"Chimica: questione di vita o di morte"
di
Marco FranceschinNota dell'autore: Questo racconto è frutto esclusivamente della mia fantasia, pertanto ogni riferimento a persone realmente esistenti o a fatti realmente accaduti è da ritenersi puramente casuale. Per quanto riguarda i luoghi, mi sono liberamente ispirato ai dipartimenti dell'Università di Roma "La Sapienza". Buona lettura!
Il flusso di pensieri sembrava interminabile. Non che ne avesse avuta alcuna intenzione, ma quella mattina di primavera sembrava destinata ad essere per Davide uno di quei momenti di verifica a cui di tanto in tanto si sottoponeva. L’aria fresca del mattino era stemperata da un tiepido sole che cominciava a trapelare nello spazio tra un palazzo e l’altro, non riuscendo ancora a superarli in altezza, e le persone per strada erano ancora poche: più tardi probabilmente sarebbe stato un problema riuscire a camminare sul marciapiede. In quei dieci minuti a piedi che separavano la fermata della metro dal Dipartimento di Biologia Molecolare, Davide era riuscito a ripercorrere i suoi ultimi dieci anni di vita: la tanto sospirata laurea, il dottorato in genetica e biologia molecolare, tutte le difficoltà che come chimico aveva dovuto superare in quell’ambiente, la soddisfazione di vincere il concorso per ricercatore universitario nello stesso dipartimento. Sembrava avere tutto ciò che aveva desiderato fin dal giorno in cui si era iscritto all’università, eppure il suo entusiasmo e il suo amore per la scienza e per la ricerca avevano dovuto subire duri colpi in quegli ultimi anni: il mondo della ricerca si era rivelato più una perversa combinazione di interessi economici e di potere che il luogo dove esprimere al meglio e liberamente le proprie capacità intellettuali al fine di aumentare la conoscenza della natura e dei suoi meravigliosi fenomeni, come lui aveva sempre sostenuto. Forse era solo una di quelle giornate, o di quei periodi, in cui prevaleva in lui una certa vena pessimistica, ma gli sembrava che tanti sacrifici fatti per arrivare fino a lì non erano stati ben ripagati e proprio non riusciva a percepire nemmeno lontanamente il fascino dello studio delle basi molecolari della vita: sembravano appartenere ad un’altra esistenza quei momenti in cui aveva fatto scelte importanti nella sua vita sulla scia dell'entusiasmo che aveva provato nel realizzare che la vera essenza di quella cosa complessa e meravigliosa che è la vita risiedeva nelle proprietà della materia stessa di cui sono costituiti gli esseri viventi, cioè in ultima analisi atomi e molecole, gli stessi oggetti che compongono la materia non vivente. Comunque il contrasto tra il riverbero del sole sulla scalinata bianca ai piedi dell’edificio e il buio dell’atrio scacciò quei pensieri e gli ricordò che era arrivato a destinazione e che aveva davanti a sé una giornata da vivere, in cui forse sarebbe riuscito a fare qualcosa di buono. Salì le ormai familiari due rampe di scale per arrivare al corridoio dove si affacciavano le porte di studi e laboratori, in gran parte ancora chiuse a quell’ora del mattino: gli piaceva quell’atmosfera silenziosa che gli permetteva di mettere a punto nei dettagli i suoi progetti ed esperimenti. Silenzio?! No, quella mattina, oltre al suono dei suoi passi, c’era un insolito ronzio, che veniva amplificato dal corridoio vuoto. Sembrava proprio una centrifuga, ma chi poteva averla azionata così presto? O forse era stata inavvertitamente lasciata accesa dalla sera prima? Davide si avviò immediatamente verso la porta semiaperta da cui proveniva il rumore per trovare una risposta a quegli interrogativi: era il laboratorio dell’anziana professoressa Carli, deceduta per infarto appena tre giorni prima. Entrando sentì il rumore della centrifuga in funzione ancora più forte, però sembrava non esserci nessuno, anche perché non aveva ottenuto risposta quando aveva provato a domandare se ci fosse qualcuno. Continuò a camminare, ancora con la sua borsa in mano, tra i banconi del laboratorio, quando dietro ad uno di essi vide una massa di capelli. Anche se non ne capiva ancora il significato riconobbe subito il colore rosso scuro dei capelli di Anna, anche lei chimico, arrivata due settimane prima grazie ad un assegno di ricerca subito dopo aver concluso il dottorato in chimica. Si avvicinò con preoccupazione crescente e, dopo aver girato dietro al bancone, vide il corpo inerte di Anna disteso a terra con la faccia rivolta verso il pavimento e appoggiata ad un braccio. Mentre pensava: "O mio Dio, non sarà mica...", si chinò, la girò su un fianco e vide l’espressione di sofferenza fissata indelebilmente sul suo volto: non avrebbe dimenticato quel viso contratto per il resto della sua vita. Non sapeva come comportarsi, si rialzò e non poté fare a meno di pensare che uno dei motivi principali per cui aveva scelto di non laurearsi in biologia o medicina era proprio il fatto di non voler avere niente a che fare con cadaveri, autopsie e neppure con l’anatomia, come se in quella situazione la cosa peggiore fosse stata il contatto fisico con un cadavere. Dopo pochi minuti si riprese dallo shock e pensò che la cosa migliore da fare fosse chiamare la polizia.
Dopo circa mezz’ora arrivarono due uomini in divisa: si presentarono come il commissario Alessandro Finocchi e un agente della sua squadra. Nel frattempo erano arrivati altri quattro o cinque dipendenti del dipartimento che l’agente si preoccupò di interrogare senza ricavarne molto, mentre il commissario si dedicò a perquisire il laboratorio dove era stato ritrovato il cadavere insieme a Davide, a cui intanto rivolse diverse domande. Davide notò la dimestichezza nella perquisizione del laboratorio e nella raccolta di possibili indizi e Alessandro gli spiegò: "Sa, anch'io sono un chimico e ho lavorato per diversi anni nella polizia scientifica prima di diventare commissario." Davide non poté in realtà fornire molte informazioni sull’accaduto e comunicò ad Alessandro che il direttore del dipartimento, con cui lui voleva parlare, era assente per un convegno da una settimana e che non sarebbe tornato prima di un’altra settimana, per giunta non era neppure reperibile e la professoressa Carli, che lo sostituiva in sua assenza, era scomparsa pochi giorni prima. Visto che non sembrava ci fosse molto altro da fare lì, Alessandro lasciò il suo agente ad aspettare il resto della squadra, dando ordine di non far entrare nessuno nel laboratorio se non gli agenti della scientifica, e si avviò verso il Dipartimento di Chimica, dove Anna era stata fino a due settimana prima.
Erano passati diversi anni dall’ultima volta che Alessandro aveva messo piede in quel dipartimento: al tempo dei suoi studi universitari avrebbe voluto provare a rimanere nell’ambiente universitario e probabilmente ci sarebbe riuscito, era cosciente di essere una persona in gamba, ma poi la sua fidanzata rimase incinta e si dovettero sposare, così lui fu costretto a terminare rapidamente gli studi e a cercare un posto fisso, che appunto trovò nella polizia scientifica. In fondo non era dispiaciuto per niente della sua vita: un lavoro stimolante che gli aveva permesso di fare carriera, una famiglia felice con due bambini e una bambina, avrebbe trovato più soddisfazione nella ricerca? Probabilmente non sarebbe mai riuscito a rispondere a quella domanda. Appena entrato nell'atrio del vecchio edificio Alessandro rimase colpito da un odore un po' strano che lo riportò al giorno in cui per la prima volta aveva messo piede in quell'edificio: già allora era stato colpito da quell'odore, probabilmente dovuto ai vecchi oggetti pieni di polvere presenti nelle bacheche disposte un po' ovunque. Negli anni in cui tutti i giorni si recava lì vi si era completamente abituato, mentre ora l'aveva notato subito: si rese conto che in fondo era un estraneo in quei luoghi un tempo così familiari, o forse no? Senza bisogno di chiedere informazioni attraversò l'atrio e cominciò a salire le scale per arrivare al terzo piano: Davide gli aveva indicato il nome del professore presso cui Anna aveva svolto il suo lavoro di dottorato e Alessandro lo conosceva bene, era stato anche lui un suo allievo. Arrivato alla porta del suo studio, bussò, aspettò una risposta ed entrò: il professore stava seduto alla sua scrivania e un ragazzo gli stava davanti, probabilmente stavano discutendo di qualcosa. Alessandro non pretendeva certo che si ricordasse di lui, quindi si presentò come commissario di polizia, spiegando rapidamente, ma con il tatto che lo aveva sempre contraddistinto, il motivo della sua visita. Il professore apparve visibilmente scosso e sinceramente dispiaciuto di fronte a quelle notizie, ma la reazione del ragazzo fu sorprendentemente esagerata: si alzò dalla sedia e scoppiò immediatamente in lacrime, cominciando subito dopo a camminare velocemente per la stanza in tutte le direzioni, con le mani nei capelli, continuando a ripetere: "Non è possibile, non è possibile...", con tono rapidamente crescente, fino ad arrivare a gridare. Il professore cercò subito di calmarlo, mentre due ragazze accorsero dal laboratorio accanto richiamate da quelle grida. Nel giro di pochi minuti si ristabilì l'usuale calma: il ragazzo continuava a piangere, ma più sommessamente, seduto su una sedia e appoggiato alla scrivania, consolato da una delle due ragazze. Intanto il professore aveva cominciato a parlare con Alessandro: "Poverino, era fidanzato con Anna da diversi anni. Si chiama Stefano, anche lui sta per concludere il ciclo di dottorato in chimica." Alessandro guardò quel ragazzo distrutto dal dolore e provò molta pena per lui: quegli anni nella polizia non erano ancora stati sufficienti a renderlo freddo e distaccato di fronte alle vittime di omicidi, e ancor di meno di fronte a chi doveva vivere con il vuoto dentro causato dalla perdita di una persona cara. Il professore continuò: "Certo, a volte litigavano, e lui mostrava anche una certa ferocia in quelle discussioni, ma sono convinto che le volesse veramente bene." "E ultimamente è avvenuta qualcuna di queste discussioni?", chiese Alessandro. "Non penserà mica che...", cominciò a dire il professore, ma Alessandro lo interruppe: "Non si preoccupi, devo solo prendere il maggior numero di informazioni." Ma fu una delle due ragazze a intervenire: "No, ultimamente non hanno avuto discussioni particolarmente accese, almeno non qui..." "Cosa vuole dire? E, mi permetta, chi è lei?", chiese Alessandro pronto a prendere annotazioni sul suo taccuino, guardando gli occhi ancora traboccanti di lacrime della ragazza. "Mi chiamo Carla e sto svolgendo il mio lavoro di tesi in questo laboratorio ormai da un anno. In questo periodo io e Anna siamo diventate amiche inseparabili, e anche in queste ultime due settimane, nonostante lei si fosse trasferita al Dipartimento di Biologia Molecolare, ci siamo sentite spesso. Diverse volte mi ha raccontato che Stefano arrivava anche a picchiarla, non qui ovviamente, e appena tre giorni fa mi ha telefonato confidandomi di avere appena avuto la conferma di essere incinta e dicendomi di essere terrorizzata all'idea di doverlo dire a Stefano, ma, non potendo rimandare oltre, aveva deciso di dirglielo quella sera stessa o al più il giorno successivo." "E lo ha fatto?" "Purtroppo in questi due giorni mia sorella è stata molto male, sono stata tutto il giorno in ospedale accanto a lei e non ho potuto chiamare Anna, avrei voluto farlo, avrei dovuto, ma ero così preoccupata per mia sorella che mi è passato di mente, speravo di chiamarla oggi, ma...", e scoppiò in singhiozzi, non riuscendo a finire la frase. Alessandro non riuscì ad ottenere altre informazioni che potessero essergli utili per le indagini, eccetto alcune indicazioni sugli strani movimenti di Stefano durante i due giorni precedenti: era arrivato in laboratorio molto tardi, dopo aver passato quasi tutta la mattinata in biblioteca, mentre la sera era stato l'ultimo ad andarsene, rimanendo oltre l'orario di chiusura. "E' proibito permanere all'interno dell'edificio ed eseguire esperimenti oltre l'orario di chiusura!", gli fece notare Alessandro. "Lo so, ma non è poi così infrequente che ciò avvenga", gli rispose Stefano, che nel frattempo sembrava essersi ripreso abbastanza bene: "Ho solo cercato di recuperare il tempo perso ieri mattina per fare una ricerca bibliografica." "Su quale argomento?" "Sullo stesso su cui sto lavorando da anni, ne ho quasi la nausea! Comunque non ho trovato praticamente nulla di nuovo." "Quindi non è riuscito a trovare alcun materiale..." "No, vuole insinuare qualcosa?", disse Stefano in tono aspro. "Assolutamente no. Lei era a conoscenza del fatto che Anna era incinta?" "Incinta?!", gridò Stefano con un tono di voce così alto da far girare tutti i presenti, mentre rimaneva con gli occhi sbarrati e la bocca aperta. "Mi permetta un'ultima domanda: da dove è uscito ieri sera e a che ora?" Stefano, con lo sguardo ancora un po' perso nel vuoto, rispose: "Sono andato via verso le nove e mezzo, uscendo dalla porta principale, che è sempre possibile aprire dall'interno."
Era ormai mezzogiorno quando Alessandro fece ritorno al Dipartimento di Biologia Molecolare e il sole splendeva alto nel cielo, cominciava a fare davvero caldo. Si recò immediatamente nel laboratorio dove era stato scoperto il cadavere: gli agenti della scientifica avevano quasi finito il loro lavoro. Alessandro fece un cenno di saluto a Giuseppe: era un tipo in gamba, aveva imparato molto da Alessandro e ora aveva il suo posto nella squadra della scientifica. "Salve capo! Purtroppo non abbiamo trovato molto, anzi quasi niente, qui usano tutti i guanti e ci sono pochissime impronte." "E' arrivato il medico legale?" "Sì, puoi trovarlo ancora a smanettare sul cadavere." Quando Alessandro si avvicinò il dottore stava dando disposizioni per far portare il corpo all'obitorio, vedendolo gli disse: "Buongiorno commissario. Non posso ancora dirle molto, potrò essere più preciso solo dopo l'autopsia, ma direi che la morte è avvenuta tra le 21 e le 23 di ieri sera. Inoltre sul corpo, a parte due lividi non eccessivamente evidenti intorno alla gola, non ho trovato tracce né di violenza, né di punture. Credo si tratti di avvelenamento." Alessandro ringraziò il dottore per la collaborazione e raggiunse il resto degli agenti, che avevano posto la loro base di azione nella segreteria, subito accanto all'entrata del lungo corridoio, in modo da poter controllare il flusso di persone. Il suo vice aveva cominciato ad interrogare le persone che erano via via arrivate, insieme ad altri due agenti. Alessandro apprezzò l'iniziativa e si fece riferire tutto: avevano già interrogato una trentina di persone, ma le uniche informazioni che erano riusciti ad ottenere consistevano nel fatto che, secondo la segretaria, mancavano alcuni documenti e che Anna era rimasta oltre l'orario di chiusura. "Allora è un vizio!", pensò ad alta voce Alessandro. Gli rispose subito una voce di donna alle sue spalle: "Che ci vuole fare, noi ricercatori a volte siamo così ansiosi di ottenere dei risultati che perdiamo il senso del tempo! Piacere, sono la dottoressa Minetti." Alessandro strinse la mano che gli era stata porta e guardò il viso della donna: doveva essere sulla quarantina, con appena qualche piccola ruga agli angoli degli occhi azzurri, ma con un aspetto nel complesso molto ben curato, un bel volto accuratamente truccato, incorniciato da un'abbondante massa di riccioli biondi. "Conoscevo appena la povera Anna, ma si era già dimostrata così zelante!", continuò lei, passando dal sorriso iniziale, poco adatto alle circostanze, ad un'espressione di sincero dispiacere: "Aveva quelle macchie blu da colorante sul camice, evidentemente non aveva nemmeno il tempo di metterlo in candeggina!" Alessandro la ringraziò per le informazioni e cercò la segretaria per approfondire la questione dei documenti scomparsi. La donna gli spiegò che si trattava di alcuni fogli con l'elenco delle spese affrontate dal dipartimento nell'ultimo mese. "Non rivestivano alcun particolare interesse, era un lavoro di routine e temo di averli dimenticati sul ripiano della fotocopiatrice nel corridoio ieri sera prima di andare via." "A che ora ha lasciato l'edificio?" "Alle 19, come tutte le sere." "E' sicura che non ci fosse altro?" "Sicurissima, ero andata lì per fotocopiarli, ma poi ho dovuto rispondere al telefono e mi è passato di mente." "Pensa che qualcuno potesse essere particolarmente interessato a quei fogli?" "No, come le ho già detto non erano documenti importanti, solo che appena sono arrivata questa mattina ne ho notato subito l'assenza, perché ieri sera tornando a casa mi ero già accorta di quella piccola disattenzione. E poi come avrebbero fatto a sapere che li avevo accidentalmente lasciati lì, mentre dovevano essere chiusi a chiave nel mio ufficio?" "Già!", Alessandro lasciò la signora e avvicinandosi alla fotocopiatrice notò tracce di smalto rosso sul ripiano e ne fece prendere un campione da analizzare. "Lo stesso vistoso smalto della dottoressa Minetti", pensò.
Nei due giorni successivi le uniche novità giunsero dall'autopsia: Anna era effettivamente incinta e la sua morte, avvenuta intorno alle 22, era stata causata da una dose letale, ma non eccessivamente alta, di cianuro, noto e potentissimo veleno. Le analisi di laboratorio avevano però anche rilevato una discreta quantità di mifepristone; le note del medico legale confermavano ciò che Alessandro si ricordava di quella sostanza dal corso di chimica farmaceutica: veniva utilizzata per indurre l'aborto. Il terzo giorno Alessandro decise di tornare all'università, anche se non sapeva bene cosa cercare: certo la situazione sembrava indicare Stefano come primo indiziato, ma il suo sesto senso, unitamente all'impressione che aveva avuto del ragazzo, lo indirizzava altrove, anche se non sapeva bene dove, e comunque non aveva prove contro di lui; e poi c'era quella questione dei documenti, non ancora ritrovati, che era tutta da chiarire. Allo stretto ingresso del Dipartimento di Biologia Molecolare si scontrò con un'esile ragazza dai capelli scuri. Aiutandola a raccogliere i molti fogli che si erano sparsi sul pavimento, notò lo smalto rosso fuoco sulle sue mani. "Che bello smalto! Usa sempre questo colore?" Alessandro notò l'espressione imbarazzata della ragazza e, ricordandosi di non essere in divisa e di non essere mai stato molto bravo nell'approccio con il gentil sesso, tirò fuori dalla tasca il tesserino della polizia e lo mostrò alla ragazza. Sul suo viso l'espressione di imbarazzo si tramutò in paura, e cominciò a balbettare: "Si, ma... ma non è mica un reato!" "Certo che no," rispose Alessandro, "ma siccome abbiamo trovato tracce di smalto dello stesso colore vicino al luogo del delitto, di cui lei è sicuramente a conoscenza, avvenuto pochi giorni fa in questo edificio, mi chiedevo se ne sapesse qualcosa. Se preferisce posso far verificare se sia il suo oppure no." La ragazza guardava per terra e tremava: "No no, va bene... le dirò tutto, ma io non ho fatto niente... avevo solo tanta paura." Alessandro cercò di calmarla e la seguì al secondo piano, nella biblioteca del Dipartimento di Biologia Cellulare, dove Sara, questo era il suo nome, lavorava come bibliotecaria. Si chiusero in una piccola stanza riparata dal via vai di studenti e ricercatori, che a quell'ora affollavano la biblioteca, e Sara cominciò a raccontare, con la voce che era quasi un sussurro e lo sguardo fisso sul pavimento di fronte a lei: "In questo periodo abbiamo molto lavoro, perché stiamo facendo un inventario di tutto il materiale presente nella biblioteca. Così spesso capita che finiamo molto tardi la sera e la mattina arriviamo abbastanza presto. Quella mattina saranno state le sette e trenta quando arrivai in dipartimento, e la prima cosa che feci fu quella di andare al piano di sotto per fare delle fotocopie. Qui la fotocopiatrice si era rotta il giorno prima e il tecnico non sarebbe venuto prima del giorno seguente. Era già capitato altre volte e sapevo che la mattina presto l'edificio è quasi deserto, quindi non avrei dovuto affrontare l'antipatica segretaria del Dipartimento di Biologia Molecolare per poter fare poche fotocopie: era sufficiente che mi portassi la carta. Così scesi un piano di scale nella convinzione di poter rapidamente fare qualche copia di non più di una decina di fogli con l'elenco dei periodici della biblioteca. Quando raggiunsi la fotocopiatrice, la accesi, appoggiai i fogli sopra il coperchio della fotocopiatrice stessa e, aspettando che questa si riscaldasse, feci qualche passo nel corridoio per raggiungere la finestra da dove si può guardare il cortiletto interno. Fu allora che notai il rumore di uno strumento in funzione, e mi avvicinai molto silenziosamente per vedere chi potesse già essere lì a quell'ora: era una cosa così insolita che fui presa completamente dalla curiosità. Così mi accostai alla porta semiaperta da cui proveniva il rumore, e cercai di sbirciare all'interno, ma sembrava che non ci fosse nessuno. Quindi entrai, pensando che qualcuno avesse lasciato in funzione lo strumento dalla sera prima, e mi aggirai tra i banconi del laboratorio: lavorando in un dipartimento di biologia, sono stata sempre attratta da quei luoghi e affascinata da quegli strani strumenti, di cui però, essendo laureata in lettere, non saprei nemmeno immaginare la funzione. A me, come bibliotecaria, non è consentito l'accesso ai laboratori, così volevo approfittare dell'occasione, ma mentre mi guardavo intorno per poco non inciampai in...", e cominciò a singhiozzare, "nel corpo di quella povera ragazza. Fui assalita immediatamente da un tale orrore, che cominciai a correre, non riuscendo nemmeno a gridare, arrivai in fondo al corridoio, presi tutti i fogli che stavano sopra la fotocopiatrice e, dopo averla rapidamente spenta, corsi su per le scale e mi fermai solo quando arrivai in questa stanza. Mentre salivo notai che stava arrivando un giovane ricercatore di quel dipartimento, così quando, solo dopo diversi minuti, riuscii a calmarmi un po’ e fui presa dal pensiero che forse quella ragazza aveva bisogno di aiuto, decisi che ci avrebbe pensato quel ricercatore, e ancora in preda all'agitazione preferii non espormi in alcun modo quando vidi arrivare la macchina della polizia: tanto non avrei avuto nulla da raccontarvi." "Ogni informazione potrebbe essere utile, per risolvere un caso", le fece notare Alessandro, poi le chiese: "Per caso nei fogli che aveva preso c'erano dei conti delle spese del Dipartimento di Biologia Molecolare?" "Sì, me ne accorsi solo più tardi e così li buttai, sempre per restarne fuori, mi arresterà?" "No, stia tranquilla, non ha commesso nulla di grave. Quei documenti non rivestono alcuna importanza nel caso, anzi ora il mistero ad essi legato è risolto. Però la regola generale in questi casi è cercare di collaborare con le autorità, soprattutto come quando nel suo caso non si ha nulla da nascondere. Piuttosto, la sera prima fino a che ora si è trattenuta in biblioteca?" "Come le ho già detto spesso in questi giorni facciamo molto tardi, e in particolare quella sera per finire un elenco mi sono trattenuta un'oretta dopo che la mia collega era andata via: erano circa le nove, mentre io sono andata via qualche minuto dopo le dieci". "In questa università dopo l'orario di chiusura si potrebbe organizzare un party", pensò Alessandro, ma disse: "E si ricorda qualcosa di particolare, relativamente a quella sera?" "Mi lasci pensare... ma certo! Lo avevo rimosso dalla mia mente!", disse Sara portandosi una mano alla fronte: "Nel silenzio che c'è a quell'ora, che è veramente ideale per poter lavorare bene, fui colpita dalle voci di due persone che stavano discutendo." "E' riuscita a capire ciò che dicevano?" "No, all'inizio non riuscii a distinguere le singole parole, capii solo che doveva trattarsi di un uomo e di una donna coinvolti in un'accesa discussione. Poi l'uomo alzò la voce a tal punto che potei capire chiaramente ciò che diceva, qualcosa tipo: <<Ti ho detto che questo bambino è solo un errore! Non possiamo permettercelo! Non puoi decidere di tenerlo!>>, e la voce femminile ha risposto con lo stesso tono elevato e adirato: <<Io posso decidere quello che voglio! Sei tu che non puoi impedirmi di tenere il bambino!>>. Poi lei lanciò un grido, acuto ma molto breve, sentii ancora qualche rumore, poi ci fu un gran sbattere di porte e di nuovo un silenzio, ancora più fitto di quello di prima. Io me ne andai pochi minuti dopo e non collegai l'episodio alla morte della ragazza, anche perché pensavo fosse stata uccisa quella mattina, non è così?" "Purtroppo no", disse Alessandro, "Credo che farebbe bene a passare al commissariato nel pomeriggio per rilasciare una dichiarazione su tutto ciò che ha detto a me adesso, va bene?" "D'accordo. Non mancherò", rispose Sara.
Alessandro comprendeva che la posizione di Stefano era ormai gravissima, così andò subito al Dipartimento di Chimica, ma non trovandolo disse al professore di comunicargli che voleva vederlo al più presto e che poteva trovarlo al commissariato di polizia. Prima di tornare in ufficio, Alessandro passò di nuovo al Dipartimento di Biologia Molecolare per cercare Davide, che quando lo vide lo salutò cordialmente: sembrava essersi ripreso dai tristi avvenimenti dei giorno precedenti. Mentre gustava il caffè che gli aveva offerto, Alessandro gli domandò: "Conosce per caso Stefano, il ragazzo di Anna?" Davide rispose: "Penso che potremmo anche darci del tu, non credo che tu sia molto più vecchio di me!" "Hai ragione", rispose Alessandro, "Comunque per quanto riguarda Stefano?" "Se non sbaglio l'ho visto una volta sola, è venuto qui un paio di giorni prima che Anna fosse uccisa, sembrava un po' agitato, ma dopo aver scambiato con lei poche parole è andato via tutto imbronciato. Forse si erano dati un appuntamento per vedersi più tardi altrove, hai dei sospetti su di lui?" "Per ora non posso dirti nulla, comunque mi chiedevo: come mai nessuno si è accorto che Anna non era tornata a casa quella notte?" "Per quello che ne so io, Anna viveva ancora con i genitori, ma spesso passava la notte da Stefano, che invece vive da solo." Alessandro salutò Davide e tornò al commissariato.
Pochi minuti dopo che Alessandro aveva finito di mangiare il panino, che era il suo abituale e frugale pranzo, un agente bussò alla porta e fece accomodare Sara, che rilasciò e firmò una dichiarazione con tutto ciò che gli aveva detto quella mattina. Alcuni minuti dopo si presentò Stefano, Alessandro lo accolse con cortesia e lo fece accomodare, ma precedentemente aveva dato precise disposizioni per evitare una eventuale fuga da parte sua. Dopo i primi convenevoli, Alessandro gli chiese: "E' sicuro di non voler modificare le sue precedenti dichiarazioni? Non ha proprio nulla da aggiungere?" Stefano rimase colpito da tanta insistenza, ma pensando che fosse un trabocchetto, cercò ancora di sostenere la sua versione dei fatti, rispondendo: "No, perché dovrei?" Alessandro allora fu più esplicito: "Abbiamo una persona che ha testimoniato di averla sentita discutere animatamente con Anna a proposito del bambino che lei aspettava la sera in cui Anna è stata uccisa, proprio in quel laboratorio", gli disse, anche se sapeva che le cose non stavano proprio così: Sara non conosceva né Stefano né Anna e non sarebbe stata in grado di riconoscere la sua voce, ma lui non aveva dubbi sul fatto che fosse quella di Stefano, e voleva vedere come avrebbe reagito. La prova riuscì pienamente, Stefano crollò e con un filo di voce cominciò a parlare: "E' vero, sapevo che Anna era incinta. Quando lei me lo aveva detto due sere prima mi sentii come se mi fosse piombato un masso in testa. Non potevo immaginarlo, perché io sapevo che lei prendeva la pillola, ma evidentemente qualcosa non ha funzionato, e comunque in questo momento non c'era la possibilità di tenere il bambino: io e Anna ancora non abbiamo un lavoro..." "Posso capirla più di quanto lei possa immaginare," lo interruppe Alessandro, "ma queste difficoltà sarebbero state superabili, e comunque la soluzione migliore non era certo quella di tentare di indurre un aborto, arrivando ad uccidere Anna." "Aborto?! Uccidere?! Ma cosa diavolo sta dicendo?!!" "Sa che cos'è il mifepristone?" "Sì, ma non mi sembra il momento di sondare la mia cultura farmaceutica!" "Infatti, la cosa mi interessa solo perché ne è stata trovata una certa quantità nel corpo di Anna, e penso che lei, essendo un chimico, non avrebbe avuto molte difficoltà a sintetizzarlo nel suo laboratorio, nel tempo che vi ha trascorso negli ultimi due giorni dopo che gli altri erano andati via, magari con le informazioni ricavate nella ricerca fatta in biblioteca la mattina, per poi andare da Anna e costringerla a ingerirne una certa dose. Evidentemente però nella lavorazione frettolosa e senza le opportune attrezzature, deve essere rimasta nel prodotto finale una piccola quantità di cianuro, utilizzato durante la sintesi, tale da provocare la morte di Anna." "Ma vuole smetterla di dire tutte queste idiozie?", rispose Stefano, alzandosi dalla sedia, con il viso rosso e gli occhi quasi fuori dalle orbite: "Non ho mai fatto nulla di simile! E non ne ho mai avuto nemmeno l'idea. D'accordo, sono un tipo un po' brusco, ma io Anna l'amavo davvero e non le avrei fatto mai una cosa del genere!" "Però quella sera andò da lei e discusse animatamente, cosa è successo di preciso?" Stefano sedette di nuovo: "Il giorno seguente a quella notizia bomba andai nel laboratorio dove stava Anna per parlarle, ma lei mi liquidò molto freddamente; il giorno dopo ancora la contattai per telefono e riuscii a convincerla a vederci quella sera. Così, dopo aver lasciato il Dipartimento di Chimica, andai a quello di Biologia Molecolare e fu lei ad aprirmi dall'interno come convenuto, perché a quell'ora l'edificio era chiuso. Il suo atteggiamento non era minimamente cambiato e ben presto arrivammo a discutere animatamente..." "E lei l'ha picchiata, come spesso faceva." Dopo qualche momento di silenzio Stefano rispose: "Sì, ho perso la pazienza e sono arrivato alle mani, sono stato così maldestro da rovesciarle addosso del colorante blu. Le ho anche stretto le mani intorno al collo, ma rendendomi conto che in quelle condizioni avrei potuto veramente farle male, la lasciai senza dire una parola, e uscii con una tale rabbia dentro che avrei voluto spaccare qualcosa. Dopo aver camminato a lungo per calmarmi mi sono diretto verso casa, ma le giuro che quando me ne sono andato Anna era ancora viva, e soprattutto non le ho fatto ingerire proprio un bel niente." Alessandro fissò per un po' la faccia disperata del ragazzo, sembrava sincero, ma sapeva che in quelle condizioni non aveva possibilità di scelta. "Mi dispiace," disse, "ma in queste circostanze devo trattenerla qui, se non altro ha mentito su questioni essenziali nella sua prima deposizione." E rivolgendosi a un agente presente nella stanza, disse: "Leggigli i suoi diritti e portalo in una cella singola, nel pomeriggio il magistrato vorrà interrogarlo." Stefano era così incredulo che non oppose alcuna resistenza e si fece condurre passivamente dall'agente di polizia. Alessandro non era molto convinto, e sentiva che c'era qualcosa che ancora non quadrava, ma non riusciva a capire cosa.
Il giorno dopo i giornali, che avevano come sempre seguito con molto interesse la vicenda fin dall'inizio, riportarono la notizia dell'arresto di Stefano, e Alessandro, leggendo il racconto di quegli episodi di cui era stato testimone e protagonista, non smetteva di sentire un senso di disagio non meglio definito. Comunque non tornò all'università se non qualche giorno dopo, in piena mattinata, quando seppe che il direttore del Dipartimento di Biologia Molecolare era tornato dopo due settimane di assenza e di sostanziale irreperibilità. Pochi istanti dopo che aveva bussato alla porta del suo studio, gli aprì la dottoressa Minetti e lo invitò ad accomodarsi. Lo studio era molto spazioso e Alessandro dovette fare diversi passi per raggiungere la grande scrivania di mogano, dietro cui stava un anziano signore con la barba grigia e pochi capelli in testa. Il direttore si alzò quando Alessandro gli fu davanti e strinse la mano che il commissario gli porgeva. Alessandro notò l'espressione di profondo e sincero dolore su quel viso e, dopo le presentazioni di rito, si accomodò su una sedia e disse: "Mi dispiace molto per quello che è successo mentre lei non era qui, deve essere stato terribile per lei apprendere quanto è accaduto." Il professore restò in silenzio per qualche minuto, guardando fuori dalla finestra prima di rispondere, poi, senza distogliere lo sguardo dalla finestra, disse: "Due così gravi perdite in pochi giorni!" "Due?", chiese Alessandro. Fu la dottoressa Minetti, che nel frattempo si era seduta sulla seconda sedia posta di fronte alla scrivania, a rispondere: "Il professore si riferisce alla scomparsa della professoressa Carli." Alessandro si ricordò di ciò che gli aveva detto Davide il giorno in cui aveva scoperto il cadavere di Anna: "Sì, ero a conoscenza di questo fatto." Per qualche minuto nessuno disse nulla e Alessandro non poté fare altro che scorrere con lo sguardo le file di libri, disposti su diversi scaffali, che riempivano per intero la parete di fronte a lui. Poi la dottoressa Minetti si affrettò a concludere quell'incontro, chinandosi sul bracciolo della sedia e quasi sussurrando all'orecchio del commissario: "Non credo che il professore possa fornirle altri dati utili per l'indagine. Vede, è appena rientrato ed è davvero molto provato. E poi avete già il vostro assassino, no?" Il direttore continuava a guardare fuori dalla finestra e non sembrava aver sentito le parole della donna, comunque Alessandro si alzò e salutò l'anziano professore, che solo in quel momento distolse lo sguardo dalla finestra e, senza alzarsi, strinse la mano di Alessandro, sforzandosi di fare un sorriso, che parve piuttosto una smorfia, e dicendo: "Sono a sua completa disposizione, per qualunque cosa di cui lei possa avere bisogno." La dottoressa Minetti accompagnò Alessandro alla porta, lo salutò e richiuse la porta.
Era ormai sera inoltrata, i vialetti dell'università erano praticamente deserti e l'unica luce che illuminava la facciata dell'edificio era quella di una stanza al primo piano, quando un grido squarciò il fitto silenzio. Alessandro girò la maniglia della porta, ma la porta non si aprì: doveva essere chiusa a chiave dall'interno. Insieme al suo agente cominciò a prendere a spallate la porta, dopo pochi colpi la serratura cedette e i due poliziotti si trovarono sul tappeto dello studio del direttore del Dipartimento di Biologia Molecolare. Alessandro si alzò immediatamente, giusto in tempo per afferrare la dottoressa Minetti che cercava di guadagnare la porta ormai sfondata. Sotto la forza della disperazione la donna dimostrò una notevole resistenza alla presa di Alessandro e l'altro poliziotto dovette intervenire per immobilizzarla. Alessandro allora fece un passo indietro e guardò il volto della donna, che aveva i polsi trattenuti dietro la schiena dall'agente: era contratto in una sorta di ringhio e aveva perso completamente quell'aria accogliente e gentile che aveva contraddistinto i loro incontri dei giorni precedenti. Un rantolo di sofferenza fece girare Alessandro verso la scrivania: il professore era adagiato sullo schienale della poltrona e la mano destra stringeva il braccio sinistro, nel punto in cui un piccolo rivolo di sangue macchiava la manica della camicia. "Questa donna è un'assassina!", disse con il volto contratto per il dolore: "Cosa mi ha iniettato?" Alessandro rispose: "Penso che la dottoressa Minetti volesse farle un'iniezione ricostituente con una soluzione concentrata di cloruro di potassio, che l'avrebbe mandata all'altro mondo senza lasciare praticamente alcuna traccia. Ma l'unico dolore che ora lei sta provando è dovuto al fatto che la dottoressa Minetti, valente chimico, non è una brava infermiera. Per il resto quel poco che è riuscita a mandarle in vena è soluzione fisiologica." La dottoressa Minetti guardava Alessandro con uno sguardo misto di stupore e di rabbia in attesa di una spiegazione, mentre egli raccoglieva da terra la siringa insanguinata e la poneva in un sacchetto di plastica. "Devo ammettere che per quanto riguarda il cloruro di potassio sono stato fortunato nel sentire per caso discutere due studenti nel suo laboratorio, subito dopo il nostro breve incontro di questa mattina, a proposito dell'inusuale alta concentrazione di questa sostanza in un paio di fiale messe, probabilmente da lei per mimetizzarle, in mezzo a quelle a più bassa concentrazione, normalmente usate in laboratorio. Così ho aspettato che i due studenti uscissero e ho sostituito le due fiale in questione con due fiale di soluzione fisiologica, cambiando ovviamente le etichette. Nel frattempo infatti, avevo afferrato il suo ruolo in tutta la faccenda e quindi la sua alta pericolosità. Fu come un lampo che si accese nella mia mente quando, mentre ascoltavo discutere i due studenti, lo sguardo mi cadde su un bancone del laboratorio, dove era stato appena versato un po' di colorante blu: nella sua esuberanza e nella volontà di apparire dispiaciuta per la morte di Anna, ma nello stesso tempo sufficientemente distaccata e disinvolta, la mattina in cui scoprimmo il cadavere, nel nostro primo incontro, lei mi parlò di macchie blu sul camice di Anna. Evidentemente conosceva davvero poco Anna, forse non l'aveva neppure mai notata e non sapeva nemmeno il suo nome, quindi non poteva sapere che fino a quella sera il suo camice era perfettamente candido e che quelle macchie se le era procurate accidentalmente in uno scontro con il ragazzo: per questo lei mi parlò di quelle macchie come una caratteristica peculiare del camice di Anna. Quella mattina nessuno oltre a me e a Davide aveva visto Anna, per cui per sapere di quelle macchie lei doveva avere incontrato Anna la sera prima, dopo che Stefano se ne era andato. Inoltre solo ieri ho saputo che nel fare l'inventario del materiale rimasto nello studio della professoressa Carli, curiosamente mancava una scatoletta per le pasticche, lei ne sa niente?" Non fu la dottoressa Minetti, ormai seduta su una sedia con lo sguardo fisso a terra e con le braccia appoggiate sulle gambe, a rispondere, ma l'anziano professore: "Ormai è inutile negare, penso che se era appostato qui fuori per venire a salvarmi la vita al momento opportuno abbia sentito più di quanto ora non ci voglia dire. Ma se vuole una confessione completa è giusto che la abbia." Dopo essersi fasciato con un fazzoletto il braccio si sistemò meglio sulla sua poltrona e continuò: "La professoressa Carli aveva scoperto la natura illegale di alcuni finanziamenti che portavano avanti buona parte delle ricerche di questo dipartimento. Aveva anche scoperto di essere inconsapevolmente coinvolta nella faccenda ed essendo ormai a poche settimane dal pensionamento voleva uscirne pulita, quindi mi aveva chiaramente espresso la sua ferma volontà di denunciare tutto pubblicamente in occasione del prossimo consiglio di dipartimento, che si sarebbe tenuto al mio ritorno. Fu la qui presente dottoressa Minetti, a cui mi lega una particolare relazione affettiva, a proporre di giocarsi il tutto per tutto, dopo aver appreso da me questi fatti, nella consapevolezza che una tale azione da parte della professoressa avrebbe rappresentato la fine delle nostre attività di ricerca, proprio nel momento in cui eravamo così vicini a dei risultati importanti. Così lei ideò ed organizzò l'assassinio della professoressa Carli, prelevando il veleno di cui aveva bisogno dai reagenti del laboratorio e mettendolo in una forma tale da potersi confondere con le pasticche che la professoressa doveva prendere quotidianamente. Io non avrei mai potuto fare una cosa del genere, ma, spinto dalla sua iniziativa, fui consenziente e mi preoccupai di sostituire le pasticche, appena prima di partire, avendo io un accesso più facile allo studio della professoressa. Mai avrei pensato che potesse andarci di mezzo quella povera ragazza, e infatti avevo intenzione di costituirmi ed è per questo che la dottoressa Minetti ha cercato di uccidermi." Fu la voce della dottoressa Minetti a continuare il triste racconto, con una impressionante lucidità: "Nel mettere a punto il piano iniziale, ci siamo basati sulle abitudini, quasi rituali, che la professoressa aveva nell'ora del pranzo: si faceva portare dal bar un vassoio con tutto ciò che aveva ordinato la mattina e, dopo aver finito di mangiare, chiamava il bar per far venire a riprendere il vassoio; nel frattempo prendeva una pasticca da una scatola nell'armadietto, dove ogni settimana aveva cura di mettere le pasticche necessarie. Il professore prelevò una di quelle pasticche e io ebbi cura di inserirvi il veleno, cosicché non si distinguesse dalle altre, poi egli la collocò nuovamente al suo posto. Avevo calcolato con attenzione la quantità di cianuro da inserire nella pasticca, in modo tale che il giorno in cui la professoressa avesse ingerito quella pasticca non sarebbe morta subito, ma nel giro di qualche minuto, lasciando comunque il tempo di farsi portare via il vassoio, cosicché la polizia avrebbe creduto che il veleno fosse stato messo nel cibo, ormai non reperibile per le analisi. Nessun sospetto sarebbe caduto né sul professore, che era assente, né su di me, che in quella settimana feci in modo di far rimanere sempre qualcuno in laboratorio con me, cosicché avrebbero potuto testimoniare che io non mi ero mossa dal laboratorio. Quando seppi della morte della professoressa Carli, capii subito che era stata naturale, in quanto avvenuta di notte, e che la pasticca avvelenata era ancora nel suo contenitore: ovviamente dovevo eliminarla. Dovetti procurarmi una copia delle chiavi dello studio della professoressa e solo due giorni dopo la sua morte riuscii a introdurmi in quella stanza: ero entrata dal retro dell'edificio e, essendo da poco passate le dieci, pensavo non ci fosse nessuno in dipartimento a quell'ora. Non sentii il rumore della strumentazione in funzione, perché era oltre l'angolo del corridoio. Fu Anna a venire nello studio della professoressa per prendere del materiale, mentre io avevo già aperto l'armadietto e stavo cercando la scatola delle pasticche. Fummo entrambe molto sorprese di trovarci lì, ma io riuscii a mantenere la calma e, notando il suo stato di agitazione, anche se non sapevo a che cosa fosse dovuto, ne approfittai per offrirle come caramelle le due pasticche che erano rimaste nella scatola: non potevo permettere che andasse in giro a raccontare che mi aveva trovato a frugare nello studio della professoressa. L'effetto fu quello previsto, ebbi giusto il tempo di percorrere con lei il tratto di corridoio che ci separava dal laboratorio in cui lei lavorava e di andarle a prendere un thè al distributore, come lei mi aveva chiesto, ma quando tornai nel laboratorio, lei era già stesa a terra. Poi misi in tasca la scatoletta, presa in quel momento dalla ingiustificata paura che potesse contenere tracce del veleno, chiusi a chiave lo studio e me ne andai. Ovviamente, come ho letto sui giornali, nel corpo di Anna avete trovato sia il veleno mortale che le sostanze ormonali che componevano le pasticche: è questo che vi ha tratto in inganno, facendo cadere accidentalmente i sospetti su Stefano."
Il mattino dopo Alessandro tornò al Dipartimento di Biologia Molecolare per coordinare le operazioni che ancora rimanevano da effettuare. Dopo aver finito di sistemare queste faccende principalmente burocratiche, andò a trovare Davide nel suo studio. Sembrava più abbattuto di quanto non fosse stato la mattina in cui aveva scoperto il cadavere. "Ti va di fare due passi?", gli chiese. Controvoglia Davide si alzò e senza dire nulla percorsero fianco a fianco alcuni metri del lungo corridoio, poi si fermarono di fronte ad una finestra che si affacciava sul cortile interno, in cui due splendidi cigni si bagnavano le piume in un laghetto artificiale; il poco sole che riusciva a passare tra le foglie verdi degli alberi li illuminava di una luce quasi irreale, facendo risaltare le due sagome bianche. Alessandro riprese la parola: "Sai, potrei dirti che dopo un po' ci fai l'abitudine, ma non è vero. Spesso la malvagità, soprattutto da parte di persone insospettabili, è tristemente sorprendente. Cos'è che più ti turba?" Davide rispose: "Ho sempre creduto nel lavoro che faccio e l'ho sempre svolto con la massima dedizione, anche se spesso ho sentito la pesantezza di certi sistemi di potere che inevitabilmente sembrano governare il mondo della ricerca, cosa che del resto credo avvenga un po' in tutti i campi. Ma questa volta è diverso: sono sconvolto non solo per i fatti in sé, ma soprattutto perché non so cosa posso aspettarmi dagli altri. Conoscevo bene, o meglio credevo di conoscere bene la dottoressa Minetti, abbiamo lavorato insieme a diversi progetti, e non l'avrei mai creduta capace di fare cose del genere. Non ho mai neppure creduto alle voci che dicevano che fosse l'amante del direttore, anche perché ho sempre pensato che quelle fossero faccende che non mi riguardavano. E se giorno dopo giorno diventassi così anch'io? Un mostro travestito di perbenismo." "Vedi, io credo che tu abbia profondamente ragione quando dici che ciò che è accaduto qui è causa di un sistema che è comune a praticamente tutti gli ambienti in cui entrano in gioco vari interessi: posso confermartelo per le esperienze dirette che ho avuto in tal senso, per via del mio lavoro. Questo però non deve farci disperare, anzi deve essere motivo per avere una spinta in più e per andare avanti sempre meglio: io questo lo vivo ogni giorno. La chimica in particolare può ovviamente essere usata per aiutare l'umanità a vivere meglio, pensa all'invenzione di nuovi farmaci o all'uso che noi della scientifica ne facciamo per combattere il crimine, eppure hai un'idea di quanti chimici siano al servizio della malavita per produrre droghe, esplosivi o altre sostanze illecite? Sta a noi, nella nostra libertà di uomini, scegliere la strada corretta: la strada della giustizia, della verità e dell'amore per la vita, per gli altri e per noi stessi. Sono sicuro che tu, come tutti del resto, hai dentro di te tutte queste cose e non corri alcun rischio di deviare da questa strada finché farai scelte coerenti con te stesso e senza scendere a compromessi: solo venendo meno a questi principi l'uomo può diventare capace di fare cose orribili. Anzi, sta a te fare qualcosa per cambiare ciò che non ti piace dell'ambiente in cui vivi: ora c'è un posto di direttore vacante e ci sarà un bel rimescolamento delle carte; se puoi fare qualcosa di buono non avere paura e non tirarti indietro."
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