Il discorso sulla demografia
occidentale non sarebbe completo, senza un accenno agli aspetti
correlati: la formazione della classe proletaria, la nascita
della società di massa e la struttura sociale quale si
sarebbe concretizzata in questi decenni. Delle migrazioni verso
il continente americano parleremo nel paragrafo p.
i) Il proletario
La nascita del proletariato è già nota: il capitalista
acquistava la proprietà di un terreno agricolo, vi introduceva
il macchinario e potenziava così la produzione, che finiva
nelle città; i contadini venivano sfrattati ed erano costretti
a "vendere" la loro forza lavoro nelle fabbriche, l'eccedenza
produttiva sfamava in misura minore gli operai e in misura assai
maggiore il ceto borghese urbano.
Tralasciamo di parlare della classe operaia in genere. Riportiamo
solo alcuni passi del Capitale di Marx, ci daranno un'idea del
rapporto tra demografia e proletariato.
"Il dottor Lee, funzionario dell'ufficio igiene di Manchester,
ha notato che in quella città la durata media della vita
è di 38 anni per la classe agiata e di soli 17 per la
classe operaia. A Liverpool essa è di 35 anni per la prima
e di 15 per la seconda. Ne deriva quindi che la classe agiata
possiede un titolo di credito sulla vita, che vale più
del doppio di quello che spetta ai suoi concittadini meno fortunati".
(Marx, p. 466)
"Infine lo strato più basso della sovrappopolazione
relativa abita la sfera del pauperismo. Lasciando da parte vagabondi,
delinquenti, prostitute, insomma il sottoproletariato propriamente
detto, questo strato sociale è formato da tre categorie.
Prima, coloro che sono atti al lavoro. È sufficiente gettare
un'occhiata anche di sfuggita alle statistiche del pauperismo
inglese per accorgersi che la sua massa si va ingrandendo ad
ogni crisi, mentre si assottiglia ogni volta che gli affari riprendono.
Seconda: orfani e figli di poveri. Sono i candidati dell'esercito
industriale di riserva e in epoche di grande prosperità,
come per esempio nel 1860, vengono arruolati rapidamente e massicciamente
nell'esercito operaio attivo. Terza: depravati, canagliume, gente
incapace di lavorare. Sono soprattutto operai rovinati dalla
mancanza di mobilità, cui li costringe la divisione del
lavoro, individui che vanno oltre l'età media degli operai;
in ultimo le vittime dell'industria, il cui numero cresce con
l'estendersi di macchine pericolose, dello sfruttamento delle
miniere, delle fabbriche chimiche, ecc., mutilati, malati, vedove,
ecc.
Il pauperismo è il ricovero degli invalidi dell'esercito
operaio attivo e il peso morto dell'esercito industriale di riserva.
La sua produzione è compresa in quella della sovrappopolazione
relativa, la sua necessità nella necessità di questa;
e insieme a questa il pauperismo costituisce una condizione d'esistenza
della produzione capitalistica e dello sviluppo della ricchezza.
Esso fa parte delle "faux frais" della produzione capitalistica,
che il capitale sa d'altro lato allontanare da sé addossandole
per la maggior parte alla classe operaia e alla piccola classe
media". (Marx, p. 467)
"Lo stesso Malthus, sebbene dal suo angusto angolo visuale
scorga nella sovrappopolazione la conseguenza di un eccessivo
aumento assoluto della popolazione operaia e non del fatto che
essa viene resa eccedente, riconosce tuttavia in tale sovrappopolazione
una necessità dell'industria moderna.
Egli dice: "Se le prudenti abitudini nei rapporti matrimoniali
fossero spinte oltre un certo punto tra la classe operaia di
un paese che vive quasi esclusivamente di manifattura e di commercio,
esse gli arrecherebbero grave danno... Conforme alla natura della
popolazione, un aumento degli operai, quando ve ne sia specifica
domanda, può essere fornito al mercato soltanto dopo 16
o 18 anni, mentre la conversione del reddito in capitale tramite
il risparmio può essere molto più veloce; un paese
è sempre esposto a che il suo fondo di lavoro aumenti
con rapidità maggiore che non la popolazione".
L'economia politica, dopo aver affermato così che la costante
produzione di una sovrappopolazione relativa di operai è
una necessità dell'accumulazione capitalistica, mette
in bocca a quel "beau ideal" del suo capitalista, ed
esattamente nella figura di una vecchia zitella, le seguenti
parole rivolte ai "sovrannumero" buttati in mezzo alla
strada dalla propria creazione di capitale supplementare: "Noi
fabbricanti facciamo per voi quanto possiamo, e per questo aumentiamo
il capitale a cui dovete il vostro mantenimento; e voi dovete
fare il resto facendo corrispondere il vostro numero ai mezzi
di sussistenza"". (Marx, p. 461)
ii) La società di
massa
Lo sfruttamento del proletariato costituiva la prima fase della
rivoluzione industriale. Con la seconda fase, la crisi di sovrapproduzione
(scoppiata nel 1873) e il correlativo crollo dei prezzi avrebbero
giovato ai lavoratori salariati, che sarebbero riusciti a difendere
meglio che in passato il livello reale delle loro retribuzioni.
Sarebbe sorta così la cosiddetta "società
di massa": nella classe operaia si sarebbe venuta accentuando
la distinzione fra la manodopera generica e i lavoratori qualificati,
fra il grosso del proletariato e le cosiddette "aristocrazie
operaie", che avrebbero partecipato in misura maggiore ai
vantaggi dello sviluppo capitalistico. Contemporaneamente, l'espansione
del settore dei servizi e la crescita degli apparati burocratici
avrebbero fatto aumentare la consistenza di un ceto medio urbano
(lavoratori autonomi, dipendenti pubblici, addetti al settore
privato) che si sarebbe sempre più distinto dagli strati
superiori della borghesia. (Giardina, p. 548)
La crescita dei redditi avrebbe determinato l'allargamento del
mercato. Le industrie produttrici di beni di consumo e di servizi,
si sarebbero trovate a dover soddisfare una domanda che sempre
più avrebbe assunto dimensioni di massa. Beni la cui produzione
era stata in passato assicurata solo dal piccolo artigianato
o dall'industria domestica (abiti e calzature, utensili e mobili),
avrebbero cominciato ad essere prodotti in serie e venduti attraverso
una rete commerciale sempre più estesa e ramificata. Si
sarebbero mutate le abitudini, i comportamenti, i modelli di
consumo di centinaia di milioni di uomini. (Giardina, p. 538)
Nella società di massa la maggioranza dei cittadini vive
- usiamo il presente, perché la società di massa
è un fenomeno ancora in corso - in grandi e medi agglomerati
urbani; gli uomini sono quindi a più stretto contatto
gli uni con gli altri; entrano in rapporto fra loro con maggiore
frequenza e facilità che in passato (grazie anche alla
disponibilità di mezzi di trasporto, di comunicazione
e di informazione), ma questi rapporti hanno spesso un carattere
anonimo e impersonale.
Il sistema delle relazioni sociali non passa più attraverso
le piccole comunità tradizionali (locali, religiose, di
mestiere), ma fa capo alle grandi istituzioni nazionali: agli
apparati statali, ai partiti e in genere alle organizzazioni
"di massa", che esercitano un peso crescente sulle
decisioni pubbliche e sulle stesse scelte individuali.
Il grosso della popolazione è uscito dalla dimensione
dell'autoconsumo e quasi tutti sono entrati, come produttori
o come consumatori di beni e di servizi, nel circolo dell'economia
di mercato. I comportamenti e le mentalità tendono a uniformarsi
secondo nuovi modelli generali, svincolati dagli schemi e dalle
consuetudini delle società tradizionali. Consumi e stili
di vita un tempo appannaggio di un'esigua minoranza si diffondono
tra strati sociali sempre più larghi. (Giardina, p. 545)
Prendiamo l'esempio della cultura asiatica. La cultura giapponese,
come molte altre culture dell'Asia orientale, è molto
più orientata verso i gruppi che verso gli individui singoli.
Questi gruppi cominciano dai più piccoli ed immediati,
come la famiglia, e attraverso i vari rapporti patrono-cliente
stabiliti nel periodo educativo e scolastico si ampliano fino
ad includere le aziende in cui uno lavora, arrivando al gruppo
più grande che per la cultura giapponese riveste una certa
importanza: la nazione.
L'identità del singolo viene ad essere soffocata in grado
molto alto da quella del gruppo: egli lavora non tanto per il
proprio vantaggio a breve termine, quanto per il benessere di
uno o più grandi gruppi dei quali fa parte. Il suo status
viene così ad essere determinato non tanto dalla sua performance
personale quanto da quella del suo gruppo. Il suo attaccamento
al gruppo ha perciò un carattere altamente carismatico:
egli non lavora solamente per il vantaggio materiale costituito
dal suo salario, ma per il riconoscimento che il gruppo gli accorda
e per il riconoscimento del suo gruppo da parte di altri gruppi.
Quando il gruppo di cui egli cerca il riconoscimento è
la nazione, emerge il nazionalismo economico. Ed in effetti il
Giappone tende ad essere economicamente più nazionalistico
degli Stati Uniti. Questo nazionalismo si manifesta non in un
aperto protezionismo ma in forme meno visibili, come le tradizionali
reti di lavoranti a domicilio mantenute dalle aziende giapponesi
e la maggiore disponibilità di questi lavoranti a pagare
prezzi più alti per l'acquisto di prodotti nazionali.
(Fukuyama, p. 247)
iii) La struttura geopolitica
Gli Stati capitalistici esistenti oggi al mondo, si possono raggruppare
in due categorie: Stati di vecchia formazione (Europa occidentale
e Asia orientale) e Stati di nuova formazione (America settentrionale
e Oceania). Nei primi, la densità di popolazione è
altissima e le risorse sono scarse, al contrario dei secondi.
In Corea del Sud, la popolazione è particolarmente concentrata
nella regione della capitale e lungo le coste meridionali. A
Taiwan la popolazione si concentra nelle fasce costiere nord-occidentali,
dove sorgono tutte le principali città e la densità
media supera spesso i 4.000 ab./km². In Giappone, i maggiori
insediamenti si situano nella fascia litoranea delle isole principali,
poiché le zone interne sono montuose e poco ospitali.
L'organizzazione del territorio ha il suo perno nelle grandi
città della costa, sviluppatesi grazie alle loro attività
commerciali ed industriali. (Forte, p. 159)
Le principali aree di insediamento nel continente europeo sono
quattro:
1) la megalopoli inglese. Si estende nella Gran Bretagna centro-meridionale
e ha i suoi poli principali nelle città di Londra, Birmingham,
Liverpool, Sheffield e Manchester.
2) Il cosiddetto asse lotaringio (da Lotaringia, nome del territorio
costituito in regno da Lotario I, nipote di Carlo Magno per il
figlio Lotario II). È l'insieme delle città situate
lungo l'asse del Reno che tende a estendersi verso est nel cuore
della Germania e verso ovest in direzione di Parigi.
3) La conurbazione belga-olandese. Disposte lungo fiumi e canali
e fornite, grazie agli estuari, di ottimi porti, le importanti
città che ne fanno parte (Bruxelles, Anversa, Rotterdam,
Amsterdam, L'Aia
) formano, fin dai secoli XVI-XVII, uno
degli spazi più ricchi del mondo. Quest'area si è
ormai saldata all'asse lotaringio.
4) La conurbazione padana. È una megalopoli in via di
formazione, una specie di continuazione, a sud delle Alpi, dell'asse
lotaringio. Incentrata su Torino e Milano, quest'area tende da
tempo a espandersi verso il Nord-Est, nelle zone più industrializzate
dell'Emilia-Romagna e del Veneto. (Forte, p. 62-64)
La maggior parte della popolazione canadese si concentra in una
stretta fascia meridionale - il cosiddetto "Canada utile",
nella zona compresa tra i Grandi Laghi e il Golfo del San Lorenzo
- che corrisponde a un decimo circa dell'estensione del Paese.
Oltre la metà del territorio del Paese risulta tuttora
disabitata, mentre su altri due terzi la densità è
ridottissima. La ragione di ciò sta nelle difficoltà
climatiche, visto che lo spazio canadese si estende per buona
parte nella regione artica. (Forte, p. 225)
Negli Stati Uniti, il perno della vita socioeconomica è
sempre stato la città, come si conviene ad uno Stato nato
e cresciuto nel seno della borghesia. Al di fuori delle aree
delle grandi città, che costituiscono l'armatura della
geografia statunitense, si hanno zone perlopiù rurali,
la cui densità di popolazione dipende soprattutto dal
tipo di agricoltura che si pratica. (Forte, p. 233)
L'Australia e la Nuova Zelanda hanno una delle più basse
densità del mondo, insieme al Nordamerica. In Nuova Zelanda,
la popolazione risiede per ¾ sull'Isola del Nord, specialmente
nelle fasce costiere; qui (Auckland Centrale) si concentra anche
la quasi totalità degli indigeni, i maori, discendenti
da polinesiani giunti sull'isola tra il secolo IX e il XIII.
(Edigeo, p. 1267)
In Australia vastissimi spazi sono praticamente vuoti: il deserto
domina incontrastato in tutta la parte centrale ed occidentale.
Quasi i nove decimi degli abitanti si concentrano nella regione
sud-orientale del continente; la maggior parte vive in cinque
grandi aree metropolitane, tutte sviluppatesi intorno alle capitali
dei principali Stati della Federazione. (Forte, p. 277)
Parlando di popolazione, un riferimento alle minoranze etniche
è d'obbligo. Fin dal primo conflitto mondiale i Paesi
europei avevano richiesto alla loro colonie uomini da mandare
in combattimento, ma anche da impiegare come manodopera. Le migrazioni
di massa cominciarono dopo la seconda guerra mondiale. I reclutatori
erano numerosi e ben decisi a far arrivare una manodopera a buon
mercato, senza troppe esigenze di protezione sociale e di comodità
di vita. La richiedevano le grandi aziende minerarie, automobilistiche,
dell'edilizia e dei lavori pubblici, settori che necessitavano
di una manodopera poco qualificata e ben disposta a tollerare
condizioni di lavoro difficili.
La svolta ebbe luogo negli anni '70. Di fronte all'incipiente
crisi economica, di fronte alle ristrutturazioni industriali,
i vari governo annunciarono la politica di "immigrazione
zero". Tutti i Paesi occidentali sembravano non aver più
bisogno di immigrati, perciò avevano messo a punto barriere
giuridiche e arsenali polizieschi per restringere l'accesso sui
loro territori degli immigrati provenienti da Paesi in via di
sviluppo, anche se gli immigrati di vecchia data rimasero sul
territorio. Solo con la fine della Guerra fredda, e con la conseguente
globalizzazione, i flussi sono ricominciati. (AAVV, p. 443-444)
Ecco, in sintesi, la situazione odierna. Nell'Europa occidentale,
oltre agli immigrati provenienti dai Paesi membri dell'Unione
Europea, esistono anche comunità di immigrati provenienti
dai Paesi colonizzati (come è il caso degli indo-pakistani
in Gran Bretagna, o dei nordafricani in Francia) o dai Paesi
in via di sviluppo (come nel caso dei marocchini nella Penisola
iberica, o dei turchi in Germania).
Nel Nordamerica, oltre ai discendenti degli immigrati europei
e asiatici, esistono anche comunità isolate e perseguitate
(eschimesi, pellirosse, molti africani). In Australia, gli aborigeni
sono ormai ridotti ad un'esigua minoranza (par. g), al contrario
della Nuova Zelanda, dove i maori costituiscono ben il 10% della
popolazione complessiva. In Giappone, il problema dell'immigrazione
asiatica è avvertito solo di recente, per via dell'invecchiamento
della popolazione (allo stesso modo dell'Italia).
L'immigrazione compensa la crescita negativa della popolazione,
ed è solo laddove sono legali le nascite fuori dal matrimonio
che i Paesi hanno un ritmo di crescita superiore a zero abitanti.
L'Irlanda costituisce un caso a parte, poiché è
uno dei Paesi aventi una legge restrittiva sull'aborto, e il
grosso della sua popolazione vive all'estero. Un altro caso a
parte è la Germania riunificata, visto che il territorio
orientale è ancora povero e molti vorrebbero fuggire ad
Ovest.
Adesso occupiamoci delle risorse. Negli Stati di vecchia formazione
il petrolio, cioè la risorsa base per le industrie locali,
è scarso (ad eccezione dell'Europa settentrionale) e pertanto
viene importato. Le altre risorse estrattive non coprono l'intero
fabbisogno. Più sviluppate sono l'agricoltura (tranne
che in Giappone) e la pesca, mentre l'attività boschiva
si è notevolmente ridotta a causa dello sfruttamento intensivo
del terreno. L'Europa scandinava è ricca di legname ed
energia idroelettrica.
In Australia, nonostante che solo i 2/5 della superficie del
paese siano sfruttabili per uso agricolo e che solo il 6,3% sia
attualmente coltivato con notevoli difficoltà, dovute
all'aridità ed alle invasioni di cavallette e di conigli
selvatici, le avanzate tecnologie e la realizzazione di grandi
opere irrigue permettono alla produzione agricola di coprire
largamente il fabbisogno interno e di venire in buona parte esportata.
Il Paese è al primo posto nell'allevamento degli ovini
e nella produzione di lana. In Nuova Zelanda, il 67% della produzione
energetica è assicurata da centrali idroelettriche installate
nell'Isola del Sud, e un elettrodotto sottomarino consente l'approvvigionamento
dell'Isola del Nord. (Edigeo, p. 167 e 1267)
L'America settentrionale è ricca di risorse naturali.
Ricordiamo il legname, fornito dalle immense foreste canadesi,
mentre tra le risorse del sottosuolo la principale è il
petrolio. Altre risorse sono costituite dalla diversità
dei terreni e dei climi, che favoriscono un'eccezionale varietà
di colture agricole, oltre a giacimenti minerari di ferro, carbone,
rame, piombo, zolfo, oro, argento, bauxite. (Forte, p. 217)
La tecnologia ha modificato in quantità e qualità
la distribuzione delle risorse, ma questo comporta tanti problemi.
Nel senso positivo, la scienza ha permesso ai Paesi ricchi di
affrontare gli investimenti necessari allo sviluppo di riserve
idriche, dighe e altre tecnologie utili per l'estrazione di acqua
dolce dai corsi d'acqua e dalle falde freatiche, rendendo così
sempre più efficiente lo sfruttamento industriale e agricolo
di queste risorse. (Unfpa, p. 11)
Ciononostante, la dispersione nel terreno di pesticidi e concimi
e le piogge acide causate dall'inquinamento atmosferico, costringono
a ricorrere a misure costose e ad alto consumo energetico per
il filtraggio e il trattamento necessario a ristabilire una qualità
dell'acqua accettabile. (Unfpa, p. 13)
Una serie di eventi recenti ha posto all'ordine del giorno la
questione della sostenibilità a lungo termine dell'agricoltura
intensiva. I casi più conosciuti a livello di opinione
pubblica riguardano l'epidemia della "mucca pazza"
e l'afta epizootica. Sono molto forti anche le preoccupazioni
per quanto riguarda i casi di salmonella trasmessa da uova e
polli, nonché la diffusione, attraverso la contaminazione
di carne e acqua, delle infezioni di colibatteri mutanti e resistenti
ai farmaci. Sono tutti casi che possono essere in qualche modo
ricondotti alla spinta per massimizzare il rendimento agricolo
e ridurre i costi.
Inoltre, è in atto una considerevole controversia sulla
modificazione genetica delle specie coltivate e degli animali.
Nonostante non sia dimostrato il carattere direttamente nocivo
per la salute umana degli organismi geneticamente modificati
(ogm), si tratta di pratiche che implicano un certo livello di
rischio, comprese possibili ricadute sociali: tali rischi non
sono stati ancora pienamente valutati. (Unfpa, p. 15)
Un bambino o una bambina che nascono oggi in un Paese industrializzato
contribuiranno nel corso della loro vita all'aumento dei consumi
e dell'inquinamento più di 30-50 bambini nati nei Paesi
in via di sviluppo. Attualmente i Paesi industrializzati, che
contano un quinto della popolazione mondiale, producono più
della metà delle emissioni atmosferiche di anidride carbonica.
Gli Stati Uniti, con il 4,6% della popolazione mondiale, producono
da soli un quarto delle emissioni globali di gas serra. (Unfpa,
p. 34)
Ultima nota polemica, il protezionismo economico che elimina
la concorrenza interna e danneggia i Paesi emergenti. Ecco, infine,
la tabella relativa alle centrali nucleari (fonte: Famiglia Cristiana):
Nazione |
Centrali in funzione |
Centrali in costruzione |
Canada |
14 |
6 |
Stati Uniti |
104 |
0 |
Giappone |
54 |
3 |
Corea del Sud |
16 |
4 |
Taiwan |
6 |
2 |
Regno Unito |
33 |
0 |
Svezia |
11 |
0 |
Finlandia |
4 |
1 |
Germania |
19 |
0 |
Francia |
58 |
0 |
Belgio |
7 |
0 |
Paesi Bassi |
1 |
0 |
Spagna |
9 |
0 |
Svizzera |
5 |
0 |
iv) Riepilogo
In sintesi, ecco come potremmo schematizzare il sistema industriale:
|
Motivaz. soggettive |
Motivaz. oggettive |
Politica |
Carriera |
Burocrazia |
Economia |
Propriet |
Industria |
Società |
Individualismo |
Città |
Ambiente |
Multiculturalità |
Scienza |
È uno schema diverso
da quello patriarcale. Tutte queste caratteristiche costituiscono
il nucleo fondante della classe borghese, sono insite nel suo
DNA. Dagli scambi commerciali degli antichi Imperi alla nascita
delle corporazioni medioevali in Europa, dalla scoperta dell'America
alla rivoluzione industriale, era stato il ceto borghese il motore
dei grandi cambiamenti storici grazie alla sua portata innovatrice,
contrapposta alla politica reazionaria dell'antica nobiltà
(par. s).
Finché le antiche società dipendevano dalla produzione
agricola (e quindi dalla sua eccedenza), il potere restava in
mani aristocratiche; man mano, però, che l'emancipazione
dall'agricoltura procedeva (grazie alle innovazioni tecniche,
macchinari in primis) si facevano sempre più evidenti
i limiti del sistema patriarcale: lo abbiamo puntualizzato nel
paragrafo f, e anche nel parlare della rivoluzione Meiji in Giappone.
Il passaggio dalla tradizione alla modernità, lento fino
ad un certo punto, si era fatto violento, come abbiamo dimostrato
nel precedente paragrafo. Possiamo citare Marx e Nietzsche:
"A un dato punto del loro sviluppo, le forze produttive
materiali della società entrano in conflitto coi rapporti
di produzione esistenti, cioè coi rapporti di proprietà
(che ne sono soltanto l'espressione giuridica) dentro i quali
tali forze s'erano finora mosse. Da forme di sviluppo delle forze
produttive, questi rapporti si convertono in loro catene. Si
apre allora un'epoca di rivoluzione sociale. Col mutamento della
base economica si sconvolge più o meno rapidamente tutta
la gigantesca sovrastruttura". (Marx, p. 5)
"Un codice non racconta mai l'utilità, i motivi,
la casistica nella preistoria di una legge: ciò andrebbe
a scapito appunto del tono imperativo di essa, del "tu devi",
del presupposto per cui si obbedisce. Esattamente qui sta il
problema. Ad un certo momento nell'evoluzione di un popolo, lo
strato più avveduto di esso, cioè quello che guarda
più indietro e più lontano, dichiara chiusa l'esperienza
secondo la quale si deve, vale a dire si può vivere. La
sua meta è riportare dai tempi del cimento e della brutta
esperienza il raccolto più ricco e completo possibile.
Ciò che di conseguenza va innanzi tutto scongiurato è
l'esperimentare ancora oltre, il protrarsi dello stato fluido
dei valori, il saggiare, scegliere, criticare valori in infinitum.
A ciò viene opposto un doppio muro: intanto la rivelazione,
cioè l'affermazione che la ragione di quelle leggi non
sarebbe di provenienza umana, non sarebbe stata cercata e trovata
lentamente e in mezzo a errori, sibbene che essa, essendo di
origine divina, sarebbe intera, compiuta, senza storia, un dono,
un prodigio, semplicemente trasmessa. Poi la tradizione, cioè
l'affermazione che la legge sarebbe esistita già da tempi
antichissimi, che revocarla in dubbio sarebbe contrario alla
devozione religiosa, un delitto contro i progenitori". (Nietzsche,
af. 57)
Bibliografia:
AAVV., Il
libro nero del Capitalismo, Marco Troppa Editore '99.
Aron Raymond, Le tappe del pensiero sociologico, Mondadori '87.
Edigeo (a cura di), Enciclopedia Zanichelli, '95.
Famiglia Cristiana n. 24/2002, "La verde Finlandia rivuole
il nucleare".
Forte Gioacchino e Tanara Urbettazzi Milli, Geografia, vol. 2,
De Agostini '99.
Fukuyama Francis, La fine della storia e l'ultimo uomo, Biblioteca
Universale Rizzoli Supersaggi '96.
Giardina A. e altri, L'età contemporanea, Laterza '97.
Marx Karl, Il Capitale, Tascabili Newton '96.
Marx Karl, Per la critica dell'economia politica, Berlino 1859,
citato in Aron, p. 148.
Nietzsche Friedrich Wilhelm, L'Anticristo
Unfpa, Lo stato della popolazione nel mondo 2001, edizione italiana
a cura di AIDOS. |