1b. Modelli per la replicazione dei prioni e la formazione di placche amiloidi
In figura 1-2 è riportato uno schema che illustra chiaramente un modello per la "replicazione" dei prioni [2], secondo quanto detto nel paragrafo precedente. In questo caso si postula l’esistenza di una forma di proteina prionica parzialmente unfolded (PrP*) come intermedio tra le due forme PrPC e PrPSc. La concentrazione di tale intermedio è normalmente bassa, ma l’intervento di PrPSc esterna, formando dimeri con PrP*, porta alla conversione di quest’ultima in PrPSc, spostando l’equilibrio verso destra, anche grazie all’azione di massa dovuta all’insolubilità di PrPSc e scatenando un processo a catena. La proteolisi parziale di PrPSc porta alla formazione del peptide PrP27-30, che polimerizza nelle placche amiloidi. E’ anche possibile che PrPSc o PrP27-30 vengano denaturati in una forma (D-PrP) sensibile alle proteasi, riducendo l’infezione. Nella seconda parte dello schema si mette in evidenza l’analogo fenomeno nel caso di proteine mutanti (contrassegnate da D), la cui struttura potrebbe destabilizzare DPrPC e favorirne la trasformazione in DPrP* e quindi in DPrPSc. In entrambi i casi la morte delle cellule malate porta alla formazione dei "buchi" tipici di queste malattie e al rilascio di PrPSc, che così può danneggiare le altre cellule.
Esiste però almeno un importante modello alternativo a quello illustrato finora. In figura 1-3 si vede infatti come i modelli indicati come 1 e 2 assomigliano a quello precedentemente descritto, in quanto a parte il fatto di considerare PrPSc come monomero o come oligomero, entrambi considerano l’interconversione conformazionale da PrPC a PrPSc come passaggio lento dell’intera catena di reazioni, per cui l’azione di PrPSc sarebbe quella di catalizzare questo processo. Il modello numero 3 invece si basa sull’osservazione sperimentale che il peptide PrP(96-111), altamente conservato in molte specie e molto simile al segmento C-terminale della proteina b-amiloide responsabile della formazione delle placche amiloidi nei soggetti colpiti dal morbo di Alzheimer, è in grado, in vitro, di aggregare in fibre [3]. Questo processo risulta però essere cineticamente molto lento, infatti la soluzione diventa soprasatura e non si ha aggregazione apprezzabile se non si mettono nella soluzione fibrille di peptidi già formate, che agiscono come centri di nucleazione, in maniera analoga a quanto avviene per la formazione di cristalli. Tutto questo suggerisce il modello, illustrato sempre in figura 1-3, per cui PrPSc sarebbe un aggregato di PrPC (pertanto insolubile e resistente alla proteolisi) o meglio di una sua forma unfolded (PrPU) in cui il peptide idrofobico oggetto degli esperimenti descritti è esposto sulla superficie della proteina, permettendone l’aggregazione. Il passaggio lento nella formazione di PrPSc sarebbe dunque quello della nucleazione, superato nei processi infettivi (B) dall’azione di centro di nucleazione svolta dal prione PrPSc infettante, mentre nei casi sporadici e genetici della malattia (A) contribuisce ogni fattore che, aumantando la concentrazione di PrPU, favorisce la aggregazione di proteine prioniche. In entrambi i casi la diffusione della condizione patologica si spiegherebbe con la frammentazione di fibrille, che formerebbero così molti altri centri di nucleazione.
E’ importante capire qual è il processo molecolare che porta allo sviluppo della malattia, chiarendo quale di questi modelli è corretto, per poter progettare farmaci efficaci.