Con l'esaurirsi del ciclo di
crescita delle popolazioni ricche, le popolazioni povere ne hanno
iniziato uno del tutto straordinario e irripetibile. Le caratteristiche
di questo ciclo sono ben descritte dalle aride cifre della crescita
demografica di quelli che oggi si chiamano "Paesi meno sviluppati",
in altri termini quella parte del mondo che, secondo i nostri
standard di misura, vive in povertà. (Livi Bacci, p. 191)
Nel mondo ricco la transizione demografica era avvenuta lentamente
sotto l'impulso di una graduale riduzione della mortalità
cui, altrettanto gradualmente, si era accompagnata una riduzione
della natalità. Nel mondo povero i livelli di mortalità
erano restati elevatissimi fino ad epoca relativamente recente;
basti pensare che ancora nel 1950 la speranza di vita non toccava
i 40 anni.
Ma a partire dalla quarta e quinta decade di questo secolo il
patrimonio di conoscenze lentamente accumulato nel mondo ricco
si sarebbe trasferito massicciamente, e in tempi relativamente
rapidi, nel mondo povero provocando, in poco tempo, una forte
diminuzione della mortalità. La natalità, che dipende
in buona parte da fattori culturali solo lentamente modificabili,
non avrebbe seguito, o avrebbe seguito con ritardo e con minor
velocità, il declino della mortalità e la distanza
tra le due componenti si sarebbe fortemente divaricata. (Livi
Bacci, p. 192-193)
Risultato: nel 1900, su una popolazione totale di approssimativamente
1.634 miliardi di persone, nei Paesi poveri ce n'erano 1.071
miliardi, vale a dire il 65,5%. Nel 2000, le cifre sarebbero
state rispettivamente di 6.158, 4.972 e 80.7%. (Fonte: valutazioni
Nazioni Unite (1920-2000), e di Livi Bacci)
Il divario tra popolazioni più sviluppate e popolazioni
meno sviluppate è ancora enorme; oggi (1990-95) la speranza
di vita delle prime è 75 anni e quella delle seconde è
63; il numero medio di figli per donna nelle prime è pari
a 1,6, nelle altre di 3,1; il tasso d'incremento delle popolazioni
povere è quintuplo di quello delle popolazioni ricche
(1,6% contro 0,3%). (Livi Bacci, p. 195)
Osserviamo questa tabella, relativa al periodo 1950-2000 (United
Nations, World
):
Continenti o aree geografiche |
Popolazione (mln) |
Figli per donna |
Speranza di vita |
1950 |
2000 |
1950 |
2000 |
1950 |
2000 |
Africa |
221 |
784 |
6,58 |
5,06 |
37,8 |
51,4 |
Asia orientale |
671 |
1.485 |
5,71 |
1,77 |
42,9 |
71,0 |
Asia centro-meridionale |
499 |
1.491 |
6,06 |
3,36 |
39,3 |
62,3 |
Asia sud-orientale |
182 |
519 |
6,03 |
2,69 |
40,5 |
65,7 |
Asia occidentale |
50 |
188 |
6,38 |
3,77 |
45,2 |
68,0 |
Europa |
547 |
729 |
2,56 |
1,42 |
66,2 |
73,3 |
Sudamerica e Caraibi |
167 |
519 |
5,89 |
2,69 |
51,4 |
69,2 |
Nordamerica |
172 |
310 |
3,47 |
1,94 |
69,0 |
76,9 |
Oceania |
13 |
30 |
3,84 |
2,38 |
60,9 |
73,8 |
Sono evidenti le disparità
di situazioni all'interno del mondo povero, in cui convivono
le popolazioni africane (con transizione appena abbozzata) e
quella cinese (con transizione quasi conclusa): il numero di
figli per donna e la speranza di vita erano quasi uguali nel
1950-55 ma i valori rispettivi, 45 anni dopo, sarebbero stati
di 5,1 e 1,8 figli e di 51 e 70 anni di speranza di vita.
Nelle varie aree continentali e, ancor più, nelle molteplici
popolazioni che le compongono, si trova un ventaglio di situazioni
intermedie tra i due estremi. Il continente europeo comprende
anche gli Stati ex-comunisti: ormai sono poche le aree prolifiche,
quelle maggiormente disagiate. (Livi Bacci, p. 195)
Le cause della disparità sono ambientali (riduzione della
mortalità, aumento del benessere), economiche (passaggio
dal feudalesimo al capitalismo), culturali (lento mutamento del
ruolo della famiglia: da patriarcale a nucleare), sociali (ospedali,
scuole, in generale il Welfare State). Approfondiremo nei prossimi
paragrafi; qui di seguito forniremo solo qualche indicazione
generica preliminare.
Dei cinque miliardi di persone che vivono nei Paesi in via di
sviluppo, circa 1,2 miliardi vivono con meno di 1 dollaro al
giorno: una condizione classificata come "estrema povertà"
e caratterizzata da denutrizione, analfabetismo, precarietà,
malattia e morte precoce. Metà della popolazione mondiale
vive con 2 dollari al giorno o meno. Quasi il 60% dei 5 miliardi
di poveri soffre della carenza dei servizi igienici di base,
circa un terzo non ha accesso all'acqua potabile, un quarto non
vive in abitazioni dignitose, il 20% non ha accesso a servizi
sanitari moderni ed infine il 20% dei bambini non arriva al quinto
anno di scuola. (Unfpa, p. 28)
In molti Paesi a basso reddito con deficit alimentare, la capacità
di produzione del cibo va peggiorando a causa del degrado del
suolo, di carenze idriche croniche, di politiche agricole inadeguate
e della rapida crescita demografica. Quando i terreni vengono
lavorati eccessivamente, o sono troppo esposti, subiscono facilmente
l'erosione del vento e dell'acqua, i principali agenti del degrado
del suolo. Sistemi di irrigazione e drenaggio scorretti possono
provocare la saturazione idrica e la salinizzazione dei terreni,
rendendoli inutilizzabili. Anche l'impiego scorretto di fertilizzanti,
erbicidi e pesticidi è un fattore di degrado del suolo.
Sulla totalità dei terreni agricoli nel mondo, la percentuale
di terre irrigue ammonta solo al 17%, ma fornisce un terzo della
produzione alimentare mondiale. Meno della metà dell'acqua
destinata all'irrigazione riesce effettivamente a raggiungere
i campi coltivati. Il resto si disperde attraverso canali permeabili,
fuoriesce dalle tubature o evapora prima di arrivare a destinazione.
La FAO ha calcolato che 25-30 milioni di ettari di campi irrigati
nel mondo, su un totale di 225 milioni, sono stati gravemente
danneggiati dalla formazione di sale. Altri 80 milioni di ettari
sono colpiti dalla sovrapposizione di salinizzazione e saturazione
idrica. Il degrado della terra rappresenta un pericolo per le
economie di sussistenza di oltre un miliardo di agricoltori e
allevatori di bestiame, principalmente nei Paesi più poveri.
(Unfpa, p. 15-16)
Molti Paesi ricorrono a mezzi non sostenibili per soddisfare
il proprio fabbisogno idrico. Quando si preleva acqua in quantità
superiore rispetto alla capacità di sostituzione dei processi
naturali, la quantità mancante viene sostanzialmente sottratta
alle riserve idriche. Le falde freatiche nel sottosuolo di alcune
città della Cina, dell'America Latina e del Sud-Est asiatico,
vanno riducendosi di oltre un metro l'anno. Inoltre, il 90-95%
dei sistemi fognari e il 70% dei rifiuti industriali vengono
scaricati senza essere depurati nelle acque di superficie, inquinando
così i potenziali rifornimenti idrici.
Grandi quantità d'acqua vengono deviate, ad esempio attraverso
la costruzione di grandi dighe, per scopi agricoli e industriali,
con risultati a volte disastrosi. La costruzione di queste dighe
è comunque diminuita, anche per la maggiore consapevolezza
degli svantaggi che apportano: distruzione ambientale, spostamento
di insediamenti umani storici, perdita di terra coltivabile,
interramento dei corsi d'acqua e scarsità idrica a valle,
che a volte può trovarsi in altri Paesi. Continuano ad
avanzare i progetti di grandi dighe in Turchia, Cina e India.
(Unfpa, p. 13)
Essendo il mondo sviluppato ormai in fase di stallo quanto alla
deforestazione, il compito di salvaguardare l'equilibrio dell'ecosistema
mondiale è rimasto ai Paesi poveri. Nel corso degli ultimi
40 anni la superficie di foreste pro capite a livello mondiale
è diminuita di oltre il 50%. Ciò è dovuto
sia alla diminuzione delle foreste che all'aumento demografico.
La perdita proporzionale di foresta (ovvero il rapporto tra la
superficie verde persa e la superifice rimanente) raggiunge il
suo massimo in Asia, seguita da Africa ed America Latina. Queste
perdite continue sono solo parzialmente compensate (di circa
il 10%) da un incremento relativamente piccolo dei rimboschimenti
in alcuni Paesi ricchi. (Unfpa, p. 22)
I progressi della sopravvivenza passano, in primo luogo, per
la riduzione della mortalità infantile nei primi anni
di vita; le Nazioni Unite stimano che le probabilità di
un neonato di morire prima del quinto compleanno fossero pari
a 9% nel 1990-95, nell'insieme dei Paesi meno sviluppati, ma
con enormi scarti: 14,5% in Africa, 10,2% nell'Asia meridionale,
4,8% in America Latina, 4,4% in Asia orientale; per confronto,
i livelli nei Paesi ricchi sono di appena 1,2%. (United Nations,
Mortality
)
Gli alti livelli della mortalità dell'infanzia hanno cause
molto varie e complesse, dalle malattie infettive tipiche della
prima infanzia (morbillo, difterite, pertosse, polio, tetano),
all'alta incidenza di diarrea e gastroenterite connessa con condizioni
igieniche precarie; alla diffusione della malnutrizione e alla
sua sinergia con povertà e infettività; alla presenza
di vaste aree malariche. Non dobbiamo dimenticare l'abbandono
precoce dell'allattamento. (Livi Bacci, p. 199)
Confrontando la correlazione diretta tra l'indice di mortalità
e quello di natalità, è evidente che per ridurre
la propensione alla prolificità, la cura delle malattie
è un obiettivo prioritario: si favorisce la modernizzazione
del comportamento riproduttivo e vi è, inoltre, un miglioramento
del livello di salute in un'età cruciale per lo sviluppo
e un miglioramento generale dell'efficienza dei sopravviventi.
L'aumento dell'età di matrimonio è un altro indicatore
della transizione demografica: l'indagine mondiale sulla fecondità
del 1984 mostrava, verso la fine degli anni '70, un'età
media al primo matrimonio di 19,8 anni in 12 Paesi africani;
di 21 in 13 Paesi dell'Asia e del Pacifico; di 21,5 anni in 13
Paesi dell'America Latina e dei Caraibi. (WFS)
Questi livelli, di per sé sensibilmente inferiori alla
media occidentale, vicina ai 24 anni, erano già cresciuti
di 1-1,5 anni rispetto ai livelli prevalenti una quindicina d'anni
prima. Valutazioni riferite all'inizio degli anni '80 indicano
ancora in crescita i valori dell'età media al matrimonio
(ma non in Africa, con 19,5 anni) stimati in 21,4 in Asia e 22,1
in America Latina. (United Nations, First
).
I dati per gli anni '90 confermano che la tendenza crescente
dell'età al matrimonio continua - sia pure in modo irregolare
- in conseguenza dei processi di mutamento in corso e, in particolare,
della maggiore presenza femminile nel mercato del lavoro e dell'aumento
dell'istruzione. L'innalzamento non ha cause solo naturali: alcuni
Paesi hanno tentato di renderlo obbligatorio con atti legislativi,
in primis la Cina. (Livi Bacci, p. 210-211)
Per quanto riguarda la contraccezione, una "prevalenza"
attorno al 70% e oltre implica bassi livelli di fecondità
come avviene nei Paesi ricchi. L'indagine mondiale della fecondità
già citata, per i 38 Paesi in via di sviluppo, aveva segnalato
alla fine degli anni '70 una prevalenza della contraccezione
tra le donne coniugate in età riproduttiva pari al 10%
in Africa, al 23% in Asia, al 40% in America Latina e Caraibi.
Nei 47 Paesi studiati dalla DHS tra il 1990 e il 1999 si riscontra
un forte aumento dell'incidenza della contraccezione. Nell'Africa
sub-sahariana l'incidenza - nella media di 24 Paesi - resta al
25%, ma raggiunge il 50% nella media dei 9 Paesi dell'Asia, dei
5 del Medio Oriente e Nord Africa e dei 9 Paesi dell'America
Latina e dei Caraibi. (Livi Bacci, p. 212)
Il tasso di mortalità infantile decrescente, l'innalzamento
dell'età di matrimonio e la diffusione dei contraccettivi,
concernono l'aspetto più propriamente demografico del
mutamento sociale nel Terzo mondo. Ma, com'è già
successo nell'Occidente, il passaggio dalla tradizione alla modernità
deve essere traumatico. Noi l'inferno lo abbiamo già vissuto:
tocca a loro. È quello che vedremo adesso.
Bibliografia:
Livi Bacci
Massimo, Storia minima della popolazione del mondo, Il Mulino
'02.
Unfpa, Lo stato della popolazione nel mondo 2001, edizione italiana
a cura di AIDOS.
United Nations, First Marriage: Patterns and Determinants, New
York, 1988, citato in Livi Bacci, p. 211.
United Nations, Mortality of Children under Age of 5, New York,
1988, citato in Livi Bacci, p. 198.
United Nations, World Population Prospects, The 1998 Revision,
New York, 1999, citato in Livi Bacci, p. 194.
WFS, Major findings and implications, London, 1984, citato in
Livi Bacci, p. 210.
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