A parte alcune peculiarità,
la civiltà cinese della preistoria non si distingue dal
sistema patriarcale che abbiamo studiato nei paragrafi da c a
f: il rimpianto per il paradiso perduto, l'epoca in cui gli uomini
erano in armonia con la natura; l'aura di sacralità ed
eroismo dei primi imperatori; la decadenza dei costumi, con la
conseguente formazione della società feudale e la codificazione
del sistema della guerra; la durata millenaria delle dinastie
(Hsia: 2205-1766 a.C.; Shang: 1766-1122 a.C.; Chou: 1122-221
a.C.); la nascita dell'Impero nel 221 a.C., che fino al 1911
sarebbe stata la forma istituzionale della Cina; la subitanea
comparsa della scrittura, del bronzo, del cavallo e del carro
nel II millennio a.C.; la costruzione della Grande Muraglia intorno
a partire dal IV secolo a.C.; l'invenzione della carta intorno
al 100 d.C.
Le origini della popolazione cinese sono sconosciute. Probabilmente,
al seguito delle prime migrazioni storiche dall'Africa verso
il Tigri e l'Eufrate, un gruppo si era spinto più a nord
(par. t). Suggestiva è la distinzione tra le "otto
culture locali preistoriche", ipotesi avanzata da W. Eberhard
per il III millennio a.C.:
1) Una cultura nord-orientale, nell'area Hopei, Shantung, Manciuria
meridionale. Caratteristiche: popolazione di cacciatori, agricoltura
primitiva, allevamento di suini, rozza ceramica. "Proto-Tungusi".
2) Una cultura settentrionale, nella zona Shansi, Jehol. Caratteristiche:
dapprima cacciatori, poi pastori nomadi, allevamento di bovini.
"Proto-Mongoli".
3) Una cultura nord-occidentale, nelle pianure di Shensi e Kansu.
Caratteristiche: pastori, allevatori di cavalli, agricoltura
sussidiaria (frumento, miglio). "Proto-Turchi".
4) Una cultura occidentale, nella zona montuosa dello Shensi
e del Kansu. Caratteristiche: pastori di pecore. "Proto-Tibetani".
5) Una cultura Liao. Cacciatori primitivi. "Proto-Austroasiatici".
6) Una cultura Yao, Cina sud-orientale. Caratteristiche: cacciatori-raccoglitori
sui monti, agricoltori primitivi (coltivazione di terreni liberati
dalla vegetazione spontanea mediante incendio). "Proto-Austronesiani".
Questa cultura si fuse ben presto con la
7) (Una) cultura Tai. Caratteristiche: coltivazione del riso
nelle valli, agricoltura in campi irrigati.
8) Una cultura Yüeh ("Cultura delle coste"), un
misto di elementi culturali Yao e Tai, anche qui "Proto-Austronesiani".
Caratteristiche: navigazione fluviale e marittima, tatuaggi ecc.
(Franke, p. 28-29)
Queste culture sono ancora oggi presenti nell'immenso territorio
cinese. È da aggiungersi che l'Estremo Oriente avrebbe
esercitato la sua influenza anche sulle civiltà del nuovo
mondo. È certo che, nel corso dei millenni preistorici,
diverse ondate migratorie provenienti dall'Asia orientale raggiunsero
l'America settentrionale attraverso il "ponte" di Bering.
Altre ondate migratorie avrebbero presto sconvolto l'Occidente,
sia durante l'Impero romano (i popoli barbarici) sia nel medioevo
(i mongoli). (Franke, p. 32)
Il nuovo ordinamento sociale che comparve con la nascita dell'Impero
cinese, si sarebbe conservato nelle sue linee fondamentali fino
alla fine del XIX secolo. Ma mentre in Europa dallo Stato feudale
doveva uscire lo Stato borghese, in Cina si sviluppò una
forma di società in cui si perpetuarono gli elementi fondamentali
del feudalesimo. Le teorie avanzate per l'interpretazione scientifica
di questo fenomeno prendono ciascuna in considerazione, come
causa finalis, uno di questi tre complessi di fattori storici,
ossia quello economico, quello sociale e quello politico-ideologico.
Queste teorie si possono così brevemente riassumere:
1) La teoria della "società orientale". Prende
come punto di partenza il cosiddetto "sistema di produzione
asiatico", la cui caratteristica fondamentale era la dipendenza
dell'agricoltura dalla sistematica organizzazione degli impianti
di irrigazione. Nella maggior parte del territorio cinese infatti
le piogge (tutt'oggi) non cadono nella stagione opportuna, e
dove si pratica la risicoltura nelle marcite le precipitazioni
naturali non sono sufficienti (vedere più avanti). La
coltivazione mediante irrigazione artificiale recava con sé
conseguenze tanto economiche che politico-sociali: determinava
un'intensiva coltivazione del terreno, che non si valeva di utensili
tecnicamente perfezionati ma richiedeva enormi quantità
di manodopera per la costruzione di dighe, canali, bacini artificiali
e impianti per attingere l'acqua, per lo più azionati
a mano. Naturalmente queste masse di operai, per realizzare le
opere progettate, dovevano dipendere da una burocrazia centralizzata.
2) La teoria della società piccolo-nobiliare, che usciva
dalla trasformazione strutturale del latifondo. Con l'alienabilità
del terreno era comparso al posto dell'antica aristocrazia un
nuovo ceto sociale, la cosiddetta gentry, o piccola nobiltà
di campagna, che di norma, una volta comperata una proprietà
fondiaria, la dava in affitto ai piccoli proprietari di una volta
e viveva sulla rendita. Accanto agli ereditari manieri di campagna,
la piccola nobiltà si era procurata una seconda dimora
nella città, e qui i membri della famiglia più
adatti si avviavano alla carriera impiegatizia; di modo che la
stessa classe sociale che possedeva il terreno praticamente riscuoteva
anche le tasse dei suoi fittavoli.
3) La concezione storica che considera determinante la funzione
della persona umana. Per essa il fattore essenziale che determinò
il formarsi della nuova società fu la "vittoria"
del confucianesimo, ossia il suo imporsi nella classe impiegatizia
fino alla completa identificazione di questa con quello.
Queste tre teorie hanno in comune una caratteristica: non prendono
in considerazione possibili influenze da parte dello sviluppo
esterno dell'Impero cinese. Le campagne militari nell'Asia centrale,
e la conseguente espansione territoriale, avevano una grandissima
importanza anche per lo sviluppo interno dell'Impero Han e delle
successive dinastie. La vastità del territorio cinese
costituiva una valvola di sfogo per le tensioni sociali, poiché
apriva largamente e in ogni momento la via d'uscita della colonizzazione.
(Franke, p. 101-103)
La dottrina del confucianesimo è degna di nota (par. h):
Confucio partiva dal presupposto che l'umanità come la
divinità, il cielo come la terra, la natura viva come
la natura morta fossero parti organiche di un universo ordinato
in modo armonico ed unitario. Il contenuto delle regole era in
gran parte determinato dallo status sociale della persona cui
si indirizzava la regola, considerandola nell'ambito della sua
famiglia, del suo clan, del vicinato, della gerarchia ufficiale,
o dello Stato.
L'uomo ideale nelle concezioni del confucianesimo era colui che,
osservando l'ordine naturale del mondo, riconosceva come necessarie
e sensate quelle regole di comportamento, seguendole spontaneamente,
mettendo in secondo ordine i propri interessi al fine di mantenere
e garantire tale armonia.
Qualora un cittadino si fosse ritenuto leso dal comportamento
tenuto da un altro nei suoi confronti, sarebbe stato meglio tendere
ad una composizione equa mediante trattative pacifiche, piuttosto
che accentuare la già esistente disarmonia, evitando di
far valere i propri diritti di fronte ad una Corte. (Zweigert,
p. 361-362)
Le controversie all'interno della famiglia venivano decise dal
capo-famiglia, da lontani parenti o anche da persone estranee
che, a causa della loro età o della loro posizione nella
comunità, possedevano un tale prestigio, per cui l'accettazione
della loro proposta di compromesso non avrebbe significato "perdere
la faccia" per nessuna delle due parti. (Zweigert, p. 365)
La dottrina confuciana si rivelava penalizzante per le donne:
gli uomini erano yang e le donne yin, e yang era superiore a
yin. Nelle famiglie nobiliari le donne, oltre a subire la fasciatura
del piede, erano merce di scambio: attraverso un matrimonio ben
combinato, con cui un uomo sposava tutte le sorelle, esse potevano
procurare un'alleanza influente.
Nelle famiglie povere, le donne (spesso bambine) venivano vendute
come promesse spose, oppure diventavano schiave o prostitute,
se non venivano prima uccise (le pratiche di infanticidio femminile
erano numerose). In ogni caso, se una moglie non dava un figlio
maschio poteva essere ripudiata. (Hirst, p. 23-27)
Soltanto con l'arrivo delle Potenze occidentali e la loro occupazione
del territorio attraverso il protettorato (Guerre dell'oppio,
1839-1842 e 1856-1860), la dottrina confuciana sarebbe stata
contestata: nel loro confronto con l'Occidente, vinti e minacciati
da esso, i letterati cinesi avevano scoperto con spavento che
il confucianesimo non si identificava con la Civiltà (con
la C maiuscola), ma semplicemente era una civiltà fra
le altre, una civiltà meno atta di altre ad assicurare
la sopravvivenza della Cina in un mondo di progresso tecnico
e di spietata competizione. Tra parentesi, la colonizzazione
avrebbe avuto come conseguenza indiretta la diaspora di molti
cinesi, diaspora che avrebbe avuto tanta parte nel capitalismo
del XX secolo, specialmente in America e in Asia sud-orientale.
(Bianco, p. 78)
Ma è con la rivoluzione comunista che si tentò
di eliminare l'influenza del confucianesimo, in Cina. La proclamazione
della repubblica diede avvio alla promulgazione di una serie
di leggi che riguardavano direttamente la condizione femminile.
Furono abolite antiche pratiche come la fasciatura dei piedi,
il commercio di schiave, la vendita di mogli e concubine, i matrimoni
combinati. (Hirst, p. 157)
Questa riforma non aveva carattere solo culturale, ma anche economico:
era stata imposta per le esigenze della rivoluzione, della produzione
e del lavoro. Le donne erano necessarie come manodopera, e il
governo fece di tutto per incoraggiarle sulla nuova strada, anche
a scapito dei sentimenti e della maternità, considerati
superflui. (Hirst, p. 184)
Sul piano economico, si imitò il sistema sovietico: collettivizzazione
e priorità all'industria pesante. Questa rapida industrializzazione
provocò un'urbanizzazione altrettanto rapida, la quale
pose, com'è ovvio, seri problemi. La popolazione urbana,
in media, cresceva quattro volte più in fretta della popolazione
rurale, passando da 58 milioni nel 1949 a 72 nel 1957 e a 92
nel 1959. Quest'aumento progressivo era dovuto, per circa due
terzi, all'esodo rurale: nel 1956 un quarto dei cittadini erano
immigrati di data recente, venuti dalla campagna durante i primi
sette anni del regime. (Bianco, p. 247-248)
Siccome l'agricoltura si stava rivelando una palla al piede,
nel 1958 si decise di compiere un "Grande balzo in avanti"
per ristabilire l'equilibrio tra prodotti agricoli e prodotti
industriali. Ma questo balzo non fu progettato per rallentare
il ritmo dell'espansione industriale, quanto piuttosto per sviluppare
l'agricoltura con la stessa rapidità di un'industria che
intendesse accelerare i propri tempi di produzione. (Bianco,
p. 253-254)
Così, mentre l'industria era impegnata nel "Grande
balzo", che avrebbe dovuto portarla a un livello paragonabile
a quello dell'Inghilterra, l'agricoltura fu investita dall'esperimento
delle Comuni popolari. Ciascuna di queste raggruppava circa ventimila
persone, cui erano affidati terre, animali e arnesi espropriati
ai privati, e stabiliva i piani di lavoro, fissando modi, tempi
e ritmi. L'idea era che i contadini, non più abbandonati
a se stessi, fossero inseriti in un sistema organizzato in modo
tale da garantire cibo per tutti in uguale misura. (Hirst, p.
191)
Visti i disastri di questa politica (dai 20 ai 43 milioni di
vittime della Grande carestia), a partire dalla primavera del
1962 l'ordine di priorità nel campo economico fu capovolto:
in testa l'agricoltura; poi l'industria leggera; infine l'industria
pesante, relegata al terzo posto. Nell'industria pesante la preferenza
andava ormai a settori indispensabili allo sviluppo dell'agricoltura,
come quello dell'industria dei fertilizzanti chimici. Solo così
le perdite dovute al "Grande balzo" furono recuperate.
(Bianco, p. 259)
Dopo l'ultimo tentativo di Mao di mantenere saldo il potere,
attraverso la rivoluzione culturale (1966-1976, dai 400 mila
al milione di vittime presunte), fu con il suo successore, Deng
Xiaoping, che si avviò l'epoca moderna della Cina: emancipazione
della società, limitazione dell'arbitrio del potere, apertura
al mondo esterno (soprattutto alle multinazionali). (Courtois,
p. 506)
Il percorso scelto per modernizzare il Paese, fu diverso da quello
intrapreso dalla Russia post-sovietica: nel primo caso, si trattava
di una modernizzazione dall'alto, gestita dall'apparato comunista,
che sacrificava la libertà politica delle masse in nome
del benessere economico (e che per questo sembrava avere successo);
nel secondo caso, il governo aveva lasciato ai privati il compito
di migliorare le condizioni socio-economiche (e per questo sta
oggi fallendo clamorosamente).
Ma rimangono tuttora tre problemi irrisolti: il primo riguarda
la politica repressiva nei confronti del Tibet (si parla di 800
mila vittime su una popolazione di circa 3 milioni); il secondo
riguarda la battaglia diplomatica contro Taiwan, l'isola vicina
dove si era rifugiato il governo nazionalista rovesciato da Mao;
il terzo è legato all'emancipazione femminile, che se
da un lato è proseguita grazie alla diffusione del consumismo
di massa, dall'altro è ostacolata dalla politica del figlio
unico (che penalizza ancora una volta le bambine) e dalla persistenza
della mentalità patriarcale, sia nelle campagne che nelle
città.
La politica del figlio unico è la conseguenza diretta
dell'esplosione demografica cinese, un fenomeno che ha radici
lontane. Lo straordinario aumento della popolazione cinese in
epoca moderna fu uno dei fenomeni più gravidi di conseguenze
della storia demografica mondiale. Avrebbe dovuto essere anche
uno dei più fecondi dal punto di vista teorico: poiché,
se l'accrescimento riscontrato negli ultimi decenni (circa mezzo
miliardo di abitanti verso il 1930, un miliardo e mezzo oggi)
rispecchiava su scala cinese un fenomeno constatato in tutti
i paesi sottosviluppati, la crescita anteriore (in particolare
quella del '700: 100-150 milioni di abitanti nel 1650, circa
400 milioni nel 1850) rappresentò un caso aberrante in
rapporto agli schemi classici della demografia. La pace interna
e la prosperità, che corrisposero all'età d'oro
della dinastia manciù, e soprattutto l'introduzione di
nuove colture alimentari, meno esigenti del riso e del grano,
spiegavano in parte questo rapido impulso. (Bianco, p. 84)
- All'ombra della dea Kalì
Mentre dell'Asia sud-orientale
prima del XX secolo nulla si può dire, tranne che i vari
popoli avevano a poco a poco subito l'influenza indiana, cinese,
araba e occidentale, riguardo all'India possiamo suddividere
la sua storia antica in tre periodi: quello induista (dai primordi
al 1192), quello islamico (dal 1192 al 1858) e quello coloniale
(dal 1858 al 1947).
Alle origini del sistema induista, stava la suddivisione in quattro
gruppi (o caste) della popolazione indiana: il sacerdote o, più
genericamente, l'intellettuale (brahmana); il guerriero e l'amministratore
(ksatriya); gli allevatori, gli agricoltori e i commercianti
(vaisya); e coloro che lavoravano al servizio delle prime tre
classi (sudra). (Sharma, p. 39)
Il passaggio da una casta all'altra era escluso; in particolare,
il successo professionale od il raggiungimento di una particolare
ricchezza o di potere politico non avevano come conseguenza l'ascesa
ad una casta più alta. Tra le caste esisteva un ordine
gerarchico, che veniva mantenuto in piedi grazie alla concezione
che ogni casta, secondo il proprio rango, detenesse una certa
"purezza", che non poteva essere intaccata dal contatto
con certi oggetti e, soprattutto, dal contatto con i membri delle
caste inferiori. Da ciò derivavano numerose regole, in
base alle quali era vietato contrarre matrimonio od avere relazioni
sessuali con un membro di una casta inferiore, mangiare con essi
o soltanto avvicinarsi. (Zweigert, p. 386)
Alla dottrina della trasmigrazione delle anime si accompagnava
una dottrina morale, che spiegava la reincarnazione come una
conseguenza del comportamento personale (barman) nella vita precedente.
La nascita nobiliare era il premio per un buon comportamento
nell'ultima incarnazione, la nascita ignobile era la punizione
per un cattivo comportamento. E il comportamento del giusto consisteva
nell'adempiere i doveri della propria casta. Il re doveva regnare,
fare la guerra ed accrescere i suoi possedimenti. Il sudra doveva
servire ed eseguire i lavori bassi, e allora gli sorrideva nella
prossima rinascita la speranza di un miglioramento sociale.
Il dogma del premio o del castigo nella prossima rinascita divenne
un'ideologia che cementò l'ordinamento in caste in India
per quasi due millenni, permettendogli di sopravvivere a tutte
le forze disgregatrici: fatto su cui alcuni avrebbero dato un
giudizio negativo di immobilismo, mentre altri lo avrebbero esaltato
come una dimostrazione di stabilità. (Embree, p. 41)
Alla fine del XII secolo l'egemonia politica nell'India settentrionale
passò dai Rajputi, che avevano controllato il paese per
almeno quattrocento anni, ad invasori turchi provenienti dalle
valli e dagli altopiani dell'Asia centrale. Le irruzioni di popoli
stranieri non erano un'esperienza nuova per l'India settentrionale,
ma questa invasione era diversa da tutte le precedenti, perché
i turchi avevano un'ideologia religiosa ben articolata e una
raffinata cultura letteraria e artistica. La loro religione e
la loro cultura erano il prodotto della fusione di elementi arabi,
mediterranei, persiani e centroasiatici. (Embree, p. 186)
La forza d'urto dell'invasione fu assai minore nell'India meridionale,
dove i diversi regni sopravvissero fino alla metà del
XIV secolo, quando l'invasione degli eserciti del sultano di
Delhi trasformarono profondamente l'organizzazione politica dell'India
meridionale. (Embree, p. 187)
L'invasione dei popoli turchi produsse in tutta l'India profonde
e durevoli conseguenze. Numerose istituzioni politiche e sociali
indigene furono o distrutte o alterate profondamente dall'introduzione
di nuove forme di governo e nuove strutture amministrative, soprattutto
nel sistema tributario e nell'amministrazione della giustizia.
(Embree, p. 187)
L'Islam esercitava una duplice influenza: da una parte esortava
alla conversione, che presupponeva il ripudio totale della religione
ancestrale; dall'altra, assecondava le tendenze monoteistiche
ed egualitarie di quegli indù che, desiderosi di seguire
il suo esempio, erano però poco disposti a troncare i
legami con la propria tradizione. (Sharma, p. 59)
Il controllo politico esercitato da dinastie musulmane su gran
parte dell'India, e l'eredità di tre secoli di cultura
e religione islamica, avevano preparato il terreno alla fondazione
di un nuovo Impero nel XVI secolo, quello dei Moghul. La fondazione
di questo Impero fu opera di una dinastia turca, che nell'anno
1526 sotto Babur, signore di Kabul, iniziò la conquista
dell'India. Quasi tutto il territorio fu occupato entro la fine
del XVII secolo. (Embree, p. 239)
Alla vigilia del colonialismo britannico, i musulmani erano una
grande comunità religiosa, che comprendeva circa un quarto
della popolazione totale dell'India. Si stima che la popolazione
totale fosse 100 milioni nel 1800; ma nel censimento del 1881
era salita a 248 milioni, mentre nel censimento del 1931 era
salita a 338 milioni. (Borsa, p. 494)
Gli inglesi tentarono un'opera di modernizzazione economica e
sociale dell'India, sia per motivi ideali che per interessi economici.
Mentre prima il diritto era in massima parte consuetudinario,
i giuristi britannici elaborarono una serie di riforme, come
nel campo dei diritti patrimoniali: furono introdotte le regole
del Common Law, ad esempio l'istituto della proprietà
agricola.
Il sovrapporsi della legge e dei tribunali britannici agli organi
di autogoverno delle caste indebolì la disciplina castale
(ma non riuscì a sopprimerla, tant'è vero che persiste
ancora oggi). Il concetto stesso dello stato di diritto e dell'eguaglianza
dei cittadini di fronte alla legge, con la conseguente protezione
che questa offriva indistintamente a tutti gli individui come
tali e non come membri di una casta, sovvertiva il principio
dello svadharma, della legge propria dello stato di ciascuno,
che era al fondamento del sistema castale. (Borsa, p. 139)
Allo stesso modo, e per le stesse ragioni, risultarono indeboliti
i vincoli della famiglia patriarcale. Questa, composta dai coniugi,
da tutti i discendenti e qualche volta collaterali con le rispettive
famiglie sotto l'autorità del membro maschio più
anziano, era fondata sulla comunione dei beni. Una struttura
di questo tipo era giustificata in una società prevalentemente
agricola, in cui la terra era sovrabbondante rispetto alla popolazione
e consentiva perciò, con il crescere della famiglia, il
crescere della forza economica comune.
L'introduzione dell'istituto della proprietà privata della
terra, la tutela giuridica offerta dalla legge e dai tribunali
britannici ai diritti dei singoli, il mutare del rapporto tra
terra disponibile e popolazione, la necessità per molti
contadini di trovare una nuova occupazione, l'aprirsi dei ceti
più a contatto con i dominatori britannici alle nuove
idee, alle nuove professioni, alle nuove abitudini, ed il conseguente
conflitto generazionale, tutto ciò contribuì ad
allentare i legami all'interno della famiglia patriarcale. (Borsa,
p. 140)
In India, come in Cina, vi erano molte usanze barbare che vennero
a poco a poco rese illegali e semiclandestine, come il sati (l'obbligo
morale per le vedove d'immolarsi sulla pira funebre del marito),
la poligamia, il divieto di risposarsi che colpiva le vedove
hindu, i matrimoni infantili, la schiavitù domestica,
l'infanticidio femminile. Quest'ultima era una dura forma di
regolamentazione demografica: le femmine nelle famiglie numerose
e povere erano lasciate spesso morire di fame o avvelenate subito
dopo la nascita; nel Bengala (oggi Pakistan) le madri facevano
voto se avessero avuto più figli di sacrificarne uno alla
Gran Madre Gange. (Borsa, p. 498)
Sul piano economico, furono introdotte le colture industriali
attraverso il sistema delle piantagioni (come erano state introdotte
nell'Asia sud-orientale, in Africa e nel Sudamerica), l'indaco,
il cotone, il tabacco, l'oppio e lo zucchero. La conseguenza
immediata sarebbe stata, come altrove, la dipendenza del contadino
dai prezzi del mercato internazionale: fatto non certamente positivo,
specialmente dopo la crisi economica del 1930. (Borsa, p. 135)
I prodotti dell'artigianato indiano furono soppiantati dai nuovi
manufatti industriali britannici a basso costo. L'artigianato
tradizionale ne fu mortalmente colpito: gran parte degli artigiani
e dei lavoratori impiegati nelle fabbriche ritornò all'agricoltura
facendo aumentare la domanda di terra proprio mentre l'incremento
demografico, favorito dalla pax britannica, modificava fino a
capovolgerlo il rapporto tradizionale tra terra e braccia; e
mentre la commercializzazione dell'agricoltura introduceva nelle
campagne un nuovo elemento di precarietà e di instabilità.
(Borsa, p. 134)
Gli unici a guadagnarci furono i borghesi urbani locali, che
operavano a stretto contatto con i colonizzatori. Questi vivevano
nei quartieri alti delle grandi città, in ville blindate
circondate dalle catapecchie: in un elenco delle 23 famiglie
più ricche e più influenti di Calcutta compilato
nel 1839, almeno 17 risultavano discendenti da gente che aveva
fatto fortuna lavorando a vario titolo per gli inglesi. (Borsa,
p. 150)
La stessa cosa stava accadendo nell'Asia sud-orientale, dove
la centralizzazione dell'amministrazione ad opera degli Europei
aveva distrutto, in una misura sconosciuta sotto le vecchie monarchie,
la dimensione di villaggio delle attività rurali, gettando
le basi dello sfruttamento economico. Questa doppia attività,
amministrativa ed economica, generò fra le popolazioni
elementi di nuove classi sociali: borghesia fondiaria o mercantile,
proletariato delle piantagioni e delle miniere. (Bianco, p. 97-98)
Le due guerre mondiali, il conseguente espansionismo nipponico
in tutta l'area del Pacifico, la rivoluzione comunista in Russia
e in Cina e la crisi del 1929 avrebbero fatto risvegliare il
nazionalismo indiano e asiatico nel complesso, nazionalismo che
si sarebbe presentato sotto due vesti: una richiesta di autonomia
per la borghesia locale e la sovietizzazione di alcuni Stati.
Riguardo al primo caso, le riforme in campo economico e sociale
avrebbero seguito le linee di tendenza della congiuntura economica
internazionale, come negli altri Paesi in via di sviluppo: protezionismo
industriale e nazionalismo negli anni '50 e '60, in seguito liberismo
ed agricoltura per le esportazioni.
In India e nell'Asia sud-orientale si avviò, negli anni
'60, la cosiddetta "rivoluzione verde". L'introduzione
di nuove qualità di cereali permise una resa per ettaro
fortemente superiore a quella consentita dalle sementi usate
tradizionalmente, addirittura superiore anche alla crescita della
popolazione. Purtroppo queste nuove varietà di cereali
richiedevano mezzi di produzione molto costosi (insetticidi,
prodotti chimici, pompe meccaniche, trattori). La loro diffusione
sarebbe rimasta quindi limitata alle regioni e alle aziende agricole
più ricche. (Bellezza, p. 197)
L'India si sarebbe anche smembrato in due Stati: l'India propriamente
detta e il Pakistan, ex-Bengala. Il secondo Stato è musulmano,
e figlio della colonizzazione islamica che si era fermata nell'India
settentrionale. Conseguenza principale dello smembramento fu
il flusso di profughi (7 milioni) da un territorio all'altro.
Ma esiste ancora oggi una numerosa comunità islamica in
India: 100 milioni di persone, vittime di saltuari pogrom e a
loro volta vendicatori sanguinari.
Contiamo tre guerre tra India e Pakistan per la contesa sulla
regione confinante, il Kashmir (1947-49 e 1956), e per l'indipendenza
del Bangladesh, anch'esso Stato musulmano, dal Pakistan (1971).
Entrambe le potenze detengono oggi armi nucleari, come gli Stati
Uniti, la Russia, la Cina, Israele e, forse, la Corea del Nord.
Diciamo qui, per comodità, che anche l'Iran, l'Irak, la
Libia e l'Algeria hanno, presumibilmente, in progetto una loro
bomba nucleare.
In Indonesia la politica filo-comunista, o quantomeno democratica,
di Sukarno, spinse gli Stati Uniti ad appoggiare il colpo di
Stato del fascista Suharto nel 1965. Molti simpatizzanti comunisti
e democratici furono sterminati, una cifra che varia tra i 500
mila e il milione. Da allora le multinazionali avrebbero potuto
gestire le ricchezze del suolo tranquillamente. Il governo fascista
dura ancora oggi, anche se in forme più attenuate, ed
è responsabile del genocidio di Timor Est, iniziato nel
1975 con l'annessione del territorio. Le stesse fonti ufficiali
indonesiane riconoscono da 170 mila a 212 mila morti, ma probabilmente
sono molti di più, su una popolazione che doveva toccare
all'inizio del conflitto circa 600 mila abitanti. (AAVV., p.
235)
Il primo Stato a divenire comunista sarebbe stato la Corea del
Nord (guerra contro la Corea del Sud, 1950). Si sarebbe trattato
di un regime autarchico, violento e debolissimo, che solo in
questi anni si sarebbe deciso ad aprirsi al mondo, anche per
via del peggioramento della situazione alimentare.
Un caso esemplare di Stato comunista sarebbe stato la Cambogia
di Pol Pot (1975-1979). Pol Pot credeva nel comunismo agrario,
così deportò in massa la popolazione urbana verso
i villaggi e cercò di cancellare in tutti i cambogiani
qualsiasi accenno all'individualismo e all'indipendenza. Risultato:
1-2 milioni di morti e centinaia di migliaia di rifugiati all'estero.
Nel 1990 non si era ancora ritornati al numero di abitanti del
1970, e la popolazione si trovava assai squilibrata: 1,3 donne
per 1 uomo. (Courtois, p. 553)
Un altro Stato comunista sorse nel Vietnam del Nord, ed avrebbe
esercitato la sua influenza nel Vietnam del Sud dopo una lunga
guerra (1946-1975), nel Laos dopo il 1975 (300 mila rifugiati
all'estero) e in Cambogia dopo il 1979. Solo dopo la fine della
Guerra fredda, l'Asia sud-orientale sarebbe passata ad una distensione
con gli Stati Uniti.
L'Afghanistan era un caso a parte. Nel 1979 la popolazione afgana
contava 15 milioni di abitanti comprendenti varie etnie, a maggioranza
islamica, e sulle quali non ci soffermeremo. Prima dell'invasione
russa di quell'anno, lo Stato si stava modernizzando, come dimostrava
la politica di emancipazione femminile. Ma l'intervento sovietico,
durato fino al 1992, indebolì la società afgana:
all'inizio degli anni '80 i rifugiati (2/3 in Pakistan e 1/3
in Iran) erano 5 milioni, a cui si aggiungevano i "rifugiati
dell'interno", coloro che abbandonavano i loro villaggi
per sfuggire alla guerra e alla repressione, e il cui numero
ammontava a 2 milioni. Le mine provocarono, come minimo, 700
mila mutilati e continuano ancor oggi a mietere vittime.
Nel complesso, la guerra avrebbe fatto tra 1 milione e 500 mila
e 2 milioni di morti, per il 90% civili, mentre i feriti sarebbero
stati fra i 2 e i 4 milioni. L'economia si trasformò in
un'economia di guerra, essenzialmente a profitto dei sovietici
e, in brevissimo tempo, con traffici di ogni genere (armi, droga,
ecc.) andò in rovina. (Courtois, p. 669 e 676-677)
La parentesi talibana è degna di nota. Dopo essersi sostituiti
ai sovietici, questi studenti coranici avevano imposto uno Stato
teocratico, dove tutto era vietato (ma non coltivare la droga
da vendere agli occidentali, capitalisti e corruttori: qualcuno
ricorda l'ebreo errante?), e dove gli uomini dovevano portare
una barba lunga mentre le donne dovevano indossare il chador,
un indumento che copriva qualunque parte del corpo tranne gli
occhi. Una sorta di fondamentalismo religioso spinto all'estremo:
presentava alcune regole di vita come se fossero le migliori,
ma lo erano solo perché escludevano tutto il resto. Adesso
che gli Stati Uniti hanno ripreso il controllo del territorio,
sono in auge sia la modernizzazione dei costumi, sia gli interessi
petroliferi delle multinazionali.
- La struttura geopolitica
attuale
In Asia, un forte ostacolo
alla presenza e alle attività umane è costituito
dalla vastità delle zone aride e di quelle montuose. Per
quanto riguarda le risorse (dove ci sono), esse variano in base
ai climi, alla natura dei suoli, alle condizioni delle acque
e alle situazioni geologiche.
Significative le risorse del sottosuolo, che hanno ampio smercio
sui mercati mondiali. L'India ha miniere di carbone; le penisole
indocinese e di Malacca sono ricche di stagno; vari Paesi hanno
giacimenti di nichel, antimonio, manganese e tungsteno. La Cina
è tendenzialmente autosufficiente, grazie ad un sottosuolo
ricco di petrolio, carbone e gas naturale.
Alle latitudini più basse, vale a dire nelle Isole del
Sud-Est (Penisola di Malacca e Indonesia), i climi equatoriali
e tropicali rendono gli ambienti adatti alle colture da piantagione:
tè, cotone, banani, alberi da gomma. Altrettanto importanti
le foreste dalle quali si ricavano legnami pregiati quali tek
ed ebano. Legati agli ambienti umidi anche le colture del riso,
che cresce abbondante nell'Asia meridionale, nel Sud-Est asiatico
e nell'Asia orientale. Altra risorsa è costituita dalla
ricchezza biologica dei mari: soprattutto nell'Asia orientale
la pesca è, infatti, un'importante fonte di reddito. (Forte,
p. 100)
Escludendo la savana e la regione equatoriale, il grosso del
continente asiatico ha un clima monsonico, e questo influenza
moltissimo l'agricoltura. Portatore di piogge violentissime,
il monsone giunge all'inizio di maggio nelle regioni meridionali
e in giugno nella parte interna del Golfo del Bengala. La gente
aspetta con ansia queste piogge torrenziali, soprattutto perché
un ritardo di qualche giorno può far diminuire paurosamente
i raccolti per un anno intero.
Su parte dei suoli vengono effettuati due raccolti l'anno. All'arrivo
del monsone umido si semina il riso o il frumento, da mietere
nel periodo di inversione tra monsone di mare e di terra. In
ottobre i campi vengono preparati per una seconda semina (in
genere di cereali minori e leguminose) la cui raccolta avviene
in primavera, prima del nuovo monsone estivo. Molto spesso il
monsone arriva al momento giusto, ma di acqua ne porta troppa;
la conseguenza, come è prevedibile, è l'inondazione,
che devasta nel bassopiano del Gange-Brahmaputra decine di migliaia
di chilometri quadrati. (Bellezza, p. 192-194)
Quanto alle singole aree geografiche, cominciamo dalla Mongolia
per scendere sempre di più verso il basso.
La Mongolia, che ha sempre avuto il ruolo di Stato-cuscinetto
tra Russia e Cina, è un territorio difficile; non a caso
ha una densità che non supera i 2 ab./km². Le dure
condizioni ambientali (al nord montuoso e al sud steppico) hanno
da sempre imposto l'allevamento nomade come base dell'economia,
mentre l'agricoltura è praticabile su meno dell'1% del
territorio. Ma il grosso della popolazione vive nelle città
(53%). (Edigeo, p. 1193)
In Cina la distribuzione della popolazione è marcatamente
disomogenea: oltre il 90% degli abitanti vive nella Cina orientale.
L'addensamento è fortissimo nel medio e nel basso bacino
dei grandi fiumi Huang He e Chang Jiang (Yangzi), conosciuti
in Occidente come Fiume Giallo e Fiume Azzurro, e nelle pianure
orientali e meridionali. Ed è soprattutto in queste zone
che si sta avviando un processo di industrializzazione fortissimo.
Il territorio è un immenso cantiere, dove vi si costruiscono
città, autostrade, fabbriche, bacini idrici. I danni per
le popolazioni locali sarebbero incalcolabili, secondo alcuni.
(Bellezza, p. 206)
Il territorio cinese, il quarto al mondo per estensione, è
suddiviso in tre parti: montagne molto elevate e tavolati alti
più di 3000 metri costituiscono a ovest il primo "pianerottolo",
che occupa un quarto della superficie del Paese; altipiani e
colline formano il secondo "pianerottolo", a più
di 2000 metri di altezza nella Cina centrale e meridionale; pianure
e vallate alluvionali si aprono sull'Oceano Pacifico e sui suoi
mari minori. Tali pianure sono irrigate e fertilizzate dai grandi
fiumi (Fiume Giallo, Fiume Azzurro e Fiume delle Perle). (Forte,
p. 153)
La Corea del Nord non ha subito grossi cambiamenti rispetto al
1945. Le industrie di base di costruzione giapponese funzionano
ancora, grazie alla disponibilità di energia idroelettrica.
La collettivizzazione agricola ha danneggiato soprattutto le
foreste, ed è la causa principale della penuria alimentare.
Infine, la mobilità sociale dalla campagna alla città
è quasi impossibile, perché chi vuole muoversi
da un punto ad un altro è obbligato a richiedere il consenso
del regime.
In India si percepisce con maggiore intensità il binomio
sovrappopolazione-sottosviluppo. È specialmente nel basso
corso del Gange e del Brahmaputra che si verifica uno dei maggiori
addensamenti di popolazione della Terra: su circa 400.000 km²
brulicano più di 200 milioni di persone. Fin dagli anni
'50, i governi indiani avrebbero intrapreso campagne di pianificazione
demografica rivolte a limitare la crescita della popolazione,
ma gli obiettivi sono stati raggiunti solo in minima parte ed
hanno suscitato polemiche, a causa della violenza implicita nel
programma.
Malgrado la maggioranza della popolazione viva ancora in campagna,
le città sono in crescita continua. Questa espansione
avviene soprattutto con la nascita di quartieri di casupole precarie,
costruite con fango o materiali di fortuna. È qui che
si addensano i due terzi delle famiglie urbane che non dispongono
di servizi igienici e che vivono in una sola stanza; ed è
qui che la penuria grave e generale di alloggi giunge alle sue
estreme conseguenze. (Bellezza, p. 201)
Nel Pakistan, più che una trama organica di città
legate da stretti rapporti economici, vi è una serie di
centri urbani popolosi, cui si contrappongono ampie zone aspre,
desertiche e disabitate. Tra le forme d'insediamento, il tipo
più diffuso è il villaggio rurale costituito da
un nucleo compatto di case d'argilla, racchiuse entro recinzioni
pure d'argilla. Da esso si differenziano i nuovi villaggi rurali
del Punjab, dove i progressi agricoli hanno portato alla costruzione
di centri abitati meno primitivi. La popolazione è in
gran parte dedita all'agricoltura e alla pastorizia, e il suo
naturale incremento è rallentato dalle campagne di pianificazione
demografica promosse dal governo. (Forte, p. 139)
Il controllo delle nascite è stato avviato (nel 1967)
anche in Indonesia, il quarto Stato più popoloso nel mondo.
La sovrappopolazione porta tanti problemi: nelle campagne i contadini
sono costretti a sfruttare i pendii delle montagne, effettuando
disboscamenti che rischiano di accelerare l'erosione del terreno.
Nelle città, in ogni km², vivono anche migliaia di
persone, spesso in casupole di fortuna, in condizioni igieniche
disastrose. La crisi economica asiatica degli anni '90 ha fatto
calare il tenore di vita della popolazione. (Forte, p. 143)
Le condizioni di vita nel resto del Sud-Est asiatico sono simili:
dappertutto si producono grossi quantitativi di droga; il commercio
è tradizionalmente svolto dai cinesi, presenti in buon
numero in ogni Paese (sono in tutto almeno 12 milioni); le città
sono sovraffollate e inquinatissime, dove l'attività più
redditizia è la prostituzione (le ragazze, anche bambine,
sono costrette a vendere il proprio corpo); molti emigrano all'estero,
tant'è che i governi cercano di organizzare questo flusso
in uscita delle persone per renderlo maggiormente fruttifero.
Nella Penisola indocinese la popolazione si concentra maggiormente
nella grande vallata del Mekong e lungo gli altri fiumi minori.
Nelle Filippine l'isola maggiore, Luzon, è anche la più
popolata, avendo le più estese pianure. (Bellezza, p.
261)
Nelle densissime foreste di Borneo e in alcune isole più
remote dell'arcipelago, si trovano ancora tribù organizzate
secondo le forme economiche rudimentali della prima età
dei metalli, e addirittura gruppi allo stadio culturale precedente,
ancora fermi all'uso della pietra. (Bellezza, p. 262)
Quanto alle centrali nucleari, continuiamo la tabella iniziata
nel paragrafo h:
Nazione |
Centrali in funzione |
Centrali in costruzione |
Cina |
4 |
7 |
India |
14 |
3 |
Pakistan |
2 |
0 |
Bibliografia:
AAVV., Il
libro nero del Capitalismo, Marco Troppa Editore '99
Bellezza Giuliano, Geografia, vol. 3, Mondadori '84.
Bianco Lucine (a cura di), L'Asia moderna, Feltrinelli '76.
Borsa Giorgio, La nascita del mondo moderno in Asia Orientale,
Rizzoli '77.
Courtois Stéphane e altri, Il libro nero del Comunismo,
Mondadori '98
Edigeo (a cura di), Enciclopedia Zanichelli, '95
Embree Ainsle T. e Wilhelm Friedrich, India, Feltrinelli '68.
Forte Gioacchino e Tanara Urbettazzi Milli, Geografia, vol. 3,
De Agostini '99
Franke Herbert e Trauzettel Rolf, L'Impero cinese, Feltrinelli
'83.
Hirst Bamboo, Figlie della Cina, Piemme Pocket '02.
Sharma Arvind (a cura di), Religioni a confronto, Neri Pozza
'96.
Zweigert Konrad e Kötz Hein, Introduzione al diritto comparato,
Giuffrè '98. |