Sotto l'egida dell'unico Iddio
creatore e giudice, sul modello del Profeta rivelatore (Maometto:
570-632), si svolge dalla culla alla tomba la vita del credente
musulmano: la fede lo abilita alla salvezza eterna, il culto
lo mantiene in docile contatto quotidiano col Divino, le buone
opere inculcate dal Corano gli assicurano, quale capitale bene
impiegato, il frutto del Paradiso. La Legge sacra o Sharia, comprendente
del pari le prescrizioni culturali e giuridiche, avvolge l'uomo
in una fitta ed elastica rete di precetti, di varia obbligatorietà
e raccomandabilità, che guardata dall'esterno può
sembrare oppressiva, ma tale non è stata per generazioni
musulmani.
Di tali obbligazioni culturali (ibadàt) basterà
qui menzionare le cinque principali, i cosiddetti "fondamenti
dell'Islam", che da 13 secoli costituiscono i punti essenziali
nella vita del credente: primo fra essi è considerato
la già citata professione di fede (shahada), che recitata
dinanzi a due testimoni basta a costituire legalmente la qualità
di musulmano.
Secondo fondamento, e praticamente primo e più vistoso
nell'uso quotidiano, è la preghiera canonica (salàt),
ripetuta cinque volte al giorno a ore fisse, e consistente in
un certo numero di formule e movimenti del corpo (stazioni, prostrazioni,
genuflessioni), minutamente regolate dalla Legge. Una delle cinque
preghiere, la meridiana del venerdì, è quella obbligatoria
in comune, che dà un aspetto così caratteristico
alla società islamica a tutt'oggi.
Il terzo fondamento, oggi quasi ovunque in disuso ma a lungo
in vigore specie nei primordi dell'Islam, è l'elemosina
legale (zakàt), dovuta allo stato da ogni credente su
determinati beni e prodotti, e devoluta a determinati scopi di
beneficenza e assistenza sociale.
Quarto istituto fondamentale dell'Islam è il digiuno del
ramadàn, dall'alba al tramonto, sentito e praticato in
ogni Paese di tradizione o reviviscenza di fede islamica come
una caratteristica di questa fede.
Quinto e ultimo il pellegrinaggio, adattamento islamizzato dell'antico
rito pagano, cui ogni credente che ne abbia la fisica ed economica
capacità è tenuto almeno una volta nella vita,
e che raduna tuttora ogni anno, ai primi del mese di dhu l-higgia,
torme di fedeli da ogni parte della terra islamica nel santuario
meccano e nei luoghi sacri delle vicinanze (Arafa, Muzdàlifa,
Mina), mantenendo una ininterrotta continuità nel tempo
e nel rito con le primissime generazioni musulmane.
Non è formalmente contato fra questi "fondamenti
dell'Islam", ma ne è praticamente un complemento,
il dovere religioso della guerra santa o Jihàd contro
gli infedeli, legato a perentori passi coranici (per esempio
"Combattete sulla via di Dio coloro che vi combattono. Uccideteli
ovunque li troviate, e scacciateli di dove hanno scacciato voi",
Corano 2, 186-7).
Questo era divenuto parte integrale dell'azione del Profeta appena
egli si trovò a Medina alla testa di un'audace comunità
combattente. Alla sua scomparsa, il precetto ebbe immediata applicazione
nella repressione della secessione d'Arabia (ridda), e poi in
tutto il moto delle conquiste, anche se altri elementi concorsero
a determinarle.
Per tutta l'epoca eroica degli inizi, e poi finché l'Islam
fu all'offensiva contro l'Occidente cristiano, la Jihàd
fu la base, la giustificazione teorica, il religioso ideale ispiratore
della dinamica musulmana. Oggi, allo stato puro, esso non è
più che un ricordo, passato in parte in altri slogan e
principi direttivi dell'azione dei popoli islamici, come la lotta
contro il colonialismo e il reale o presunto imperialismo d'Europa
e d'America. (Gabrieli, p. 62-63)
La civiltà islamica dei primi secoli (mentre alle origini
stava la divisione fra il nord beduino e il sud patriarcale),
vide l'approfondimento e lo sviluppo di queste sommarie linee
direttive della comunità. Il successore di Maometto (khalifa,
Califfo: parola con cui da allora si designò il capo della
comunità musulmana) divenne custode e applicatore della
Legge sacra, mentre ebbe poteri larghissimi, praticamente assoluti,
in tutto il campo dove quella Legge non stabiliva univoche norme:
nel governo degli uomini e dei territori su cui presto si estese
l'Islam, nell'amministrazione dello Stato entro i rudimentali
principi sanciti dal Corano e dalla consuetudine del Profeta,
nella nomina dei governatori e dei giudici, nei rapporti di guerra
o di pace (teoricamente, semplice tregua) col mondo infedele.
Poteri quindi di sovrano laico, si direbbe, secondo l'occidentale
distinzione fra il sacro e il profano (e in tal senso qualcuno
ha assimilato il Califfo, piuttosto che al Papa, all'Imperatore
del medioevo cristiano): ma la compenetrazione in Oriente assai
maggiore tra il sacro e il profano, l'essere lo Stato islamico
a un tempo una comunità religiosa (anzi a rigore una comunità
religiosa fattasi Stato), la qualità di diretto successore
del venerato capo e fondatore dello Stato, della comunità,
e in primo luogo della fede islamica, tutti questi elementi conferirono
sempre al Califfo un alone di dignità che andò
oltre quella di semplice capo politico, e che le fiere contese
civili non fecero che mettere in maggiore rilievo. (Gabrieli,
p. 66)
Le contese riguardavano appunto la questione della successione
al Califfo (il quarto, per la precisione), e portarono alla scissione
in tre gruppi religiosi: sunniti, sciiti e kharigiti. Quest'ultimo
gruppo comprendeva coloro che si opposero alle rivendicazioni
del califfato sia da parte di 'Ali sia di Mu'awiyyah. I kharigiti
sarebbero sempre stati numericamente esigui, ed attualmente rimangono
circoscritti all'Oman e all'Algeria meridionale. La divisione
più importante all'interno dell'Islam è, oggi,
tra sunniti e sciiti.
La stragrande maggioranza dei musulmani, circa l'87-88%, è
sunnita, parola che deriva da ahl al-sunnah wa'l-jama'ah, ossia
"seguaci della Sunnah del Profeta e della maggioranza".
Circa il 12-13% dei musulmani è sciita, da shi'at'Ali
(i partigiani di 'Ali). Gli sciiti a loro volta si dividono in
sciiti duodecimani, ismailiti e zaiditi. I duodecimani, o sciiti
ithna-'ashari, sono di gran lunga i più numerosi, comprendendo
circa 130 milioni di persone che attualmente vivono per la maggior
parte in Iran, Iraq, Libano, Golfo Persico, Arabia Saudita orientale,
Afghanistan, Azerbaigian, Pakistan ed India. Le popolazioni di
Iran, Iraq, Azerbaigian e Bahrein sono di maggioranza sciita
duodecimana, mentre in Libano gli sciiti costituiscono il più
ampio singolo insieme religioso. (Sharma, p. 583-584)
I sunniti scelsero come primo califfo Abu Bakr, venerabile amico
del Profeta; un piccolo gruppo, invece, ritenne che sarebbe dovuto
diventare califfo 'Ali, cugino e genero del Profeta. Si trattava
comunque di un problema più profondo della scelta tra
personalità diverse, giacché toccava anche la funzione
di colui che doveva succedere al profeta. Secondo i sunniti il
successore doveva avere il compito di difendere la Legge sacra,
ricoprire l'incarico di giudice e governare la comunità,
salvaguardando l'ordine pubblico e i confini del mondo islamico.
Gli sciiti ritenevano che costui dovesse anche sapere interpretare
il Corano e la Legge, e di fatto possedesse la sapienza interiore:
quindi, doveva essere scelto da Dio e dal Profeta, non dalla
comunità. Una simile figura era detta iman. (Sharma, p.
584)
- Un Impero multietnico
Uno dei concetti chiave nell'Islam è la ummah, ossia la
totalità di coloro che sono musulmani e compongono il
mondo musulmano. L'Islam vede la storia stessa in termini religiosi,
e si rapporta principalmente agli altri popoli non in base alle
affinità linguistiche o etniche, bensì secondo
l'identità religiosa.
La ummah non è però composta da un solo gruppo
etnico, razziale o culturale. L'Islam fu fin dall'inizio una
religione rivolta all'umanità nel suo complesso e fortemente
avversa ad ogni forma di razzismo e tribalismo. Nel corso dei
secoli, arabi e persiani, turchi, indiani, neri, malesi, cinesi,
mongoli, slavi e perfino alcuni tibetiani entrarono a far parte
della ummah. (Sharma, p. 587)
Attualmente, gli arabi rappresentano meno di un quinto della
popolazione mondiale musulmana. Essi mantengono tuttavia una
posizione centrale nella ummah, per l'importanza che tutti i
musulmani riconoscono ai luoghi sacri dell'Islam situati nel
mondo arabo, in particolare La Mecca e Medina nella regione del
Hijaz, nell'attuale Arabia Saudita. Circa 200 milioni di musulmani
arabi vivono tra la Mauritania e l'Iraq e vengono identificati
come arabi non dal punto di vista etnico ma linguistico; viene
cioè considerato arabo chi è di madrelingua araba.
Tra l'altro, prima della divisione della Palestina, nei Paesi
arabi esistevano anche molte comunità di ebrei già
notevolmente arabizzati dal punto di vista culturale.
La seconda zona etnica e culturale più antica del mondo
islamico è quella persiana, che comprende non solo la
popolazione dell'attuale Iran ma anche popoli di ceppo etnico
e linguistico simile, tra cui curdi, afgani, tagiki e in parte
uzbeki e pakistani. Tutti assieme contano circa un centinaio
di milioni di persone. La lingua persiana è per importanza
la seconda lingua della civiltà islamica dopo l'araba,
ed è l'unica altra lingua parlata e scritta fuori dei
territori dei parlanti nativi.
I musulmani del subcontinente indiano rappresentano il più
largo gruppo a se stante di seguaci dell'Islam. Sparsi tra Pakistan
e Bangladesh, dove la maggioranza è musulmana, e India,
Sri Lanka e Nepal, dove i musulmani sono in minoranza, essi contano
circa 350 milioni di persone. In India vivono ben 100 milioni
di musulmani, la più ampia singola minoranza del mondo.
(par. m)
Dopo gli arabi e i persiani, i turchi sono il gruppo più
importante in termini di partecipazione alla civiltà islamica
e di ruolo nella storia dell'Islam. Distribuiti dai Balcani alla
Siberia orientale, i turchi svolsero un ruolo determinante nella
vita politica dell'Islam nello scorso millennio, creando il potente
Impero ottomano che durò circa sette secoli fino alla
prima guerra mondiale.
Ma la popolazione turca non si limita ai turchi del mondo ottomano
e all'attuale Turchia; molte repubbliche della Caucasia e dell'Asia
centrale attualmente indipendenti sono etnicamente e linguisticamente
turche, sebbene alcune siano culturalmente molto vicine al mondo
persiano. Nella stessa Russia esistono popoli di ceppo turco.
Si contano forse più di 150 milioni di persone appartenenti
a questo gruppo etnico, con lingue né semitiche, come
l'arabo, né indoeuropee, come il persiano, ma altaiche.
Le popolazioni turche rappresentano un'area distinta nella civiltà
islamica, e nel corso dei secoli interagirono spesso con il mondo
arabo e persiano.
L'espansione dell'Islam interessò fin dagli inizi l'Africa
nera. I musulmani neri dell'Africa ebbero un ruolo importante
nella storia islamica. I musulmani africani neri avevano creato
fiorenti Imperi nell'Africa subsahariana già prima del
VII (XIII) secolo, e l'Islam nell'Africa fu, e continuò
ad essere, una forza vitale ed energica perfino durante il periodo
delle colonizzazioni europee.
Oggi più di 100 milioni di musulmani africani neri, distinti
dagli arabi e dai berberi nordafricani, costituiscono una parte
ragguardevole di civiltà islamica. Ma la divisione principale
in questa zona del mondo islamico è tra l'Africa orientale
e occidentale, sebbene ancora una volta numerosi fattori uniscano
le due aree; tra questi le confraternite sufi, che ebbero una
parte importante nella diffusione africana dell'Islam e sono
ancora assai attive in molte regioni dell'Africa nera musulmana.
Rispetto alle suddette aree, l'Islam si diffuse più tardi
nel mondo malese. Esso attualmente comprende il più popoloso
dei Paesi islamici, l'Indonesia, e un ricco universo islamico
che abbraccia, oltre a questa, la Malaysia, il Brunei, le Filippine
meridionali ed alcune zone della Thailandia, della Cambogia e
parte di Singapore. Più di 180 milioni di musulmani sono
disseminati in quest'area, che comprende migliaia di isole e
la penisola della Malesia.
Poche notizie si hanno dei musulmani cinesi. Sparsi per tutta
la Cina, il loro numero oscilla dai 30 ai 100 milioni. La loro
maggiore concentrazione si trova nella regione occidentale del
Sinkiang. Il corpus della letteratura islamica cinese rimane
per la maggior parte sconosciuto al mondo esterno. Ciononostante,
i musulmani restano un'importante minoranza in Cina ed in altri
Paesi: dalla Myamar (Birmania) nell'Asia meridionale alla Finlandia
nell'Europa settentrionale.
È di qualche rilevanza menzionare le parti di ummah che
si trovano in Europa e in America, benché il loro numero
sia relativamente piccolo. Circa 10 milioni di musulmani vivono
in vari Paesi europei. Alcuni, tra i quali i bosniaci, sono di
ceppo slavo; gli albanesi dell'Albania e del Kosovo appartengono
a comunità secolari poiché sono di provenienza
turca e perfino bulgara.
Gli altri musulmani europei sono soprattutto emigranti giunti
in Europa fin dalla seconda guerra mondiale (par. h): si tratta
prevalentemente di nordafricani in Francia; indiani, pakistani
e nativi del Bangladesh nel Regno Unito, e turchi in Germania.
Attualmente i musulmani costituiscono importanti comunità
in molte zone ed hanno perfino ingaggiato sfide culturali e sociali
in alcuni Paesi come la Francia.
Non c'è dubbio che molti degli schiavi portati dall'Africa
in America fossero originariamente musulmani, ma la loro religione
venne gradualmente dimenticata. In ogni modo, fin dagli anni
'30 l'Islam si andò diffondendo tra gli afroamericani
ed attualmente rappresenta una notevole voce religiosa in America.
Al giorno d'oggi, in America vivono dai quattro ai cinque milioni
di musulmani: in questo numero non rientrano soltanto afroamericani
ma anche numerosi arabi e persiani, oltre a una parte di turchi
ed indiani del subcontinente emigrati in America durante gli
ultimi decenni. Anche un certo numero di americani e canadesi
di ceppo europeo hanno abbracciato l'Islam. Così la comunità
islamica continua a crescere: in Sudamerica troviamo cospicui
gruppi di musulmani in Brasile, Argentina, Trinitad e in parecchie
altre aree. (Sharma, p. 589-593)
- Tradizione e modernità
Anno 945 d.C.: crollato l'Impero islamico, da allora in avanti
furono le dinastie locali ad esercitare il reale potere politico,
mentre il califfato divenne il simbolo dell'unità del
mondo islamico e del governo della Sharia.
Anno 1453: dal crollo dell'Impero bizantino nacque il più
potente Stato islamico degli ultimi secoli, quello ottomano.
Anno 1798: con la Campagna d'Egitto di Napoleone, iniziò
l'epoca del colonialismo occidentale sugli Stati islamici. Come
nelle altre colonie, gli occidentali tentarono di rinnovare il
campo del diritto economico, lasciando quasi inalterato il diritto
di famiglia e quello consuetudinario.
Anno 1920: malgrado le promesse di autodeterminazione fatte durante
la prima guerra mondiale, gli Alleati approfittarono del disfacimento
dell'Impero ottomano e si spartirono le regioni arabe dell'ex-Impero.
Anno 1947: nasceva lo Stato ebraico in Palestina. Avrebbero seguito
le guerre arabo-israeliane: 1947-1949, 1956, 1967, 1973. I profughi
palestinesi avrebbero costituito un problema per i vicini arabi:
strage in Giordania ("settembre nero": 1970), guerra
civile in Libano nella quale sarebbero stati coinvolti anche
i cristiani (una buona fetta della popolazione).
Anno 1979: con la rivoluzione khomeinista in Iran, che scalzò
il regime filoamericano e corrotto dello scià Reza Mohammed,
iniziò l'epoca moderna del fondamentalismo religioso.
In molti Stati l'estremismo islamico sarebbe diventato violento,
sia nei confronti dei riformisti interni, sia nei confronti degli
ex-colonizzatori. A parte i vari attentati terroristici contro
le basi americane da parte di Al-Qaeda, ricordiamo i massacri
in Algeria (anche se qualcuno dubita che fossero opera dei fondamentalisti)
ed in Indonesia.
Queste sommarie righe servono per chiarire in che modo esiste,
oggi, una questione araba: frantumazione in singoli Stati del
mondo musulmano, risentimento nei confronti del mondo cristiano
ed ebraico, uso del Corano per difendere la società patriarcale
dalle sfide della modernità
Osserviamo come antico
e moderno convivono attualmente in maniera conflittuale nel mondo
arabo, studiando i tre campi: la politica, la società
e la famiglia. (Corano)
L'Islam non ha mai separato la religione dalla politica, nel
senso di dividere il regno di Dio da quello di Cesare. In altri
termini, l'Islam non ammette la legittimità di un settore
esterno alla sfera religiosa e rifiuta di accordare ogni genere
di realtà alla dicotomia tra sacro e profano (o secolare),
o tra spirituale e temporale (Sharma, p. 594)
La forma stessa di Stato-nazione, imposta dall'Occidente, è
estranea alla natura della società islamica ed è
motivo di grandi tensioni interne in molte aree. Da un lato i
musulmani desiderano un'unità islamica opposta alla segmentazione
della ummah e alla divisione del mondo islamico non soltanto
in unità e zone antiche e ben definite, ma anche in quelle
nuove, spesso mal concepite e artificiali; dall'altro c'è
il forte desiderio di mantenere l'identità e il carattere
del mondo islamico anteriore all'assalto della civiltà
occidentale moderna, la cui invasione di valori continua imperterrita.
(Sharma, p. 678)
Gli aspetti pubblici dell'Islam riguardano ogni condotta della
comunità in quanto tale, dalla singola unità locale
alla ummah fino all'intera comunità e all'intera creazione.
Non esistono relazioni tra gli esseri umani che non abbiano significato
religioso, a cominciare dai rapporti tra i membri della comunità
più concreta, ossia la famiglia e il vicinato, il villaggio
o la tribù.
Alcuni degli insegnamenti dell'Islam incarnano principi morali
di carattere generale, come il dovere di essere caritatevoli
e giusti in ogni circostanza nei confronti di tutte le persone
e perfino delle altre creature di Dio. Altri principi si articolano
in leggi concrete che hanno regolato il comportamento sociale
islamico nei secoli; tra queste, le leggi riguardanti il matrimonio,
il divorzio e l'eredità. (Sharma, p. 598)
Le donne hanno soprattutto il compito di salvaguardare la famiglia
e allevare i figli; l'uomo quello di provvedere economicamente.
L'Islam pone particolare accento sul ruolo essenziale della famiglia:
essa è tuttora molto solida nonostante la legge islamica
non vieti il divorzio. Benché fuori casa sia il maschio
musulmano a dominare nella sfera economica e sociale, la moglie
regna incontrastata dentro casa, dove il marito è un ospite.
La sessualità nell'Islam è ritenuta sacra in se
stessa; quindi il matrimonio non è un sacramento, ma un
contratto stipulato tra le due parti. La poligamia è ammessa
a certe condizioni, tra le quali il consenso di tutte le parti
implicate e un comportamento equo del marito verso le mogli.
Ma ogni promiscuità sessuale è rigidamente vietata
e punita duramente secondo la Legge sacra, anche se la punizione
per adulterio (mediante lapidazione) può avvenire soltanto
se esistono quattro testimoni dell'atto. Le famiglie nel mondo
islamico sono in gran parte monogame; la poligamia è solitamente
dettata da fattori economici, nonché dal forte desiderio
dell'Islam di integrare tutti i membri della società in
una struttura familiare.
L'idea islamica della complementarità tra uomini e donne,
e della sacralità della sessualità, si riflette
anche nella separazione tra uomini e donne in ambito sociale
e nel significato del velo che queste ultime indossano. Il velo
non è prerogativa del solo Islam, essendo stato usato
per millenni anche da popolazioni ebree e cristiane. Eppure,
vista l'importanza che riveste nell'Islam, agli occhi dell'Occidente
spesso il velo si identifica con la religione islamica. L'Islam
esige che le donne siano modeste nel vestire, e che sottraggano
i loro "ornamenti" - da sempre interpretati come i
capelli e il corpo - alla vista degli estranei. (Sharma, p. 622-623)
Il musulmano vive tra due potenti realtà sociali: la ummah,
ossia l'intera comunità islamica, la cui totalità
il musulmano o la musulmana non sono in grado di cogliere ma
con la quale idealmente si identificano, e la famiglia, che essi
considerano la parte più reale del loro mondo. Tutte le
altre istituzioni, siano esse economiche o politiche, per quanto
importanti, sono in secondo piano rispetto alla ummah e alla
famiglia. Venendo meno l'istituzione familiare, i conservatori
arabi di tutte le risme temono la reazione a catena all'interno
dell'attuale costruzione del potere. (Sharma, p. 645)
La forza della famiglia nella società islamica è
così grande che soltanto essa, tra tutte le maggiori istituzioni
dell'Islam, è passata praticamente indenne attraverso
gli sconvolgimenti a cui avrebbe assistito parte del mondo islamico
nell'ultimo secolo. (Sharma, p. 644)
Eppure è proprio oggi, con la globalizzazione, che la
famiglia patriarcale islamica sta per essere soppiantata dal
tipo di famiglia "nucleare". Tra tutti i segnali di
questo cambiamento di rotta, tre sembrano avere maggiore rilevanza:
l'istruzione femminile, l'apertura all'esterno e l'urbanizzazione
del territorio.
- La struttura geopolitica
Qui andiamo a studiare il territorio islamico che comincia con
l'Asia ex-sovietica, continua con la Turchia, l'Afghanistan,
il Medio e il Vicino Oriente (Israele incluso), e termina con
l'Africa mediterranea. Il Pakistan e l'Indonesia li abbiamo riservati
al Continente asiatico, perché vi sono più affini
geograficamente. La distinzione tra Africa islamica e Africa
subsahariana è puramente arbitraria: consideriamo in questo
paragrafo i seguenti Stati: Egitto, Libia, Tunisia, Marocco e
Mauritania.
Una costante del panorama islamico è il deserto. Malgrado
la bassissima densità di popolazione (a parte qualche
eccezione, come la Turchia ed Israele), il deserto rende inospitali
grandissimi spazi, e la popolazione è costretta ad accalcarsi
negli unici territori ospitali, come le coste o i fiumi (il Nilo
per l'Egitto e il Sudan, il Tigri e l'Eufrate per il triangolo
Turchia, Siria e Irak).
Il processo di inurbamento è andato accelerando in questi
decenni, non soltanto a causa della siccità e del boom
demografico, che hanno reso precaria la vita dei villaggi rurali,
ma anche per la speranza di trovare lavoro e vivere meglio. Lo
spiegheremo meglio parlando del processo caotico di inurbamento
dell'Africa subsahariana, nel prossimo paragrafo.
Il boom demografico, seppur prevedibilmente transitorio, ha come
conseguenza che metà della popolazione è ancora
giovane, e questi nuovi cittadini arabi non riescono ad integrarsi
in una società ancora economicamente arretrata, diventando
di conseguenza facile preda delle organizzazioni terroristiche
violente e fanatiche (Huntington: par. s).
Parlando di popolazione, è obbligatorio riferirsi ad altre
cinque questioni. La prima riguarda il nomadismo, che è
l'unica possibilità di sopravvivenza in mezzo alla sabbia,
ma che non è ben visto dai governi perché queste
tribù beduine sono difficilmente controllabili ed intralciano
i lavori per l'estrazione del petrolio.
L'altra questione si chiama Kurdistan. I curdi sono gente di
montagna, e la frammentazione di questa società tribale
aveva impedito loro di difendersi dall'occupazione dei Paesi
confinanti, subito dopo la disgregazione dell'Impero ottomano.
Risultato: oggi i curdi costituiscono il 20% della popolazione
turca, quasi il 25% di quella irachena, il 10% di quella iraniana
e l'8% di quella siriana, ed è ovunque una minoranza perseguitata,
che può trovare solo nell'emigrazione la sua arma di difesa.
(Forte, p. 123)
Qualcosa di simile avvenne con il genocidio perpetrato dai turchi
nei confronti degli armeni fra il 1915 e il 1923. Massacri e
spostamenti di popolazioni, organizzati dalle autorità
turche dell'epoca, non lasciarono scelta agli armeni che dovettero
abbandonare la Cilicia, regione dell'Asia minore dove vivevano
da secoli. Una parte di loro raggiunse l'Armenia sovietica e
molti altri si rifugiarono in Europa e negli Stati Uniti. (AAVV.,
p. 442-443)
Quanto a Cipro, quattro quinti degli abitanti sono di lingua
greca e di religione cristiana ortodossa, mentre il quinto rimanente
è di lingua turca e di religione islamica. La situazione
nell'isola, vicinissima alla Turchia, è molto tesa per
i rapporti tra le due comunità. Sia la Grecia che la Turchia
rivendicano la sovranità sull'isola, e spesso arrivano
a scontrarsi diplomaticamente, con il rischio di degenerare in
una guerra. (Bellezza, vol. 2, p. 302-303)
Infine, una buona parte dei flussi migratori mondiali si riversa
verso i Paesi arabi, perché molti immigrati sono disposti
a lavorare a basso costo intorno ai processi di estrazione degli
idrocarburi.
Quanto all'agricoltura, viste le condizioni del suolo sono possibili
solo due tipi di coltivazione: quella limitata alla sussistenza
e quella rivolta alle esportazioni (vigneti, cotone e, purtroppo,
piantagioni da droga). Il consumo interno di vigneti potrebbe
permettere il decollo di questa branca dell'economia, ma la religione
islamica vieta gli alcolici. Stessa cosa per l'allevamento, visto
che i suini (tabù religioso) si nutrono di semplici avanzi
e tutte le parti del loro corpo sono commestibili. (Bellezza,
vol. 2, p. 300-301)
La risorsa più importante è il petrolio. Fino agli
anni '70 erano le Potenze occidentali a fissare il prezzo del
petrolio, a livelli piuttosto bassi. Solo successivamente i Paesi
membri dell'Opec (Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio)
sarebbero riusciti ad accordarsi per restringere le esportazioni,
e far aumentare il livello dei prezzi.
Il grande flusso di capitali nei Paesi produttori di petrolio
favorisce alcune iniziative economiche (come la costruzione di
porti e di raffinerie) e permette un innalzamento del tenore
di vita. Ma le rendite petrolifere finiscono nelle mani della
ristretta classe che detiene il potere, sceicchi o emiri, i quali
destinano larga parte delle entrate a spese di lusso e di prestigio
e ad armamenti; un'altra parte viene investita all'estero; il
resto viene speso per finanziare le varie istituzioni pubbliche
ed assistenziali (le uniche possibili, dato che il settore privato
è avversato dalla religione, e pertanto le quasi uniche
fonti di lavoro per la popolazione). (Bellezza, vol. 3, p. 171-172)
Dall'altro lato, però, se è vero che l'Opec controlla
il 50% del mercato petrolifero mondiale, gli Stati Uniti sono
i dominatori di quello del grano, cioè un prodotto i cui
principali importatori sono proprio l'Egitto, l'Iran e gli Stati
del Maghreb (questi Paesi importano il 50% del loro fabbisogno
di grano). Non è, pertanto, molto corretto affermare che
i Paesi islamici possono rendersi autonomi grazie al petrolio;
è più esatto dire che gli americani hanno un'arma
di pressione molto efficace per spingere i governanti arabi verso
la modernità. (Il Sole 24ore)
Adesso puntiamo la lente d'ingrandimento su Israele e Irak, viste
le loro peculiarità.
L'esperienza prevalente di vita occidentale e il forte legame
etnico-religioso ebraico della popolazione israeliana sono alla
base di una realtà sociale che, dagli anni '50, ha letteralmente
trasformato un territorio semidesertico, di radi insediamenti
preindustriali, in una delle regioni più modernamente
organizzate e sviluppate del mondo. Un esempio che potrebbe essere
imitato dagli altri Paesi che vivono ai margini del deserto,
se soltanto non ci fossero ostacoli di natura ideologica.
L'agricoltura si svolge in massima parte nei kibbutz, dove tutto
è socializzato: la terra è proprietà comune
e tutti lavorano otto ore giornaliere, pur svolgendo lavori differenti.
Al centro si trovano i servizi comuni: asilo, scuole, sale ricreative,
mensa, docce, servizi sanitari, ma anche stalle, officine, rimesse
per le macchine agricole. Attorno sono disposte le abitazioni
e nel mezzo si eleva la torre-serbatoio dell'acqua, più
alta delle case, che serve anche da torre di guardia. (Bellezza,
vol. 2, p. 306)
Il conflitto con la Palestina è un conflitto in puro stampo
tradizionale, cioè si svolge secondo i criteri propri
delle società patriarcali (criteri che abbiamo visto anche
nel caso dell'ex-Jugoslavia: par. l): la contesa riguarda il
territorio, incluse le assurde colonie ebraiche site nella zona
arabo-palestinese (guerra di conquista: Marx), trova in entrambe
le parti una giustificazione nel libro sacro (integralismo: Nietzsche),
e si concretizza nell'alta prolificità di entrambe le
parti.
La Palestina comprende la popolazione residente in Cisgiordania,
Gerusalemme Est e nella striscia di Gaza, e raggruppa, secondo
fonte israeliana confermata da fonti palestinesi, 2,2 milioni
dei palestinesi su un totale stimato in circa 6 milioni (gli
altri, come sappiamo, sono profughi). Il livello di fecondità
è di 7,44 a Gaza (il record mondiale), di 5,61 in Cisgiordania
(senza Gerusalemme) e di 3,95 a Gerusalemme. In Israele la fecondità
si suddivide tra la sezione ebraica (2,56 figli per donna) e
quella araba (4,15 figli per donna). Una situazione esplosiva,
tenuto conto dell'aridità del deserto, e non sostenibile
nel lungo periodo. (Courbage, p. 121 e 128)
Quanto all'Irak, riportiamo una tabella che, se veritiera, dimostrerebbe
i costi insostenibili dell'embargo applicato dopo la guerra del
Golfo (AAVV., p. 250):
Situazione sanitaria in Irak
(dati Unicef, Osservatorio della sanità):
- prima dell'embargo: |
|
30.000 letti di ospedale. Bilancio
di 500 milioni di dollari. Le scorte mediche erano di un quarto
di miliardo di dollari. |
|
Mortalità infantile: 24
su 1000. Meno di 5 anni: 540 al mese. Più di 6 anni: 650
al mese. |
- dopo l'embargo: |
|
Bilancio: 37 milioni di dollari.
Scorte nulle. |
|
Mortalità infantile: 92
su 1000. Meno di 5 anni: 7.500 al mese. Più di 5 anni:
9.000 al mese. |
|
Malnutrizione: 1.100 calorie a
persona invece di 2.500. Peso dei bambini diminuito del 22%. |
Infine, le centrali nucleari:
Nazione |
Centrali in funzione |
Centrali in costruzione |
Armenia |
1 |
0 |
Iran |
0 |
1 |
Bibliografia:
AAVV., Il
libro nero del Capitalismo, Marco Troppa Editore '99
Bellezza Giuliano, Geografia per l'uomo, vol. 2, Mondadori '82.
Bellezza Giuliano, Geografia per l'uomo, vol. 3, Mondadori '84
Courbage Youssef, Scenari demografici mediterranei, Fondazione
Agnelli '98.
Forte Gioacchino e Tanara Urbettazzi Milli, Geografia, vol. 2-3,
De Agostini '99
Gabrieli Francesco, Maometto e le grandi conquiste arabe, Newton
& Compton '96.
Il Sole 24ore del 10 aprile 2001, "Sete e natalità,
piaghe d'Egitto".
Sharma Arvind (a cura di), Religioni a confronto, Neri Pozza
'96 |