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Sovrappopolazione e sottosviluppo.

La Conferenza del Cairo

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Comandè Marco

Capitolo 2

La rivoluzione industriale

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f) Dalla campagna alla città: il processo di modernizzazione

Abbiamo presentato la società patriarcale come un ordine statico, tuttavia tale staticità si fondava su un presupposto palesemente falso. Immutabilità è sinonimo di perfezione. Solo una società perfetta, o sul punto di diventarlo, non aspira alla novità o non si fa risucchiare nel vortice di avvenimenti imprevisti o non voluti. Il sistema patriarcale era tutt'altro che regolato: ritorniamo alle carestie, pestilenze, guerre, colpi di Stato…
Come risultato, l'intera struttura oscillava tra due tendenze all'apparenza inconciliabili: la conservazione delle basi su cui si fondava il potere aristocratico (agricoltura, ereditarietà delle cariche, religione) e il progresso (scoperte scientifiche, sviluppo industriale, codificazione del diritto).
Fino alla rivoluzione industriale, il processo di modernizzazione era stato lento, si era sviluppato solo in casi di necessità (il miglioramento delle tecniche agricole) o grazie all'abilità dei pochi coraggiosi che avevano osato sfidare l'ordine costituito (Galileo Galilei, Cristoforo Colombo, Martin Lutero…).
L'essenza di tutto il processo era la città: in un ordine statico, l'ambiente urbano era l'unico a presentare elementi di dinamicità. Il risultato finale, che analizzeremo meglio nei prossimi capitoli, quando studieremo la popolazione contemporanea nei Paesi sviluppati, è la cosiddetta "famiglia nucleare", padre, madre, due figli, conformismo borghese, liberalità dei costumi, mentalità aperta…
Abbiamo già incontrato questa definizione ("famiglia nucleare") parlando del Vicino Oriente antico. Abbiamo osservato anche che il sistema urbano era più legato al mondo esterno, ai commerci e al confronto culturale, alle novità, mentre il villaggio rurale era più chiuso, diffidente. La campagna era il luogo del sacrificio, e i valori fondanti erano Dio, patria e famiglia; si contrapponeva la città, luogo del denaro, dell'educazione e del divertimento.
La città produceva nuovi mestieri che non avevano nulla a che fare con la terra, con il lavoro dei campi, con le alternanze della vita rurale, con il tran-tran campestre, con la vita del villaggio contadino. Si poteva sbarcare il lunario senza arare il terreno e senza vivere in campagna.
E poiché c'era tanta gente disposta o costretta a lavorare la terra in qualità di coloni, braccianti, vassalli o schiavi, ecco che le classi dominanti (re, sacerdoti, caste privilegiate) e quelle che facevano mestieri non agricoli (commercianti, artigiani, burocrati, maghi, soldati, finanzieri, postini, trasportatori, architetti, perfino barbieri) finivano con l'organizzarsi e l'aggregarsi per costruire la città, per vivere in città.
Non c'era più motivo perché stessero nel villaggio contadino, e ce n'erano tanti perché si trasferissero nell'agglomerato urbano dove nacquero il mercato, lo scambio, il potere, la spesa pubblica, la burocrazia, la corte del monarca, il commercio, e non soltanto dei beni prodotti dalla terra. (Pasquarelli, p. 136)
Siccome i nobili e i re erano anche capi religiosi, le città nella preistoria erano definite "dimore degli dei". Una definizione che avrebbe affascinato nei secoli successivi.
Il contesto urbano era densamente popolato. Probabilmente Platone, nel coniare il termine "pianificazione familiare", era rimasto influenzato da tale elemento: anche lui in fondo viveva in un ambiente urbano, la polis greca. "Lasceremo decidere ai governanti il numero dei matrimoni, per mantenere invariato, se possibile, il numero delle persone, tenendo conto di guerre, malattie e altri flagelli simili, sì che lo Stato non aumenti né rimpicciolisca". (Platone, p. 391)
Mentre la campagna non aveva confini ideali, la città era sempre stata costruita intorno a un perimetro, con limiti precisi che mutavano solo eccezionalmente (al contrario delle metropoli contemporanee). Si può dire che soltanto la forte mortalità delle società precapitalistiche mantenesse alto il numero delle nascite.
Fino alla fine del 1700 la città era un'eccezione. In tutto il mondo, il tasso di urbanizzazione si aggirava intorno al 10%. Pochi Paesi avevano una concentrazione eccezionale: le Fiandre, dove si valuta la popolazione urbana intorno al 50% del totale, la pianura padana, l'Italia centrale, la costa francese del mediterraneo, dove il tasso arrivava forse al 30-40% (è ancora la percentuale fornita dai censimenti e dalle inchieste durante l'Impero); l'Inghilterra raggiungerebbe il 30%, la Francia dell'ancien régime il 16-18%.
Al di qua di questa urbanizzazione, ineguale per densità a seconda dei Paesi e delle civiltà, si situava una miriade di piccole città di qualche migliaio di abitanti. Sullo sfondo si staccavano le città più famose, l'importanza di ciascuna delle quali era decisamente superiore al tasso di urbanizzazione.
Era il caso in particolare delle grandi città dell'Asia, quasi un mondo giustapposto a quello delle campagne e degli itinerari. All'inizio del 1700, Istanbul poteva arrivare a 700 mila abitanti, Pechino ad alcuni milioni, Tokio forse a 4 milioni all'interno di un paese in corso di rapida urbanizzazione fin dal XVII secolo.
In Occidente, le dimensioni del fenomeno erano minori: città capitali di Stati nazionali come Londra e Parigi si staccavano dalle altre, la prima con 86 mila abitanti, la seconda con 690 mila alla vigilia della rivoluzione. Le piazze commerciali più o meno prestigiose, che erano sede di attività politica legata all'esistenza di uno Stato sviluppato, arrivavano nel migliore dei casi a 100 o 200 mila abitanti. (Enciclopedia, p. 10-11)
In sintesi, la consistenza relativa della popolazione urbana non poteva superare una data proporzione della popolazione totale (il 20-25%), e le città non potevano superare determinate dimensioni dal punto di vista demografico. Questi due limiti erano, infatti, essenzialmente la conseguenza diretta della consistenza relativa dell'eccedente agricolo.
La percentuale era incostante, legata com'era alle fasi cicliche di ascesa e crollo della popolazione. La città preindustriale aveva bisogno di riserve cui attingere per compensare l'eccessiva mortalità dell'epoca. La città era la prima in genere a subire gli effetti delle crisi alimentari e delle epidemie; in seguito si svuotava, seguendo il ritmo delle grandi fluttuazioni demografiche delle campagne, per poi tornare a ripopolarsi. Non c'è bisogno di ricordare i continui appelli che le città mediterranee rivolgevano regolarmente alle zone montane per reclutare forza-lavoro. In Inghilterra, anche la città di Nottingham, nella prima metà del XVIII secolo, sarebbe decaduta senza questa migrazione.
Erano dunque necessarie due condizioni, affinché la popolazione urbana "decollasse" veramente: riserve di immigranti dovute a una situazione demografica generale più favorevole e la possibilità di cumulare questi e altri fattori. Tuttavia, i presupposti per lo sviluppo di un'autentica società urbana non si esaurivano qui.
Doveva anche esistere la scrittura, perché fosse possibile l'organizzazione di grandi città e il loro approvvigionamento da parte della campagna, e doveva esistere una metallurgia, che consentiva un'attrezzatura più perfezionata, capace di favorire l'aumento della produttività agricola e artigianale. E se l'agricoltura aveva reso possibile la nascita della città e ne aveva condizionato l'evoluzione, la città era a sua volta essenziale per consentire e, soprattutto, facilitare la conservazione e il perfezionamento delle innovazioni tecniche. (Enciclopedia, p. 87)
In altre parole, solo la mentalità cittadina favoriva, per amore o per forza, lo sviluppo delle manifatture necessarie per la produzione, appunto, agricola e artigianale. In teoria gli antichi Imperi, romano, cinese, indiano, islamico, avevano le potenzialità per anticipare la rivoluzione industriale. In teoria, perché in pratica non se ne fece nulla.
Solo nell'Inghilterra moderna erano esistite le basi per l'industrializzazione di massa: le vaste recinzioni di terreni (enclosures), la conseguente urbanizzazione forzosa delle masse contadine, un ceto nobiliare e borghese che originava il potere dal diritto di proprietà e non dalla rendita parassitaria, uno spirito imprenditoriale legato al rischio e aperto alle novità scientifiche…
Proprio in Inghilterra, e poi in tutta l'Europa occidentale, il panorama mutò radicalmente: si verificò un processo irreversibile chiamato "rivoluzione demografica". Il prolungarsi della speranza di vita e la volontaria riduzione della fecondità erano logicamente collegati allo spostamento della massa della popolazione verso la città, alla sua integrazione in una civiltà urbana.
L'analisi demografica mostra chiaramente che la città e l'industria produssero questo fitto intreccio di conseguenze; è invece più difficile seguire il mutamento dei comportamenti nel corso del tempo. Alla fine del XVIII secolo non era possibile descrivere, senza cadere in eccessi, una demografia urbana i cui caratteri fossero al tempo stesso coerenti e omogenei. Nella grande città britannica si mantenne, fino agli ultimi 30 anni dell'800, una forte fecondità popolare; unica in Francia, Parigi dava, fino al 1870 circa, l'esempio della sterilità, mentre la limitazione delle nascite era già da tempo praticata in certe campagne. (Enciclopedia, p. 16)
Parlando dell'Europa dell'Ottocento, abbiamo posto le giuste premesse per il prossimo paragrafo: tuffiamoci a capofitto nello studio del mondo capitalista!

Bibliografia:

Enciclopedia Einaudi '78, vol. 3.

Pasquarelli Gianni, Preistoria del potere, Rusconi '83.

Platone (a cura di Giuseppe Lozza), La Repubblica, Mondadori '90.

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