteranno.

 

Nell’epoca dell’esilio gli aronniti ex pagani idolatri si riciclarono come adoratori di un dio Luno Sin/Yahw, infine un dio degli eserciti e dunque della guerra indoario Jahveh/Giovè/Zeus/Djaus “il Cielo”, che poi torna ad identificarsi con El/Eloah/Elohim. 

A Babilonia, potendo consultare biblioteche in aramaico, i deportati si inventano un patto che Jahveh stringe con Abramo ai cui discendenti viene promessa… la V satrapia persiana dell’Araba/Transeufratene (J, Gn 15, 18). Il fantomatico regno di David e poi di Salomone sarà inventato sulla base di questa V satrapia. Saul era più propriamente un re del nord, israelita.

In Dtr¹ erano presenti entrambi i patti, quello mosaico e quello di Dio/Elohim con David, beneficiario del patto eterno con cui Dio garantisce il trono di Giuda ai suoi discendenti. David è il modello ideale di re cui sono confrontati tutti i re successivi. Ma in  Dtr², secondo me aronnita, David non è più menzionato, segno che non si vuole (Ezechiele) o non  è più possibile (morte di Zorobabele)  utilizzare una tradizione sacerdotale regalista. Come la mettiamo ci troviamo in una situazione di stampo aronnita. Scompare anche ogni riferimento alla centralizzazione religiosa, ma ciò secondo me  è solo apparente, non vuol dire che chi propone Dtr² abbia rinunciato alla centralizzazione, al contrario. I successori di Giosia tornano al culto delle alture e alla sottomissione agli Assiri (che secondo me vi fu anche al tempo di Ezechia falsamente riconosciuto dagli aronniti come precursore della centralizzazione del culto). Dtr² sorvola sul ripristino del culto delle alture  da parte dei successori di Giosia e così facendo lascia fermo il punto finora rimarcato della centralizzazione che, dunque,  continua ad essere importante, come è per la prima volta importante in modo assoluto presso gli aronniti di P.  A questo punto i deportati babilonesi si appigliano alla tradizione musita (Dtr¹)  del patto fra Dio e popolo tramite Mosè, anteponendo a Mosè suo fratello maggiore Aronne, primo sommo sacerdote, da cui si ritengono discendenti come clero aronnita in contrapposizione ai musiti/leviti che sono declassati a collaboratori secondari, degli ausiliari, e poi faranno centro sul loro documento fondamentale P.

 

Gli aronniti, che si appigliano ad un sacerdozio derivante da Aronne, fratello maggiore di Mosè, scrissero dapprima il codice J (poiché qui il nome di dio è Jahveh) partendo dalla creazione, sul modello sumerico, di dieci progenitori prima del diluvio (da Adamo a Noè) e dieci posteriori al Diluvio (da Sem ad Abramo). Ho detto della scoperta da parte di G. Smith della tradizione del Diluvio fra le tavolette della biblioteca di Assurbanipal. L’Occidente veniva a scoprire da questo momento in poi che la Mesopotamia era  la culla di numerose tradizioni bibliche (e sulla scia della Bibbia finiva per credere che Jahveh avesse perfino creato gli Ebrei e i Semiti primi fra tutti, mentre è l’Egitto/Khemet la civiltà storica cioè epigraficamente più antica, nonostante che i semitisti, assiriologi, sumerologi e compagnia bella facciano finta che sia la loro disciplina ad avere come oggetto la civiltà epigraficamente più antica) come quella dei  re anteriori (dagli inverosimili anni di vita, sui 30.000 anni a testa, altro che Matusalemme!) al Diluvio e posteriori.  Il più antico re documentato storicamente in una iscrizione è il re (posteriore al Diluvio) di Kish Enmebaragesi, databile al 2800 a. C. (che nel ciclo di Gilgamesh, quinto re di Uruk, è noto come suo nemico). Costui, secondo la lista sumerica, sarebbe vissuto per ben 900 anni, di contro ai 126 di Gilgamesh. Gli Egizi, a partire dal re Menes (fondatore del regno unito di Alto e Basso Egitto), regnavano  (storicamente documentati e con anni più che credibili) da 300 anni prima. Insomma, gli Ebrei avevano trovato in Mesopotamia il paese di Cuccagna dove dare corpo alle loro più sfrenate fantasie di potere (e dalla radio venni a sapere una volta che gli Ebrei calcolano il loro calendario a partire da un’età più antica delle piramidi; che si tratti di un calcolo a partire  dalla creazione del mondo (4004 a. C.) nella Bibbia analogo a quello che fece l’arcivescovo J. Usher di Armagh nel XVII secolo?  Se leggiamo la tavoletta del Diluvio di Ut-Napishtim, il Noè sumerico, ci rendiamo conto che gli aronniti di Babilonia ci hanno lavorato sopra. Nel testo cuneiforme Ut-napishtim, arenatosi presso il monte Nissir, manda in esplorazione una colomba, poi una rondine, che tornarono perché non v’era terra su cui posarsi. Infine mandò un corvo che « si nutrì, volò intorno, gracchiò e non tornò più indietro. »     Nel testo combinato J e P aronniti abbiamo rispettivamente come protagonisti la colomba e il corvo, che Noè manda in esplorazione fino a che non tornano più perché hanno trovato terra. Tutti i documenti cuneiformi che possediamo sulla storia del diluvio e di Ghilgamesh sono relativamente tardi.

Fra lo Jahveh di J e l’Elohim di P (gli unici che partano dalla storia della creazione fino ad Abramo; E parte visibilmente da Giacobbe,  in origine forse anche da Abramo capostipite degli Arabi) c’è una differenza abissale che potrebbe sembrare di un millennio, mentre è di poco più di un secolo. Nonostante il loro razzismo, che rimane, il primo, Jahveh (Gn 2, 4-24), crea l’uomo, le piante e gli animali, infine per ultima, da una costola di Adamo, la donna,  che  è considerata evidentemente inferiore, e viene per ultima dopo gli animali. Il secondo, Elohim (Gn 1, 1-2, 3),  più che creazionista appare modernamente evoluzionista, in quanto in pratica si passa  dagli animali che vivono nell’acqua agli anfibi ai rettili agli uccelli ai mammiferi all’uomo e  alla donna.  E’ proprio la concezione evoluzionista del mondo (i creazionisti sono tanto estremisti quanto ignoranti) che denuncia P come documento tardo, il più tardo di tutti. Nel racconto di Noè (in J e P) il codice P teorizza le tre razze più o meno come le concepiamo oggi noi, dei bianchi (giapetici) gialli (semiti) e neri (camiti), come  originate da Noè, il capostipite armeno-caucasico. Anche il Diluvio in P non è una semplice pioggia, sia pure di durata eccezionale, ma  l’aprirsi delle fonti dell’abisso, delle cateratte del cielo, le acque che circondano la Terra e che si riversano su di essa,  una visione cosmica che implica perfino  una concezione sferica della Terra, ciò che poteva venire dalla scienza greca). Sappiamo poi che ebrei e cristiani, pur di avere il dominio sulla terra al centro dell’universo, la resero piatta come resero piatta la mente dei poveri sudditi umani da trattare come docili bestie.

Jahveh di J è antropomorfo, come antropomorfa è la tradizione sumerica e mesopotamica più antica: passeggia nel giardino e vede Adamo ed Eva nudi, li riveste con tuniche di pelle da lui stesso cucite (non può sfuggire la sua somiglianza con Usous/Esaù che A. Collins e Ch. Ogilvie Herald, La cospirazione di Tutanlkhamen, Newton Compton,  riconnettono con Petra, pp. 288-289),   si pente di aver creato l’uomo, chiude personalmente l’arca di Noè, percepisce l’odore del sacrificio offertogli da Noè, si pente d’aver mandato il Diluvio sulla terra e promette di non distruggere più l’umanità in futuro in quanto non c’è niente da fare,  l’uomo è malvagio fin dalla nascita. E’ del tutto naturale per gli scribi aronniti topi di biblioteca in Babolonia imbattersi in documenti in aramaico così “antichi”. E’ una moda non solo babilonese ma anche egizia contemporanea quella   di dare al testo letterario la forma dei documenti più arcaici e venerati (e sulla base di questa moda si provvede a confezionare una miriade di falsi). Analogamente il Poseidone  di Odissea (io dato questo episodio al secondo quarto del VII secolo)  va in Etiopia/Kush/Nubia/Sudan di Napata (XXV dinastia etiopica) dove gli hanno fatto un sacrificio e perciò non vede Odisseo in mare, e lo eliminerebbe volentieri in quanto ha accecato l’unico occhio a suo figlio Polifemo.  J è pieno di  sogni (si pensi a Nausikàa in Odissea, secondo quarto del VII sec.), animali parlanti come il Serpente guardiano dell’Eden (come Xanto cavallo di Achille nell’Iliade, poco prima del 649 a. C., centenario della fondazione di Roma palatina),  e di angeli, che  sono forse più tardi, di influenza persiana, come a Sodoma e Gomorra. J è esilico. Vi compare il nome di A(nkh)senaaten (vedova di Tutankhamon, e sposa di Ey/Giuseppe, per ciò divenuto da visir faraone), che mi mise sulle tracce di Asenat biblica. Questo nome infatti è affine a quello di Pia(nkh)y > Piay (747-716 a. C., fondatore della XXV dinastia etiopica), dove pure Ankh sta per A. Questa prassi ci porta alla datazione genericamente tarda dei singoli libri del Pentateuco.  Analogamente il patto stretto fra Jahveh e Abramo, cui concedeva la terra tra il fiume d’Egitto e l’Eufrate, cioè la Transeufratene, pone il codice J nell’età esilica della Babilonia persiana in relazione col  patto stretto segretamente fra gli aronniti e i re persiani che prepara la conquista dell’Occidente fermata poi dalla Grecia.  Viceversa in P Dio  è visto come il trascendente guardiano dell’universo, come lo spersonalizzato   burocrate di una super banca, come un computer che lavora automaticamente senza capire realmente quel che fa e non mettendoci un minimo di partecipazione (si pensi alla guardia all’ingresso del comune di Frittole in Non ci resta che piangere: “chi siete, quanti siete, cosa volete? Un fiorino”), anche qui essendo un dio come lo possono concepire i moderni.

        

Gli aronniti non hanno grandi problemi a legittimare il loro sacerdozio datosi che godono dell’appoggio dei re persiani. Essi hanno fatto balenare loro (fin da Ciro II col codice J)  la possibilità di fare di Gerusalemme una testa di ponte verso la Grecia e l’Europa (che i Persiani hanno in progetto di conquistare come porta dell’Occidente), verso l’indoario Apollo (dio della guerra della pestilenza e della morte; parente dell’indoario Jahveh zebaoth) di Delphi, che afferma sul frontone del suo tempio: “Io sono colui che è”, mentre Jahveh suo collega speculare traco-illirico-armeno dei dintorni del Mar Nero afferma un poco più da cafone: “Io sono quello che sono”. Gli aronniti sono prepotenti ed essendo rimasti, dopo tanto studiare nelle biblioteche di Babilona, senza una tradizione sacerdotale (a causa dell’assassinio di Zorobabele,  ucciso proprio uno dei loro), si appropriano della tradizione levita del patto fra dio e il popolo tramite Mosè… e Aronne suo fratello maggiore. Il destino del regno dipendeva ora dal popolo e non più dal re. Comunque danno al codice P (scritto più tardi,  quando ormai stava tramontando o era tramontata la speranza dei Persiani di conquistare la Grecia) una veste elohista e accolgono nella loro tradizione il Tabernacolo (la tenda beduina) per meglio legittimarsi e anche farsi accettare meglio dai leviti. La tenda del  Tabernacolo (non ha importanza, nella palese incongruenza della tradizione, cercare di stabilirne dimensioni e composizione) sicuramente estisté davvero, se non altro perché i nomadi beduini vivono notoriamente sotto le tende, e il primo tempio di questi nomadi (hyksos o musiti)  fu certo una tenda.  Non fu originariamente una “pia” frode in quanto, come ci dice Friedman, è menzionato tre volte in E, cui appartiene in origine. Gli stessi Hyksos, in quanto originariamente nomadi. fecero certo uso in origine  di una tenda come tempio.  Ovviamente diventa pia frode quando, in mano aronnita, dentro il Tabernacolo troviamo l’arca (con dentro il rotolo del codice sacerdotale, P, spacciato per la torah che Mosè avrebbe ricevuto da Dio sul monte Sinai, dove dietro al Dio/El elohista c’è il loro Jahveh e dove in luogo del loro Sinai la tradizione elohista aveva l’Oreb; ma forse no; dietro a Elohim ora non c’è altro; ritengo probabilissimo che alla fine gli aronniti con P abbiano accolto il generico “dio” degli elohisti) custodita da cherubini di origine babilonese.

La frode è tanto più grave in quanto i leviti, con Geremia, negano non solo l’esistenza di tutti gli arredi all’interno della tenda del convegno ma, ancor più,  che Jahveh abbia parlato o dato comandi sull’olocausto e sul sacrificio agli Israeliti al tempo dell’Esodo (Geremia 7, 22; « ma questo comandai loro: Ascoltate la mia voce! Allora io sarò il vostro Dio e voi sarete il mio popolo; camminate sempre sulla strada che vi prescriverò perché siate felici.», 23), figuriamoci la centralizzazione del culto (non  prevista in E, dove dal tempo di Giacobbe in poi qualsiasi levita può compiere sacrifici in qualsivoglia centro cultuale; il centralismo non è previsto nemmeno in J, dove da Caino a Isacco e Giacobbe i padri compiono sacrifici; ovviamente J era stato progettato come antitesi e imitazione di Emain un tempo in cui gli aronniti non pensavano alla questione nodale della centralizzazione del culto/banca), in quanto non significa centralizzazione affermare che il culto deve essere effettuato dove Jahveh stabilisce il suo nome (D: “Dovete sacrificare soltanto nel luogo in cui Jahveh farà risiedere il suo nome”), perché Jahveh può stabilire il suo nome in differenti santuari, come è stato per tutto il tempo prima dell’avvento degli aronniti. La “pia” frode mira a legittimare il secondo Tempio, in cui solo ora dominano gli aronniti, facendone l’erede del (per me ancora non chiaramente documentato e sedicente) primo tempio costruito da Salomone/Sheshonq?, che vi avrebbe trasportato (in età aronnita) il Tabernacolo (con arca, cherubini, urim e tummim), mentre nel frattempo, fin dal tempo di Mosè, il Tabernacolo avrebbe fatto le veci del tempio.  Dunque non c’è dubbio che il Tabernacolo con tutti i suoi particolari di costruzione e arredi sia realmente una  frode aronnita. Friedman si chiede perché mai un  sacerdote (aronnita) del secondo Tempio nell’architettare una “pia frode” avrebbe dovuto dare tanta importanza proprio a quegli arredi. La mia risposta è che a parte tutto il resto che ormai è entrato nella leggenda e vive di vita propria rimbalzando  da questo a quell’altro ricordo di autore,  gli urim e tummim (elemento della cultura beduina e araba come ho letto da qualche parte) sono in uso ancora al tempo di Neemia: « il governatore (Neemia) ordinò loro (ai sacerdoti,  che in quanto tali erano solo  aronniti, distinti dai leviti di second’ordine) di non mangiare cose santissime finché non si presentasse un sacerdote con Urim e Tummim. » (Neemia 7, 65) E’ noto dalle visite fattevi da ellenisti e romani che il Santo dei Santi del secondo Tempio era assolutamente vuoto (niente tabernacolo, niente arca, niente due tavolette del decalogo, niente cherubini babilonesi), ma è ovvio che sulla base della tradizione aronnita creata in J e P chi non poteva avere accesso al sancta sanctorum potesse coltivare  la credenza in questi arredi sulla base della tradizione stessa, della pia frode aronnita.

Quando gli aronniti salgono al potere favoriti dai persiani (seconda missione di Neemia con Ezra al seguito, circa 400 a. C.) introducono tutti i codici fusi insieme e in particolare i loro codici J e P, dove è messo in risalto il personaggio del loro capostipite Aronne, il fratello levita di Mosè, il fratello maggiore di Mosè, che ha diritto esclusivo al sacerdozio  (trasmettendolo ai suoi discendenti per via ereditaria), da cui sono esclusi i leviti discendenti di Mosè (P: « Mosè disse poi a Core: “ Ora ascoltate, figli di Levi!: E’ forse  poco per voi che il Dio d’Israele vi abbia separati dalla comunità d’Israele e vi abbia fatti  avvicinare a sé, per prestare servizio nel tabernacolo di Jahveh e per tenervi davanti alla comunità, esercitando per essa il vostro ministero? Egli vi ha fatti avvicinare a sé, te e tutti i tuoi fratelli figli di Levi con te, e ora pretendete anche il sacerdozio?  Per questo tu e tutta la gente che è con te siete convenuti contro Jahveh! E chi è Aronne perché vi mettiate a mormorare contro di lui? » Numeri 16, 8-11), mentre si mostrano ignobilmente ingrati nei confronti di Mosè di cui contestano la supremazia (J: « Poi Mosè mandò a chiamare Datan ed Abiram, figli di Eliab; ma essi dissero: “Noi non verremo. E’ forse poco per te  l’averci fatti  partire da un paese dove scorre latte e miele per farci morire nel deserto, perché tu voglia fare il nostro capo e dominare su di noi?  Non ci hai davvero condotti in un paese dove scorre latte e miele, né ci hai dato il possesso di campi e di vigne! Credi tu di poter privare degli occhi questa gente? Noi non verremo”. Allora Mosè si adirò molto e disse a Jahveh: “ Non gradire la loro oblazione; io non ho preso da costoro neppure un asino e non ho fatto torto ad alcuno di loro. »),  Numeri 16, 12-15. Si tratta di due episodi anche cronologicamente diversi ma fusi insieme per il loro valore di ribellione a Mosè (J) e soprattutto di pretesa da parte di Aronne di avere il diritto esclusivo al sacerdozio a favore del quale prende posizione… Mosè (P).  E Jahveh, chiamato in causa da Mosè per un giudizio che costituisce un’ordalia,  punì i ribelli. La terra si spalancò e li inghiottì e scesero vivi nello sheol (J), meglio, nella prova dell’offerta dell’incenso, rito riservato ai sacerdoti consacrati, un fuoco si spiccò da Jahveh e arse vivi Core e i leviti ribelli (P: Num 16, 35).    Mentre si esalta Aronne occorre ridurre  Mosè a strumento dell’emarginazione dei leviti  (un comportamento damafiosi come ho già rilevato a proposito di Abramo strumento della decisione di Sara contro Agar e Ismaele).

Nell’episodio dell’acqua scaturita dalla roccia a Massa e Meriba (Numeri 2-13, sacerdotale) si colpevolizza Aronne innocente per una colpa (non si sa quale) commessa da Mosè, per cui entrambi non entreranno in Israele. (Io credo si debba spiegare questa “colpa” con il fatto reale che entrambi morirono prima di entrare in Israele. Questo fatto si doveva spiegare solo come colpa anche se non si riusciva a identificarla; ma qui non è in discussione questa “colpa”, bensì il coinvolgimento dell’innocente Aronne nel comportamento colposo di Mosè su cui gli aronniti vogliono gettare discredito). Ma il colpevole è Mosè. Il racconto era già in  Esodo 17, 2-7 (elohista? Solo perché si menziona l’Oreb invece del Sinai? Ho il sospetto che il testo sia jahveista; la nota della Bibbia di Gerusalemme dice che “sull’Oreb: deve essere una glossa di un lettore”, e ciò  mi da ragione) dove Mosè, pressato dal popolo che aveva sete, ebbe da Jahveh l’incarico di percuotere la roccia con la sua celebre bacchetta magica dei tempi di Faraone, e l’acqua scaturiva miracolosamente. Tra l’altro questa roccia spaccata da cui scorre l’acqua sarebbe per A. Collins e Ch. Ogilvie-Herald  (La cospirazione di Tutankhamen) il canyon o crepaccio di Mosè che conduce fino a  Petra e attraverso il quale scorrevano un tempo le acque dello Ain Mûsa.

E e P si possono, si potrebbero, a trovarli,  contrapporre, proprio perché appartengono a due diverse fazioni, rispettivamente levita e aronnita. Invece è fuorviante contrapporre J e P che sono sullo stesso versante aronnita (facendo finta che J rapprenenti anche E con cui sarebbe stato fuso tanto tempo prima o che P, solo perché elohista in apparenza, possa essere contrapposto a J, facendo le veci di E, mentre invece è aronnita come J). In Numeri 25, 1-18 c’è il mixaggio di un testo J (che aveva ad oggetto l’ordine di Mosè  su comando di Jahveh di far impalare tutti i capi di Israele davanti al sole in quanto si erano uniti alle moabite prostrandosi davanti al dio pagano Baal-Peor)   con uno, che è quello cui lo scriba guarda con principale interesse,  P (dunque entrambi aronniti; nessuno dei due  racconti  è presente in E), che riguarda lo zelo religioso di Finees, discendente del sacerdote  Aronne, che con la stessa lancia trafigge insieme un israelita e la madianita che s’era portata dietro al campo  (la moglie di Mosè, Zippora, era madianita) dopo di che cessa la peste (menzionata solo in P, spuntando fuori dal nulla). In tutta la vicenda Mosè rimane inattivo. Jahveh dice a Mosè che darà a Finees e alla sua stirpe il sacerdozio in eterno in grazia del suo zelo religioso e della sua iniziativa espiatrice (Num 25, 10-13).

Dopo aver parlato faccia a faccia con Jahveh  il volto di Mosè è ustionato e deve ricoprirsi con un velo (solo in P, Esodo 34, 29-35). Ciò riduce la credibilità della sua perfezione dal punto di vista sacerdotale, in quanto il sommo sacerdote non poteva avere imperfezioni fisiche di sorta. Queste sono altrettante pugnalate date dagli aronniti ai musiti/leviti.

In funzione anti-levita J sostiene che Simeone e Levi abbiano  sterminato gli abitanti di Sichem che avevano oltraggiato la loro sorella Dina (J: Gen 49, 1-27), mentre la tradizione elohista parlava di un regolare acquisto da parte di Giacobbe della città di Sichem capitale di Israele (Gen 33, 18-20). Secondo J Giacobbe (Israele, stato del nord) è disonesto, avendo rubato la primogenitura a Esaù (Genesi 25, 21-34 e 27, 1-45) e il gregge a Labano (Gen 30, 25-43; come attenuante in questo caso c’è il fatto che Giacobbe risponde alla disonestà di Labano). Quando gli elohisti sotto i Maccabei  riprendono il potere nel II secolo a. C. rendono pan per focaccia denunciando la disonestà (denunciando prima di tutto l’impostura aronnita che ha inserito Abramo/Minosse, assai posteriore,  prima di  Giacobbe), per vero assai più ripugnante, di Abramo, che  fa credere ad Abimelech, re filisteo di Gerar, che Sara sia sua  sorella, praticamente prostituendola in cambio  di armenti e servi (Gen 20; anche Gen 12, 10-20, per me ancora elohista nonostante l’uso di Jahveh, sostiene che  Faraone tratta bene Abramo, dandogli pecore, bovini, asini, servi e serve, asine e cammelli, in grazia di Sara, condotta nel suo palazzo, cioè nel suo harem, dunque come prezzo del suo concubinaggio; fra l’altro nella storia reale Giuda/Minose il caucasico era sposo di una principessa dell’harem/concubina di Tuthmosis IV, Tuya, corrispondente alla nera/Agar l’egizia). J  faceva di Giuda (sud)  l’erede della primogenitura dopo l’eliminazione di Ruben (sud) che s’era portato a letto  Bila concubina di Giuseppe, di Simeone (sud) e Levi (sud) per i motivi che abbiamo detto, la loro violenza. Tutte le altre nove! tribù del nord veneravano Eloah. Ci dobbiamo aggiungere  Levi, che era in origine una tribù del nord, legata a Geremia (di origini nordiste) e ai suoi leviti reduci  dall’Egitto al tempo di Cambise II.   

 

Quale misfatto peggiore avrebbero potuto compiere gli aronniti, rotti a tutti i misfatti, se non “crocifiggere”  il serpente di Mosè, l’Apopis/Necustan, rendendolo da dio dell’Eden a guardiano infedele e punito dell’albero della conoscenza del bene e del male (del sacerdozio oracolare aronnita) al centro del medesimo?  Ma questo dio pare essersi vendicato forse attraverso la penna di un musita? E’ strano che della storia più antica e specie della creazione si occupano solo gli aronniti. Ma è certo che il loro Jahveh  non ci fa una bella figura all’inizio stesso di Genesi. Proibisce a Eva e Adamo di mangiare il frutto di questo albero, altrimenti morranno. Il Serpente dice al contrario a Eva che se lo mangeranno non solo non morranno ma si apriranno i loro occhi, ovvero saranno intelligenti e consapevoli, sapienti (almeno in potenza) come dio. Eva con la sua intuizione femminile mangia il frutto e lo trova oltretutto buono  (la scienza è il massimo bene dell’umanità) e lo fa mangiare anche ad Adamo. Jahveh scopre che hanno trasgredito e punisce i tre, ma Adamo ed Eva non sono morti. E’ costretto a cacciarli dal Paradiso affinché non mangino anche dell’albero della vita eterna, col che sarebbero proprio la stessa cosa di dio.

 

Apopis/Necustan, il  “dio/el”  Signore della sapienza di Geremia che verisimilmente nella religione originaria si proponeva solo la felicità degli esseri umani.

 

 

Infine nel II secolo a. C.  tornarono al potere i Maccabei/Asmonei (musiti/leviti).

Poi venne Alessandro Magno. La ribellione di samaria fu stroncata e vi fu insediata una colonia. Tolomeo nel 312 sconfisse Demetrio Poliorcete e conquistò Gerusalemme. Deportandone la popolazione. Questa costituì la colonia giudaica di Alessandria, che tornò a vivere secondo i principi universalistici dei leviti, aprendo le porte dell’integrazione agli stranieri. Questa comunità parlava greco ed era aperta all’influenza dell’ellenismo. Promosse la traduzione in greco del Pentateuco. Ebbe un grande ruolo nello sviluppo e nella diffusione del giudaismo. Mentre l’ellenismo si diffondeva ovunque Gerusalemme rimaneva refrattaria e chiusa in se stessa.

Prima della  metà del III secolo a. C. un tale Zenone, alto funzionario dei Tolomei, fece un viaggio in Palestina in occasione del quale ebbe contatti con un tale Tobia della dinastia dei banchieri Tobiadi che riscuotevano le tasse che Gerusalemme doveva ai Tolomei, con a disposizione un distaccamento militare egiziano. Questo Tobia era forse governatore della Palestina ed aveva sposato una figlia del sommo sacerdote Onia II. Dopo la battaglia di Paneio/Cesarea di Filippo, la Palestina entra nell’orbita siriana. Onia II si rifiuta di pagare le tasse a Tolomeo V (che aveva sposato Cleopatra figlia di Atioco III cui andavano in dote le tasse di Fenicia Siria e Palestina), in quanto Antioco III lo esonerava (ma non esonerava il popolo).   Giuseppe Tobiade, un nipote di Onia, riuscì ad ottenere da parte del sommo sacerdote la delega a rappresentarlo nei confronti dell’Egitto. Si recò ad Alessandria e riuscì a farsi dare l’appalto di tutte le tasse che dovevano essere pagate dalle regioni che costituivano la dote di Cleopatra. Spolpò le popolazioni non ebree e rese esente Gerusalemme aumentando il suo prestigio, potere e ricchezze. Un figlio di Giuseppe, Ircano (creatura dei Tolomei), riuscì a soppiantare il padre come esattore.  I suoi fratelli (sostenuti dal sommo sacerdote Simone II e dal popolo) si appoggiarono ai Seleucidi. Negli anni immediatamente successivi al 175, ascesa al trono di Antioco IV,  Onia III (passato sotto l’influenza di Ircano creatura dei Tolomei) cacciò da Gerusalemme i fratelli Tobiadi, che si rifugiarono presso Antioco IV. Un fratello di Onia III, preso il nome ellenistico di Giasone, ottenne da Antioco IV il sommo sacerdozio, in cambio di denaro e di una certa ellenizzazione di Gerusalemme. Insomma è logico che una civiltà superiore come quella greco-ellenistica influenzasse le menti più aperte degli ebrei che allo stesso tempo smettevano di vivere secondo la torah. Ma più che altro questo è un periodo in cui da una parte o dall’altra tutti amano il potere e i tesori favoleggiati del tempio, e così gli stessi Maccabei che inizieranno una guerra a favore del Patto non saranno diversi da coloro contro cui combattono. Stavolta fu Menelao a comprare il sacerdozio da Antioco IV. Questo Menelao non era di stirpe sadocita (cioè aronnita) e fece uccidere Onia III (171 a. C.). Io penso che volesse ristabilire il Patto dei leviti. Antioco IV spogliò il tempio e impose integralmente l’ellenizzazione dei costumi. Una guarnigione siriana si stabilì a Gerusalemme. La ellenizzazione forzata  proibì il libro della Legge, la circoncisione, e installò nel tempio un altare pagano. Analogamente il tempio del Garizim fu dedicato a Zeus Xenio. Menelao voleva liquidare il sacerdozio sadocita ovvero aronnita. Quando nel 164 Giuda Maccabeo  celebrò la riconsacrazione del tempio era sommo sacerdote Menelao. Tenuti presenti gli accenni nei Maccabei mi pare abbastanza probabile che questo Menelao e i Maccabei stessi, fossero leviti, e mirassero a tornare alle origini più pure della religione ebraica, ma soprattutto a tenere il potere a costo di combattersi fra loro. La reazione a Menelao e ai siriani che l’appoggiavano iniziò con Mattatia Maccabeo che non era sadocita (aronnita). Risale al suo tempo l’ellenizzazione del tempio con un altare verisimilmente a Zeus (167 a. C.). Interesse di Antioco IV era unificare la legge civile in tutto ’impero. Mattatia si ribella in nome del Patto. Nello Stato potevano convivere cittadini che vivevano secondo costumi diversi. E’ curioso che per motivi pratici (bellici) Mattatia abolì l’osservanza del sabato. Gli assidei che si schierano con i Maccabei sono gli antenati dei farisei.  Nominato Alcimo come sommo sacerdote da Demetrio I figlio di Seleuco IV gli assidei lo accettarono perché volevano vivere in pace secondo la oro Legge, non per i sogni di gloria dei Maccabei. Alcimo voleva rispettare i tradizionalisti ma non potendo pacificare il paese riprese la guerra contro Giuda causando la defezione degli assidei e il nuovo intervento della Siria, cadendo sul campo. Nel 153 Alessandro Bala avanzò la sua pretesa al trono di Siria e in cambio del suo esercito concesse  a Gionata il sommo sacerdozio.  A Gionata successe suo fratello Simone Asmoneo (141 a. C.), ancora non sadocita (aronnita). Simone è in pratica un re ellenistico e viene avversato dagli assidei…

 

Quando i musiti/leviti riprenderanno il potere, credo al tempo dei Maccabei (che poi saranno chiamati Asmonei; la nuova dedicazione del tempio da parte di  Giuda Maccabeo è del 164 a. C.), sminuiranno la figura di Aronne con maggiore sottigliezza. In 2 Maccabei (2, 2-3) i testi religiosi dei Maccabei provengono non a caso da Geremia (poi anche da Neemia, 2 Neemia 2, 13, che P. Sacchi  considera in linea col Deuteronomio. Dato che per me Neemia  è  uno sporco razzista aronnita come Ezra, potrò solo ammettere che si basa sul Deuteronomio rivisitato dagli aronniti, dunque Dtr².

 

E così abbiamo l’episodio del vitello d’oro (Es 32). Mosè ha appena ricevuto  le tavole della legge da Jahveh, che l’avvisa del vitello d’oro fatto fondere da Aronne su richiesta del popolo. Il popolo grida: « Ecco il tuo Dio, o Israele, colui che ti ha fatto uscire dal paese d’Egitto! »  Il Vitello d’oro come idolo  più recentemente poté essere suggerito  dal toro Apis egiziano che proprio sotto i faraoni della XXVI dinastia saitica,  da Psammetico I in poi, viene riportato in auge come tutta la tradizione religiosa antica più autentica. Il riferimento al vitello d’oro potrebbe essere tutto nel sottolineare il ritorno dei leviti dall’Egitto dopo la sua conquista da parte di Cambise II, dunque nel sottolineare che furono i leviti i primi a governare a Gerusalemme dopo l’”esilio” in Egitto.

Mosè, infuriato a causa dell’idolatria del suo popolo e di Aronne,  spezza  le tavole della legge e brucia il vitello d’oro,   poi ordina al leviti di uccidere tutti gli idolatri (aronniti), ben tremila. La violenza dei leviti come degli aronniti non sempre, come in questo caso, è storicamente vera, per fortuna. Si tratta solo di sottolineare la fedeltà dei leviti a Mosè, disposti a tutto. Disgraziatamente le parole hanno un peso e alla fine l’immagine degli Ebrei come violenti e sanguinari ha permeato di sé la Bibbia col risultato che sangue chiama sangue e gli Ebrei hanno scontato i peccati del loro libro sacro con le dispersioni, persecuzioni, olocausti che predicavano. I leviti compiono una carneficina degli idolatri ma Aronne non viene toccato in quanto come  capostipite del sacerdozio aronnita (e dunque il sacerdozio aronnita stesso che egli rappresenta) è  accreditato da troppo tempo (più di due secoli) per poterlo destituire ora. Ma è chiaro che il popolo idolatra (che ha solo fatto una richiesta cui si poteva opporre una risposta negativa da parte di un duce come Aronne) viene punito per il peccato di cui s’è macchiato Aronne, il che vuol dire che  si afferma che Aronne è un idolatra (più in generale un impostore). Mosè dice ai leviti che Jahveh li investe del potere (Es 32, 29) cioè il sacerdozio dei leviti ha ora il controllo del tempio.  L’accusa agli aronniti di idolatria secondo me si basa sul fatto  che  questi sono privi di  una tradizione sacerdotale autentica  in quanto nati, in esilio,  in opposizione ai e ad imitazione dei leviti per mettere le mani sulla cassa del tempio. L’attacco è perciò a tutto campo  contro la credibilità della tradizione aronnita nel suo complesso. Mosè spezza le tavole della legge e dunque suggerisce che esse non abbiano fondamento storico, insieme all’arca, all’interno della quale  gli aronniti affermano  sarebbero conservate, e ai cherubini che  proteggerebbero l’arca  all’interno del sancta sanctorum del tempio di Gerusalemme. Il Santo dei Santi era in effetti una vuota camera cubica immersa nel buio totale (ideale per il concepimento della Luna, meglio, del dio Luno/Sin, che è signore della notte). Riepilogando, l’ira di Mosè suscitata dal vitello d’oro appare come falso scopo (attirare l’attenzione su un pretesto di minore importanza) per affondare il colpo sull’inesistenza dei principali oggetti sacri della falsa tradizione aronnita: decalogo su tavolette d’argilla cotta scritte  in cuneiforme, arca, cherubini.

Il Deuteronomio conosce  il rotolo (libro papiraceo) della torah (31, 9.24-26) secondo cui Mosè,  prima di morire, scrisse su un rotolo  la torah datagli da Jahveh e la consegnò ai leviti che portavano l’arca perché la custodissero a fianco della medesima. Ovvio che Jahveh e l’arca sono innovazioni aronnite, ma non per accreditare il sacerdotale come torah di Mosè. L’arca (e quel che c’è dentro) e tutti gli ammennicoli vari del Sancta Sanctorum servono solo ad accreditare il secondo Tempio come erede del primo, a sua volta erede del Tabernacolo, che alla fine secondo R. E. Friedman era stato posto all’interno del Tempio e particolarmente del Sancta Sanctorum.   

 

L’episodio della lebbra di Miriam (Numeri 12) analogamente ha come oggetto reale la pretesa di Aronne (e Miriam sua sorella) e degli aronniti di profetizzare in nome di Jahveh così come lo stesso Mosè e dunque di avere lo stesso potere sacerdotale. Jahveh li smentisce in quanto Mosè parla direttamente con lui e lo vede faccia a faccia, mentre Aronne e Miriam ne ricevono i messaggi in sogno. Ora, poiché fra l’altro Aronne e Miriam sparlano della moglie kushita (sudanese/etiope/nubiana), cioè  negra, di Mosè, Jahveh punisce Miriam con la lebbra, per cui, per la legge del contrappasso, diventa  bianca come la neve. Punisce Miriam per lo stesso peccato di Aronne, la pretesa di essere sullo stesso piano profetico di Mosè. Aronne, come abbiamo visto è intoccabile perché non è possibile mettere in discussione oltre due secoli di sacerdozio aronnita.  La moglie di Mosè era e resta Zippora madianita. Una regione di Madian era Cushan. Lo scriba levita ci lavora sopra e la trasforma in Kush/Nubia/Etiopia/Sudan, una regione di moda in Egitto, da cui provenivano i leviti, dopo che vi era sorta la dinastia etiope che era assurta con Piankhy al dominio su tutto l’Egitto. Gli Etiopi erano neri di pelle. Nell’età dell’asilo di Geremia in Egitto è forte il contatto degli Ebrei con la cultura lasciata dalle dinastie  libiche ed etiopi, tutte con tratti religiosi e culturali comuni agli ebrei, specie gli Etiopi.  In entrambi i casi, vitello d’oro (bue Apis) e lebbra di Miriam (Kush/Etiopia), sono presenti solo ed esclusivamente in E (assenti in J e P aronniti),  Aronne riconosce la supremazia  di Mosè  chiamandolo “mio signore”. Non c’è dubbio dunque che gli elohisti hanno scritto questi brani di Deuteronomio (Dtr 9, 16 e Dtr 24, 9, II sec. a. C.) riferiti rispettivamente all’episodio del vitello d’oro e della lebbra di Miriam, come tarda interpolazione maccabaica (per sminuire gli aronniti ex signori del Tempio) nel loro documento originale proto-templare E. Deuteronomio è per definizione  posteriore a E, mentre secondo me è anteriore anche a J. In altri due casi, Deuteronomio è palesemente posteriore a J e anteriore a P, il primo e il secondo documento aronniti. Si tratta della ribellione di Datan e Abiram cui succedeva una voragine aperta nella terra che inghiottiva i ribelli a Mosè (del documento J, intrecciato con P, dove si menzionava Core e tutto finiva con un fuoco inviato da Jahveh che arrostiva duecentocinquanta leviti  che avevano osato offrire incenso pur non essendo sacedoti, cioè aronniti). Deuteronomio conosce J (Dt 11, 6) ma non l’integrazione di P in Numeri 16. Analogamente, nel caso della ricognizione in Canaan, Deuteronomio  (1, 36) mostra di conoscere Caleb di J (Numeri 13, 30; 14, 24), che aveva dato per sicura la possibilità della conquista,  ma non Giosuè aggiunto da P (Numeri 14, 6ss; 14,30). In questo caso si deve  pensare a tarde interpolazioni aronnite in quello che è diventato Dtr² come propedeutico a quel che sarà P.  Caleb era un eroe di una regione di Giuda comprendente la capitale Ebron, dunque figuriamoci se Deuteronomio originale, in teoria appartenente a Geremia elohista, avrebbe mai avuto interesse a sottolinearne la figura. Viceversa Giosuè era un eroe del nord originario della tribù di Efraim (altro nome di Israele), per cui suona male che Deuteronomio non vi faccia riferimento. A mio avviso Deuteronomio²  non cita P non perché gli è avverso (non gli è avverso perché questa parte di Deuteronomio è aronnita proprio perché cita J aronnita), ma perché non lo conosce in quanto P è più tardo. Un altro passo che ritengo aronnita interpolato in Deuteronomio è 31, 24ss in cui Mosè ordina, ai leviti, di porre non le due tavolette (bensì un rotolo della legge, P), a fianco dell’arca dell’alleanza. I leviti/elohisti negano l’esistenza dell’arca perché essendo gli eredi dei i popoli del mare perseguitati dai Romani, sanno bene che questa fu distrutta in seguito alla battaglia di Afèq e alla distruzione del campo di Silo e del tabernacolo, e allo sterminio degli sciamani invasati.

 

Ma, come si dice, fra cani non si mordono. Entrambe le congregazioni si litigavano ma,  stando dalla stessa parte di chi mangia senza lavorare, alle spalle dei creduloni,  non avevano interesse a combattersi fino a mettere in gioco la credibilità  di un dio cui a loro, diciamola tutta, non poteva fregare di meno,  col rischio di pregiudicare il malloppo bancario del tempio.

Dopo quanto ho detto non c’è nulla di strano se “Geremia” cita P (Gn 1, 1-3: « In principio Dio creò il cielo e la terra. Ora la terra era informe e deserta… Dio disse: ”Sia la luce! “ »):  « Guardai la terra, ed essa era informe e vuota; i cieli,  e la loro luce era scomparsa. » (Ger 4, 23) Ancora Geremia parafrasa quanto afferma P (che più volte afferma “siate fecondi e moltiplicatevi”  e ritiene che l’arca sia custodita nel Tabernacolo):    « Quando poi vi sarete moltiplicati e sarete stati fecondi nel paese,  in quei giorni — dice il Signore —  non si parlerà più dell’arca dell’alleanza del Signore; nessuno ci penserà né se ne ricorderà; essa non sarà rimpianta né rifatta. » (Ger 3, 16) Alla fine della sezione relativa ai sacrifici P afferma: « Questa è la legge  dell’olocausto, dell’oblazione, del sacrificio espiatorio, il sacrificio di riparazione, l’investitura e il sacrificio di comunione: legge che il Jahveh ha dato a Mosè sul monte Sinai, quando ordinò agli Israeliti di presentare le offerte a Jahveh nel deserto del Sinai. » (Lv 7, 37-38) e Geremia così replica: « In verità io non parlai né diedi comandi sull’olocausto e sul sacrificio ai vostri padri, quando li feci uscire dal paese d’Egitto.  »  (Ger 7, 22) Ovvio poi che P sia citato dal profeta “Ezechiele” (dai rimaneggiamenti posteriori dello stesso libro) che ne è certamente l’ispiratore. Ezechiele sta a P come Geremia sta a D.

 

A questo punto non esiste alcuna reazione aronnita (nei confronti di un testo che esalta Mosè e denigra Aronne),  una nuova versione della torah in cui potersi riconoscere, come pretende Friedman, e ciò perché gli aronniti hanno già scritto in precedenza queste versioni, J e P. Ora non scrivono più nulla perché hanno vinto definitivamente i leviti, e sono loro ad avere l’ultima parola.  Ma dal punto di vista formale già gli aronniti  con P e con la redazione finale di Ezra avevano accolto la visione elohista sia di un dio di nome Elohim (non più Jahveh) sia del Tabernacolo, e ancora di un ambiente scenografico arabo beduino lontano le mille miglia da un dio indoario e dalla civiltà indoaria (quale sarebbe Jahveh/Djaus). Il redattore finale, nonostante la politica  razzista e segregazionista aronnita (che però non attecchisce in Gerusalemme) ha unito insieme i codici più antichi E e J  col più recente P. Addirittura ha fatto iniziare  i libri del Pentateuco, Genesi, Esodo, il Levitico (tutto sacerdotale elohista), Numeri, con brani tratti dal sacerdotale. Ha posto alla fine il Deuteronomio (l’ultimo discorso di Mosè al popolo), ultimo libro della torah e primo della storia deuteronomistica, raccordo fra Genesi e 2 Re,  gli undici libri costituenti la prima Bibbia. Fu questo un compromesso fra aronniti al potere e leviti che erano stati da sempre al potere e che dunque era poco igienico mettere da parte ditattorialmente.  A mio avviso la funzione principale di Elohim nel sacerdotale, anteposto, sostituito a Jahveh, che rimane a mio avviso un refuso (non toccato, sia perché sarebbe troppo oneroso correggere e riscrivere daccapo tutta la Bibbia, ma soprattutto per rispetto all’antichità dei documenti di casta religiosa), significa   implicitamente che  nella lettura tutte le volte che compare Jahveh va sostituito con Elohim. Sarà probabilmente da attribuire a ciò l’interdetto di pronunciare il nome Jahveh col pretesto che si tratterebbe del nome cacro di dio).  L’abbiano gli aronniti previsto o meno, ciò ha per conseguenza di porre  l’accento sull’interpretazione della legge  secondo il vivi e lascia vivere dei leviti piuttosto che sulla intransigenza degli aronniti. Utilizzò poi il Libro delle Genealogie, anch’esso di origine sacerdotale (Elohim), per frammentarlo e inserirlo in punti chiave della Genesi al fine di creare una struttura portante (F. M. Cross), come nel caso delle dieci generazioni da Adamo a Noè poste fra la storia del primo e del secondo. Nel caso delle storie relative alla schiavitù di Israele sotto gli Egizi ogni piaga è seguita dalla frase « Ma il cuore di Faraone si ostinò, e non diede loro ascolto, come aveva predetto Jahveh », tratta dalla versione del sacerdotale. E ancora si servì di un elenco retrospettivo (ora in Num 33) di tutte le soste durante l’Esodo (« Queste sono le tappe degli Israeliti che uscirono dal paese d’Egitto.  »  F. M. Cross ha dimostrato che si trattava di documento indipendente come il Libro delle Genealogie.

 

Una civiltà araba.

I miei ultimi studi hanno sempre più  evidenziato che  la Bibbia è il più antico e importante  prodotto della civiltà araba.

In origine avevo seguito le tracce dei patriarchi fino ad Harran individuando  Mitanni, la regione da cui storicamente derivavano le grandi spose reali dei faraoni della morente XVIII dinastia e i loro onnipotenti visir signori della guerra carristi Abramo (il mio profeta e visir Giuda/Minosse, 1400 a. C. ca., lo Yuya degli “egittologi”, di cui al Museo del Cairo abbiamo la mummia di caucasico con le mani giunte in preghiera sul petto) e suo figlio Ey/Giuseppe (1330 ca., ache lui profeta e visir, e poi faraone, nella cui tomba amarniana abbiamo il grande inno  all’Aton).

 

Ora è evidente che questi personaggi storici  furono indoari e in quanto tali legati all’Aton mitannico e al Jahveh indoario in qualche modo connesso col medesimo. Nonostante ciò i patriarchi tutto sono presentati fuorché come ariani, e ugualmente nessuno potrebbe  sospettare che Jahveh fosse indoario  dato che Mosè lo incontrò in uno scenario da Mille e una Notte  in un’area araba come Madian. 

 

Rileggendo la Bibbia come documento arabo, l’unica lettura legittima, non sfuggirà che  Abramo, lo sceicco della steppa, proviene da Ur (proprio la Ur sumerica scavata da Woolley!),  poi si reca ad Harran e infine Mosè giungerà al Sinai. In tutti questi centri fu venerato il dio Luno Sin degli arabi. Ancora, Abramo è capostipite degli arabi da Ismaele, il circonciso figlio di Agar l’egiziana, a Giacobbe/Hyksos e Edom/Esaù, a Madian e Saba figli di Chetura e antenati di altre tribù arabe. Isacco, come ho già detto,  è previsto dalla tradizione musita/israelita solo come sacrificato a Jahveh, il che vuol dire che  Giacobbe e Esaù erano figli di Ismaele o fratelli minori del medesimo. 

Tutto il paesaggio culturale che fa da sfondo alla storia biblica è arabo, dalla carovana di cammelli e armenti di una nuova tribù in cerca del suo spazio vitale, punteggiato dallo scavo o dall’appropriazione di pozzi d’acqua, a quella  di mercanti  arabi, ismaeliti o madianiti o sabei, che trasportano profumi e spezie, oro, pietre preziose (e a volte schiavi) in Egitto, a quelle che vanno fino ai luoghi di culto di Sin (di Harran) in cerca di mogli che, come Rebecca,  portano l’anello al naso (Genesi 24, 22) ma si rigirano i mariti  come vogliono, trattandoli da babbei e togliendo il diritto di  primogenitura ad Esaù, che sposa mogli ittite, e dandolo a Giacobbe che rispetta la legge del matriarcato e cioè si va a scegliere le mogli nell’ambito della tribù materna.  Così Rebecca  fa travestire Giacobbe per  farlo passare per il primogenito Esaù ed essere benedetto al suoposto. Ora va bene che Isacco era cieco e fu ingannato al tatto dalla pelliccia sul corpo di Giacobbe, ma fatto sta che non riuscì nemmeno a distinguere  la voce e la puzza specifica  di  Isacco, da quella di Esaù. Fra i patriarchi arabi vigeva il matriarcato e non la donna lasciava la sua famiglia per unirsi a suo marito, bensì l’uomo lasciava la sua famiglia per unirsi a sua moglie presso la famiglia di questa  (J, Gen 2, 24). Anche Isacco accoglie Rebecca nella tenda della sua defunta madre Sara (J, Gen 24, 67).   Quando dunque gli aronniti proibiscono il matrimonio con le straniere hanno in mente la preminenza della donna (matriarcato) su cui si regge la nazione araba israelita. Gli aronniti, che a mio avviso non rispecchiano una tradizione culturale originale quanto piuttosto  una società per azioni mirante alla proprietà del tesoro del tempio, rappresentano un partito teso a mantenere l’identità etnica, mentre   i musiti, la cui tradizione  appare ragionevolmente  autentica, rappresentano un partito aperto agli scambi culturali.   

Nabonedo, l’ultimo re babilonese, sconfitto da Ciro II, venerava Sin del sud-Arabia (Sin di Hadramut) ed era stato in Arabia per ben dieci anni proprio per motivi religiosi. Sua madre era sacerdotessa di questo dio. Probabilmente, sperando nel  ritorno a Gerusalemme, gli aronniti si ingraziarono dapprima il re babilonese proponendogli di sostenere il culto di Sin dio Luno (è il tempo dell’elaborazione di J). Ma evidentemente Nabonedo non volle o non poté raccogliere e allora passarono a provarci coi nuovi padroni persiani attraverso un makeup di Sin.  Questo dio Luno era noto come Yhaw presso gli Shasu/Edomiti/Nabatei (l’Oreb era in realtà situato nella regione di Petra dei Nabatei; era il monte al-Madhbah, il Luogo Alto, vedi Collins e Ogilvie-Herald, op. cit., in partic. pp. 259-279), guida delle carovane che appunto viaggiavano di notte e legato al ciclo pastorale delle nascite.

 

Secondo il Deuteronomio il sabato segnava l’uscita dall’Egitto, che però non avvenne di sabato, bensì il giorno della luna piena, il 15 del primo mese. In età preesilica shabbàt non era il settimo giorno della settimana, giorno di riposo, bensì il giorno della luna piena (P. Sacchi, op. cit.,  nota 14, a pp. 60-61). Nel rituale preisraelita della pasqua  lo sterminatore era il demonio che personificava i pericoli che minacciano il gregge e la famiglia. A protezione si metteva sangue sulle porte delle tende (Bibbia di Gerusalemme, nota 12, 23, p. 149). Questa è l’origine, puramente araba, di un rituale che si è voluto poi riconnettere all’uscita dall’Egitto e allo sterminio dei primogeniti egizi (risparmiando gli ebrei che avevano segnato col sangue dell’agnello gli stipiti delle case) causato da Jahveh, il quale prende il posto del demone con qualche diritto, essendo il dio della morte della peste e della guerra. Ora “il volto di Jahveh” e “la gloria di Jahveh” sono antichi nomi per indicare la luna piena, ma a mio avviso il nome originario era Yahw, il dio luno di Seir/Edom/Shasu/Nabatene, la quale ultima in Giuseppe Flavio tende a diventare sinonimo di Arabia.  La damnatio memoriae di Edom da parte degli ebrei nasce dunque dall’intento di cancellare ogni possibile riferimento alla comune religione originaria, araba nabatea, del dio luno Jahw, che nulla ha a che vedere con Jahveh. Durante le feste arabe, ebraiche e samaritane l’adorazione inizia dopo il tramonto del sole e la comparsa della luna nuova, che viene placata/allietata dall’offerta di animali appena nati. Nell’arabia preislamica l’animale più sacrificato al dio luna era il toro, che con le sue corna era visto come personificazione del dio Sin (Collins e Ogilvie-Herald, op. cit.,  p. 255s). E’ classico che nelle religioni antiche il dio (attraverso il suo animale simbolo) sia sacrificato a sé stesso.

 

La fine del canyon, Siq, o crepaccio di Mosè a Petra, attraverso il quale scorrevano un tempo le acque dello Ain Mûsa (che Mosè fece scaturire colpendo la roccia).  Al centro il Gebel al-Madhbah, il Luogo Alto di Petra, dove Mosè parlò con  Jahveh e ne ricevette le tavole della legge. A destra i “piedi di Dio” alla base di un monte nello Wadi Rum, tra Petra e Aqaba. La tradizione locale ricollega Dushara (il dio dei monti Shara) alle cime più alte del monte coperte dalle nuvole (Esodo 24, 15-17). Nella Valle Segreta della Piccola Petra, sulle pareti della roccia sono state scolpite alcune paia di piedi giganteschi, in posizione ascendente, indicanti gli dèi o il dio che abita la regione. Per i beduini i rilievi indicano che il luogo è sacro e  invitano a togliersi le scarpe prima di procedere oltre, come nelle moschee (« Non ti avvicinare!  Togliti i sandali dai piedi,  perché il luogo dove stai è suolo santo! » Esodo 3, 4-5). I piedi indicano anche la presenza di fonti d’acqua e sono considerati segni di buona fortuna. (Foto e citazioni da La cospirazione di Tutankhamen di A. Collins e Ch. Ogilvie-Herald, Newton Compton Editori)

 

Laprincipale divinità nabatea, Dushara (affine all’edomita Qaush), aramaico “Signore dei monti Shara/Seir”, era raffigurato inizialmente come pietra grezza quadrangolare con occhi e naso ma senza bocca perché con lui non si poteva parlare (se non tramite un sacerdote o sua moglie Uzza), poi con una forma triangolare, testa di toro   o  monte, sormontata dalla mezzaluna e a volte da una stella, che fu poi il simbolo dell’islam. Come pietra-divinità Dushara si trova  scolpito nelle nicchie dei betili (Bet-el, “casa del dio”, in origine dei tabernacoli costituiti da colonne o pilastri singoli detti masseboth). Affine a Dushara era il nabateo Qaush (Collins e  Ogilvie-Herald, op. cit. p. 274ss).

 

In età persiano-ellenistica si sviluppa l’angelologia/demonologia (che immagino dev’essere in origine un fenomeno del tutto orientale e quindi entrato nell’ellenismo dal suo versante orientale). Ad esempio,  i giganti distrutti dal Diluvio di Noè (quello storico, del Mar Nero, si cololoca nel XIII-XIV sec. a. C.)  non sono più quello che storicamente furono, i Romani razza divina di Atlantide, gli eroi famosi figli degli dèi (elohim; dunque Achille figlio di Teti o Enea figlio di Afrodite),  visti come estintisi in una guerra (la guerra di Troia) di sterminio condotta contro Ittiti ed Egizi nonché ribelli regoli Siriani, che chiuse l’età del bronzo (vedi sempre il mio lavoro “Roma” su questo sito),  ma diventano angeli caduti che si sono resi impuri unendosi con le donne mortali (unione fra Atlantidei dèi e Vicino Orientali mortali, che portò, secondo la tradizione, alla via via umanizzazione completa dei figli dei primi e dunque alla loro estinzione). I luoghi palestinesi delle feroci battaglie dei Giganti (erano visti giganteschi proprio per la loro capacità guerriera e le loro gesta che nel racconto ingigantivano tutto) Romani contro i popoli del mare traco-illiri-armeni invasori e portatori della prima stratificazione del culto jahveista, erano cosparsi ancora di ossa o di qualche armatura e di armi (Baruc, 3, 26ss). Niente di strano se  le anime di questi nefilim continuavano ad aggirarsi sulla terra per fare del male agli uomini e istigarli alla ribellione contro Dio. Lo stesso troviamo nell’ambito della tradizione cristiana dei Vangeli (tutti  ovviamente posteriori al 70 d. C., mentre il vangelo di Giovanni è ancora più tardo, intorno al 100 d. C. perché se gli altri erano liberi di scrivere e far circolare gli scritti, questo era recluso a Pathmos o dove che sia e solo più tardi i suoi scritti riuscirono a passare attraverso il blocco romano) dove nei Vangeli sinottici  troviamo i due indemoniati di Gadara che vivevano nei sepolcri, posseduti dalle anime di questi spiriti diabolici. Si tratta dei jinn della tradizione araba che, analogamente, quando si ribellano ad Allah diventano spiriti malvagi.

Daniele (scritto nel II secolo a. C., anche se la storia è ambientata al tempo dell’esilio) in Babilonia si inginocchia tre volte al giorno verso al-Alah cioè Allah (“il Dio”, “l’unico vero Dio”, nei documenti in siriaco corrispondenti alla parte aramaica di Daniele) di Gerusalemme, così come faceva all’inizio Maometto, che poi, venuto in contrasto con gli ebrei, si indirizzò verso la Mecca cinque volte al giorno. Alla fin fine mi piace pensare che  il dio ebraico è il dio (El, Eloah, Allah) che da cinquemila anni  (El è attestato già in documenti presargonici, ovvero del III millennio,  in Mesopotamia)  aleggia sul Vicino Oriente.

 

Il Corano, la parola scritta di Allah scesa dal cielo. Maometto riceve la rivelazione di Allah tramite l’angelo Gabriele che gli impone di recitare i versi  presentatigli scritti su un panno  (il Corano)  fino a memorizzarli e sentirli impressi nel suo cuore. La rivelazione non avvenne in una sola volta ma in oltre trent’anni, dal 610 al 632 d. C., anno in cui il profeta morì. Per cercare di ricostruire la rivelazione nel mondo arabo si può  leggere Ezechiele, cui Jahveh dice: « “ apri la bocca e mangia ciò che di do… nutrisci il ventre e riempi le viscere con questo rotolo [scritto sui due lati] che ti porgo.” Io lo mangiai e fu per la mia bocca dolce come il miele. » (2, 8.9-3, 1-3; qui la parola di Jahveh viene assimilata con un esempio materialistico efficace) o anche l’ideologia del medio giudaismo secondo cui esiste presso Dio il libro della Legge che appunto scende dal cielo: « alcuni testi si domandarono come poteva essere amico di Dio Abramo, se ancora non conosceva la Legge. Si parlò così di una legge scritta nelle tavole celesti, legge assoluta, della quale quella umana era solo una eco in qualche modo imperfetta: secondo il Libro dei Giubilei, gli angeli che guidano Adamo osservano già la Legge, naturalmente quale era scritta nelle tavole celesti (Giub 3, 10. 31). » (P. Sacchi, Storia del Secondo Tempio, SEI, p. 283). Secondo il IV Libro di Ezra, un apocrifo della fine I sec. a. C.-inizio I  sec. d. C., durante la presa di Gerusalemme del 587, il rotolo della Torah di Mosè sarebbe andato distrutto insieme al resto nell’incendio del Tempio. Ezra lo scriba prega allora Dio, che si trova nel roveto ardente: “ Se ho trovato grazia presso di te, inviami lo Spirito Santo, e io scriverò tutto quello che è accaduto sulla terra fin dall’inizio, tutte le cose che erano scritte nella tua Legge.”  Dunque anche qui Elohim, tramite lo Spirito Santo, per quaranta giorni trasmette il testo della Legge a Ezra che lo ripete fino ad impararlo a memoria. Ma ancor prima Mosè sale sul monte Oreb per ricevervi direttamente dalle mani di Dio le due “tavolette scritte sui due lati, da una parte e dall’altra. Le tavolette erano opera di Dio, la scrittura era scrittura di Dio, incisa sulle tavolette.” (Esodo 32, 15-16; “scritte dal dito di Dio”, Es 31,18, si tratta indubbiamente di tavolette cuneiformi d’argilla cotta in uso a Babilonia).

 

Per ottenere l’autorizzazione alla ricostruzione del tempio gli aronniti avevano dovuto  proporre forma e  dimensioni  diverse da quelle originarie, una  forma cubica come la ziqqurat (P. Sacchi, pp. 38-39), come il sancta sanctorum (un cubo di 20 cubiti per lato, secondo R. E. Friedman, p. 154) del tempio salomonico di Gerusalemme e, in pratica, più o meno come la stessa Ka’ba (“dado”, di 10 x 12 x 15) della Mecca. L’arca, sempre che sia esistita, fu distrutta dai Romani nella battaglia di Afèq. Piuttosto credo che molti elementi della religione egizia tarda, ripiegata su se stessa in cerca della purezza originaria, siano stati portati dai leviti (che hanno nomi egizi) a Gerusalemme, come la barca (non l’arca) oracolare di Amon, la fede straordinaria che gli etiopi hanno in questo dio venerato fino in Nubia/Kush/Etiopia/Sudan, la purificazione nell’acqua, la circoncisione, ecc. Il dio Luno nasce dalla notte (e precede il giorno come la Luna il Sole) e nella più profonda oscurità è immerso il sancta sanctorum (completamente vuoto) del tempio di Gerusalemme. Il dio Sin, sumerico zu-en/en-zu, era il “Signore della conoscenza”, della sapienza, come ci appare il serpente “guardiano” del giardino (“paradeisos” persiano, che era un vero e proprio giardino zoologico, svago dei re antichi) dell’Eden, che in origine era il vero e proprio dio del medesimo. Il serpente appar vivere molto a lungo cambiando pelle, e può suggerire con la sua lunga vita anche una grande sapienza.

 

Riguardo  alla “misericordia” di dio c’è ovviamente nel tempo una evoluzione in meglio dovuta all’evoluzione dei costumi sociali. Si passa ad esempio dal codice J aronnita e razzista di Esodo 34, 6-7, in cui Jahveh dice di se stesso di essere un: “ dio  misericordioso e clemente, lento all’ira e ricco di grazia e di fedeltà, che conserva il suo favore per mille generazioni, che perdona la colpa, la trasgressione e il peccato, ma non lascia senza punizione, che castiga la colpa dei padri nei figli e nei figli dei figli fino alla terza e alla quarta generazione.”, a quello ispirato da Ezechiele  e di Geremia, in età esilica, secondo cui ognuno paga per le sue colpe (Ez 14, 13ss; Ger 31, 29-30; Dt 24, 16),  fino a  Neemia, quando sono tornati a Gerusalemme ma come sudditi dei re persiani e poi macedoni, e conviene  calcare la mano più sul dio clemente e misericordioso che non sui peccati dei padri o propri e sull’inesorabile  castigo conseguente: “Però nella tua molteplice compassione, tu non li hai sterminati del tutto e non li hai abbandonati perché sei un dio clemente e misericordioso. Ora, Dio nostro, il [vero] Dio grande, potente e tremendo, che mantieni l’alleanza e la misericordia, non sembri poca cosa… tutta la sventura che è piombata su di noi… dal tempo dei re d’Assiria fino ad oggi. Tu sei stato giusto  in tutto quello che ci è avvenuto… I nostri re, i nostri capi, i nostri sacerdoti, i nostri padri non hanno messo in pratica la tua legge e non hanno obbedito né ai comandi né agli ammonimenti con i quali tu li scongiuravi… Oggi eccoci schiavi nel paese che tu hai concesso ai nostri padri… I suoi prodotti abbondanti sono dei re [assiri, babilonesi e da ultimo  persiani e macedoni] ai quali tu ci hai sottoposti a causa dei nostri peccati e che sono padroni dei nostri corpi e del nostro bestiame a loro piacere e noi siamo in grande angoscia.” (Ne 9, 31ss) Anche Allah è Il [vero] Dio, clemente e misericordioso, per cui non si può non notare la stretta affinità culturale che lega l’islam al culto ebraico che da ultimo risente di un’impostazione elohista che lo stesso Ezra ha dato a tutto il Pentateuco ponendogli il cappello elohista del sacerdotale. Nel Deuteronomio originale,  « Se di là [disperso fra i popoli] cercherai Jahveh tuo dio, allora certamente  lo troverai, se lo cercherai con tutto il tuo cuore e con tutta la tua l’anima… Tornerai a Jahveh   tuo dio e ascolterai la sua voce, poiché Jahveh  tuo dio è un dio misericordioso; non ti abbandonerà e non ti distruggerà, non dimenticherà l’alleanza che ha  giurata ai tuoi padri.  » (4, 29-31)

 

La Transeufratene, V satrapia persiana, altro non era che l’Arabia, fra il Nilo e l’Eufrate.

 

Dal 622 a. C. della “scoperta” della legge del Deuteronomio   (viene alla mente il Documento di teologia menfita copia in pietra del tempo di Shabaka, successore di Piankhy,  di un rotolo di cuoio “mangiato dai vermi”) al 622 d. C. dell’Egira  di Maometto più di un millennio di immobilismo della civiltà beduina araba non ha visto cambiare gran che nel culto del dio di Petra dei mercanti carovanieri Nabatei. Voglio qui sottolineare che si parla di Ebrei solo a partire dall’età ellenistica (come esito dalla definizione della (Eber) Trans-eufratene, la V satrapia, al cui interno, fra altri popoli arabi c’erano anche coloro che estesamente vennero chiamati in questo modo. Che un popolo venga chiamato così astrattamente come colui che vive al di là dell’Eufrate mi sembra tanto più grave in quanto i popoli circostanti non parlano di Giudei o Israeliti (la stele cosiddetta di Israele  li vede addirittura sterminati sotto Merenptah; si può trattare dei primi barbari popoli del mare illirico-traco-armeni che penetrano dalla valle di Israel, tipi da paura come Calcante, Jefte e Samuele), bensì, da Sennacherib assiro (705-681; nel prisma) ai tempi di Erodoto (V secolo a. C., le Storie), di arabi, e del resto la Bibbia a mio avviso va vista come la più antica e profonda espressione della civiltà araba in nostro possesso. Ebraico e arabo sono due lingue strettissimamente imparentate (il profano non si lasci ingannare dalla differente scrittura; la scrittura è semplicemente un veicolo, perfino accidentale, della lingua, la sola fondamentale) e con la g dura che chiunque può verificare seguendo un telegiornale  egiziano e ebraico gli ebrei dimostrano effettivamente  di aver vissuto in Egitto per un lungo tempo. Usi e costumi sono gli stessi ieri come oggi (ad es. la circoncisione) mentre altri oggi restano praticati dagli islamici di determinati paesi e non più dagli ebrei  (poligamia, vedi Deut 17, 17 a proposito del re;  e lapidazone della moglie scoperta non vergine dal marito, della vergine fidanzata e della donna sposata che pecchino con un altro uomo, vedi Deut 22, 22-28-29; che la vergine sia in una posizione subordinata lo dimostra il fatto che se non è fidanzata viene pagato un risarcimento al padre e lo stupratore ha il diritto di sposarla, anche se lei non vuole; così se la vergine fidanzata e l’uomo sono sorpresi in aperta campagna viene lapidato solo l’uomo perché si presume che lei abbia gridato ma nessuno abbia potuto udirla e accorrere in aiuto). La lapidazione e altre azioni efferate praticate ancor oggi in determinati paesi islamici dovrebbero essere fermamente represse dalla comunità internazionale.

 

A suo tempo i preti riuscirono ad abbindolare re e masse ciuche. Da Cristoforo Colombo e Galileo in poi non è più il tempo di credere agli stregoni, soprattutto ora che andiamo nello Spazio e realizziamo grandi progressi nell’ingegneria applicata alla medicina, per cui perfino l’immortalità dell’uomo non è che un sogno realizabile. L’uomo deve la sua intelligenza solo alla evoluzione della materia. Né dio né i preti c’entano qualcosa. L’Uomo è il Signore dell’Universo e si rigirerà l’Universo come un calzino. Si porta dietro la zavorra della non civiltà legata al suo inconscio di ex scimmia e magari, più indietro, di ex Tirannosaurus-rex. Sarebbe ora che facesse a pezzi questa stupida ruota di pietra di Fantozzi che si porta dietro senza nemmeno sapere più perché. Ma all’orizzonte vedo la fine della religione, di ogni religione. Il futuro è solo della Scienza e in particolare della Fisica.    

 

 

Fine

 

ATTENZIONE! Avete creato o avete intenzione di creare un sito con contenuti seri, scientifici, o cui comunque tenete particolarmente, sull’insieme Xoomer.it, Virgilio.it, Telecomitalia? NON FATELO! Tutti i miei lavori (frutto di anni di lavoro intenso) postati sul sito di questo GESTORE INFEDELE, XOOMER.IT: http://xoomer.virgilio.it/corsinimg sono stati rimossi insieme al sito stesso senza alcun preavviso e motivazione. Non pensavo minimamente che potesse accadere un’assurdità simile, ed è per ciò che il fatto mi ha colto di sorpresa. Quando me ne sono accorto e ho reclamato, la motivazione dei tecnici (perché solo da loro ho ricevuto risposta) è stata che non usavo il sito da tempo! Cioè non inserivo nuovi lavori… Queste teste di cazzo non capiscono che non sono io a dover frequentare il mio sito, ma gli utenti, voi,  che vi ci collegate e che in ogni tempo trovate lavori da consultare, per sempre. E pensare che questa storia da incubo iniziò quando mi arrivarono delle e-mail di Telecomitalia che  mi… pregava di postare i miei lavori su Xoomer.it, e io stupidamente accettai.

 

 

 

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