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Sovrappopolazione e sottosviluppo.

La Conferenza del Cairo

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Comandè Marco

Capitolo 2

La rivoluzione industriale

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g) I Paesi sviluppati: il trionfo del capitalismo - la "transizione demografica"

Durante gli ultimi due secoli è nato, si è sviluppato e si è concluso il ciclo demografico moderno dell'Occidente; la popolazione ricca si è moltiplicata per 4; la speranza di vita è passata da valori compresi tra i 25 e i 35 anni a 75-80; il numero di figli per donna è sceso da 5 a meno di 2; natalità e mortalità sono scesi da valori compresi per lo più tra il 30 e il 40 per mille a valori prossimi al 10.
Questa profonda trasformazione, che è parte integrante delle trasformazioni sociali dell'ultimo secolo, ha preso il nome di "transizione demografica", entrato oramai nell'uso corrente come la locuzione di "rivoluzione industriale". Esso designa il complesso processo di passaggio dal disordine all'ordine e dalla dispersione all'efficienza prodottosi durante l'epoca contemporanea. Nei Paesi in via di sviluppo, dei quali ci occuperemo nel capitolo 3, questo processo è in corso: in alcuni, più arretrati, è appena iniziato; in altri, più avanzati, esso volge alla fine. (Livi Bacci, p. 140)
Sulle cause dell'accelerazione demografica a partire dalla metà del XVIII secolo si è sviluppato un dibattito che è tuttora aperto, anche perché i meccanismi demografici non sono completamente chiariti. In alcuni casi quest'accelerazione era dovuta, soprattutto, a un aumento della natalità conseguente alla maggiore nuzialità; in altri, la maggioranza, la discesa della mortalità risulta il fattore principale.
Fattori esogeni (la minor incidenza di cicli epidemici, la scomparsa della peste), la minore incidenza delle carestie per la migliorata organizzazione economica o per il processo di adattamento tra agente e ospite (e quindi una maggiore resistenza alle pestilenze), pratiche sociali e culturali (le scoperte mediche, tra cui il vaccino, e la maggiore durata di allattamento), tutti questi elementi avevano contribuito a frenare la diffusione delle malattie infettive e a migliorare le condizioni di sopravvivenza specie nella prima infanzia. E così la mortalità aveva cominciato a dar segni evidenti di declino. (Livi Bacci, p. 144)
Progresso faticoso perché ancora nel XIX secolo le malattie epidemiche (quelle antiche, come il vaiolo o quelle nuove per l'Europa, come il colera) aveva colpito duramente, così come, alla fine della prima guerra mondiale, aveva fatto la pandemia influenzale, per non parlare delle stragi, ancor più gravi, delle due guerre mondiali, delle guerre civili (Unione Sovietica, Spagna), delle deportazioni di massa e dell'Olocausto. (Livi Bacci, p. 148)
L'abbassamento della fecondità era stato altrettanto graduale e differenziato nelle sue manifestazioni territoriali della transizione della mortalità. Il controllo delle nascite aveva assunto questa funzione di regolatore "forte"; sconosciuto se non in alcuni gruppi assai ristretti e particolari (nobiltà, borghesia urbana), era apparso in Francia verso la fine del '700 e in alcune aree ristrette; si era diffuso rapidamente, a macchia d'olio, in tutta l'Europa durante la seconda parte dell'800 con alcune zone, rurali e periferiche, lambite dalla trasformazione solo verso la metà di questo secolo. (Livi Bacci, p. 156)
Le tecniche di controllo delle nascite erano - e sono ancora oggi - essenzialmente due: l'innalzamento dell'età media di matrimonio e una lenta diffusione dei mezzi di contraccezione. Tra parentesi, indichiamo anche la maggiore durata dell'allattamento tra le cause non volontarie della riduzione delle nascite: nell'intervallo di tempo, il ciclo di ovulazione della donna s'interrompe, e con la maggiore durata l'interruzione ritarda il concepimento per il prossimo figlio.
L'innalzamento dell'età di matrimonio concerneva fattori essenzialmente culturali ed economici; nelle società patriarcali i matrimoni avvenivano di solito nei periodi di pubertà per la necessità di un'alta prolificità (prima ci si sposava, prima si procreava), per valorizzare la sacralità dell'unione di coppia e per non distogliere il giovane dal compimento del proprio dovere (il rispetto verso la famiglia).
Ma con il venir meno dei vincoli di parentela, con il prevalere dell'aspetto sentimentale dell'unione, con la progressiva liberalità dei costumi, con l'emancipazione della donna (che era così meno disposta a rinunciare al reddito di un'attività professionale, in favore del mantenimento della famiglia), con il rapido diffondersi dell'istruzione, con la diminuita incidenza della mortalità, con l'esplosione demografica (e quindi con la percezione che "siamo troppi al mondo"), con il processo di inurbamento, le persone avevano ritardato l'età del matrimonio. Il risultato lo osserviamo noi contemporanei: più tardi ci si sposa, meno figli si fanno.
Per il secondo aspetto, fu necessario aspettare gli anni '70 del XX secolo affinché potesse codificarsi la nuova rivoluzione dei costumi: fino ad allora, il moralismo riusciva ad imbrigliare (ma non a bloccare) i comportamenti "satanici". In gran parte dell'Occidente, fino all'ultimo dopoguerra, la diffusione e propaganda di mezzi di controllo delle nascite era illegale.
La rivoluzione avrebbe riguardato la moda e gli spettacoli, il giornalismo come la radio e la televisione, la musica e il ballo, le convenzioni igieniche e alimentari, l'uso del tempo libero e l'organizzazione delle vacanze, il turismo e gli spostamenti non lavorativi, l'etichetta dei rapporti sociali e di quelli privati, il tono e la prassi delle relazioni familiari e personali, il comportamento sentimentale e quello sessuale, la considerazione del superfluo e quella del necessario, il modo di abitare e di viaggiare, l'intonazione della pubblicità commerciale e la presentazione dei prodotti, il modo di parlare e di atteggiarsi in pubblico e in privato. (Galasso, p. 469)

- Le rivoluzioni che avevano accompagnato la transizione
La contestazione anni '70 fu solo uno degli ultimi episodi del lungo passaggio dalla tradizione alla modernità, passaggio resosi necessario affinché si concludesse il processo di "transizione demografica". Molti degli avvenimenti furono violenti, rivoluzionari. Proviamo a comporre un elenco:
· Rivoluzione inglese (Glorious Revolution, 1688): introduzione del parlamentarismo, nascita delle istituzioni politiche attuali.
· Indipendenza delle colonie statunitensi dalla madrepatria britannica (1773): sorgeva dal nulla uno Stato borghese, che non conosceva le stratificazioni sociali radicate nella vecchia Europa.
· Colonizzazione dell'Australia alla fine del XVIII secolo: la colonizzazione anglosassone non aveva praticamente lasciato alcuna possibilità di sopravvivenza ai popoli oceanici. A quell'epoca gli aborigeni erano probabilmente fra 300 mila e 400 mila, distribuiti nel complesso del territorio; nel 1989 se ne censivano 40 mila, e 30 mila meticci, molti ancora agonizzanti (disoccupazione, delinquenza, alcolismo). (AAVV., p. 437 e 446)
· Rivoluzione francese (1789): la borghesia si affermava come classe egemone. Ricordiamo che la rivoluzione era scoppiata dopo un periodo di carestia; di qui la famosa frase di Maria Antonietta: "Niente pane, dategli brioche". Ricordiamo ancora la richiesta dei rivoltosi: "Non vogliamo essere sudditi ma cittadini".
· Rivoluzione industriale in Inghilterra: eliminazione della rendita parassitaria, soppressione delle leggi protezioniste sul grano, colonialismo britannico (con conseguente confronto con le altre civiltà).
· Introduzione del codice civile napoleonico, attraverso il dominio francese sull'Europa: uguaglianza formale, abolizione degli anacronistici particolarismi e vincoli di parentela.
· Moti rivoluzionari del 1820-21 e 1848: si affermava il principio di autodeterminazione dei popoli e delle patrie, contrapposto all'assolutismo imperiale.
· Unità d'Italia (1861), cui sarebbe seguita l'Unità tedesca (1870): persistenza del familismo amorale nel Mezzogiorno e nascita del fenomeno mafioso. "Il peso di eredità culturali e civili secolari è duro da portare, difficile da eliminare; i pregiudizi, i privilegi, le abitudini, le chiusure di un sistema feudale che ha ignorato per secoli le libertà comunali e la democrazia corporativa non si cancellano in pochi decenni" (Bocca, p. 205). Ancora: "La mafia guarda all'economia in modi che ricordano la cavalleria medievale: disprezza il lavoro, il suo ideale è l'uomo forte che mira in alto, all'onore, sia pure all'onore malavitoso, ci pensino gli altri, i paurosi, i deboli a produrre. Per il mafioso la burocrazia non deve amministrare ma obbedire, piegarsi". (Bocca, p. 208)
· Gli altri Stati occidentali avrebbero avuto a loro volta altri movimenti reazionari estremisti: i terrorismi - irlandese in Gran Bretagna, corso in Francia, basco in Spagna -, il Ku Ku Klan negli Usa, i neonazi in Germania, i movimenti di estrema destra (Dio, patria, famiglia) negli altri Paesi. I vari terrorismi avrebbero rivendicato l'autodeterminazione dei rispettivi popoli o territori, mentre gli Stati avrebbero reagito al fenomeno con metodi tradizionali, dietro pressione della propria opinione pubblica conservatrice.
· I sistemi criminali internazionali avrebbero mantenuto una struttura simile alla mafia italiana, fino alle estreme conseguenze in tema di onore e ricchezze. L'unico modo per vendicare uno sgarbo sarebbe stato la morte, come avveniva esattamente nelle società patriarcali e come avviene oggi nel Terzo mondo feudale. È il principio di staticità del sistema: qualsiasi novità non accetta avrebbe dovuto essere repressa, attraverso appunto la tortura o la morte. Gli affari si sarebbero adeguati alle legislazioni locali, o per meglio dire: qualunque attività profittevole il codice civile avrebbe considerato illecita, avrebbe alimentato il mercato nero (droga, armi, prostituzione, immigrazione, alcool, sigarette).
· Roma capitale e conseguente soppressione del potere temporale del papato (Breccia di Porta Pio, 1870): scomunica del Papa Pio IX contro i peccati moderni, democrazia, capitalismo, comunismo, materialismo storico, scoperte scientifiche, vaccino.
· Guerra civile americana (1861-1865): sud patriarcale, latifondista, schiavile, contro nord borghese, industriale, abolizionista.
· Rivoluzione Meiji, detta anche "Restaurazione Meiji", in Giappone (1868): nel giro di pochi anni, senza violenti sommovimenti sociali, il Giappone avrebbe compiuto quella transizione dal sistema feudale allo Stato moderno che nella maggior parte dei Paesi europei si era realizzata in tempi lunghissimi, accelerati solo dai traumatici processi rivoluzionari che stiamo appunto elencando. Il motivo della transizione era semplice: occorreva evitare di soggiacere alle potenze imperialistiche. La nuova élite dirigente era ben consapevole del legame esistente fra l'inferiorità politica e militare del Giappone, rispetto all'Occidente, e dell'arretratezza delle sue strutture economico-sociali. Il Giappone sarebbe stato poi, a sua volta, coinvolto nelle guerre imperialistiche (Cina, 1894; Russia, 1905), fino all'alleanza con il nazifascismo durante la seconda guerra mondiale (le Potenze dell'Asse). (Giardina, p. 199)
· Esplosione del nazionalismo negli ultimi anni dell'800 (il nazionalismo era un retaggio della tradizione, il motto: "difendi la tua terra!"), e quindi razzismo diffuso. La forma più eclatante sarebbe stata l'odio verso "l'ebreo errante, capitalista e corruttore". Studiamo questa frase: l'ebreo era uno straniero per via della diaspora, e quindi era un nemico; errante era il contrario di stanziale, e la vita patriarcale era una vita stanziale, perennemente inchiodata al lavoro agricolo (chiunque errasse, non aveva una patria e quindi portava appresso il "marchio di Caino", il segno dell'odio); capitalista, e quindi nemico della tradizione: detto tra parentesi, questi razzisti che esaltavano le proprie origini non stavano forse distruggendo le tradizioni degli Stati colonizzati, in nome della presunta modernità da imporre ai cosiddetti "selvaggi"?; corruttore, perché portatore dei vizi e dei lussi della società capitalistica: il denaro distruggeva la famiglia, l'educazione era libertinaggio, il divertimento logorava il fisico.
· Il culmine del processo nazionalista sarebbe stato il periodo tra le due guerre mondiali: in Europa si sarebbero affermati i movimenti totalitari fascisti. "Il fascismo crede ancora e sempre nella santità e nell'eroismo, cioè in atti nei quali nessun motivo economico - lontano o vicino - agisce. Negato il materialismo storico, per cui gli uomini non sarebbero che comparse nella storia, che appaiono e scompaiono alla superficie dei flutti, mentre nel profondo si agitano e lavorano le vere forze direttrici, è negata anche la lotta di classe, immutabile e irreparabile, che di questa concezione economicista della storia è la naturale filiazione, e soprattutto è negato che la lotta di classe sia l'agente preponderante delle trasformazioni sociali. Il fascismo nega il concetto materialistico di felicità come possibile e lo abbandona agli economisti della prima metà dell'Ottocento; nega cioè l'equazione benessere-felicità, che convertirebbe gli uomini in animali di una sola cosa pensosi: quella di essere pasciuti ed ingrassati, ridotti, quindi, alla pura vita vegetativa". (Mussolini)
· Rapida diffusione della cultura americana negli Stati liberati dal giogo della dittatura, dopo il 1945: piano Marshall per l'Europa, ricostruzione del Giappone, formazione del capitalismo nell'Asia orientale (Taiwan, Corea del Sud, Hong Kong, Singapore). La cultura americana rinnegava qualsivoglia tradizione, e quindi chiunque considerasse la propria tradizione come tirannica aveva la possibilità di scegliere il modello statunitense.
· Breve parentesi dittatoriale in Portogallo (1932-1968), Spagna (1939-1975) e Grecia (1952-1963; 1967-1974). La predominanza dei doveri sui diritti, tipica delle dittature, era l'altro retaggio della tradizione. Tra parentesi, la dittatura portoghese era socialista.

Bibliografia:

AAVV., Il libro nero del Capitalismo, Marco Troppa Editore '99.

Bocca Giorgio, L'inferno, Mondadori '92.

Galasso Giuseppe, Storia d'Europa, Vol.3, Laterza '96.

Giardina A. e altri, L'età contemporanea, Laterza '97.

Livi Bacci Massimo, Storia minima della popolazione del mondo, Il Mulino '02.

Mussolini Benito, Enciclopedia italiana '32, vol. XIV, citato in Sabine, p. 690.

Sabine George H., Storia delle dottrine politiche, RCS Libri & Grandi Opere '96.

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