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Sovrappopolazione e sottosviluppo.

La Conferenza del Cairo

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Comandè Marco

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Capitolo 3

Il terzo mondo

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n) Il mondo islamico fra tradizione e modernità - Il glorioso passato.

Sotto l'egida dell'unico Iddio creatore e giudice, sul modello del Profeta rivelatore (Maometto: 570-632), si svolge dalla culla alla tomba la vita del credente musulmano: la fede lo abilita alla salvezza eterna, il culto lo mantiene in docile contatto quotidiano col Divino, le buone opere inculcate dal Corano gli assicurano, quale capitale bene impiegato, il frutto del Paradiso. La Legge sacra o Sharia, comprendente del pari le prescrizioni culturali e giuridiche, avvolge l'uomo in una fitta ed elastica rete di precetti, di varia obbligatorietà e raccomandabilità, che guardata dall'esterno può sembrare oppressiva, ma tale non è stata per generazioni musulmani.
Di tali obbligazioni culturali (ibadàt) basterà qui menzionare le cinque principali, i cosiddetti "fondamenti dell'Islam", che da 13 secoli costituiscono i punti essenziali nella vita del credente: primo fra essi è considerato la già citata professione di fede (shahada), che recitata dinanzi a due testimoni basta a costituire legalmente la qualità di musulmano.
Secondo fondamento, e praticamente primo e più vistoso nell'uso quotidiano, è la preghiera canonica (salàt), ripetuta cinque volte al giorno a ore fisse, e consistente in un certo numero di formule e movimenti del corpo (stazioni, prostrazioni, genuflessioni), minutamente regolate dalla Legge. Una delle cinque preghiere, la meridiana del venerdì, è quella obbligatoria in comune, che dà un aspetto così caratteristico alla società islamica a tutt'oggi.
Il terzo fondamento, oggi quasi ovunque in disuso ma a lungo in vigore specie nei primordi dell'Islam, è l'elemosina legale (zakàt), dovuta allo stato da ogni credente su determinati beni e prodotti, e devoluta a determinati scopi di beneficenza e assistenza sociale.
Quarto istituto fondamentale dell'Islam è il digiuno del ramadàn, dall'alba al tramonto, sentito e praticato in ogni Paese di tradizione o reviviscenza di fede islamica come una caratteristica di questa fede.
Quinto e ultimo il pellegrinaggio, adattamento islamizzato dell'antico rito pagano, cui ogni credente che ne abbia la fisica ed economica capacità è tenuto almeno una volta nella vita, e che raduna tuttora ogni anno, ai primi del mese di dhu l-higgia, torme di fedeli da ogni parte della terra islamica nel santuario meccano e nei luoghi sacri delle vicinanze (Arafa, Muzdàlifa, Mina), mantenendo una ininterrotta continuità nel tempo e nel rito con le primissime generazioni musulmane.
Non è formalmente contato fra questi "fondamenti dell'Islam", ma ne è praticamente un complemento, il dovere religioso della guerra santa o Jihàd contro gli infedeli, legato a perentori passi coranici (per esempio "Combattete sulla via di Dio coloro che vi combattono. Uccideteli ovunque li troviate, e scacciateli di dove hanno scacciato voi", Corano 2, 186-7).
Questo era divenuto parte integrale dell'azione del Profeta appena egli si trovò a Medina alla testa di un'audace comunità combattente. Alla sua scomparsa, il precetto ebbe immediata applicazione nella repressione della secessione d'Arabia (ridda), e poi in tutto il moto delle conquiste, anche se altri elementi concorsero a determinarle.
Per tutta l'epoca eroica degli inizi, e poi finché l'Islam fu all'offensiva contro l'Occidente cristiano, la Jihàd fu la base, la giustificazione teorica, il religioso ideale ispiratore della dinamica musulmana. Oggi, allo stato puro, esso non è più che un ricordo, passato in parte in altri slogan e principi direttivi dell'azione dei popoli islamici, come la lotta contro il colonialismo e il reale o presunto imperialismo d'Europa e d'America. (Gabrieli, p. 62-63)
La civiltà islamica dei primi secoli (mentre alle origini stava la divisione fra il nord beduino e il sud patriarcale), vide l'approfondimento e lo sviluppo di queste sommarie linee direttive della comunità. Il successore di Maometto (khalifa, Califfo: parola con cui da allora si designò il capo della comunità musulmana) divenne custode e applicatore della Legge sacra, mentre ebbe poteri larghissimi, praticamente assoluti, in tutto il campo dove quella Legge non stabiliva univoche norme: nel governo degli uomini e dei territori su cui presto si estese l'Islam, nell'amministrazione dello Stato entro i rudimentali principi sanciti dal Corano e dalla consuetudine del Profeta, nella nomina dei governatori e dei giudici, nei rapporti di guerra o di pace (teoricamente, semplice tregua) col mondo infedele.
Poteri quindi di sovrano laico, si direbbe, secondo l'occidentale distinzione fra il sacro e il profano (e in tal senso qualcuno ha assimilato il Califfo, piuttosto che al Papa, all'Imperatore del medioevo cristiano): ma la compenetrazione in Oriente assai maggiore tra il sacro e il profano, l'essere lo Stato islamico a un tempo una comunità religiosa (anzi a rigore una comunità religiosa fattasi Stato), la qualità di diretto successore del venerato capo e fondatore dello Stato, della comunità, e in primo luogo della fede islamica, tutti questi elementi conferirono sempre al Califfo un alone di dignità che andò oltre quella di semplice capo politico, e che le fiere contese civili non fecero che mettere in maggiore rilievo. (Gabrieli, p. 66)
Le contese riguardavano appunto la questione della successione al Califfo (il quarto, per la precisione), e portarono alla scissione in tre gruppi religiosi: sunniti, sciiti e kharigiti. Quest'ultimo gruppo comprendeva coloro che si opposero alle rivendicazioni del califfato sia da parte di 'Ali sia di Mu'awiyyah. I kharigiti sarebbero sempre stati numericamente esigui, ed attualmente rimangono circoscritti all'Oman e all'Algeria meridionale. La divisione più importante all'interno dell'Islam è, oggi, tra sunniti e sciiti.
La stragrande maggioranza dei musulmani, circa l'87-88%, è sunnita, parola che deriva da ahl al-sunnah wa'l-jama'ah, ossia "seguaci della Sunnah del Profeta e della maggioranza". Circa il 12-13% dei musulmani è sciita, da shi'at'Ali (i partigiani di 'Ali). Gli sciiti a loro volta si dividono in sciiti duodecimani, ismailiti e zaiditi. I duodecimani, o sciiti ithna-'ashari, sono di gran lunga i più numerosi, comprendendo circa 130 milioni di persone che attualmente vivono per la maggior parte in Iran, Iraq, Libano, Golfo Persico, Arabia Saudita orientale, Afghanistan, Azerbaigian, Pakistan ed India. Le popolazioni di Iran, Iraq, Azerbaigian e Bahrein sono di maggioranza sciita duodecimana, mentre in Libano gli sciiti costituiscono il più ampio singolo insieme religioso. (Sharma, p. 583-584)
I sunniti scelsero come primo califfo Abu Bakr, venerabile amico del Profeta; un piccolo gruppo, invece, ritenne che sarebbe dovuto diventare califfo 'Ali, cugino e genero del Profeta. Si trattava comunque di un problema più profondo della scelta tra personalità diverse, giacché toccava anche la funzione di colui che doveva succedere al profeta. Secondo i sunniti il successore doveva avere il compito di difendere la Legge sacra, ricoprire l'incarico di giudice e governare la comunità, salvaguardando l'ordine pubblico e i confini del mondo islamico. Gli sciiti ritenevano che costui dovesse anche sapere interpretare il Corano e la Legge, e di fatto possedesse la sapienza interiore: quindi, doveva essere scelto da Dio e dal Profeta, non dalla comunità. Una simile figura era detta iman. (Sharma, p. 584)

- Un Impero multietnico
Uno dei concetti chiave nell'Islam è la ummah, ossia la totalità di coloro che sono musulmani e compongono il mondo musulmano. L'Islam vede la storia stessa in termini religiosi, e si rapporta principalmente agli altri popoli non in base alle affinità linguistiche o etniche, bensì secondo l'identità religiosa.
La ummah non è però composta da un solo gruppo etnico, razziale o culturale. L'Islam fu fin dall'inizio una religione rivolta all'umanità nel suo complesso e fortemente avversa ad ogni forma di razzismo e tribalismo. Nel corso dei secoli, arabi e persiani, turchi, indiani, neri, malesi, cinesi, mongoli, slavi e perfino alcuni tibetiani entrarono a far parte della ummah. (Sharma, p. 587)
Attualmente, gli arabi rappresentano meno di un quinto della popolazione mondiale musulmana. Essi mantengono tuttavia una posizione centrale nella ummah, per l'importanza che tutti i musulmani riconoscono ai luoghi sacri dell'Islam situati nel mondo arabo, in particolare La Mecca e Medina nella regione del Hijaz, nell'attuale Arabia Saudita. Circa 200 milioni di musulmani arabi vivono tra la Mauritania e l'Iraq e vengono identificati come arabi non dal punto di vista etnico ma linguistico; viene cioè considerato arabo chi è di madrelingua araba. Tra l'altro, prima della divisione della Palestina, nei Paesi arabi esistevano anche molte comunità di ebrei già notevolmente arabizzati dal punto di vista culturale.
La seconda zona etnica e culturale più antica del mondo islamico è quella persiana, che comprende non solo la popolazione dell'attuale Iran ma anche popoli di ceppo etnico e linguistico simile, tra cui curdi, afgani, tagiki e in parte uzbeki e pakistani. Tutti assieme contano circa un centinaio di milioni di persone. La lingua persiana è per importanza la seconda lingua della civiltà islamica dopo l'araba, ed è l'unica altra lingua parlata e scritta fuori dei territori dei parlanti nativi.
I musulmani del subcontinente indiano rappresentano il più largo gruppo a se stante di seguaci dell'Islam. Sparsi tra Pakistan e Bangladesh, dove la maggioranza è musulmana, e India, Sri Lanka e Nepal, dove i musulmani sono in minoranza, essi contano circa 350 milioni di persone. In India vivono ben 100 milioni di musulmani, la più ampia singola minoranza del mondo. (par. m)
Dopo gli arabi e i persiani, i turchi sono il gruppo più importante in termini di partecipazione alla civiltà islamica e di ruolo nella storia dell'Islam. Distribuiti dai Balcani alla Siberia orientale, i turchi svolsero un ruolo determinante nella vita politica dell'Islam nello scorso millennio, creando il potente Impero ottomano che durò circa sette secoli fino alla prima guerra mondiale.
Ma la popolazione turca non si limita ai turchi del mondo ottomano e all'attuale Turchia; molte repubbliche della Caucasia e dell'Asia centrale attualmente indipendenti sono etnicamente e linguisticamente turche, sebbene alcune siano culturalmente molto vicine al mondo persiano. Nella stessa Russia esistono popoli di ceppo turco. Si contano forse più di 150 milioni di persone appartenenti a questo gruppo etnico, con lingue né semitiche, come l'arabo, né indoeuropee, come il persiano, ma altaiche. Le popolazioni turche rappresentano un'area distinta nella civiltà islamica, e nel corso dei secoli interagirono spesso con il mondo arabo e persiano.
L'espansione dell'Islam interessò fin dagli inizi l'Africa nera. I musulmani neri dell'Africa ebbero un ruolo importante nella storia islamica. I musulmani africani neri avevano creato fiorenti Imperi nell'Africa subsahariana già prima del VII (XIII) secolo, e l'Islam nell'Africa fu, e continuò ad essere, una forza vitale ed energica perfino durante il periodo delle colonizzazioni europee.
Oggi più di 100 milioni di musulmani africani neri, distinti dagli arabi e dai berberi nordafricani, costituiscono una parte ragguardevole di civiltà islamica. Ma la divisione principale in questa zona del mondo islamico è tra l'Africa orientale e occidentale, sebbene ancora una volta numerosi fattori uniscano le due aree; tra questi le confraternite sufi, che ebbero una parte importante nella diffusione africana dell'Islam e sono ancora assai attive in molte regioni dell'Africa nera musulmana.
Rispetto alle suddette aree, l'Islam si diffuse più tardi nel mondo malese. Esso attualmente comprende il più popoloso dei Paesi islamici, l'Indonesia, e un ricco universo islamico che abbraccia, oltre a questa, la Malaysia, il Brunei, le Filippine meridionali ed alcune zone della Thailandia, della Cambogia e parte di Singapore. Più di 180 milioni di musulmani sono disseminati in quest'area, che comprende migliaia di isole e la penisola della Malesia.
Poche notizie si hanno dei musulmani cinesi. Sparsi per tutta la Cina, il loro numero oscilla dai 30 ai 100 milioni. La loro maggiore concentrazione si trova nella regione occidentale del Sinkiang. Il corpus della letteratura islamica cinese rimane per la maggior parte sconosciuto al mondo esterno. Ciononostante, i musulmani restano un'importante minoranza in Cina ed in altri Paesi: dalla Myamar (Birmania) nell'Asia meridionale alla Finlandia nell'Europa settentrionale.
È di qualche rilevanza menzionare le parti di ummah che si trovano in Europa e in America, benché il loro numero sia relativamente piccolo. Circa 10 milioni di musulmani vivono in vari Paesi europei. Alcuni, tra i quali i bosniaci, sono di ceppo slavo; gli albanesi dell'Albania e del Kosovo appartengono a comunità secolari poiché sono di provenienza turca e perfino bulgara.
Gli altri musulmani europei sono soprattutto emigranti giunti in Europa fin dalla seconda guerra mondiale (par. h): si tratta prevalentemente di nordafricani in Francia; indiani, pakistani e nativi del Bangladesh nel Regno Unito, e turchi in Germania. Attualmente i musulmani costituiscono importanti comunità in molte zone ed hanno perfino ingaggiato sfide culturali e sociali in alcuni Paesi come la Francia.
Non c'è dubbio che molti degli schiavi portati dall'Africa in America fossero originariamente musulmani, ma la loro religione venne gradualmente dimenticata. In ogni modo, fin dagli anni '30 l'Islam si andò diffondendo tra gli afroamericani ed attualmente rappresenta una notevole voce religiosa in America.
Al giorno d'oggi, in America vivono dai quattro ai cinque milioni di musulmani: in questo numero non rientrano soltanto afroamericani ma anche numerosi arabi e persiani, oltre a una parte di turchi ed indiani del subcontinente emigrati in America durante gli ultimi decenni. Anche un certo numero di americani e canadesi di ceppo europeo hanno abbracciato l'Islam. Così la comunità islamica continua a crescere: in Sudamerica troviamo cospicui gruppi di musulmani in Brasile, Argentina, Trinitad e in parecchie altre aree. (Sharma, p. 589-593)

- Tradizione e modernità
Anno 945 d.C.: crollato l'Impero islamico, da allora in avanti furono le dinastie locali ad esercitare il reale potere politico, mentre il califfato divenne il simbolo dell'unità del mondo islamico e del governo della Sharia.
Anno 1453: dal crollo dell'Impero bizantino nacque il più potente Stato islamico degli ultimi secoli, quello ottomano.
Anno 1798: con la Campagna d'Egitto di Napoleone, iniziò l'epoca del colonialismo occidentale sugli Stati islamici. Come nelle altre colonie, gli occidentali tentarono di rinnovare il campo del diritto economico, lasciando quasi inalterato il diritto di famiglia e quello consuetudinario.
Anno 1920: malgrado le promesse di autodeterminazione fatte durante la prima guerra mondiale, gli Alleati approfittarono del disfacimento dell'Impero ottomano e si spartirono le regioni arabe dell'ex-Impero.
Anno 1947: nasceva lo Stato ebraico in Palestina. Avrebbero seguito le guerre arabo-israeliane: 1947-1949, 1956, 1967, 1973. I profughi palestinesi avrebbero costituito un problema per i vicini arabi: strage in Giordania ("settembre nero": 1970), guerra civile in Libano nella quale sarebbero stati coinvolti anche i cristiani (una buona fetta della popolazione).
Anno 1979: con la rivoluzione khomeinista in Iran, che scalzò il regime filoamericano e corrotto dello scià Reza Mohammed, iniziò l'epoca moderna del fondamentalismo religioso. In molti Stati l'estremismo islamico sarebbe diventato violento, sia nei confronti dei riformisti interni, sia nei confronti degli ex-colonizzatori. A parte i vari attentati terroristici contro le basi americane da parte di Al-Qaeda, ricordiamo i massacri in Algeria (anche se qualcuno dubita che fossero opera dei fondamentalisti) ed in Indonesia.
Queste sommarie righe servono per chiarire in che modo esiste, oggi, una questione araba: frantumazione in singoli Stati del mondo musulmano, risentimento nei confronti del mondo cristiano ed ebraico, uso del Corano per difendere la società patriarcale dalle sfide della modernità… Osserviamo come antico e moderno convivono attualmente in maniera conflittuale nel mondo arabo, studiando i tre campi: la politica, la società e la famiglia. (Corano)
L'Islam non ha mai separato la religione dalla politica, nel senso di dividere il regno di Dio da quello di Cesare. In altri termini, l'Islam non ammette la legittimità di un settore esterno alla sfera religiosa e rifiuta di accordare ogni genere di realtà alla dicotomia tra sacro e profano (o secolare), o tra spirituale e temporale (Sharma, p. 594)
La forma stessa di Stato-nazione, imposta dall'Occidente, è estranea alla natura della società islamica ed è motivo di grandi tensioni interne in molte aree. Da un lato i musulmani desiderano un'unità islamica opposta alla segmentazione della ummah e alla divisione del mondo islamico non soltanto in unità e zone antiche e ben definite, ma anche in quelle nuove, spesso mal concepite e artificiali; dall'altro c'è il forte desiderio di mantenere l'identità e il carattere del mondo islamico anteriore all'assalto della civiltà occidentale moderna, la cui invasione di valori continua imperterrita. (Sharma, p. 678)
Gli aspetti pubblici dell'Islam riguardano ogni condotta della comunità in quanto tale, dalla singola unità locale alla ummah fino all'intera comunità e all'intera creazione. Non esistono relazioni tra gli esseri umani che non abbiano significato religioso, a cominciare dai rapporti tra i membri della comunità più concreta, ossia la famiglia e il vicinato, il villaggio o la tribù.
Alcuni degli insegnamenti dell'Islam incarnano principi morali di carattere generale, come il dovere di essere caritatevoli e giusti in ogni circostanza nei confronti di tutte le persone e perfino delle altre creature di Dio. Altri principi si articolano in leggi concrete che hanno regolato il comportamento sociale islamico nei secoli; tra queste, le leggi riguardanti il matrimonio, il divorzio e l'eredità. (Sharma, p. 598)
Le donne hanno soprattutto il compito di salvaguardare la famiglia e allevare i figli; l'uomo quello di provvedere economicamente. L'Islam pone particolare accento sul ruolo essenziale della famiglia: essa è tuttora molto solida nonostante la legge islamica non vieti il divorzio. Benché fuori casa sia il maschio musulmano a dominare nella sfera economica e sociale, la moglie regna incontrastata dentro casa, dove il marito è un ospite.
La sessualità nell'Islam è ritenuta sacra in se stessa; quindi il matrimonio non è un sacramento, ma un contratto stipulato tra le due parti. La poligamia è ammessa a certe condizioni, tra le quali il consenso di tutte le parti implicate e un comportamento equo del marito verso le mogli. Ma ogni promiscuità sessuale è rigidamente vietata e punita duramente secondo la Legge sacra, anche se la punizione per adulterio (mediante lapidazione) può avvenire soltanto se esistono quattro testimoni dell'atto. Le famiglie nel mondo islamico sono in gran parte monogame; la poligamia è solitamente dettata da fattori economici, nonché dal forte desiderio dell'Islam di integrare tutti i membri della società in una struttura familiare.
L'idea islamica della complementarità tra uomini e donne, e della sacralità della sessualità, si riflette anche nella separazione tra uomini e donne in ambito sociale e nel significato del velo che queste ultime indossano. Il velo non è prerogativa del solo Islam, essendo stato usato per millenni anche da popolazioni ebree e cristiane. Eppure, vista l'importanza che riveste nell'Islam, agli occhi dell'Occidente spesso il velo si identifica con la religione islamica. L'Islam esige che le donne siano modeste nel vestire, e che sottraggano i loro "ornamenti" - da sempre interpretati come i capelli e il corpo - alla vista degli estranei. (Sharma, p. 622-623)
Il musulmano vive tra due potenti realtà sociali: la ummah, ossia l'intera comunità islamica, la cui totalità il musulmano o la musulmana non sono in grado di cogliere ma con la quale idealmente si identificano, e la famiglia, che essi considerano la parte più reale del loro mondo. Tutte le altre istituzioni, siano esse economiche o politiche, per quanto importanti, sono in secondo piano rispetto alla ummah e alla famiglia. Venendo meno l'istituzione familiare, i conservatori arabi di tutte le risme temono la reazione a catena all'interno dell'attuale costruzione del potere. (Sharma, p. 645)
La forza della famiglia nella società islamica è così grande che soltanto essa, tra tutte le maggiori istituzioni dell'Islam, è passata praticamente indenne attraverso gli sconvolgimenti a cui avrebbe assistito parte del mondo islamico nell'ultimo secolo. (Sharma, p. 644)
Eppure è proprio oggi, con la globalizzazione, che la famiglia patriarcale islamica sta per essere soppiantata dal tipo di famiglia "nucleare". Tra tutti i segnali di questo cambiamento di rotta, tre sembrano avere maggiore rilevanza: l'istruzione femminile, l'apertura all'esterno e l'urbanizzazione del territorio.

- La struttura geopolitica
Qui andiamo a studiare il territorio islamico che comincia con l'Asia ex-sovietica, continua con la Turchia, l'Afghanistan, il Medio e il Vicino Oriente (Israele incluso), e termina con l'Africa mediterranea. Il Pakistan e l'Indonesia li abbiamo riservati al Continente asiatico, perché vi sono più affini geograficamente. La distinzione tra Africa islamica e Africa subsahariana è puramente arbitraria: consideriamo in questo paragrafo i seguenti Stati: Egitto, Libia, Tunisia, Marocco e Mauritania.
Una costante del panorama islamico è il deserto. Malgrado la bassissima densità di popolazione (a parte qualche eccezione, come la Turchia ed Israele), il deserto rende inospitali grandissimi spazi, e la popolazione è costretta ad accalcarsi negli unici territori ospitali, come le coste o i fiumi (il Nilo per l'Egitto e il Sudan, il Tigri e l'Eufrate per il triangolo Turchia, Siria e Irak).
Il processo di inurbamento è andato accelerando in questi decenni, non soltanto a causa della siccità e del boom demografico, che hanno reso precaria la vita dei villaggi rurali, ma anche per la speranza di trovare lavoro e vivere meglio. Lo spiegheremo meglio parlando del processo caotico di inurbamento dell'Africa subsahariana, nel prossimo paragrafo.
Il boom demografico, seppur prevedibilmente transitorio, ha come conseguenza che metà della popolazione è ancora giovane, e questi nuovi cittadini arabi non riescono ad integrarsi in una società ancora economicamente arretrata, diventando di conseguenza facile preda delle organizzazioni terroristiche violente e fanatiche (Huntington: par. s).
Parlando di popolazione, è obbligatorio riferirsi ad altre cinque questioni. La prima riguarda il nomadismo, che è l'unica possibilità di sopravvivenza in mezzo alla sabbia, ma che non è ben visto dai governi perché queste tribù beduine sono difficilmente controllabili ed intralciano i lavori per l'estrazione del petrolio.
L'altra questione si chiama Kurdistan. I curdi sono gente di montagna, e la frammentazione di questa società tribale aveva impedito loro di difendersi dall'occupazione dei Paesi confinanti, subito dopo la disgregazione dell'Impero ottomano. Risultato: oggi i curdi costituiscono il 20% della popolazione turca, quasi il 25% di quella irachena, il 10% di quella iraniana e l'8% di quella siriana, ed è ovunque una minoranza perseguitata, che può trovare solo nell'emigrazione la sua arma di difesa. (Forte, p. 123)
Qualcosa di simile avvenne con il genocidio perpetrato dai turchi nei confronti degli armeni fra il 1915 e il 1923. Massacri e spostamenti di popolazioni, organizzati dalle autorità turche dell'epoca, non lasciarono scelta agli armeni che dovettero abbandonare la Cilicia, regione dell'Asia minore dove vivevano da secoli. Una parte di loro raggiunse l'Armenia sovietica e molti altri si rifugiarono in Europa e negli Stati Uniti. (AAVV., p. 442-443)
Quanto a Cipro, quattro quinti degli abitanti sono di lingua greca e di religione cristiana ortodossa, mentre il quinto rimanente è di lingua turca e di religione islamica. La situazione nell'isola, vicinissima alla Turchia, è molto tesa per i rapporti tra le due comunità. Sia la Grecia che la Turchia rivendicano la sovranità sull'isola, e spesso arrivano a scontrarsi diplomaticamente, con il rischio di degenerare in una guerra. (Bellezza, vol. 2, p. 302-303)
Infine, una buona parte dei flussi migratori mondiali si riversa verso i Paesi arabi, perché molti immigrati sono disposti a lavorare a basso costo intorno ai processi di estrazione degli idrocarburi.
Quanto all'agricoltura, viste le condizioni del suolo sono possibili solo due tipi di coltivazione: quella limitata alla sussistenza e quella rivolta alle esportazioni (vigneti, cotone e, purtroppo, piantagioni da droga). Il consumo interno di vigneti potrebbe permettere il decollo di questa branca dell'economia, ma la religione islamica vieta gli alcolici. Stessa cosa per l'allevamento, visto che i suini (tabù religioso) si nutrono di semplici avanzi e tutte le parti del loro corpo sono commestibili. (Bellezza, vol. 2, p. 300-301)
La risorsa più importante è il petrolio. Fino agli anni '70 erano le Potenze occidentali a fissare il prezzo del petrolio, a livelli piuttosto bassi. Solo successivamente i Paesi membri dell'Opec (Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio) sarebbero riusciti ad accordarsi per restringere le esportazioni, e far aumentare il livello dei prezzi.
Il grande flusso di capitali nei Paesi produttori di petrolio favorisce alcune iniziative economiche (come la costruzione di porti e di raffinerie) e permette un innalzamento del tenore di vita. Ma le rendite petrolifere finiscono nelle mani della ristretta classe che detiene il potere, sceicchi o emiri, i quali destinano larga parte delle entrate a spese di lusso e di prestigio e ad armamenti; un'altra parte viene investita all'estero; il resto viene speso per finanziare le varie istituzioni pubbliche ed assistenziali (le uniche possibili, dato che il settore privato è avversato dalla religione, e pertanto le quasi uniche fonti di lavoro per la popolazione). (Bellezza, vol. 3, p. 171-172)
Dall'altro lato, però, se è vero che l'Opec controlla il 50% del mercato petrolifero mondiale, gli Stati Uniti sono i dominatori di quello del grano, cioè un prodotto i cui principali importatori sono proprio l'Egitto, l'Iran e gli Stati del Maghreb (questi Paesi importano il 50% del loro fabbisogno di grano). Non è, pertanto, molto corretto affermare che i Paesi islamici possono rendersi autonomi grazie al petrolio; è più esatto dire che gli americani hanno un'arma di pressione molto efficace per spingere i governanti arabi verso la modernità. (Il Sole 24ore)
Adesso puntiamo la lente d'ingrandimento su Israele e Irak, viste le loro peculiarità.
L'esperienza prevalente di vita occidentale e il forte legame etnico-religioso ebraico della popolazione israeliana sono alla base di una realtà sociale che, dagli anni '50, ha letteralmente trasformato un territorio semidesertico, di radi insediamenti preindustriali, in una delle regioni più modernamente organizzate e sviluppate del mondo. Un esempio che potrebbe essere imitato dagli altri Paesi che vivono ai margini del deserto, se soltanto non ci fossero ostacoli di natura ideologica.
L'agricoltura si svolge in massima parte nei kibbutz, dove tutto è socializzato: la terra è proprietà comune e tutti lavorano otto ore giornaliere, pur svolgendo lavori differenti. Al centro si trovano i servizi comuni: asilo, scuole, sale ricreative, mensa, docce, servizi sanitari, ma anche stalle, officine, rimesse per le macchine agricole. Attorno sono disposte le abitazioni e nel mezzo si eleva la torre-serbatoio dell'acqua, più alta delle case, che serve anche da torre di guardia. (Bellezza, vol. 2, p. 306)
Il conflitto con la Palestina è un conflitto in puro stampo tradizionale, cioè si svolge secondo i criteri propri delle società patriarcali (criteri che abbiamo visto anche nel caso dell'ex-Jugoslavia: par. l): la contesa riguarda il territorio, incluse le assurde colonie ebraiche site nella zona arabo-palestinese (guerra di conquista: Marx), trova in entrambe le parti una giustificazione nel libro sacro (integralismo: Nietzsche), e si concretizza nell'alta prolificità di entrambe le parti.
La Palestina comprende la popolazione residente in Cisgiordania, Gerusalemme Est e nella striscia di Gaza, e raggruppa, secondo fonte israeliana confermata da fonti palestinesi, 2,2 milioni dei palestinesi su un totale stimato in circa 6 milioni (gli altri, come sappiamo, sono profughi). Il livello di fecondità è di 7,44 a Gaza (il record mondiale), di 5,61 in Cisgiordania (senza Gerusalemme) e di 3,95 a Gerusalemme. In Israele la fecondità si suddivide tra la sezione ebraica (2,56 figli per donna) e quella araba (4,15 figli per donna). Una situazione esplosiva, tenuto conto dell'aridità del deserto, e non sostenibile nel lungo periodo. (Courbage, p. 121 e 128)
Quanto all'Irak, riportiamo una tabella che, se veritiera, dimostrerebbe i costi insostenibili dell'embargo applicato dopo la guerra del Golfo (AAVV., p. 250):

Situazione sanitaria in Irak (dati Unicef, Osservatorio della sanità):

- prima dell'embargo:
  30.000 letti di ospedale. Bilancio di 500 milioni di dollari. Le scorte mediche erano di un quarto di miliardo di dollari.
  Mortalità infantile: 24 su 1000. Meno di 5 anni: 540 al mese. Più di 6 anni: 650 al mese.
- dopo l'embargo:
  Bilancio: 37 milioni di dollari. Scorte nulle.
  Mortalità infantile: 92 su 1000. Meno di 5 anni: 7.500 al mese. Più di 5 anni: 9.000 al mese.
  Malnutrizione: 1.100 calorie a persona invece di 2.500. Peso dei bambini diminuito del 22%.

Infine, le centrali nucleari:

Nazione

Centrali in funzione

Centrali in costruzione
 Armenia

1

0
 Iran

0

1

Bibliografia:
AAVV., Il libro nero del Capitalismo, Marco Troppa Editore '99
Bellezza Giuliano, Geografia per l'uomo, vol. 2, Mondadori '82.
Bellezza Giuliano, Geografia per l'uomo, vol. 3, Mondadori '84
Courbage Youssef, Scenari demografici mediterranei, Fondazione Agnelli '98.
Forte Gioacchino e Tanara Urbettazzi Milli, Geografia, vol. 2-3, De Agostini '99
Gabrieli Francesco, Maometto e le grandi conquiste arabe, Newton & Compton '96.
Il Sole 24ore del 10 aprile 2001, "Sete e natalità, piaghe d'Egitto".
Sharma Arvind (a cura di), Religioni a confronto, Neri Pozza '96

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