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Sovrappopolazione e sottosviluppo.

La Conferenza del Cairo

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Comandè Marco

Capitolo 1

Uno sguardo al passato

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d) Le origini della famiglia patriarcale: il Vicino Oriente antico

Nel Vicino Oriente antico (la sponda sud del Mediterraneo: i sumeri, la Mesopotamia, i babilonesi, gli egiziani…) la famiglia rappresentava un punto di riferimento fondamentale per l'individuo singolo, tale da assicurargli la stessa esistenza materiale e l'identità sociale tra i suoi simili.
Poche situazioni erano considerate più miserande di quella di chi era solo e separato dalla propria famiglia, come l'uomo in terra straniera, l'orfano, la vedova ormai scissa dalla famiglia paterna come da quella del marito. Di costoro mostrava di preoccuparsi il potere politico delle varie zone e delle varie epoche, in maniera singolarmente uniforme; era il re oppure la comunità intera (ad esempio in Israele) a salvaguardare i loro diritti, in mancanza della struttura funzionalmente preposta a tale tutela.
L'ideologia della necessità di una famiglia - e per converso l'elemento di asocialità determinato dalla mancanza di essa - non si esauriva tuttavia nei casi dell'assenza di un gruppo di parentela esistente in passato: essa si proiettava anche nel futuro, nei confronti di un proseguimento della stirpe considerato socialmente indispensabile. (Moscati, p. 180)
Il tipo di famiglia nel Vicino Oriente antico era essenzialmente patriarcale. Al vertice del gruppo stava la figura del padre, con diritti e doveri massimi nei confronti dei rimanenti membri. Da lui traevano discendenza i figli (patrilinearità); sua era, generalmente, la casa in cui il gruppo risiedeva (patrilocalità); suoi, infine, erano i possessi familiari per intero (beni immobili e mobili) nel mondo asiatico, mentre l'Egitto mostrava significativi casi di divisione dei beni all'interno dell'unione coniugale. (Moscati, p. 182)
È certo che il massimo esplicarsi del carattere patriarcale del gruppo familiare si otteneva quando il paterfamilias aveva, attorno a sé e sottoposti al proprio potere decisionale, non solo la moglie e i figli non sposati, ma anche quelli coniugati insieme alle proprie mogli e figli. Questo tipo di famiglia patriarcale è normalmente definita di tipo "esteso": essa poteva comprendere anche persone al di fuori della diretta cerchia familiare (servi o schiavi domestici), e poteva comportare la compresenza anche di quattro generazioni di parenti (a seconda della longevità del paterfamilias). (Moscati, p.190)
Socialmente, la famiglia estesa si configurava come un gruppo nel quale il singolo aveva individualità e responsabilità limitate: tutta la gerarchia dei rapporti familiari si inseriva nell'ambito del superiore potere del capofamiglia più anziano, risultandone inevitabilmente condizionato.
Ad esempio, il problema della crescita di fanciulli in un tipo di raggruppamento esteso era più che mai quello di un progressivo inserimento nella compagine lavorativa che corrispondeva a tutta la "casa", come ultimo anello della catena: il fanciullo si trovava pertanto sottoposto alle decisioni di tutti i membri del gruppo di discendenza patrilineare, e di tutto l'insieme delle donne in età più adulta. (Moscati, p. 190)
Al contrario, la vecchiaia si presentava con connotazioni di forte rispetto da parte degli elementi più giovani, che si trattasse dell'anzianità maschile o di quella femminile; nel raggruppamento esteso vi era la possibilità di un inserimento privo di traumi dell'elemento di età avanzata della famiglia, come fonte di ampia autorità sul gruppo intero (o, nel caso della moglie del paterfamilias, sul gruppo delle donne della casa). (Moscati, p. 191)
La famiglia estesa era sovente una forma di raggruppamento dominante in un mondo di villaggi rurali; ma era proprio qui, in questo settore sociale e geografico, che l'universo della famiglia si scontrava con le tendenze ad altro tipo di raggruppamento che emanavano, in ultima analisi, dal Palazzo e comunque dagli organismi socio-economici superiori dello stato a base urbana.
Rispetto a quest'ultima tipologia familiare ("nucleare"), il modo di raggruppamento esteso rappresentava un universo più tradizionale in vari sensi: più conservatore e più forte nel suo carattere patriarcale, ma al contempo fattore di maggiore coesione e di un più diffuso senso di appartenenza, da parte del singolo, ad un organismo socialmente operante. (Moscati, p. 191-192)
E' da ritenere che la vita dei grandi centri urbani, con la molteplicità di rapporti sociali incrociatisi a livello prevalentemente extrafamiliare (dai "vicini" ai "colleghi", dai gruppi di comune origine ai raggruppamenti per censo, ecc.) colpisse duramente la solidarietà e la coesione basata sulla parentela, sia tra i diversi nuclei, sia all'interno di un solo gruppo genitori-figli, sia nei rapporti tra gruppo padronale e gruppo servile. (Moscati, p. 193)
Il matrimonio vicino-orientale presentava caratteristiche eminentemente sociali; a differenza della semplice unione sessuale - considerata dal punto di vista della norma comunitaria solamente in caso di contrasto con quest'ultima - l'istituzione matrimoniale poteva coinvolgere materialmente, oltre ai diretti protagonisti, una serie assai ampia di persone chiamate ad assolvere diverse funzioni in occasione dell'evento specifico. Inoltre, la medesima istituzione coinvolgeva non solo la volontà dei protagonisti diretti (gli sposi), bensì la volontà del gruppo, sia essa limitata alle famiglie interessate oppure estesa a raggruppamenti più vasti di persone (tribù, villaggio, città, ecc.).
Proprio a causa di tale aspetto eminentemente "pubblico" dei procedimenti matrimoniali, la questione preliminare relativa a chi si potesse sposare appariva rivestire, nel Vicino Oriente antico, interesse di storia sociale; già fin dall'operazione di scelta del partner matrimoniale - che poteva essere, al minimo, di tipo privato e squisitamente mentale - si manifestavano norme di prescrizione e d'interdizione da parte del gruppo (familiare o comunitario), che potevano venire ordinate e ascritte alle regole più generali di convivenza di insiemi di persone nelle diverse zone ed epoche. (Moscati, p. 194)
Si può affermare che non esisteva in alcuna zona del Vicino Oriente antico una normativa applicabile senza eccezioni sulla necessità di contrarre un solo matrimonio; né tanto meno una normativa consimile sulla necessità di avere relazioni sessuali con una donna sola. Sembra oggi legittimo invocare la disponibilità economica dei vari gruppi familiari come limite relativo alla poligamia. (Moscati, p. 198)
Il concetto vicino-orientale di "buona moglie", pur nelle numerose variazioni che esso presentava da zona a zona e da periodo a periodo, era per solito maggiormente legato alla fedeltà, al rispetto fondamentale delle attività e decisioni del marito e alla prolificità che non ad aspetti di carattere economico-pratico.
Al contrario, una lunga lista di imputazioni poteva venire sollevata contro la "cattiva moglie": imputazioni a volte di tipo generico, a volte tali da condurre prontamente ad una dissoluzione del matrimonio da parte dell'uomo. L'adulterio era punibile anche con la morte; capitava, in numerosi casi, che fosse l'uomo a farsi giustizia da solo, trucidando i colpevoli.
Il marito, invece, poteva in pratica intrattenere ogni tipo di relazione extra-coniugale, a condizione che non ledesse i diritti di un altro marito. (Moscati, p. 221 ss.)

Bibliografia:

Moscati Sabatino, L'alba della civiltà, Vol. I, UTET '76.

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