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Sovrappopolazione e sottosviluppo.

La Conferenza del Cairo

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Comandè Marco

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Capitolo 3

Il terzo mondo

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m) La polveriera asiatica - Storia della Grande Muraglia.

A parte alcune peculiarità, la civiltà cinese della preistoria non si distingue dal sistema patriarcale che abbiamo studiato nei paragrafi da c a f: il rimpianto per il paradiso perduto, l'epoca in cui gli uomini erano in armonia con la natura; l'aura di sacralità ed eroismo dei primi imperatori; la decadenza dei costumi, con la conseguente formazione della società feudale e la codificazione del sistema della guerra; la durata millenaria delle dinastie (Hsia: 2205-1766 a.C.; Shang: 1766-1122 a.C.; Chou: 1122-221 a.C.); la nascita dell'Impero nel 221 a.C., che fino al 1911 sarebbe stata la forma istituzionale della Cina; la subitanea comparsa della scrittura, del bronzo, del cavallo e del carro nel II millennio a.C.; la costruzione della Grande Muraglia intorno a partire dal IV secolo a.C.; l'invenzione della carta intorno al 100 d.C.
Le origini della popolazione cinese sono sconosciute. Probabilmente, al seguito delle prime migrazioni storiche dall'Africa verso il Tigri e l'Eufrate, un gruppo si era spinto più a nord (par. t). Suggestiva è la distinzione tra le "otto culture locali preistoriche", ipotesi avanzata da W. Eberhard per il III millennio a.C.:
1) Una cultura nord-orientale, nell'area Hopei, Shantung, Manciuria meridionale. Caratteristiche: popolazione di cacciatori, agricoltura primitiva, allevamento di suini, rozza ceramica. "Proto-Tungusi".
2) Una cultura settentrionale, nella zona Shansi, Jehol. Caratteristiche: dapprima cacciatori, poi pastori nomadi, allevamento di bovini. "Proto-Mongoli".
3) Una cultura nord-occidentale, nelle pianure di Shensi e Kansu. Caratteristiche: pastori, allevatori di cavalli, agricoltura sussidiaria (frumento, miglio). "Proto-Turchi".
4) Una cultura occidentale, nella zona montuosa dello Shensi e del Kansu. Caratteristiche: pastori di pecore. "Proto-Tibetani".
5) Una cultura Liao. Cacciatori primitivi. "Proto-Austroasiatici".
6) Una cultura Yao, Cina sud-orientale. Caratteristiche: cacciatori-raccoglitori sui monti, agricoltori primitivi (coltivazione di terreni liberati dalla vegetazione spontanea mediante incendio). "Proto-Austronesiani". Questa cultura si fuse ben presto con la
7) (Una) cultura Tai. Caratteristiche: coltivazione del riso nelle valli, agricoltura in campi irrigati.
8) Una cultura Yüeh ("Cultura delle coste"), un misto di elementi culturali Yao e Tai, anche qui "Proto-Austronesiani". Caratteristiche: navigazione fluviale e marittima, tatuaggi ecc. (Franke, p. 28-29)
Queste culture sono ancora oggi presenti nell'immenso territorio cinese. È da aggiungersi che l'Estremo Oriente avrebbe esercitato la sua influenza anche sulle civiltà del nuovo mondo. È certo che, nel corso dei millenni preistorici, diverse ondate migratorie provenienti dall'Asia orientale raggiunsero l'America settentrionale attraverso il "ponte" di Bering. Altre ondate migratorie avrebbero presto sconvolto l'Occidente, sia durante l'Impero romano (i popoli barbarici) sia nel medioevo (i mongoli). (Franke, p. 32)
Il nuovo ordinamento sociale che comparve con la nascita dell'Impero cinese, si sarebbe conservato nelle sue linee fondamentali fino alla fine del XIX secolo. Ma mentre in Europa dallo Stato feudale doveva uscire lo Stato borghese, in Cina si sviluppò una forma di società in cui si perpetuarono gli elementi fondamentali del feudalesimo. Le teorie avanzate per l'interpretazione scientifica di questo fenomeno prendono ciascuna in considerazione, come causa finalis, uno di questi tre complessi di fattori storici, ossia quello economico, quello sociale e quello politico-ideologico. Queste teorie si possono così brevemente riassumere:
1) La teoria della "società orientale". Prende come punto di partenza il cosiddetto "sistema di produzione asiatico", la cui caratteristica fondamentale era la dipendenza dell'agricoltura dalla sistematica organizzazione degli impianti di irrigazione. Nella maggior parte del territorio cinese infatti le piogge (tutt'oggi) non cadono nella stagione opportuna, e dove si pratica la risicoltura nelle marcite le precipitazioni naturali non sono sufficienti (vedere più avanti). La coltivazione mediante irrigazione artificiale recava con sé conseguenze tanto economiche che politico-sociali: determinava un'intensiva coltivazione del terreno, che non si valeva di utensili tecnicamente perfezionati ma richiedeva enormi quantità di manodopera per la costruzione di dighe, canali, bacini artificiali e impianti per attingere l'acqua, per lo più azionati a mano. Naturalmente queste masse di operai, per realizzare le opere progettate, dovevano dipendere da una burocrazia centralizzata.
2) La teoria della società piccolo-nobiliare, che usciva dalla trasformazione strutturale del latifondo. Con l'alienabilità del terreno era comparso al posto dell'antica aristocrazia un nuovo ceto sociale, la cosiddetta gentry, o piccola nobiltà di campagna, che di norma, una volta comperata una proprietà fondiaria, la dava in affitto ai piccoli proprietari di una volta e viveva sulla rendita. Accanto agli ereditari manieri di campagna, la piccola nobiltà si era procurata una seconda dimora nella città, e qui i membri della famiglia più adatti si avviavano alla carriera impiegatizia; di modo che la stessa classe sociale che possedeva il terreno praticamente riscuoteva anche le tasse dei suoi fittavoli.
3) La concezione storica che considera determinante la funzione della persona umana. Per essa il fattore essenziale che determinò il formarsi della nuova società fu la "vittoria" del confucianesimo, ossia il suo imporsi nella classe impiegatizia fino alla completa identificazione di questa con quello.
Queste tre teorie hanno in comune una caratteristica: non prendono in considerazione possibili influenze da parte dello sviluppo esterno dell'Impero cinese. Le campagne militari nell'Asia centrale, e la conseguente espansione territoriale, avevano una grandissima importanza anche per lo sviluppo interno dell'Impero Han e delle successive dinastie. La vastità del territorio cinese costituiva una valvola di sfogo per le tensioni sociali, poiché apriva largamente e in ogni momento la via d'uscita della colonizzazione. (Franke, p. 101-103)
La dottrina del confucianesimo è degna di nota (par. h): Confucio partiva dal presupposto che l'umanità come la divinità, il cielo come la terra, la natura viva come la natura morta fossero parti organiche di un universo ordinato in modo armonico ed unitario. Il contenuto delle regole era in gran parte determinato dallo status sociale della persona cui si indirizzava la regola, considerandola nell'ambito della sua famiglia, del suo clan, del vicinato, della gerarchia ufficiale, o dello Stato.
L'uomo ideale nelle concezioni del confucianesimo era colui che, osservando l'ordine naturale del mondo, riconosceva come necessarie e sensate quelle regole di comportamento, seguendole spontaneamente, mettendo in secondo ordine i propri interessi al fine di mantenere e garantire tale armonia.
Qualora un cittadino si fosse ritenuto leso dal comportamento tenuto da un altro nei suoi confronti, sarebbe stato meglio tendere ad una composizione equa mediante trattative pacifiche, piuttosto che accentuare la già esistente disarmonia, evitando di far valere i propri diritti di fronte ad una Corte. (Zweigert, p. 361-362)
Le controversie all'interno della famiglia venivano decise dal capo-famiglia, da lontani parenti o anche da persone estranee che, a causa della loro età o della loro posizione nella comunità, possedevano un tale prestigio, per cui l'accettazione della loro proposta di compromesso non avrebbe significato "perdere la faccia" per nessuna delle due parti. (Zweigert, p. 365)
La dottrina confuciana si rivelava penalizzante per le donne: gli uomini erano yang e le donne yin, e yang era superiore a yin. Nelle famiglie nobiliari le donne, oltre a subire la fasciatura del piede, erano merce di scambio: attraverso un matrimonio ben combinato, con cui un uomo sposava tutte le sorelle, esse potevano procurare un'alleanza influente.
Nelle famiglie povere, le donne (spesso bambine) venivano vendute come promesse spose, oppure diventavano schiave o prostitute, se non venivano prima uccise (le pratiche di infanticidio femminile erano numerose). In ogni caso, se una moglie non dava un figlio maschio poteva essere ripudiata. (Hirst, p. 23-27)
Soltanto con l'arrivo delle Potenze occidentali e la loro occupazione del territorio attraverso il protettorato (Guerre dell'oppio, 1839-1842 e 1856-1860), la dottrina confuciana sarebbe stata contestata: nel loro confronto con l'Occidente, vinti e minacciati da esso, i letterati cinesi avevano scoperto con spavento che il confucianesimo non si identificava con la Civiltà (con la C maiuscola), ma semplicemente era una civiltà fra le altre, una civiltà meno atta di altre ad assicurare la sopravvivenza della Cina in un mondo di progresso tecnico e di spietata competizione. Tra parentesi, la colonizzazione avrebbe avuto come conseguenza indiretta la diaspora di molti cinesi, diaspora che avrebbe avuto tanta parte nel capitalismo del XX secolo, specialmente in America e in Asia sud-orientale. (Bianco, p. 78)
Ma è con la rivoluzione comunista che si tentò di eliminare l'influenza del confucianesimo, in Cina. La proclamazione della repubblica diede avvio alla promulgazione di una serie di leggi che riguardavano direttamente la condizione femminile. Furono abolite antiche pratiche come la fasciatura dei piedi, il commercio di schiave, la vendita di mogli e concubine, i matrimoni combinati. (Hirst, p. 157)
Questa riforma non aveva carattere solo culturale, ma anche economico: era stata imposta per le esigenze della rivoluzione, della produzione e del lavoro. Le donne erano necessarie come manodopera, e il governo fece di tutto per incoraggiarle sulla nuova strada, anche a scapito dei sentimenti e della maternità, considerati superflui. (Hirst, p. 184)
Sul piano economico, si imitò il sistema sovietico: collettivizzazione e priorità all'industria pesante. Questa rapida industrializzazione provocò un'urbanizzazione altrettanto rapida, la quale pose, com'è ovvio, seri problemi. La popolazione urbana, in media, cresceva quattro volte più in fretta della popolazione rurale, passando da 58 milioni nel 1949 a 72 nel 1957 e a 92 nel 1959. Quest'aumento progressivo era dovuto, per circa due terzi, all'esodo rurale: nel 1956 un quarto dei cittadini erano immigrati di data recente, venuti dalla campagna durante i primi sette anni del regime. (Bianco, p. 247-248)
Siccome l'agricoltura si stava rivelando una palla al piede, nel 1958 si decise di compiere un "Grande balzo in avanti" per ristabilire l'equilibrio tra prodotti agricoli e prodotti industriali. Ma questo balzo non fu progettato per rallentare il ritmo dell'espansione industriale, quanto piuttosto per sviluppare l'agricoltura con la stessa rapidità di un'industria che intendesse accelerare i propri tempi di produzione. (Bianco, p. 253-254)
Così, mentre l'industria era impegnata nel "Grande balzo", che avrebbe dovuto portarla a un livello paragonabile a quello dell'Inghilterra, l'agricoltura fu investita dall'esperimento delle Comuni popolari. Ciascuna di queste raggruppava circa ventimila persone, cui erano affidati terre, animali e arnesi espropriati ai privati, e stabiliva i piani di lavoro, fissando modi, tempi e ritmi. L'idea era che i contadini, non più abbandonati a se stessi, fossero inseriti in un sistema organizzato in modo tale da garantire cibo per tutti in uguale misura. (Hirst, p. 191)
Visti i disastri di questa politica (dai 20 ai 43 milioni di vittime della Grande carestia), a partire dalla primavera del 1962 l'ordine di priorità nel campo economico fu capovolto: in testa l'agricoltura; poi l'industria leggera; infine l'industria pesante, relegata al terzo posto. Nell'industria pesante la preferenza andava ormai a settori indispensabili allo sviluppo dell'agricoltura, come quello dell'industria dei fertilizzanti chimici. Solo così le perdite dovute al "Grande balzo" furono recuperate. (Bianco, p. 259)
Dopo l'ultimo tentativo di Mao di mantenere saldo il potere, attraverso la rivoluzione culturale (1966-1976, dai 400 mila al milione di vittime presunte), fu con il suo successore, Deng Xiaoping, che si avviò l'epoca moderna della Cina: emancipazione della società, limitazione dell'arbitrio del potere, apertura al mondo esterno (soprattutto alle multinazionali). (Courtois, p. 506)
Il percorso scelto per modernizzare il Paese, fu diverso da quello intrapreso dalla Russia post-sovietica: nel primo caso, si trattava di una modernizzazione dall'alto, gestita dall'apparato comunista, che sacrificava la libertà politica delle masse in nome del benessere economico (e che per questo sembrava avere successo); nel secondo caso, il governo aveva lasciato ai privati il compito di migliorare le condizioni socio-economiche (e per questo sta oggi fallendo clamorosamente).
Ma rimangono tuttora tre problemi irrisolti: il primo riguarda la politica repressiva nei confronti del Tibet (si parla di 800 mila vittime su una popolazione di circa 3 milioni); il secondo riguarda la battaglia diplomatica contro Taiwan, l'isola vicina dove si era rifugiato il governo nazionalista rovesciato da Mao; il terzo è legato all'emancipazione femminile, che se da un lato è proseguita grazie alla diffusione del consumismo di massa, dall'altro è ostacolata dalla politica del figlio unico (che penalizza ancora una volta le bambine) e dalla persistenza della mentalità patriarcale, sia nelle campagne che nelle città.
La politica del figlio unico è la conseguenza diretta dell'esplosione demografica cinese, un fenomeno che ha radici lontane. Lo straordinario aumento della popolazione cinese in epoca moderna fu uno dei fenomeni più gravidi di conseguenze della storia demografica mondiale. Avrebbe dovuto essere anche uno dei più fecondi dal punto di vista teorico: poiché, se l'accrescimento riscontrato negli ultimi decenni (circa mezzo miliardo di abitanti verso il 1930, un miliardo e mezzo oggi) rispecchiava su scala cinese un fenomeno constatato in tutti i paesi sottosviluppati, la crescita anteriore (in particolare quella del '700: 100-150 milioni di abitanti nel 1650, circa 400 milioni nel 1850) rappresentò un caso aberrante in rapporto agli schemi classici della demografia. La pace interna e la prosperità, che corrisposero all'età d'oro della dinastia manciù, e soprattutto l'introduzione di nuove colture alimentari, meno esigenti del riso e del grano, spiegavano in parte questo rapido impulso. (Bianco, p. 84)

- All'ombra della dea Kalì

Mentre dell'Asia sud-orientale prima del XX secolo nulla si può dire, tranne che i vari popoli avevano a poco a poco subito l'influenza indiana, cinese, araba e occidentale, riguardo all'India possiamo suddividere la sua storia antica in tre periodi: quello induista (dai primordi al 1192), quello islamico (dal 1192 al 1858) e quello coloniale (dal 1858 al 1947).
Alle origini del sistema induista, stava la suddivisione in quattro gruppi (o caste) della popolazione indiana: il sacerdote o, più genericamente, l'intellettuale (brahmana); il guerriero e l'amministratore (ksatriya); gli allevatori, gli agricoltori e i commercianti (vaisya); e coloro che lavoravano al servizio delle prime tre classi (sudra). (Sharma, p. 39)
Il passaggio da una casta all'altra era escluso; in particolare, il successo professionale od il raggiungimento di una particolare ricchezza o di potere politico non avevano come conseguenza l'ascesa ad una casta più alta. Tra le caste esisteva un ordine gerarchico, che veniva mantenuto in piedi grazie alla concezione che ogni casta, secondo il proprio rango, detenesse una certa "purezza", che non poteva essere intaccata dal contatto con certi oggetti e, soprattutto, dal contatto con i membri delle caste inferiori. Da ciò derivavano numerose regole, in base alle quali era vietato contrarre matrimonio od avere relazioni sessuali con un membro di una casta inferiore, mangiare con essi o soltanto avvicinarsi. (Zweigert, p. 386)
Alla dottrina della trasmigrazione delle anime si accompagnava una dottrina morale, che spiegava la reincarnazione come una conseguenza del comportamento personale (barman) nella vita precedente. La nascita nobiliare era il premio per un buon comportamento nell'ultima incarnazione, la nascita ignobile era la punizione per un cattivo comportamento. E il comportamento del giusto consisteva nell'adempiere i doveri della propria casta. Il re doveva regnare, fare la guerra ed accrescere i suoi possedimenti. Il sudra doveva servire ed eseguire i lavori bassi, e allora gli sorrideva nella prossima rinascita la speranza di un miglioramento sociale.
Il dogma del premio o del castigo nella prossima rinascita divenne un'ideologia che cementò l'ordinamento in caste in India per quasi due millenni, permettendogli di sopravvivere a tutte le forze disgregatrici: fatto su cui alcuni avrebbero dato un giudizio negativo di immobilismo, mentre altri lo avrebbero esaltato come una dimostrazione di stabilità. (Embree, p. 41)
Alla fine del XII secolo l'egemonia politica nell'India settentrionale passò dai Rajputi, che avevano controllato il paese per almeno quattrocento anni, ad invasori turchi provenienti dalle valli e dagli altopiani dell'Asia centrale. Le irruzioni di popoli stranieri non erano un'esperienza nuova per l'India settentrionale, ma questa invasione era diversa da tutte le precedenti, perché i turchi avevano un'ideologia religiosa ben articolata e una raffinata cultura letteraria e artistica. La loro religione e la loro cultura erano il prodotto della fusione di elementi arabi, mediterranei, persiani e centroasiatici. (Embree, p. 186)
La forza d'urto dell'invasione fu assai minore nell'India meridionale, dove i diversi regni sopravvissero fino alla metà del XIV secolo, quando l'invasione degli eserciti del sultano di Delhi trasformarono profondamente l'organizzazione politica dell'India meridionale. (Embree, p. 187)
L'invasione dei popoli turchi produsse in tutta l'India profonde e durevoli conseguenze. Numerose istituzioni politiche e sociali indigene furono o distrutte o alterate profondamente dall'introduzione di nuove forme di governo e nuove strutture amministrative, soprattutto nel sistema tributario e nell'amministrazione della giustizia. (Embree, p. 187)
L'Islam esercitava una duplice influenza: da una parte esortava alla conversione, che presupponeva il ripudio totale della religione ancestrale; dall'altra, assecondava le tendenze monoteistiche ed egualitarie di quegli indù che, desiderosi di seguire il suo esempio, erano però poco disposti a troncare i legami con la propria tradizione. (Sharma, p. 59)
Il controllo politico esercitato da dinastie musulmane su gran parte dell'India, e l'eredità di tre secoli di cultura e religione islamica, avevano preparato il terreno alla fondazione di un nuovo Impero nel XVI secolo, quello dei Moghul. La fondazione di questo Impero fu opera di una dinastia turca, che nell'anno 1526 sotto Babur, signore di Kabul, iniziò la conquista dell'India. Quasi tutto il territorio fu occupato entro la fine del XVII secolo. (Embree, p. 239)
Alla vigilia del colonialismo britannico, i musulmani erano una grande comunità religiosa, che comprendeva circa un quarto della popolazione totale dell'India. Si stima che la popolazione totale fosse 100 milioni nel 1800; ma nel censimento del 1881 era salita a 248 milioni, mentre nel censimento del 1931 era salita a 338 milioni. (Borsa, p. 494)
Gli inglesi tentarono un'opera di modernizzazione economica e sociale dell'India, sia per motivi ideali che per interessi economici. Mentre prima il diritto era in massima parte consuetudinario, i giuristi britannici elaborarono una serie di riforme, come nel campo dei diritti patrimoniali: furono introdotte le regole del Common Law, ad esempio l'istituto della proprietà agricola.
Il sovrapporsi della legge e dei tribunali britannici agli organi di autogoverno delle caste indebolì la disciplina castale (ma non riuscì a sopprimerla, tant'è vero che persiste ancora oggi). Il concetto stesso dello stato di diritto e dell'eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, con la conseguente protezione che questa offriva indistintamente a tutti gli individui come tali e non come membri di una casta, sovvertiva il principio dello svadharma, della legge propria dello stato di ciascuno, che era al fondamento del sistema castale. (Borsa, p. 139)
Allo stesso modo, e per le stesse ragioni, risultarono indeboliti i vincoli della famiglia patriarcale. Questa, composta dai coniugi, da tutti i discendenti e qualche volta collaterali con le rispettive famiglie sotto l'autorità del membro maschio più anziano, era fondata sulla comunione dei beni. Una struttura di questo tipo era giustificata in una società prevalentemente agricola, in cui la terra era sovrabbondante rispetto alla popolazione e consentiva perciò, con il crescere della famiglia, il crescere della forza economica comune.
L'introduzione dell'istituto della proprietà privata della terra, la tutela giuridica offerta dalla legge e dai tribunali britannici ai diritti dei singoli, il mutare del rapporto tra terra disponibile e popolazione, la necessità per molti contadini di trovare una nuova occupazione, l'aprirsi dei ceti più a contatto con i dominatori britannici alle nuove idee, alle nuove professioni, alle nuove abitudini, ed il conseguente conflitto generazionale, tutto ciò contribuì ad allentare i legami all'interno della famiglia patriarcale. (Borsa, p. 140)
In India, come in Cina, vi erano molte usanze barbare che vennero a poco a poco rese illegali e semiclandestine, come il sati (l'obbligo morale per le vedove d'immolarsi sulla pira funebre del marito), la poligamia, il divieto di risposarsi che colpiva le vedove hindu, i matrimoni infantili, la schiavitù domestica, l'infanticidio femminile. Quest'ultima era una dura forma di regolamentazione demografica: le femmine nelle famiglie numerose e povere erano lasciate spesso morire di fame o avvelenate subito dopo la nascita; nel Bengala (oggi Pakistan) le madri facevano voto se avessero avuto più figli di sacrificarne uno alla Gran Madre Gange. (Borsa, p. 498)
Sul piano economico, furono introdotte le colture industriali attraverso il sistema delle piantagioni (come erano state introdotte nell'Asia sud-orientale, in Africa e nel Sudamerica), l'indaco, il cotone, il tabacco, l'oppio e lo zucchero. La conseguenza immediata sarebbe stata, come altrove, la dipendenza del contadino dai prezzi del mercato internazionale: fatto non certamente positivo, specialmente dopo la crisi economica del 1930. (Borsa, p. 135)
I prodotti dell'artigianato indiano furono soppiantati dai nuovi manufatti industriali britannici a basso costo. L'artigianato tradizionale ne fu mortalmente colpito: gran parte degli artigiani e dei lavoratori impiegati nelle fabbriche ritornò all'agricoltura facendo aumentare la domanda di terra proprio mentre l'incremento demografico, favorito dalla pax britannica, modificava fino a capovolgerlo il rapporto tradizionale tra terra e braccia; e mentre la commercializzazione dell'agricoltura introduceva nelle campagne un nuovo elemento di precarietà e di instabilità. (Borsa, p. 134)
Gli unici a guadagnarci furono i borghesi urbani locali, che operavano a stretto contatto con i colonizzatori. Questi vivevano nei quartieri alti delle grandi città, in ville blindate circondate dalle catapecchie: in un elenco delle 23 famiglie più ricche e più influenti di Calcutta compilato nel 1839, almeno 17 risultavano discendenti da gente che aveva fatto fortuna lavorando a vario titolo per gli inglesi. (Borsa, p. 150)
La stessa cosa stava accadendo nell'Asia sud-orientale, dove la centralizzazione dell'amministrazione ad opera degli Europei aveva distrutto, in una misura sconosciuta sotto le vecchie monarchie, la dimensione di villaggio delle attività rurali, gettando le basi dello sfruttamento economico. Questa doppia attività, amministrativa ed economica, generò fra le popolazioni elementi di nuove classi sociali: borghesia fondiaria o mercantile, proletariato delle piantagioni e delle miniere. (Bianco, p. 97-98)
Le due guerre mondiali, il conseguente espansionismo nipponico in tutta l'area del Pacifico, la rivoluzione comunista in Russia e in Cina e la crisi del 1929 avrebbero fatto risvegliare il nazionalismo indiano e asiatico nel complesso, nazionalismo che si sarebbe presentato sotto due vesti: una richiesta di autonomia per la borghesia locale e la sovietizzazione di alcuni Stati.
Riguardo al primo caso, le riforme in campo economico e sociale avrebbero seguito le linee di tendenza della congiuntura economica internazionale, come negli altri Paesi in via di sviluppo: protezionismo industriale e nazionalismo negli anni '50 e '60, in seguito liberismo ed agricoltura per le esportazioni.
In India e nell'Asia sud-orientale si avviò, negli anni '60, la cosiddetta "rivoluzione verde". L'introduzione di nuove qualità di cereali permise una resa per ettaro fortemente superiore a quella consentita dalle sementi usate tradizionalmente, addirittura superiore anche alla crescita della popolazione. Purtroppo queste nuove varietà di cereali richiedevano mezzi di produzione molto costosi (insetticidi, prodotti chimici, pompe meccaniche, trattori). La loro diffusione sarebbe rimasta quindi limitata alle regioni e alle aziende agricole più ricche. (Bellezza, p. 197)
L'India si sarebbe anche smembrato in due Stati: l'India propriamente detta e il Pakistan, ex-Bengala. Il secondo Stato è musulmano, e figlio della colonizzazione islamica che si era fermata nell'India settentrionale. Conseguenza principale dello smembramento fu il flusso di profughi (7 milioni) da un territorio all'altro. Ma esiste ancora oggi una numerosa comunità islamica in India: 100 milioni di persone, vittime di saltuari pogrom e a loro volta vendicatori sanguinari.
Contiamo tre guerre tra India e Pakistan per la contesa sulla regione confinante, il Kashmir (1947-49 e 1956), e per l'indipendenza del Bangladesh, anch'esso Stato musulmano, dal Pakistan (1971). Entrambe le potenze detengono oggi armi nucleari, come gli Stati Uniti, la Russia, la Cina, Israele e, forse, la Corea del Nord. Diciamo qui, per comodità, che anche l'Iran, l'Irak, la Libia e l'Algeria hanno, presumibilmente, in progetto una loro bomba nucleare.
In Indonesia la politica filo-comunista, o quantomeno democratica, di Sukarno, spinse gli Stati Uniti ad appoggiare il colpo di Stato del fascista Suharto nel 1965. Molti simpatizzanti comunisti e democratici furono sterminati, una cifra che varia tra i 500 mila e il milione. Da allora le multinazionali avrebbero potuto gestire le ricchezze del suolo tranquillamente. Il governo fascista dura ancora oggi, anche se in forme più attenuate, ed è responsabile del genocidio di Timor Est, iniziato nel 1975 con l'annessione del territorio. Le stesse fonti ufficiali indonesiane riconoscono da 170 mila a 212 mila morti, ma probabilmente sono molti di più, su una popolazione che doveva toccare all'inizio del conflitto circa 600 mila abitanti. (AAVV., p. 235)
Il primo Stato a divenire comunista sarebbe stato la Corea del Nord (guerra contro la Corea del Sud, 1950). Si sarebbe trattato di un regime autarchico, violento e debolissimo, che solo in questi anni si sarebbe deciso ad aprirsi al mondo, anche per via del peggioramento della situazione alimentare.
Un caso esemplare di Stato comunista sarebbe stato la Cambogia di Pol Pot (1975-1979). Pol Pot credeva nel comunismo agrario, così deportò in massa la popolazione urbana verso i villaggi e cercò di cancellare in tutti i cambogiani qualsiasi accenno all'individualismo e all'indipendenza. Risultato: 1-2 milioni di morti e centinaia di migliaia di rifugiati all'estero. Nel 1990 non si era ancora ritornati al numero di abitanti del 1970, e la popolazione si trovava assai squilibrata: 1,3 donne per 1 uomo. (Courtois, p. 553)
Un altro Stato comunista sorse nel Vietnam del Nord, ed avrebbe esercitato la sua influenza nel Vietnam del Sud dopo una lunga guerra (1946-1975), nel Laos dopo il 1975 (300 mila rifugiati all'estero) e in Cambogia dopo il 1979. Solo dopo la fine della Guerra fredda, l'Asia sud-orientale sarebbe passata ad una distensione con gli Stati Uniti.
L'Afghanistan era un caso a parte. Nel 1979 la popolazione afgana contava 15 milioni di abitanti comprendenti varie etnie, a maggioranza islamica, e sulle quali non ci soffermeremo. Prima dell'invasione russa di quell'anno, lo Stato si stava modernizzando, come dimostrava la politica di emancipazione femminile. Ma l'intervento sovietico, durato fino al 1992, indebolì la società afgana: all'inizio degli anni '80 i rifugiati (2/3 in Pakistan e 1/3 in Iran) erano 5 milioni, a cui si aggiungevano i "rifugiati dell'interno", coloro che abbandonavano i loro villaggi per sfuggire alla guerra e alla repressione, e il cui numero ammontava a 2 milioni. Le mine provocarono, come minimo, 700 mila mutilati e continuano ancor oggi a mietere vittime.
Nel complesso, la guerra avrebbe fatto tra 1 milione e 500 mila e 2 milioni di morti, per il 90% civili, mentre i feriti sarebbero stati fra i 2 e i 4 milioni. L'economia si trasformò in un'economia di guerra, essenzialmente a profitto dei sovietici e, in brevissimo tempo, con traffici di ogni genere (armi, droga, ecc.) andò in rovina. (Courtois, p. 669 e 676-677)
La parentesi talibana è degna di nota. Dopo essersi sostituiti ai sovietici, questi studenti coranici avevano imposto uno Stato teocratico, dove tutto era vietato (ma non coltivare la droga da vendere agli occidentali, capitalisti e corruttori: qualcuno ricorda l'ebreo errante?), e dove gli uomini dovevano portare una barba lunga mentre le donne dovevano indossare il chador, un indumento che copriva qualunque parte del corpo tranne gli occhi. Una sorta di fondamentalismo religioso spinto all'estremo: presentava alcune regole di vita come se fossero le migliori, ma lo erano solo perché escludevano tutto il resto. Adesso che gli Stati Uniti hanno ripreso il controllo del territorio, sono in auge sia la modernizzazione dei costumi, sia gli interessi petroliferi delle multinazionali.

- La struttura geopolitica attuale

In Asia, un forte ostacolo alla presenza e alle attività umane è costituito dalla vastità delle zone aride e di quelle montuose. Per quanto riguarda le risorse (dove ci sono), esse variano in base ai climi, alla natura dei suoli, alle condizioni delle acque e alle situazioni geologiche.
Significative le risorse del sottosuolo, che hanno ampio smercio sui mercati mondiali. L'India ha miniere di carbone; le penisole indocinese e di Malacca sono ricche di stagno; vari Paesi hanno giacimenti di nichel, antimonio, manganese e tungsteno. La Cina è tendenzialmente autosufficiente, grazie ad un sottosuolo ricco di petrolio, carbone e gas naturale.
Alle latitudini più basse, vale a dire nelle Isole del Sud-Est (Penisola di Malacca e Indonesia), i climi equatoriali e tropicali rendono gli ambienti adatti alle colture da piantagione: tè, cotone, banani, alberi da gomma. Altrettanto importanti le foreste dalle quali si ricavano legnami pregiati quali tek ed ebano. Legati agli ambienti umidi anche le colture del riso, che cresce abbondante nell'Asia meridionale, nel Sud-Est asiatico e nell'Asia orientale. Altra risorsa è costituita dalla ricchezza biologica dei mari: soprattutto nell'Asia orientale la pesca è, infatti, un'importante fonte di reddito. (Forte, p. 100)
Escludendo la savana e la regione equatoriale, il grosso del continente asiatico ha un clima monsonico, e questo influenza moltissimo l'agricoltura. Portatore di piogge violentissime, il monsone giunge all'inizio di maggio nelle regioni meridionali e in giugno nella parte interna del Golfo del Bengala. La gente aspetta con ansia queste piogge torrenziali, soprattutto perché un ritardo di qualche giorno può far diminuire paurosamente i raccolti per un anno intero.
Su parte dei suoli vengono effettuati due raccolti l'anno. All'arrivo del monsone umido si semina il riso o il frumento, da mietere nel periodo di inversione tra monsone di mare e di terra. In ottobre i campi vengono preparati per una seconda semina (in genere di cereali minori e leguminose) la cui raccolta avviene in primavera, prima del nuovo monsone estivo. Molto spesso il monsone arriva al momento giusto, ma di acqua ne porta troppa; la conseguenza, come è prevedibile, è l'inondazione, che devasta nel bassopiano del Gange-Brahmaputra decine di migliaia di chilometri quadrati. (Bellezza, p. 192-194)
Quanto alle singole aree geografiche, cominciamo dalla Mongolia per scendere sempre di più verso il basso.
La Mongolia, che ha sempre avuto il ruolo di Stato-cuscinetto tra Russia e Cina, è un territorio difficile; non a caso ha una densità che non supera i 2 ab./km². Le dure condizioni ambientali (al nord montuoso e al sud steppico) hanno da sempre imposto l'allevamento nomade come base dell'economia, mentre l'agricoltura è praticabile su meno dell'1% del territorio. Ma il grosso della popolazione vive nelle città (53%). (Edigeo, p. 1193)
In Cina la distribuzione della popolazione è marcatamente disomogenea: oltre il 90% degli abitanti vive nella Cina orientale. L'addensamento è fortissimo nel medio e nel basso bacino dei grandi fiumi Huang He e Chang Jiang (Yangzi), conosciuti in Occidente come Fiume Giallo e Fiume Azzurro, e nelle pianure orientali e meridionali. Ed è soprattutto in queste zone che si sta avviando un processo di industrializzazione fortissimo. Il territorio è un immenso cantiere, dove vi si costruiscono città, autostrade, fabbriche, bacini idrici. I danni per le popolazioni locali sarebbero incalcolabili, secondo alcuni. (Bellezza, p. 206)
Il territorio cinese, il quarto al mondo per estensione, è suddiviso in tre parti: montagne molto elevate e tavolati alti più di 3000 metri costituiscono a ovest il primo "pianerottolo", che occupa un quarto della superficie del Paese; altipiani e colline formano il secondo "pianerottolo", a più di 2000 metri di altezza nella Cina centrale e meridionale; pianure e vallate alluvionali si aprono sull'Oceano Pacifico e sui suoi mari minori. Tali pianure sono irrigate e fertilizzate dai grandi fiumi (Fiume Giallo, Fiume Azzurro e Fiume delle Perle). (Forte, p. 153)
La Corea del Nord non ha subito grossi cambiamenti rispetto al 1945. Le industrie di base di costruzione giapponese funzionano ancora, grazie alla disponibilità di energia idroelettrica. La collettivizzazione agricola ha danneggiato soprattutto le foreste, ed è la causa principale della penuria alimentare. Infine, la mobilità sociale dalla campagna alla città è quasi impossibile, perché chi vuole muoversi da un punto ad un altro è obbligato a richiedere il consenso del regime.
In India si percepisce con maggiore intensità il binomio sovrappopolazione-sottosviluppo. È specialmente nel basso corso del Gange e del Brahmaputra che si verifica uno dei maggiori addensamenti di popolazione della Terra: su circa 400.000 km² brulicano più di 200 milioni di persone. Fin dagli anni '50, i governi indiani avrebbero intrapreso campagne di pianificazione demografica rivolte a limitare la crescita della popolazione, ma gli obiettivi sono stati raggiunti solo in minima parte ed hanno suscitato polemiche, a causa della violenza implicita nel programma.
Malgrado la maggioranza della popolazione viva ancora in campagna, le città sono in crescita continua. Questa espansione avviene soprattutto con la nascita di quartieri di casupole precarie, costruite con fango o materiali di fortuna. È qui che si addensano i due terzi delle famiglie urbane che non dispongono di servizi igienici e che vivono in una sola stanza; ed è qui che la penuria grave e generale di alloggi giunge alle sue estreme conseguenze. (Bellezza, p. 201)
Nel Pakistan, più che una trama organica di città legate da stretti rapporti economici, vi è una serie di centri urbani popolosi, cui si contrappongono ampie zone aspre, desertiche e disabitate. Tra le forme d'insediamento, il tipo più diffuso è il villaggio rurale costituito da un nucleo compatto di case d'argilla, racchiuse entro recinzioni pure d'argilla. Da esso si differenziano i nuovi villaggi rurali del Punjab, dove i progressi agricoli hanno portato alla costruzione di centri abitati meno primitivi. La popolazione è in gran parte dedita all'agricoltura e alla pastorizia, e il suo naturale incremento è rallentato dalle campagne di pianificazione demografica promosse dal governo. (Forte, p. 139)
Il controllo delle nascite è stato avviato (nel 1967) anche in Indonesia, il quarto Stato più popoloso nel mondo. La sovrappopolazione porta tanti problemi: nelle campagne i contadini sono costretti a sfruttare i pendii delle montagne, effettuando disboscamenti che rischiano di accelerare l'erosione del terreno. Nelle città, in ogni km², vivono anche migliaia di persone, spesso in casupole di fortuna, in condizioni igieniche disastrose. La crisi economica asiatica degli anni '90 ha fatto calare il tenore di vita della popolazione. (Forte, p. 143)
Le condizioni di vita nel resto del Sud-Est asiatico sono simili: dappertutto si producono grossi quantitativi di droga; il commercio è tradizionalmente svolto dai cinesi, presenti in buon numero in ogni Paese (sono in tutto almeno 12 milioni); le città sono sovraffollate e inquinatissime, dove l'attività più redditizia è la prostituzione (le ragazze, anche bambine, sono costrette a vendere il proprio corpo); molti emigrano all'estero, tant'è che i governi cercano di organizzare questo flusso in uscita delle persone per renderlo maggiormente fruttifero. Nella Penisola indocinese la popolazione si concentra maggiormente nella grande vallata del Mekong e lungo gli altri fiumi minori. Nelle Filippine l'isola maggiore, Luzon, è anche la più popolata, avendo le più estese pianure. (Bellezza, p. 261)
Nelle densissime foreste di Borneo e in alcune isole più remote dell'arcipelago, si trovano ancora tribù organizzate secondo le forme economiche rudimentali della prima età dei metalli, e addirittura gruppi allo stadio culturale precedente, ancora fermi all'uso della pietra. (Bellezza, p. 262)
Quanto alle centrali nucleari, continuiamo la tabella iniziata nel paragrafo h:

Nazione

Centrali in funzione

Centrali in costruzione
 Cina

4

7
 India

14

3
 Pakistan

2

0

Bibliografia:
AAVV., Il libro nero del Capitalismo, Marco Troppa Editore '99
Bellezza Giuliano, Geografia, vol. 3, Mondadori '84.
Bianco Lucine (a cura di), L'Asia moderna, Feltrinelli '76.
Borsa Giorgio, La nascita del mondo moderno in Asia Orientale, Rizzoli '77.
Courtois Stéphane e altri, Il libro nero del Comunismo, Mondadori '98
Edigeo (a cura di), Enciclopedia Zanichelli, '95
Embree Ainsle T. e Wilhelm Friedrich, India, Feltrinelli '68.
Forte Gioacchino e Tanara Urbettazzi Milli, Geografia, vol. 3, De Agostini '99
Franke Herbert e Trauzettel Rolf, L'Impero cinese, Feltrinelli '83.
Hirst Bamboo, Figlie della Cina, Piemme Pocket '02.
Sharma Arvind (a cura di), Religioni a confronto, Neri Pozza '96.
Zweigert Konrad e Kötz Hein, Introduzione al diritto comparato, Giuffrè '98.

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