Durante gli ultimi due secoli
è nato, si è sviluppato e si è concluso
il ciclo demografico moderno dell'Occidente; la popolazione ricca
si è moltiplicata per 4; la speranza di vita è
passata da valori compresi tra i 25 e i 35 anni a 75-80; il numero
di figli per donna è sceso da 5 a meno di 2; natalità
e mortalità sono scesi da valori compresi per lo più
tra il 30 e il 40 per mille a valori prossimi al 10.
Questa profonda trasformazione, che è parte integrante
delle trasformazioni sociali dell'ultimo secolo, ha preso il
nome di "transizione demografica", entrato oramai nell'uso
corrente come la locuzione di "rivoluzione industriale".
Esso designa il complesso processo di passaggio dal disordine
all'ordine e dalla dispersione all'efficienza prodottosi durante
l'epoca contemporanea. Nei Paesi in via di sviluppo, dei quali
ci occuperemo nel capitolo 3, questo processo è in corso:
in alcuni, più arretrati, è appena iniziato; in
altri, più avanzati, esso volge alla fine. (Livi Bacci,
p. 140)
Sulle cause dell'accelerazione demografica a partire dalla metà
del XVIII secolo si è sviluppato un dibattito che è
tuttora aperto, anche perché i meccanismi demografici
non sono completamente chiariti. In alcuni casi quest'accelerazione
era dovuta, soprattutto, a un aumento della natalità conseguente
alla maggiore nuzialità; in altri, la maggioranza, la
discesa della mortalità risulta il fattore principale.
Fattori esogeni (la minor incidenza di cicli epidemici, la scomparsa
della peste), la minore incidenza delle carestie per la migliorata
organizzazione economica o per il processo di adattamento tra
agente e ospite (e quindi una maggiore resistenza alle pestilenze),
pratiche sociali e culturali (le scoperte mediche, tra cui il
vaccino, e la maggiore durata di allattamento), tutti questi
elementi avevano contribuito a frenare la diffusione delle malattie
infettive e a migliorare le condizioni di sopravvivenza specie
nella prima infanzia. E così la mortalità aveva
cominciato a dar segni evidenti di declino. (Livi Bacci, p. 144)
Progresso faticoso perché ancora nel XIX secolo le malattie
epidemiche (quelle antiche, come il vaiolo o quelle nuove per
l'Europa, come il colera) aveva colpito duramente, così
come, alla fine della prima guerra mondiale, aveva fatto la pandemia
influenzale, per non parlare delle stragi, ancor più gravi,
delle due guerre mondiali, delle guerre civili (Unione Sovietica,
Spagna), delle deportazioni di massa e dell'Olocausto. (Livi
Bacci, p. 148)
L'abbassamento della fecondità era stato altrettanto graduale
e differenziato nelle sue manifestazioni territoriali della transizione
della mortalità. Il controllo delle nascite aveva assunto
questa funzione di regolatore "forte"; sconosciuto
se non in alcuni gruppi assai ristretti e particolari (nobiltà,
borghesia urbana), era apparso in Francia verso la fine del '700
e in alcune aree ristrette; si era diffuso rapidamente, a macchia
d'olio, in tutta l'Europa durante la seconda parte dell'800 con
alcune zone, rurali e periferiche, lambite dalla trasformazione
solo verso la metà di questo secolo. (Livi Bacci, p. 156)
Le tecniche di controllo delle nascite erano - e sono ancora
oggi - essenzialmente due: l'innalzamento dell'età media
di matrimonio e una lenta diffusione dei mezzi di contraccezione.
Tra parentesi, indichiamo anche la maggiore durata dell'allattamento
tra le cause non volontarie della riduzione delle nascite: nell'intervallo
di tempo, il ciclo di ovulazione della donna s'interrompe, e
con la maggiore durata l'interruzione ritarda il concepimento
per il prossimo figlio.
L'innalzamento dell'età di matrimonio concerneva fattori
essenzialmente culturali ed economici; nelle società patriarcali
i matrimoni avvenivano di solito nei periodi di pubertà
per la necessità di un'alta prolificità (prima
ci si sposava, prima si procreava), per valorizzare la sacralità
dell'unione di coppia e per non distogliere il giovane dal compimento
del proprio dovere (il rispetto verso la famiglia).
Ma con il venir meno dei vincoli di parentela, con il prevalere
dell'aspetto sentimentale dell'unione, con la progressiva liberalità
dei costumi, con l'emancipazione della donna (che era così
meno disposta a rinunciare al reddito di un'attività professionale,
in favore del mantenimento della famiglia), con il rapido diffondersi
dell'istruzione, con la diminuita incidenza della mortalità,
con l'esplosione demografica (e quindi con la percezione che
"siamo troppi al mondo"), con il processo di inurbamento,
le persone avevano ritardato l'età del matrimonio. Il
risultato lo osserviamo noi contemporanei: più tardi ci
si sposa, meno figli si fanno.
Per il secondo aspetto, fu necessario aspettare gli anni '70
del XX secolo affinché potesse codificarsi la nuova rivoluzione
dei costumi: fino ad allora, il moralismo riusciva ad imbrigliare
(ma non a bloccare) i comportamenti "satanici". In
gran parte dell'Occidente, fino all'ultimo dopoguerra, la diffusione
e propaganda di mezzi di controllo delle nascite era illegale.
La rivoluzione avrebbe riguardato la moda e gli spettacoli, il
giornalismo come la radio e la televisione, la musica e il ballo,
le convenzioni igieniche e alimentari, l'uso del tempo libero
e l'organizzazione delle vacanze, il turismo e gli spostamenti
non lavorativi, l'etichetta dei rapporti sociali e di quelli
privati, il tono e la prassi delle relazioni familiari e personali,
il comportamento sentimentale e quello sessuale, la considerazione
del superfluo e quella del necessario, il modo di abitare e di
viaggiare, l'intonazione della pubblicità commerciale
e la presentazione dei prodotti, il modo di parlare e di atteggiarsi
in pubblico e in privato. (Galasso, p. 469)
- Le rivoluzioni che avevano
accompagnato la transizione
La contestazione anni '70 fu solo uno degli ultimi episodi del
lungo passaggio dalla tradizione alla modernità, passaggio
resosi necessario affinché si concludesse il processo
di "transizione demografica". Molti degli avvenimenti
furono violenti, rivoluzionari. Proviamo a comporre un elenco:
· Rivoluzione inglese (Glorious Revolution, 1688): introduzione
del parlamentarismo, nascita delle istituzioni politiche attuali.
· Indipendenza delle colonie statunitensi dalla madrepatria
britannica (1773): sorgeva dal nulla uno Stato borghese, che
non conosceva le stratificazioni sociali radicate nella vecchia
Europa.
· Colonizzazione dell'Australia alla fine del XVIII secolo:
la colonizzazione anglosassone non aveva praticamente lasciato
alcuna possibilità di sopravvivenza ai popoli oceanici.
A quell'epoca gli aborigeni erano probabilmente fra 300 mila
e 400 mila, distribuiti nel complesso del territorio; nel 1989
se ne censivano 40 mila, e 30 mila meticci, molti ancora agonizzanti
(disoccupazione, delinquenza, alcolismo). (AAVV., p. 437 e 446)
· Rivoluzione francese (1789): la borghesia si affermava
come classe egemone. Ricordiamo che la rivoluzione era scoppiata
dopo un periodo di carestia; di qui la famosa frase di Maria
Antonietta: "Niente pane, dategli brioche". Ricordiamo
ancora la richiesta dei rivoltosi: "Non vogliamo essere
sudditi ma cittadini".
· Rivoluzione industriale in Inghilterra: eliminazione
della rendita parassitaria, soppressione delle leggi protezioniste
sul grano, colonialismo britannico (con conseguente confronto
con le altre civiltà).
· Introduzione del codice civile napoleonico, attraverso
il dominio francese sull'Europa: uguaglianza formale, abolizione
degli anacronistici particolarismi e vincoli di parentela.
· Moti rivoluzionari del 1820-21 e 1848: si affermava
il principio di autodeterminazione dei popoli e delle patrie,
contrapposto all'assolutismo imperiale.
· Unità d'Italia (1861), cui sarebbe seguita l'Unità
tedesca (1870): persistenza del familismo amorale nel Mezzogiorno
e nascita del fenomeno mafioso. "Il peso di eredità
culturali e civili secolari è duro da portare, difficile
da eliminare; i pregiudizi, i privilegi, le abitudini, le chiusure
di un sistema feudale che ha ignorato per secoli le libertà
comunali e la democrazia corporativa non si cancellano in pochi
decenni" (Bocca, p. 205). Ancora: "La mafia guarda
all'economia in modi che ricordano la cavalleria medievale: disprezza
il lavoro, il suo ideale è l'uomo forte che mira in alto,
all'onore, sia pure all'onore malavitoso, ci pensino gli altri,
i paurosi, i deboli a produrre. Per il mafioso la burocrazia
non deve amministrare ma obbedire, piegarsi". (Bocca, p.
208)
· Gli altri Stati occidentali avrebbero avuto a loro volta
altri movimenti reazionari estremisti: i terrorismi - irlandese
in Gran Bretagna, corso in Francia, basco in Spagna -, il Ku
Ku Klan negli Usa, i neonazi in Germania, i movimenti di estrema
destra (Dio, patria, famiglia) negli altri Paesi. I vari terrorismi
avrebbero rivendicato l'autodeterminazione dei rispettivi popoli
o territori, mentre gli Stati avrebbero reagito al fenomeno con
metodi tradizionali, dietro pressione della propria opinione
pubblica conservatrice.
· I sistemi criminali internazionali avrebbero mantenuto
una struttura simile alla mafia italiana, fino alle estreme conseguenze
in tema di onore e ricchezze. L'unico modo per vendicare uno
sgarbo sarebbe stato la morte, come avveniva esattamente nelle
società patriarcali e come avviene oggi nel Terzo mondo
feudale. È il principio di staticità del sistema:
qualsiasi novità non accetta avrebbe dovuto essere repressa,
attraverso appunto la tortura o la morte. Gli affari si sarebbero
adeguati alle legislazioni locali, o per meglio dire: qualunque
attività profittevole il codice civile avrebbe considerato
illecita, avrebbe alimentato il mercato nero (droga, armi, prostituzione,
immigrazione, alcool, sigarette).
· Roma capitale e conseguente soppressione del potere
temporale del papato (Breccia di Porta Pio, 1870): scomunica
del Papa Pio IX contro i peccati moderni, democrazia, capitalismo,
comunismo, materialismo storico, scoperte scientifiche, vaccino.
· Guerra civile americana (1861-1865): sud patriarcale,
latifondista, schiavile, contro nord borghese, industriale, abolizionista.
· Rivoluzione Meiji, detta anche "Restaurazione Meiji",
in Giappone (1868): nel giro di pochi anni, senza violenti sommovimenti
sociali, il Giappone avrebbe compiuto quella transizione dal
sistema feudale allo Stato moderno che nella maggior parte dei
Paesi europei si era realizzata in tempi lunghissimi, accelerati
solo dai traumatici processi rivoluzionari che stiamo appunto
elencando. Il motivo della transizione era semplice: occorreva
evitare di soggiacere alle potenze imperialistiche. La nuova
élite dirigente era ben consapevole del legame esistente
fra l'inferiorità politica e militare del Giappone, rispetto
all'Occidente, e dell'arretratezza delle sue strutture economico-sociali.
Il Giappone sarebbe stato poi, a sua volta, coinvolto nelle guerre
imperialistiche (Cina, 1894; Russia, 1905), fino all'alleanza
con il nazifascismo durante la seconda guerra mondiale (le Potenze
dell'Asse). (Giardina, p. 199)
· Esplosione del nazionalismo negli ultimi anni dell'800
(il nazionalismo era un retaggio della tradizione, il motto:
"difendi la tua terra!"), e quindi razzismo diffuso.
La forma più eclatante sarebbe stata l'odio verso "l'ebreo
errante, capitalista e corruttore". Studiamo questa frase:
l'ebreo era uno straniero per via della diaspora, e quindi era
un nemico; errante era il contrario di stanziale, e la vita patriarcale
era una vita stanziale, perennemente inchiodata al lavoro agricolo
(chiunque errasse, non aveva una patria e quindi portava appresso
il "marchio di Caino", il segno dell'odio); capitalista,
e quindi nemico della tradizione: detto tra parentesi, questi
razzisti che esaltavano le proprie origini non stavano forse
distruggendo le tradizioni degli Stati colonizzati, in nome della
presunta modernità da imporre ai cosiddetti "selvaggi"?;
corruttore, perché portatore dei vizi e dei lussi della
società capitalistica: il denaro distruggeva la famiglia,
l'educazione era libertinaggio, il divertimento logorava il fisico.
· Il culmine del processo nazionalista sarebbe stato il
periodo tra le due guerre mondiali: in Europa si sarebbero affermati
i movimenti totalitari fascisti. "Il fascismo crede ancora
e sempre nella santità e nell'eroismo, cioè in
atti nei quali nessun motivo economico - lontano o vicino - agisce.
Negato il materialismo storico, per cui gli uomini non sarebbero
che comparse nella storia, che appaiono e scompaiono alla superficie
dei flutti, mentre nel profondo si agitano e lavorano le vere
forze direttrici, è negata anche la lotta di classe, immutabile
e irreparabile, che di questa concezione economicista della storia
è la naturale filiazione, e soprattutto è negato
che la lotta di classe sia l'agente preponderante delle trasformazioni
sociali. Il fascismo nega il concetto materialistico di felicità
come possibile e lo abbandona agli economisti della prima metà
dell'Ottocento; nega cioè l'equazione benessere-felicità,
che convertirebbe gli uomini in animali di una sola cosa pensosi:
quella di essere pasciuti ed ingrassati, ridotti, quindi, alla
pura vita vegetativa". (Mussolini)
· Rapida diffusione della cultura americana negli Stati
liberati dal giogo della dittatura, dopo il 1945: piano Marshall
per l'Europa, ricostruzione del Giappone, formazione del capitalismo
nell'Asia orientale (Taiwan, Corea del Sud, Hong Kong, Singapore).
La cultura americana rinnegava qualsivoglia tradizione, e quindi
chiunque considerasse la propria tradizione come tirannica aveva
la possibilità di scegliere il modello statunitense.
· Breve parentesi dittatoriale in Portogallo (1932-1968),
Spagna (1939-1975) e Grecia (1952-1963; 1967-1974). La predominanza
dei doveri sui diritti, tipica delle dittature, era l'altro retaggio
della tradizione. Tra parentesi, la dittatura portoghese era
socialista.
Bibliografia:
AAVV., Il libro
nero del Capitalismo, Marco Troppa Editore '99.
Bocca Giorgio,
L'inferno, Mondadori '92.
Galasso Giuseppe,
Storia d'Europa, Vol.3, Laterza '96.
Giardina A. e
altri, L'età contemporanea, Laterza '97.
Livi Bacci Massimo,
Storia minima della popolazione del mondo, Il Mulino '02.
Mussolini Benito,
Enciclopedia italiana '32, vol. XIV, citato in Sabine, p. 690.
Sabine George
H., Storia delle dottrine politiche, RCS Libri & Grandi Opere
'96. |