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Sovrappopolazione e sottosviluppo.

La Conferenza del Cairo

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Comandè Marco

Capitolo 2

La rivoluzione industriale

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h) L'evoluzione della società industriale

Il discorso sulla demografia occidentale non sarebbe completo, senza un accenno agli aspetti correlati: la formazione della classe proletaria, la nascita della società di massa e la struttura sociale quale si sarebbe concretizzata in questi decenni. Delle migrazioni verso il continente americano parleremo nel paragrafo p.

i) Il proletario
La nascita del proletariato è già nota: il capitalista acquistava la proprietà di un terreno agricolo, vi introduceva il macchinario e potenziava così la produzione, che finiva nelle città; i contadini venivano sfrattati ed erano costretti a "vendere" la loro forza lavoro nelle fabbriche, l'eccedenza produttiva sfamava in misura minore gli operai e in misura assai maggiore il ceto borghese urbano.
Tralasciamo di parlare della classe operaia in genere. Riportiamo solo alcuni passi del Capitale di Marx, ci daranno un'idea del rapporto tra demografia e proletariato.
"Il dottor Lee, funzionario dell'ufficio igiene di Manchester, ha notato che in quella città la durata media della vita è di 38 anni per la classe agiata e di soli 17 per la classe operaia. A Liverpool essa è di 35 anni per la prima e di 15 per la seconda. Ne deriva quindi che la classe agiata possiede un titolo di credito sulla vita, che vale più del doppio di quello che spetta ai suoi concittadini meno fortunati". (Marx, p. 466)
"Infine lo strato più basso della sovrappopolazione relativa abita la sfera del pauperismo. Lasciando da parte vagabondi, delinquenti, prostitute, insomma il sottoproletariato propriamente detto, questo strato sociale è formato da tre categorie. Prima, coloro che sono atti al lavoro. È sufficiente gettare un'occhiata anche di sfuggita alle statistiche del pauperismo inglese per accorgersi che la sua massa si va ingrandendo ad ogni crisi, mentre si assottiglia ogni volta che gli affari riprendono.
Seconda: orfani e figli di poveri. Sono i candidati dell'esercito industriale di riserva e in epoche di grande prosperità, come per esempio nel 1860, vengono arruolati rapidamente e massicciamente nell'esercito operaio attivo. Terza: depravati, canagliume, gente incapace di lavorare. Sono soprattutto operai rovinati dalla mancanza di mobilità, cui li costringe la divisione del lavoro, individui che vanno oltre l'età media degli operai; in ultimo le vittime dell'industria, il cui numero cresce con l'estendersi di macchine pericolose, dello sfruttamento delle miniere, delle fabbriche chimiche, ecc., mutilati, malati, vedove, ecc.
Il pauperismo è il ricovero degli invalidi dell'esercito operaio attivo e il peso morto dell'esercito industriale di riserva. La sua produzione è compresa in quella della sovrappopolazione relativa, la sua necessità nella necessità di questa; e insieme a questa il pauperismo costituisce una condizione d'esistenza della produzione capitalistica e dello sviluppo della ricchezza. Esso fa parte delle "faux frais" della produzione capitalistica, che il capitale sa d'altro lato allontanare da sé addossandole per la maggior parte alla classe operaia e alla piccola classe media". (Marx, p. 467)
"Lo stesso Malthus, sebbene dal suo angusto angolo visuale scorga nella sovrappopolazione la conseguenza di un eccessivo aumento assoluto della popolazione operaia e non del fatto che essa viene resa eccedente, riconosce tuttavia in tale sovrappopolazione una necessità dell'industria moderna.
Egli dice: "Se le prudenti abitudini nei rapporti matrimoniali fossero spinte oltre un certo punto tra la classe operaia di un paese che vive quasi esclusivamente di manifattura e di commercio, esse gli arrecherebbero grave danno... Conforme alla natura della popolazione, un aumento degli operai, quando ve ne sia specifica domanda, può essere fornito al mercato soltanto dopo 16 o 18 anni, mentre la conversione del reddito in capitale tramite il risparmio può essere molto più veloce; un paese è sempre esposto a che il suo fondo di lavoro aumenti con rapidità maggiore che non la popolazione".
L'economia politica, dopo aver affermato così che la costante produzione di una sovrappopolazione relativa di operai è una necessità dell'accumulazione capitalistica, mette in bocca a quel "beau ideal" del suo capitalista, ed esattamente nella figura di una vecchia zitella, le seguenti parole rivolte ai "sovrannumero" buttati in mezzo alla strada dalla propria creazione di capitale supplementare: "Noi fabbricanti facciamo per voi quanto possiamo, e per questo aumentiamo il capitale a cui dovete il vostro mantenimento; e voi dovete fare il resto facendo corrispondere il vostro numero ai mezzi di sussistenza"". (Marx, p. 461)

ii) La società di massa
Lo sfruttamento del proletariato costituiva la prima fase della rivoluzione industriale. Con la seconda fase, la crisi di sovrapproduzione (scoppiata nel 1873) e il correlativo crollo dei prezzi avrebbero giovato ai lavoratori salariati, che sarebbero riusciti a difendere meglio che in passato il livello reale delle loro retribuzioni.
Sarebbe sorta così la cosiddetta "società di massa": nella classe operaia si sarebbe venuta accentuando la distinzione fra la manodopera generica e i lavoratori qualificati, fra il grosso del proletariato e le cosiddette "aristocrazie operaie", che avrebbero partecipato in misura maggiore ai vantaggi dello sviluppo capitalistico. Contemporaneamente, l'espansione del settore dei servizi e la crescita degli apparati burocratici avrebbero fatto aumentare la consistenza di un ceto medio urbano (lavoratori autonomi, dipendenti pubblici, addetti al settore privato) che si sarebbe sempre più distinto dagli strati superiori della borghesia. (Giardina, p. 548)
La crescita dei redditi avrebbe determinato l'allargamento del mercato. Le industrie produttrici di beni di consumo e di servizi, si sarebbero trovate a dover soddisfare una domanda che sempre più avrebbe assunto dimensioni di massa. Beni la cui produzione era stata in passato assicurata solo dal piccolo artigianato o dall'industria domestica (abiti e calzature, utensili e mobili), avrebbero cominciato ad essere prodotti in serie e venduti attraverso una rete commerciale sempre più estesa e ramificata. Si sarebbero mutate le abitudini, i comportamenti, i modelli di consumo di centinaia di milioni di uomini. (Giardina, p. 538)
Nella società di massa la maggioranza dei cittadini vive - usiamo il presente, perché la società di massa è un fenomeno ancora in corso - in grandi e medi agglomerati urbani; gli uomini sono quindi a più stretto contatto gli uni con gli altri; entrano in rapporto fra loro con maggiore frequenza e facilità che in passato (grazie anche alla disponibilità di mezzi di trasporto, di comunicazione e di informazione), ma questi rapporti hanno spesso un carattere anonimo e impersonale.
Il sistema delle relazioni sociali non passa più attraverso le piccole comunità tradizionali (locali, religiose, di mestiere), ma fa capo alle grandi istituzioni nazionali: agli apparati statali, ai partiti e in genere alle organizzazioni "di massa", che esercitano un peso crescente sulle decisioni pubbliche e sulle stesse scelte individuali.
Il grosso della popolazione è uscito dalla dimensione dell'autoconsumo e quasi tutti sono entrati, come produttori o come consumatori di beni e di servizi, nel circolo dell'economia di mercato. I comportamenti e le mentalità tendono a uniformarsi secondo nuovi modelli generali, svincolati dagli schemi e dalle consuetudini delle società tradizionali. Consumi e stili di vita un tempo appannaggio di un'esigua minoranza si diffondono tra strati sociali sempre più larghi. (Giardina, p. 545)
Prendiamo l'esempio della cultura asiatica. La cultura giapponese, come molte altre culture dell'Asia orientale, è molto più orientata verso i gruppi che verso gli individui singoli. Questi gruppi cominciano dai più piccoli ed immediati, come la famiglia, e attraverso i vari rapporti patrono-cliente stabiliti nel periodo educativo e scolastico si ampliano fino ad includere le aziende in cui uno lavora, arrivando al gruppo più grande che per la cultura giapponese riveste una certa importanza: la nazione.
L'identità del singolo viene ad essere soffocata in grado molto alto da quella del gruppo: egli lavora non tanto per il proprio vantaggio a breve termine, quanto per il benessere di uno o più grandi gruppi dei quali fa parte. Il suo status viene così ad essere determinato non tanto dalla sua performance personale quanto da quella del suo gruppo. Il suo attaccamento al gruppo ha perciò un carattere altamente carismatico: egli non lavora solamente per il vantaggio materiale costituito dal suo salario, ma per il riconoscimento che il gruppo gli accorda e per il riconoscimento del suo gruppo da parte di altri gruppi.
Quando il gruppo di cui egli cerca il riconoscimento è la nazione, emerge il nazionalismo economico. Ed in effetti il Giappone tende ad essere economicamente più nazionalistico degli Stati Uniti. Questo nazionalismo si manifesta non in un aperto protezionismo ma in forme meno visibili, come le tradizionali reti di lavoranti a domicilio mantenute dalle aziende giapponesi e la maggiore disponibilità di questi lavoranti a pagare prezzi più alti per l'acquisto di prodotti nazionali. (Fukuyama, p. 247)

iii) La struttura geopolitica
Gli Stati capitalistici esistenti oggi al mondo, si possono raggruppare in due categorie: Stati di vecchia formazione (Europa occidentale e Asia orientale) e Stati di nuova formazione (America settentrionale e Oceania). Nei primi, la densità di popolazione è altissima e le risorse sono scarse, al contrario dei secondi.
In Corea del Sud, la popolazione è particolarmente concentrata nella regione della capitale e lungo le coste meridionali. A Taiwan la popolazione si concentra nelle fasce costiere nord-occidentali, dove sorgono tutte le principali città e la densità media supera spesso i 4.000 ab./km². In Giappone, i maggiori insediamenti si situano nella fascia litoranea delle isole principali, poiché le zone interne sono montuose e poco ospitali. L'organizzazione del territorio ha il suo perno nelle grandi città della costa, sviluppatesi grazie alle loro attività commerciali ed industriali. (Forte, p. 159)
Le principali aree di insediamento nel continente europeo sono quattro:
1) la megalopoli inglese. Si estende nella Gran Bretagna centro-meridionale e ha i suoi poli principali nelle città di Londra, Birmingham, Liverpool, Sheffield e Manchester.
2) Il cosiddetto asse lotaringio (da Lotaringia, nome del territorio costituito in regno da Lotario I, nipote di Carlo Magno per il figlio Lotario II). È l'insieme delle città situate lungo l'asse del Reno che tende a estendersi verso est nel cuore della Germania e verso ovest in direzione di Parigi.
3) La conurbazione belga-olandese. Disposte lungo fiumi e canali e fornite, grazie agli estuari, di ottimi porti, le importanti città che ne fanno parte (Bruxelles, Anversa, Rotterdam, Amsterdam, L'Aia…) formano, fin dai secoli XVI-XVII, uno degli spazi più ricchi del mondo. Quest'area si è ormai saldata all'asse lotaringio.
4) La conurbazione padana. È una megalopoli in via di formazione, una specie di continuazione, a sud delle Alpi, dell'asse lotaringio. Incentrata su Torino e Milano, quest'area tende da tempo a espandersi verso il Nord-Est, nelle zone più industrializzate dell'Emilia-Romagna e del Veneto. (Forte, p. 62-64)
La maggior parte della popolazione canadese si concentra in una stretta fascia meridionale - il cosiddetto "Canada utile", nella zona compresa tra i Grandi Laghi e il Golfo del San Lorenzo - che corrisponde a un decimo circa dell'estensione del Paese. Oltre la metà del territorio del Paese risulta tuttora disabitata, mentre su altri due terzi la densità è ridottissima. La ragione di ciò sta nelle difficoltà climatiche, visto che lo spazio canadese si estende per buona parte nella regione artica. (Forte, p. 225)
Negli Stati Uniti, il perno della vita socioeconomica è sempre stato la città, come si conviene ad uno Stato nato e cresciuto nel seno della borghesia. Al di fuori delle aree delle grandi città, che costituiscono l'armatura della geografia statunitense, si hanno zone perlopiù rurali, la cui densità di popolazione dipende soprattutto dal tipo di agricoltura che si pratica. (Forte, p. 233)
L'Australia e la Nuova Zelanda hanno una delle più basse densità del mondo, insieme al Nordamerica. In Nuova Zelanda, la popolazione risiede per ¾ sull'Isola del Nord, specialmente nelle fasce costiere; qui (Auckland Centrale) si concentra anche la quasi totalità degli indigeni, i maori, discendenti da polinesiani giunti sull'isola tra il secolo IX e il XIII. (Edigeo, p. 1267)
In Australia vastissimi spazi sono praticamente vuoti: il deserto domina incontrastato in tutta la parte centrale ed occidentale. Quasi i nove decimi degli abitanti si concentrano nella regione sud-orientale del continente; la maggior parte vive in cinque grandi aree metropolitane, tutte sviluppatesi intorno alle capitali dei principali Stati della Federazione. (Forte, p. 277)
Parlando di popolazione, un riferimento alle minoranze etniche è d'obbligo. Fin dal primo conflitto mondiale i Paesi europei avevano richiesto alla loro colonie uomini da mandare in combattimento, ma anche da impiegare come manodopera. Le migrazioni di massa cominciarono dopo la seconda guerra mondiale. I reclutatori erano numerosi e ben decisi a far arrivare una manodopera a buon mercato, senza troppe esigenze di protezione sociale e di comodità di vita. La richiedevano le grandi aziende minerarie, automobilistiche, dell'edilizia e dei lavori pubblici, settori che necessitavano di una manodopera poco qualificata e ben disposta a tollerare condizioni di lavoro difficili.
La svolta ebbe luogo negli anni '70. Di fronte all'incipiente crisi economica, di fronte alle ristrutturazioni industriali, i vari governo annunciarono la politica di "immigrazione zero". Tutti i Paesi occidentali sembravano non aver più bisogno di immigrati, perciò avevano messo a punto barriere giuridiche e arsenali polizieschi per restringere l'accesso sui loro territori degli immigrati provenienti da Paesi in via di sviluppo, anche se gli immigrati di vecchia data rimasero sul territorio. Solo con la fine della Guerra fredda, e con la conseguente globalizzazione, i flussi sono ricominciati. (AAVV, p. 443-444)
Ecco, in sintesi, la situazione odierna. Nell'Europa occidentale, oltre agli immigrati provenienti dai Paesi membri dell'Unione Europea, esistono anche comunità di immigrati provenienti dai Paesi colonizzati (come è il caso degli indo-pakistani in Gran Bretagna, o dei nordafricani in Francia) o dai Paesi in via di sviluppo (come nel caso dei marocchini nella Penisola iberica, o dei turchi in Germania).
Nel Nordamerica, oltre ai discendenti degli immigrati europei e asiatici, esistono anche comunità isolate e perseguitate (eschimesi, pellirosse, molti africani). In Australia, gli aborigeni sono ormai ridotti ad un'esigua minoranza (par. g), al contrario della Nuova Zelanda, dove i maori costituiscono ben il 10% della popolazione complessiva. In Giappone, il problema dell'immigrazione asiatica è avvertito solo di recente, per via dell'invecchiamento della popolazione (allo stesso modo dell'Italia).
L'immigrazione compensa la crescita negativa della popolazione, ed è solo laddove sono legali le nascite fuori dal matrimonio che i Paesi hanno un ritmo di crescita superiore a zero abitanti. L'Irlanda costituisce un caso a parte, poiché è uno dei Paesi aventi una legge restrittiva sull'aborto, e il grosso della sua popolazione vive all'estero. Un altro caso a parte è la Germania riunificata, visto che il territorio orientale è ancora povero e molti vorrebbero fuggire ad Ovest.
Adesso occupiamoci delle risorse. Negli Stati di vecchia formazione il petrolio, cioè la risorsa base per le industrie locali, è scarso (ad eccezione dell'Europa settentrionale) e pertanto viene importato. Le altre risorse estrattive non coprono l'intero fabbisogno. Più sviluppate sono l'agricoltura (tranne che in Giappone) e la pesca, mentre l'attività boschiva si è notevolmente ridotta a causa dello sfruttamento intensivo del terreno. L'Europa scandinava è ricca di legname ed energia idroelettrica.
In Australia, nonostante che solo i 2/5 della superficie del paese siano sfruttabili per uso agricolo e che solo il 6,3% sia attualmente coltivato con notevoli difficoltà, dovute all'aridità ed alle invasioni di cavallette e di conigli selvatici, le avanzate tecnologie e la realizzazione di grandi opere irrigue permettono alla produzione agricola di coprire largamente il fabbisogno interno e di venire in buona parte esportata. Il Paese è al primo posto nell'allevamento degli ovini e nella produzione di lana. In Nuova Zelanda, il 67% della produzione energetica è assicurata da centrali idroelettriche installate nell'Isola del Sud, e un elettrodotto sottomarino consente l'approvvigionamento dell'Isola del Nord. (Edigeo, p. 167 e 1267)
L'America settentrionale è ricca di risorse naturali. Ricordiamo il legname, fornito dalle immense foreste canadesi, mentre tra le risorse del sottosuolo la principale è il petrolio. Altre risorse sono costituite dalla diversità dei terreni e dei climi, che favoriscono un'eccezionale varietà di colture agricole, oltre a giacimenti minerari di ferro, carbone, rame, piombo, zolfo, oro, argento, bauxite. (Forte, p. 217)
La tecnologia ha modificato in quantità e qualità la distribuzione delle risorse, ma questo comporta tanti problemi. Nel senso positivo, la scienza ha permesso ai Paesi ricchi di affrontare gli investimenti necessari allo sviluppo di riserve idriche, dighe e altre tecnologie utili per l'estrazione di acqua dolce dai corsi d'acqua e dalle falde freatiche, rendendo così sempre più efficiente lo sfruttamento industriale e agricolo di queste risorse. (Unfpa, p. 11)
Ciononostante, la dispersione nel terreno di pesticidi e concimi e le piogge acide causate dall'inquinamento atmosferico, costringono a ricorrere a misure costose e ad alto consumo energetico per il filtraggio e il trattamento necessario a ristabilire una qualità dell'acqua accettabile. (Unfpa, p. 13)
Una serie di eventi recenti ha posto all'ordine del giorno la questione della sostenibilità a lungo termine dell'agricoltura intensiva. I casi più conosciuti a livello di opinione pubblica riguardano l'epidemia della "mucca pazza" e l'afta epizootica. Sono molto forti anche le preoccupazioni per quanto riguarda i casi di salmonella trasmessa da uova e polli, nonché la diffusione, attraverso la contaminazione di carne e acqua, delle infezioni di colibatteri mutanti e resistenti ai farmaci. Sono tutti casi che possono essere in qualche modo ricondotti alla spinta per massimizzare il rendimento agricolo e ridurre i costi.
Inoltre, è in atto una considerevole controversia sulla modificazione genetica delle specie coltivate e degli animali. Nonostante non sia dimostrato il carattere direttamente nocivo per la salute umana degli organismi geneticamente modificati (ogm), si tratta di pratiche che implicano un certo livello di rischio, comprese possibili ricadute sociali: tali rischi non sono stati ancora pienamente valutati. (Unfpa, p. 15)
Un bambino o una bambina che nascono oggi in un Paese industrializzato contribuiranno nel corso della loro vita all'aumento dei consumi e dell'inquinamento più di 30-50 bambini nati nei Paesi in via di sviluppo. Attualmente i Paesi industrializzati, che contano un quinto della popolazione mondiale, producono più della metà delle emissioni atmosferiche di anidride carbonica. Gli Stati Uniti, con il 4,6% della popolazione mondiale, producono da soli un quarto delle emissioni globali di gas serra. (Unfpa, p. 34)
Ultima nota polemica, il protezionismo economico che elimina la concorrenza interna e danneggia i Paesi emergenti. Ecco, infine, la tabella relativa alle centrali nucleari (fonte: Famiglia Cristiana):

Nazione

Centrali in funzione

Centrali in costruzione
 Canada

 14

 6
 Stati Uniti

 104

 0
 Giappone

 54

 3
 Corea del Sud

 16

 4
 Taiwan

 6

 2
 Regno Unito

 33

 0
 Svezia

 11

 0
 Finlandia

 4

 1
 Germania

 19

 0
 Francia

 58

 0
 Belgio

 7

 0
 Paesi Bassi

 1

 0
 Spagna

 9

 0
 Svizzera

 5

 0

iv) Riepilogo
In sintesi, ecco come potremmo schematizzare il sistema industriale:

 

Motivaz. soggettive

Motivaz. oggettive
 Politica  Carriera  Burocrazia
 Economia  Propriet  Industria
 Società  Individualismo  Città
 Ambiente  Multiculturalità Scienza 
È uno schema diverso da quello patriarcale. Tutte queste caratteristiche costituiscono il nucleo fondante della classe borghese, sono insite nel suo DNA. Dagli scambi commerciali degli antichi Imperi alla nascita delle corporazioni medioevali in Europa, dalla scoperta dell'America alla rivoluzione industriale, era stato il ceto borghese il motore dei grandi cambiamenti storici grazie alla sua portata innovatrice, contrapposta alla politica reazionaria dell'antica nobiltà (par. s).
Finché le antiche società dipendevano dalla produzione agricola (e quindi dalla sua eccedenza), il potere restava in mani aristocratiche; man mano, però, che l'emancipazione dall'agricoltura procedeva (grazie alle innovazioni tecniche, macchinari in primis) si facevano sempre più evidenti i limiti del sistema patriarcale: lo abbiamo puntualizzato nel paragrafo f, e anche nel parlare della rivoluzione Meiji in Giappone.
Il passaggio dalla tradizione alla modernità, lento fino ad un certo punto, si era fatto violento, come abbiamo dimostrato nel precedente paragrafo. Possiamo citare Marx e Nietzsche:
"A un dato punto del loro sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano in conflitto coi rapporti di produzione esistenti, cioè coi rapporti di proprietà (che ne sono soltanto l'espressione giuridica) dentro i quali tali forze s'erano finora mosse. Da forme di sviluppo delle forze produttive, questi rapporti si convertono in loro catene. Si apre allora un'epoca di rivoluzione sociale. Col mutamento della base economica si sconvolge più o meno rapidamente tutta la gigantesca sovrastruttura". (Marx, p. 5)
"Un codice non racconta mai l'utilità, i motivi, la casistica nella preistoria di una legge: ciò andrebbe a scapito appunto del tono imperativo di essa, del "tu devi", del presupposto per cui si obbedisce. Esattamente qui sta il problema. Ad un certo momento nell'evoluzione di un popolo, lo strato più avveduto di esso, cioè quello che guarda più indietro e più lontano, dichiara chiusa l'esperienza secondo la quale si deve, vale a dire si può vivere. La sua meta è riportare dai tempi del cimento e della brutta esperienza il raccolto più ricco e completo possibile. Ciò che di conseguenza va innanzi tutto scongiurato è l'esperimentare ancora oltre, il protrarsi dello stato fluido dei valori, il saggiare, scegliere, criticare valori in infinitum.
A ciò viene opposto un doppio muro: intanto la rivelazione, cioè l'affermazione che la ragione di quelle leggi non sarebbe di provenienza umana, non sarebbe stata cercata e trovata lentamente e in mezzo a errori, sibbene che essa, essendo di origine divina, sarebbe intera, compiuta, senza storia, un dono, un prodigio, semplicemente trasmessa. Poi la tradizione, cioè l'affermazione che la legge sarebbe esistita già da tempi antichissimi, che revocarla in dubbio sarebbe contrario alla devozione religiosa, un delitto contro i progenitori". (Nietzsche, af. 57)

Bibliografia:
AAVV., Il libro nero del Capitalismo, Marco Troppa Editore '99.
Aron Raymond, Le tappe del pensiero sociologico, Mondadori '87.
Edigeo (a cura di), Enciclopedia Zanichelli, '95.
Famiglia Cristiana n. 24/2002, "La verde Finlandia rivuole il nucleare".
Forte Gioacchino e Tanara Urbettazzi Milli, Geografia, vol. 2, De Agostini '99.
Fukuyama Francis, La fine della storia e l'ultimo uomo, Biblioteca Universale Rizzoli Supersaggi '96.
Giardina A. e altri, L'età contemporanea, Laterza '97.
Marx Karl, Il Capitale, Tascabili Newton '96.
Marx Karl, Per la critica dell'economia politica, Berlino 1859, citato in Aron, p. 148.
Nietzsche Friedrich Wilhelm, L'Anticristo
Unfpa, Lo stato della popolazione nel mondo 2001, edizione italiana a cura di AIDOS.

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