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Sovrappopolazione e sottosviluppo.

La Conferenza del Cairo

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Comandè Marco

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Capitolo 3

Il terzo mondo

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p) Il Sudamerica sotto il giogo della dittatura - Il passato violento.

I primi uomini arrivarono nel Nordamerica qualche decina di migliaia di anni fa dall'Asia nord-occidentale, traversando lo Stretto di Bering che, durante i periodi glaciali, era ghiacciato o asciutto: si trattò di varie migrazioni durate migliaia e migliaia di anni, nel corso delle quali alcuni gruppi si spinsero fino al Sudamerica.
Nell'area che va dall'Alaska al Canada settentrionale e alla Groenlandia, si stabilirono gli inuit ("uomini") o eschimesi (cioè "mangiatori di carne cruda", come vennero denominati da altre popolazioni). Le loro caratteristiche fisiche erano simili a quelle dei mongoli, e svilupparono la caccia ai grandi mammiferi (marini, come la foca o la balena, e di terraferma, come il caribù), e la pesca. Essi vivono qui ancora oggi, ed anzi vanno aumentando di numero grazie alle maggiori cure mediche, anche se stanno per perdere i loro caratteri originari a favore della cultura moderna.
In periodi precedenti o successivi all'arrivo degli eschimesi si stabilirono, più a sud, anche altri popoli, con caratteri asiatici oggi meno pronunciati. Essi furono chiamati "pellerossa" perché si tingevano la faccia con una terra rossastra. A seconda del territorio occupato, questi svilupparono differenti attività e sistemi di vita: nelle zone costiere del Pacifico praticarono soprattutto la pesca; la maggioranza restò allo stadio nomade dedicandosi alla caccia, specialmente del bisonte; altri si stabilirono in zone montuose o passarono a forme di vita agricola e sedentaria nel Nuovo Messico e nell'Arizona. Alle diverse aree e condizioni geografiche vennero a corrispondere differenti "culture indiane", spesso incrociate fra loro per i frequenti spostamenti delle tribù da un territorio all'altro. (Bellezza, p. 32-34)
La densità della popolazione, commisurata alle risorse del territorio di caccia, restò sempre molto bassa. Difficile è convenire con la stima originaria di circa 25 milioni: per l'area ristretta in cui questa popolazione si sarebbe concentrata, ciò avrebbe comportato una densità di 50 ab./km², assai superiore a quella del paese europeo allora più densamente popolato (l'Italia, con circa 35 ab./km²). Se si considera la tecnologia assai arretrata delle popolazioni indigene, l'orografia aspra del loro territorio, la produttività modesta dell'agricoltura, si è portati a sottoscrivere l'opinione degli studiosi più prudenti che pongono la popolazione preconquista ben al di sotto dei 10 milioni. (Livi Bacci, p. 75)
Nessuno tuttavia contesta ciò che numerosi documenti provano inconfutabilmente, e cioè la rapida discesa della popolazione india nei secoli successivi, fino al suo punto più basso raggiunto nei primi decenni del XVII secolo. C'è accordo sul fatto che si determinò una catastrofe demografica, e che le epidemie furono il fattore dominante nell'avvio dello sterminio, con l'esplosione del vaiolo nel Messico centrale nel 1520. Ma l'incidenza delle epidemie deve essere valutata tenendo conto del massiccio e brutale trattamento inflitto dalla colonizzazione spagnola (migrazioni forzate, schiavitù, lavoro forzato eccessivo, esorbitanti pagamenti di tributi). Le uccisioni associate con la guerra e la conquista furono sicuramente un fattore secondario, ad eccezione di casi isolati.
Dopo il viaggio di Cristoforo Colombo, il territorio era diventato terra di conquista per i "visi pallidi": gli spagnoli nell'America centrale e meridionale, i francesi e gli inglesi nell'America settentrionale. La differenza fondamentale tra i due tipi di colonizzazione, stava nelle intenzioni dei nuovi conquistatori: il nord fu considerato terra d'insediamento, e questo portò alla costruzione di nuovi Stati, Stati che si sarebbero evoluti fino a formare gli odierni Stati Uniti e Canada; il centro-sud, invece, fu considerato un territorio da sfruttare ai fini economici (piantagioni e giacimenti minerari: vedere più avanti), e pertanto non riuscì mai ad evolversi.
La storia della popolazione nel continente americano, a partire dalla conquista, deve tenere conto di alcuni dati. A parte lo sterminio degli schiavi e la tratta dei neri, si è avuta la formazione dello strato sociale dei meticci, i figli di coloni bianchi e schiavi neri o indiani.
Il matrimonio e le relazioni sessuali tra coloni e schiavi erano in linea di massima proibite, ma in realtà i coloni si presero per concubine le schiave e, ben presto, si formò uno strato sociale di meticci, gerarchizzati in funzione delle loro proporzioni di sangue "bianco". Nel 1789 si contavano, nella parte francese di Santo Domingo, 35.440 bianchi, 509.642 schiavi, 26.666 affrancati e "gente di colore". Affrancati e uomini liberi di colore potevano diventare proprietari di piantagioni e di schiavi ma erano sottoposti a una rigorosa discriminazione: nel 1789 i coloni negarono loro i diritti politici. (AAVV., p. 28-29)
Dopo la "grande paura" degli schiavisti dovuta all'insurrezione degli schiavi della parte francese di Santo Domingo, che portò nel 1804 all'indipendenza della repubblica nera di Haiti, la prima metà del XIX secolo conobbe un nuovo sviluppo della piantagione schiavistica americana, stavolta non più nel quadro del mercantilismo, bensì del mercato dominato dal moderno capitalismo industriale: sviluppo nelle regioni meridionali degli USA della piantagione schiavistica cotoniera, per rifornire di materia prima le fabbriche inglesi di Manchester e della sua regione; sviluppo della schiavitù a Cuba (per la produzione zuccheriera) e in Brasile (zucchero e cacao) per il consumo europeo. La schiavitù sarebbe stata abolita soltanto nel 1833 nelle colonie britanniche, nel 1848 in quelle francesi, nel 1866 negli Usa (dopo la sconfitta dei sudisti nella guerra di Secessione), nel 1886 a Cuba (colonia spagnola) e nel 1888 in Brasile. (AAVV., p. 29-30)
Ultimo risvolto della demografia americana: con il boom demografico europeo ottocentesco, conseguente alla "transizione demografica", decine di milioni di individui avevano abbandonato l'Europa e si erano in buona parte trasferiti nel Nordamerica, aggiungendosi nel complesso all'immigrazione proveniente dall'Asia. (Giardina, p. 541)
Possediamo dei dati più precisi sull'immigrazione europea: tra il 1846 e il 1932 si calcola che fossero partiti, per mete transoceaniche, 18 milioni di persone dalla Gran Bretagna e dall'Irlanda; 11,1 milioni dall'Italia; 6,5 dalla Spagna e dal Portogallo; 5,2 dall'Austria-Ungheria; 4,9 dalla Germania; 2,9 dalla Polonia e dalla Russia; 2,1 dalla Svezia e dalla Norvegia, per non citare che le maggiori provenienze. Questo fiume di emigrati si diresse per 34,2 milioni verso gli Stati Uniti; 7,1 in Argentina e Uruguay; 5,2 in Canada; 4,4 in Brasile; 3,5 in Australia e Nuova Zelanda; 0,9 a Cuba, solo citando le destinazioni principali. (Livi Bacci, p. 164)
Nel complesso, l'emigrazione ebbe certamente conseguenze benefiche; rese possibile un più rapido accrescimento economico nelle zone di partenza; permise di utilizzare la risorsa lavoro là dove questa era più produttiva, accrescendo le risorse per l'intero sistema, in Europa come oltreoceano. (Livi Bacci, p. 165)
Nel loro modo di emigrare e di sistemarsi privilegiando le relazioni a carattere comunitario, gli irlandesi negli Usa come gli altri emigranti, europei e non, procedettero con lo stesso metodo, ricreando reti sociali con i propri compatrioti nel Paese di accoglienza. Per l'emigrante di trattava di ricostituire uno spazio sociale privilegiato. Per lui era una questione di sopravvivenza, in un ambiente che si rivelava generalmente ostile. Con la seconda generazione queste relazioni privilegiate incominciarono a scomparire, ma perdurano ancora oggi grazie ad associazioni politiche, culturali, religiose, ecc. (AAVV., p. 441)

- La struttura geopolitica a partire dall'800
La storia moderna del Sudamerica inizia con la rivoluzione creola, agli inizi dell'800, che avrebbe permesso ai singoli Stati di rendersi indipendenti dalla Spagna. Ma l'indipendenza durò poco: presto gli statunitensi e, in minima parte, gli inglesi e i francesi si sostituirono ai vecchi colonizzatori, grazie all'appoggio delle classi sociali egemoni, i latifondisti e l'alta borghesia urbana, e secondo il più classico patto coloniale, esportazione di materie prime sotto il controllo di grandi società multinazionali, importazione di prodotti manufatti.
Nell'America Latina, come nei Paesi cattolici europei, il livello di fiducia è tendenzialmente limitato alla famiglia ed alle amicizie personali (il familismo amorale). Le economie di Paesi come Messico, Perù, Bolivia e Venezuela sono in larga parte controllate da qualche dozzina di famiglie potenti, le cui attività interessano svariati settori, dalla vendita al dettaglio alla produzione ed ai servizi assicurativi. La logica economica di queste reti non risulta chiara agli esterni finché non ci si rende conto che sono fondate sulla parentela e i rapporti personali. Gli investitori esterni che agiscono senza conoscere queste complesse reti fondate sulla fiducia, lo fanno a loro rischio e pericolo.
Una normale conseguenza dell'importanza culturale accordata alla consanguineità come base per il capitale sociale è la presenza di due livelli di obbligo morale - uno all'interno della famiglia e l'altro, meno importante, per chiunque altro. In molte di queste società familistiche, esiste un livello di corruzione molto elevato perché il servizio pubblico è spesso considerato come un'opportunità per rubare a vantaggio della famiglia. Un detto popolare, in uso in Brasile, dice che c'è una morale per la famiglia ed un'altra per la strada. È difficile concludere affari senza legami di parentela o personali, e spesso gli estranei sono trattati con un opportunismo spietato, cosa che non si verificherebbe mai all'interno della rete di fiducia. (Fukuyama, p. 308-309)
La mobilità sociale lenta e difficile, la debolezza delle istituzioni rappresentative, l'uso generalizzato del broglio elettorale e della repressione da parte delle autorità centrali e dei potentati locali, la conseguente tendenza delle tensioni politiche e dei conflitti sociali ad assumere forme violente, hanno contribuito ad attribuire un ruolo importante all'esercito, come braccio armato del governo, arbitro dei conflitti e, in qualche caso, interprete in proprio dell'unità e degli interessi nazionali. È in questo quadro che, in diversi Paesi e momenti, sono emerse due tipiche forme di governo: il populismo e la dittatura militare. (Volpi, p. 459)
Il mantenimento del potere e la centralizzazione delle funzioni politiche nell'esecutivo hanno avuto, come conseguenza, un'estensione della burocrazia e dell'esercito e, quindi, una crescita ipertrofica di ceti medi urbani, che hanno trovato nella pubblica amministrazione la possibilità di occupazione e di guadagni leciti e illeciti, e che hanno costituito una componente importante della base di consenso del governo.
Al contrario le masse contadine, spesso la maggioranza della popolazione, sono rimaste divise e non integrate nella comunità nazionale, soggette al potere locale dei grandi proprietari e, dove corrispondono a minoranze etniche, marginalizzate e discriminate nell'ambito delle loro istituzioni tradizionali. Quelli che emigrano nelle città non trovano lavoro perché le industrie non hanno un elevato potenziale produttivo. (Volpi, p. 461)
La dimensione della povertà sudamericana si coglie proprio nelle città. Mentre il centro vede sorgere meravigliosi grattacieli scintillanti, gli strati più poveri della popolazione continuano a costruire catapecchie, baracche e ripari, con ogni possibile materiale di scarto, in zone prive di fognature e di qualsiasi servizio urbano. (Bellezza, p. 102)
L'America centrale ha una densità molto alta, e ciò è dovuto probabilmente alle ridotte dimensioni del territorio. L'insediamento trova possibilità diverse da una zona all'altra, mentre le parti di foresta più fitta risultano decisamente inospitali. Dato l'aumento rapido della popolazione e le scarse possibilità di sopravvivenza in patria, molti cercano di emigrare negli Stati Uniti e nel Canada.
Il Sudamerica, al contrario dell'America centrale, potrebbe ospitare una popolazione molto più numerosa dell'attuale, ma gravi problemi sono causati dalla distribuzione degli abitanti; si registra una contrapposizione tra regioni spopolate e altre decisamente sovrappopolate. La foresta amazzonica, le montagne che costeggiano l'Oceano Pacifico e l'estremo sud sono quasi spopolati, mentre l'addensamento è maggiore lungo le coste. (Bellezza, p. 101)
La foresta amazzonica è il più importante apparato forestale del mondo, che occupa una superficie di ben 5 milioni di km². Si tratta di una pianura alluvionale solcata da grandi corsi d'acqua e coperta dalle foreste pluviali, ma che oggi rischia di scomparire per colpa di un processo disordinato di industrializzazione, e del metodo taglia e brucia utilizzato dai contadini poveri per aumentare la produzione e compensare l'aumento demografico. (Forte, p. 255)
L'esistenza delle vaste aree forestali dell'Amazzonia e delle regioni andine e la scarsità di popolazione, questi due fattori hanno disincentivato l'impianto o il miglioramento della rete stradale o ferroviaria. Oltre alle poche importanti arterie di traffico - fra cui la discussa Transamazzonica, così denominata perché attraversa per molte centinaia di chilometri la foresta amazzonica, con danno per l'ambiente sottoposto ad ulteriori diboscamenti - ed alla rete ferroviaria non molto estesa (tranne che in Brasile), si continuano ad usare le vie fluviali. (Forte, p. 250-251)
L'America Latina, nel suo complesso, dispone di grandi risorse naturali, agricole e minerarie. Una di queste è il legname, come è ovvio date le enormi foreste. L'altra è l'allevamento, che potrebbe essere intensificato per seguire il ritmo di crescita della popolazione, e che potrebbe essere una soluzione naturale alla conduzione capitalistica insensata in atto nei Paesi occidentali.
Ma soprattutto è presente il petrolio, che permette al Venezuela di essere uno dei maggiori produttori di petrolio del mondo, ma che risulta abbondante anche in altre zone del continente. Tra parentesi, era stato proprio il petrolio una delle principali cause dell'indebitamento di questi come degli altri Paesi del Terzo mondo, perché l'alto prezzo degli anni '70 incoraggiava i rispettivi governi a ricorrere a massicci prestiti esteri per finanziare gli investimenti interni (rivelatisi presto mal coordinati, e pertanto altamente inquinanti), con la garanzia di un futuro rimborso grazie ai proventi dell'esportazione di petrolio. La combinazione tra crollo dei prezzi internazionali-investimenti errati fece venire a meno l'illusione della ricchezza, se non addirittura peggiorò la situazione generale di miseria ed inquinamento (par. r).
La superficie messa a coltura non è una forte percentuale del territorio, ma si tratta comunque di superfici estese viste le dimensioni del continente. Possiamo classificare tre tipi di conduzione agricola: il grande latifondo in cui il suolo è sfruttato estensivamente, la piantagione, dove si produce per l'esportazione, e i piccoli minifundos, dove i contadini praticano coltivazioni per la sussistenza.
La maggior parte delle terre è suddivisa in grandi proprietà sottoutilizzate, i latifondi, dove non vengono effettuati investimenti né migliorate le tecniche di coltivazione; privi di capitali e di conoscenze tecniche, neppure i contadini sono in grado di modernizzare le loro pratiche agricole. Qualche speranza può venire solo con il processo di globalizzazione, che richiede il potenziamento della produzione. La piantagione e l'agricoltura di sussistenza hanno gli stessi problemi degli altri Paesi in via di sviluppo. (Bellezza, p. 93)
Cuba costituisce un'eccezione al panorama sudamericano. A partire dal gennaio 1959 si era instaurata una dittatura sul modello sovietico (che dura tutt'ora malgrado il dissolvimento dell'Urss), sotto Fidel Castro. Questi avviò subito una riforma agraria che colpiva il monopolio esercitato dalla United Fruit sulla coltivazione della canna da zucchero, principale risorsa dell'isola.
Gli Stati Uniti assunsero di conseguenza un atteggiamento ostile, un atteggiamento aggravato dall'appoggio dato da Cuba alla guerriglia marxista, in America come altrove: basti solo pensare alla Colombia, dove da decenni si combatte una guerra civile, finanziata dal narcotraffico, tra marxisti, paramilitari di estrema destra, narcos e uomini al potere; oppure al Perù, dove il movimento Sendero Luminoso avrebbe provocato un'altra guerra civile (1982-1991). (Giardina, p. 1063)
Sul comunismo cubano, le opinioni sono discordanti. Secondo i critici si tratterebbe di un regime dittatoriale repressivo, le cui riforme economiche avrebbero portato alla stagnazione, se non ad un impoverimento generale come dimostrerebbero i tanti esuli statunitensi. Il valsero, l'equivalente cubano dei boat people del Sudest asiatico, appartiene al paesaggio umano dell'isola allo stesso titolo del tagliatore di canna (il prodotto tipico di Cuba: le canne da zucchero).
Quello dell'esilio è utilizzato come strumento di controllo delle tensioni interne all'isola: molti di questi cubani sono fuggiti in Florida o nella base americana di Guantánamo. I vari esodi hanno fatto sì che Cuba abbia attualmente il 20% dei suoi cittadini in esilio; su una popolazione di 11 milioni di abitanti, quasi 2 milioni vivono fuori dall'isola. (Courtois, p. 619-620)
Secondo i sostenitori, invece, bisognerebbe osservare i successi del regime, cioè la parità uomo-donna, l'istruzione di massa e la sanità aperta a tutti. Gli insuccessi sarebbero da imputare all'embargo imposto dagli Stati Uniti, embargo che come quello iracheno ha valore per i prodotti commercializzati con tutti i Paesi del mondo. Le ultime notizie ci riferiscono che l'embargo ha penalizzato gli stessi Stati Uniti, gli unici in pratica a non fare affari con Cuba. Questo ha spinto alcune multinazionali a chiedere una revoca dell'embargo.
La popolazione cubana è irregolarmente distribuita sul territorio dell'isola e si concentra in prevalenza nella provincia della capitale L'Avana, dove la densità è 30 volte superiore alla media nazionale (più di 2.700 ab./km²). La bassa natalità, la diffusione dei contraccettivi e il buon tenore di vita dovrebbero costituire un pregio per quest'isola.
Completiamo con la continuazione della tabella sulle centrali nucleari:

Nazione

Centrali in funzione

Centrali in costruzione
 Messico

2

0
 Brasile

2

0
 Argentina

2

0

Bibliografia:
AAVV., Il libro nero del Capitalismo, Marco Troppa Editore '99
Bellezza Giuliano, Geografia per l'uomo, vol. 3, Mondadori '84
Courtois Stéphane e altri, Il libro nero del Comunismo, Mondadori '98
Forte Gioacchino e Tanara Urbettazzi Milli, Geografia, vol. 3, De Agostini '99
Fukuyama Francis, La Grande Distruzione, Baldini&Castoldi '99
Giardina A. e altri, L'età contemporanea, Laterza '97
Livi Bacci Massimo, Storia minima della popolazione del mondo, Il Mulino '02
Volpi Franco, Introduzione all'economia dello sviluppo, FrancoAngeli '99.

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