I primi uomini arrivarono nel
Nordamerica qualche decina di migliaia di anni fa dall'Asia nord-occidentale,
traversando lo Stretto di Bering che, durante i periodi glaciali,
era ghiacciato o asciutto: si trattò di varie migrazioni
durate migliaia e migliaia di anni, nel corso delle quali alcuni
gruppi si spinsero fino al Sudamerica.
Nell'area che va dall'Alaska al Canada settentrionale e alla
Groenlandia, si stabilirono gli inuit ("uomini") o
eschimesi (cioè "mangiatori di carne cruda",
come vennero denominati da altre popolazioni). Le loro caratteristiche
fisiche erano simili a quelle dei mongoli, e svilupparono la
caccia ai grandi mammiferi (marini, come la foca o la balena,
e di terraferma, come il caribù), e la pesca. Essi vivono
qui ancora oggi, ed anzi vanno aumentando di numero grazie alle
maggiori cure mediche, anche se stanno per perdere i loro caratteri
originari a favore della cultura moderna.
In periodi precedenti o successivi all'arrivo degli eschimesi
si stabilirono, più a sud, anche altri popoli, con caratteri
asiatici oggi meno pronunciati. Essi furono chiamati "pellerossa"
perché si tingevano la faccia con una terra rossastra.
A seconda del territorio occupato, questi svilupparono differenti
attività e sistemi di vita: nelle zone costiere del Pacifico
praticarono soprattutto la pesca; la maggioranza restò
allo stadio nomade dedicandosi alla caccia, specialmente del
bisonte; altri si stabilirono in zone montuose o passarono a
forme di vita agricola e sedentaria nel Nuovo Messico e nell'Arizona.
Alle diverse aree e condizioni geografiche vennero a corrispondere
differenti "culture indiane", spesso incrociate fra
loro per i frequenti spostamenti delle tribù da un territorio
all'altro. (Bellezza, p. 32-34)
La densità della popolazione, commisurata alle risorse
del territorio di caccia, restò sempre molto bassa. Difficile
è convenire con la stima originaria di circa 25 milioni:
per l'area ristretta in cui questa popolazione si sarebbe concentrata,
ciò avrebbe comportato una densità di 50 ab./km²,
assai superiore a quella del paese europeo allora più
densamente popolato (l'Italia, con circa 35 ab./km²). Se
si considera la tecnologia assai arretrata delle popolazioni
indigene, l'orografia aspra del loro territorio, la produttività
modesta dell'agricoltura, si è portati a sottoscrivere
l'opinione degli studiosi più prudenti che pongono la
popolazione preconquista ben al di sotto dei 10 milioni. (Livi
Bacci, p. 75)
Nessuno tuttavia contesta ciò che numerosi documenti provano
inconfutabilmente, e cioè la rapida discesa della popolazione
india nei secoli successivi, fino al suo punto più basso
raggiunto nei primi decenni del XVII secolo. C'è accordo
sul fatto che si determinò una catastrofe demografica,
e che le epidemie furono il fattore dominante nell'avvio dello
sterminio, con l'esplosione del vaiolo nel Messico centrale nel
1520. Ma l'incidenza delle epidemie deve essere valutata tenendo
conto del massiccio e brutale trattamento inflitto dalla colonizzazione
spagnola (migrazioni forzate, schiavitù, lavoro forzato
eccessivo, esorbitanti pagamenti di tributi). Le uccisioni associate
con la guerra e la conquista furono sicuramente un fattore secondario,
ad eccezione di casi isolati.
Dopo il viaggio di Cristoforo Colombo, il territorio era diventato
terra di conquista per i "visi pallidi": gli spagnoli
nell'America centrale e meridionale, i francesi e gli inglesi
nell'America settentrionale. La differenza fondamentale tra i
due tipi di colonizzazione, stava nelle intenzioni dei nuovi
conquistatori: il nord fu considerato terra d'insediamento, e
questo portò alla costruzione di nuovi Stati, Stati che
si sarebbero evoluti fino a formare gli odierni Stati Uniti e
Canada; il centro-sud, invece, fu considerato un territorio da
sfruttare ai fini economici (piantagioni e giacimenti minerari:
vedere più avanti), e pertanto non riuscì mai ad
evolversi.
La storia della popolazione nel continente americano, a partire
dalla conquista, deve tenere conto di alcuni dati. A parte lo
sterminio degli schiavi e la tratta dei neri, si è avuta
la formazione dello strato sociale dei meticci, i figli di coloni
bianchi e schiavi neri o indiani.
Il matrimonio e le relazioni sessuali tra coloni e schiavi erano
in linea di massima proibite, ma in realtà i coloni si
presero per concubine le schiave e, ben presto, si formò
uno strato sociale di meticci, gerarchizzati in funzione delle
loro proporzioni di sangue "bianco". Nel 1789 si contavano,
nella parte francese di Santo Domingo, 35.440 bianchi, 509.642
schiavi, 26.666 affrancati e "gente di colore". Affrancati
e uomini liberi di colore potevano diventare proprietari di piantagioni
e di schiavi ma erano sottoposti a una rigorosa discriminazione:
nel 1789 i coloni negarono loro i diritti politici. (AAVV., p.
28-29)
Dopo la "grande paura" degli schiavisti dovuta all'insurrezione
degli schiavi della parte francese di Santo Domingo, che portò
nel 1804 all'indipendenza della repubblica nera di Haiti, la
prima metà del XIX secolo conobbe un nuovo sviluppo della
piantagione schiavistica americana, stavolta non più nel
quadro del mercantilismo, bensì del mercato dominato dal
moderno capitalismo industriale: sviluppo nelle regioni meridionali
degli USA della piantagione schiavistica cotoniera, per rifornire
di materia prima le fabbriche inglesi di Manchester e della sua
regione; sviluppo della schiavitù a Cuba (per la produzione
zuccheriera) e in Brasile (zucchero e cacao) per il consumo europeo.
La schiavitù sarebbe stata abolita soltanto nel 1833 nelle
colonie britanniche, nel 1848 in quelle francesi, nel 1866 negli
Usa (dopo la sconfitta dei sudisti nella guerra di Secessione),
nel 1886 a Cuba (colonia spagnola) e nel 1888 in Brasile. (AAVV.,
p. 29-30)
Ultimo risvolto della demografia americana: con il boom demografico
europeo ottocentesco, conseguente alla "transizione demografica",
decine di milioni di individui avevano abbandonato l'Europa e
si erano in buona parte trasferiti nel Nordamerica, aggiungendosi
nel complesso all'immigrazione proveniente dall'Asia. (Giardina,
p. 541)
Possediamo dei dati più precisi sull'immigrazione europea:
tra il 1846 e il 1932 si calcola che fossero partiti, per mete
transoceaniche, 18 milioni di persone dalla Gran Bretagna e dall'Irlanda;
11,1 milioni dall'Italia; 6,5 dalla Spagna e dal Portogallo;
5,2 dall'Austria-Ungheria; 4,9 dalla Germania; 2,9 dalla Polonia
e dalla Russia; 2,1 dalla Svezia e dalla Norvegia, per non citare
che le maggiori provenienze. Questo fiume di emigrati si diresse
per 34,2 milioni verso gli Stati Uniti; 7,1 in Argentina e Uruguay;
5,2 in Canada; 4,4 in Brasile; 3,5 in Australia e Nuova Zelanda;
0,9 a Cuba, solo citando le destinazioni principali. (Livi Bacci,
p. 164)
Nel complesso, l'emigrazione ebbe certamente conseguenze benefiche;
rese possibile un più rapido accrescimento economico nelle
zone di partenza; permise di utilizzare la risorsa lavoro là
dove questa era più produttiva, accrescendo le risorse
per l'intero sistema, in Europa come oltreoceano. (Livi Bacci,
p. 165)
Nel loro modo di emigrare e di sistemarsi privilegiando le relazioni
a carattere comunitario, gli irlandesi negli Usa come gli altri
emigranti, europei e non, procedettero con lo stesso metodo,
ricreando reti sociali con i propri compatrioti nel Paese di
accoglienza. Per l'emigrante di trattava di ricostituire uno
spazio sociale privilegiato. Per lui era una questione di sopravvivenza,
in un ambiente che si rivelava generalmente ostile. Con la seconda
generazione queste relazioni privilegiate incominciarono a scomparire,
ma perdurano ancora oggi grazie ad associazioni politiche, culturali,
religiose, ecc. (AAVV., p. 441)
- La struttura geopolitica
a partire dall'800
La storia moderna del Sudamerica inizia con la rivoluzione creola,
agli inizi dell'800, che avrebbe permesso ai singoli Stati di
rendersi indipendenti dalla Spagna. Ma l'indipendenza durò
poco: presto gli statunitensi e, in minima parte, gli inglesi
e i francesi si sostituirono ai vecchi colonizzatori, grazie
all'appoggio delle classi sociali egemoni, i latifondisti e l'alta
borghesia urbana, e secondo il più classico patto coloniale,
esportazione di materie prime sotto il controllo di grandi società
multinazionali, importazione di prodotti manufatti.
Nell'America Latina, come nei Paesi cattolici europei, il livello
di fiducia è tendenzialmente limitato alla famiglia ed
alle amicizie personali (il familismo amorale). Le economie di
Paesi come Messico, Perù, Bolivia e Venezuela sono in
larga parte controllate da qualche dozzina di famiglie potenti,
le cui attività interessano svariati settori, dalla vendita
al dettaglio alla produzione ed ai servizi assicurativi. La logica
economica di queste reti non risulta chiara agli esterni finché
non ci si rende conto che sono fondate sulla parentela e i rapporti
personali. Gli investitori esterni che agiscono senza conoscere
queste complesse reti fondate sulla fiducia, lo fanno a loro
rischio e pericolo.
Una normale conseguenza dell'importanza culturale accordata alla
consanguineità come base per il capitale sociale è
la presenza di due livelli di obbligo morale - uno all'interno
della famiglia e l'altro, meno importante, per chiunque altro.
In molte di queste società familistiche, esiste un livello
di corruzione molto elevato perché il servizio pubblico
è spesso considerato come un'opportunità per rubare
a vantaggio della famiglia. Un detto popolare, in uso in Brasile,
dice che c'è una morale per la famiglia ed un'altra per
la strada. È difficile concludere affari senza legami
di parentela o personali, e spesso gli estranei sono trattati
con un opportunismo spietato, cosa che non si verificherebbe
mai all'interno della rete di fiducia. (Fukuyama, p. 308-309)
La mobilità sociale lenta e difficile, la debolezza delle
istituzioni rappresentative, l'uso generalizzato del broglio
elettorale e della repressione da parte delle autorità
centrali e dei potentati locali, la conseguente tendenza delle
tensioni politiche e dei conflitti sociali ad assumere forme
violente, hanno contribuito ad attribuire un ruolo importante
all'esercito, come braccio armato del governo, arbitro dei conflitti
e, in qualche caso, interprete in proprio dell'unità e
degli interessi nazionali. È in questo quadro che, in
diversi Paesi e momenti, sono emerse due tipiche forme di governo:
il populismo e la dittatura militare. (Volpi, p. 459)
Il mantenimento del potere e la centralizzazione delle funzioni
politiche nell'esecutivo hanno avuto, come conseguenza, un'estensione
della burocrazia e dell'esercito e, quindi, una crescita ipertrofica
di ceti medi urbani, che hanno trovato nella pubblica amministrazione
la possibilità di occupazione e di guadagni leciti e illeciti,
e che hanno costituito una componente importante della base di
consenso del governo.
Al contrario le masse contadine, spesso la maggioranza della
popolazione, sono rimaste divise e non integrate nella comunità
nazionale, soggette al potere locale dei grandi proprietari e,
dove corrispondono a minoranze etniche, marginalizzate e discriminate
nell'ambito delle loro istituzioni tradizionali. Quelli che emigrano
nelle città non trovano lavoro perché le industrie
non hanno un elevato potenziale produttivo. (Volpi, p. 461)
La dimensione della povertà sudamericana si coglie proprio
nelle città. Mentre il centro vede sorgere meravigliosi
grattacieli scintillanti, gli strati più poveri della
popolazione continuano a costruire catapecchie, baracche e ripari,
con ogni possibile materiale di scarto, in zone prive di fognature
e di qualsiasi servizio urbano. (Bellezza, p. 102)
L'America centrale ha una densità molto alta, e ciò
è dovuto probabilmente alle ridotte dimensioni del territorio.
L'insediamento trova possibilità diverse da una zona all'altra,
mentre le parti di foresta più fitta risultano decisamente
inospitali. Dato l'aumento rapido della popolazione e le scarse
possibilità di sopravvivenza in patria, molti cercano
di emigrare negli Stati Uniti e nel Canada.
Il Sudamerica, al contrario dell'America centrale, potrebbe ospitare
una popolazione molto più numerosa dell'attuale, ma gravi
problemi sono causati dalla distribuzione degli abitanti; si
registra una contrapposizione tra regioni spopolate e altre decisamente
sovrappopolate. La foresta amazzonica, le montagne che costeggiano
l'Oceano Pacifico e l'estremo sud sono quasi spopolati, mentre
l'addensamento è maggiore lungo le coste. (Bellezza, p.
101)
La foresta amazzonica è il più importante apparato
forestale del mondo, che occupa una superficie di ben 5 milioni
di km². Si tratta di una pianura alluvionale solcata da
grandi corsi d'acqua e coperta dalle foreste pluviali, ma che
oggi rischia di scomparire per colpa di un processo disordinato
di industrializzazione, e del metodo taglia e brucia utilizzato
dai contadini poveri per aumentare la produzione e compensare
l'aumento demografico. (Forte, p. 255)
L'esistenza delle vaste aree forestali dell'Amazzonia e delle
regioni andine e la scarsità di popolazione, questi due
fattori hanno disincentivato l'impianto o il miglioramento della
rete stradale o ferroviaria. Oltre alle poche importanti arterie
di traffico - fra cui la discussa Transamazzonica, così
denominata perché attraversa per molte centinaia di chilometri
la foresta amazzonica, con danno per l'ambiente sottoposto ad
ulteriori diboscamenti - ed alla rete ferroviaria non molto estesa
(tranne che in Brasile), si continuano ad usare le vie fluviali.
(Forte, p. 250-251)
L'America Latina, nel suo complesso, dispone di grandi risorse
naturali, agricole e minerarie. Una di queste è il legname,
come è ovvio date le enormi foreste. L'altra è
l'allevamento, che potrebbe essere intensificato per seguire
il ritmo di crescita della popolazione, e che potrebbe essere
una soluzione naturale alla conduzione capitalistica insensata
in atto nei Paesi occidentali.
Ma soprattutto è presente il petrolio, che permette al
Venezuela di essere uno dei maggiori produttori di petrolio del
mondo, ma che risulta abbondante anche in altre zone del continente.
Tra parentesi, era stato proprio il petrolio una delle principali
cause dell'indebitamento di questi come degli altri Paesi del
Terzo mondo, perché l'alto prezzo degli anni '70 incoraggiava
i rispettivi governi a ricorrere a massicci prestiti esteri per
finanziare gli investimenti interni (rivelatisi presto mal coordinati,
e pertanto altamente inquinanti), con la garanzia di un futuro
rimborso grazie ai proventi dell'esportazione di petrolio. La
combinazione tra crollo dei prezzi internazionali-investimenti
errati fece venire a meno l'illusione della ricchezza, se non
addirittura peggiorò la situazione generale di miseria
ed inquinamento (par. r).
La superficie messa a coltura non è una forte percentuale
del territorio, ma si tratta comunque di superfici estese viste
le dimensioni del continente. Possiamo classificare tre tipi
di conduzione agricola: il grande latifondo in cui il suolo è
sfruttato estensivamente, la piantagione, dove si produce per
l'esportazione, e i piccoli minifundos, dove i contadini praticano
coltivazioni per la sussistenza.
La maggior parte delle terre è suddivisa in grandi proprietà
sottoutilizzate, i latifondi, dove non vengono effettuati investimenti
né migliorate le tecniche di coltivazione; privi di capitali
e di conoscenze tecniche, neppure i contadini sono in grado di
modernizzare le loro pratiche agricole. Qualche speranza può
venire solo con il processo di globalizzazione, che richiede
il potenziamento della produzione. La piantagione e l'agricoltura
di sussistenza hanno gli stessi problemi degli altri Paesi in
via di sviluppo. (Bellezza, p. 93)
Cuba costituisce un'eccezione al panorama sudamericano. A partire
dal gennaio 1959 si era instaurata una dittatura sul modello
sovietico (che dura tutt'ora malgrado il dissolvimento dell'Urss),
sotto Fidel Castro. Questi avviò subito una riforma agraria
che colpiva il monopolio esercitato dalla United Fruit sulla
coltivazione della canna da zucchero, principale risorsa dell'isola.
Gli Stati Uniti assunsero di conseguenza un atteggiamento ostile,
un atteggiamento aggravato dall'appoggio dato da Cuba alla guerriglia
marxista, in America come altrove: basti solo pensare alla Colombia,
dove da decenni si combatte una guerra civile, finanziata dal
narcotraffico, tra marxisti, paramilitari di estrema destra,
narcos e uomini al potere; oppure al Perù, dove il movimento
Sendero Luminoso avrebbe provocato un'altra guerra civile (1982-1991).
(Giardina, p. 1063)
Sul comunismo cubano, le opinioni sono discordanti. Secondo i
critici si tratterebbe di un regime dittatoriale repressivo,
le cui riforme economiche avrebbero portato alla stagnazione,
se non ad un impoverimento generale come dimostrerebbero i tanti
esuli statunitensi. Il valsero, l'equivalente cubano dei boat
people del Sudest asiatico, appartiene al paesaggio umano dell'isola
allo stesso titolo del tagliatore di canna (il prodotto tipico
di Cuba: le canne da zucchero).
Quello dell'esilio è utilizzato come strumento di controllo
delle tensioni interne all'isola: molti di questi cubani sono
fuggiti in Florida o nella base americana di Guantánamo.
I vari esodi hanno fatto sì che Cuba abbia attualmente
il 20% dei suoi cittadini in esilio; su una popolazione di 11
milioni di abitanti, quasi 2 milioni vivono fuori dall'isola.
(Courtois, p. 619-620)
Secondo i sostenitori, invece, bisognerebbe osservare i successi
del regime, cioè la parità uomo-donna, l'istruzione
di massa e la sanità aperta a tutti. Gli insuccessi sarebbero
da imputare all'embargo imposto dagli Stati Uniti, embargo che
come quello iracheno ha valore per i prodotti commercializzati
con tutti i Paesi del mondo. Le ultime notizie ci riferiscono
che l'embargo ha penalizzato gli stessi Stati Uniti, gli unici
in pratica a non fare affari con Cuba. Questo ha spinto alcune
multinazionali a chiedere una revoca dell'embargo.
La popolazione cubana è irregolarmente distribuita sul
territorio dell'isola e si concentra in prevalenza nella provincia
della capitale L'Avana, dove la densità è 30 volte
superiore alla media nazionale (più di 2.700 ab./km²).
La bassa natalità, la diffusione dei contraccettivi e
il buon tenore di vita dovrebbero costituire un pregio per quest'isola.
Completiamo con la continuazione della tabella sulle centrali
nucleari:
Nazione |
Centrali in funzione |
Centrali in costruzione |
Messico |
2 |
0 |
Brasile |
2 |
0 |
Argentina |
2 |
0 |
Bibliografia:
AAVV., Il
libro nero del Capitalismo, Marco Troppa Editore '99
Bellezza Giuliano, Geografia per l'uomo, vol. 3, Mondadori '84
Courtois Stéphane e altri, Il libro nero del Comunismo,
Mondadori '98
Forte Gioacchino e Tanara Urbettazzi Milli, Geografia, vol. 3,
De Agostini '99
Fukuyama Francis, La Grande Distruzione, Baldini&Castoldi
'99
Giardina A. e altri, L'età contemporanea, Laterza '97
Livi Bacci Massimo, Storia minima della popolazione del mondo,
Il Mulino '02
Volpi Franco, Introduzione all'economia dello sviluppo, FrancoAngeli
'99. |