Guglielmo VIII

a cura di ALDO A. SETTIA


Scheda pubblicata in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. LX, Roma 2003.
La presente scheda è stata inserita grazie alla autorizzazione rilasciata dall'ISTITUTO DELLA ENCICLOPEDIA ITALIANA fondata da Giovanni Treccani [Prot. 495/04/DE del 19 novembre 2004] che si ringrazia per la disponibilità.


Secondogenito di Giangiacomo Paleologo, marchese di Monferrato, e di Giovanna di Savoia, sorella del duca Amedeo VIII, nacque il 19 luglio 1420 (Gabotto, 1903).


Nel settembre 1425, inviato dal padre a raccogliere l'eredità dei ducato di Bar, fu trattenuto a Thonon per ben due anni (1425-26) dallo zio Amedeo VIII, così gli fu impedito di raggiungere la sua destinazione Oltralpe, facendo sfumare un'eredità che poteva riuscire scomoda per i Savoia. Tale atto di prepotenza mascherato di cortesia ben si inquadra nella politica condotta in quegli anni da Amedeo, in collusione col duca di Milano Filippo Maria Visconti, a danno del Marchesato di Monferrato di cui i due intendevano dividersi le terre. La manovra culminò nel gennaio dei 1435, quando i Savoia imposero a Giangiacomo e a Giovanni, suo primogenito, la perpetua soggezione feudale che anche G., appena quindicenne, dovette ratificare con i fratelli giurandone l'osservanza per il futuro.


Assecondando il suo interesse per il mestiere delle armi, G. nell'aprile 1438 seguì a Napoli il cugino Renato d'Angiò nel tentativo di entrare in possesso del Regno di Sicilia e ne condivise le vicende. Nell'agosto 1440 egli figura al primo posto fra i componenti il Gran Consiglio del Regno come cugino del re; ebbe così modo di fare il suo tirocinio di comando nella valorosa difesa di Napoli contro Alfonso di Aragona. Nel giugno del 1442 Renato fu costretto a rinunciare all'impresa e G. lo seguì a Firenze, dove fu con lui ospite di papa Eugenio IV, rientrando in seguito in Monferrato.
Nel gennaio del 1445 era con una propria compagnia di ventura al servizio di Filippo Maria Visconti; nel luglio del 1446 fu uno dei comandanti delle forze ducali impegnate nel Bolognese a presidio della zona di Castelfranco Emilia e San Giovanni in Persiceto, con Carlo Gonzaga, altro condottiero visconteo.


La convivenza fra i due si rivelò ben presto impossibile: dopo reciproci affronti G. passò al servizio dei Veneziani e dei Bolognesi e, per nuocere al suo avversario, nella notte tra il 5 e il 6 luglio permise l'ingresso delle forze nemiche nei luoghi presidiati da Gonzaga, il quale si salvò a stento rifugiandosi in Modena. Si rivalse il 6 settembre mettendo a sacco i luoghi monferrini di Cerro, Valmacca e Frassineto, costretti a riscattarsi per 4000 ducati. G. intanto, militando per Venezia, contribuì il 28 sett. 1446 alla sconfitta dei Viscontei a Casalmaggiore. Su richiesta dei re di Francia il 20 dicembre Visconti gli concesse il perdono.


Venuto questi a morte, il 15 giugno G. passò al servizio della Repubblica Ambrosiana, con Francesco Sforza, che mirava a impadronirsi di Milano. Il 14 sett. 1448 fu uno dei protagonisti della vittoria sui Veneziani a Caravaggio e il 1° novembre sottoscrisse un accordo per il quale accettò di combattere per lo Sforza in cambio della città di Alessandria, del suo territorio e di tutti gli altri luoghi appartenuti in passato ai marchesi di Monferrato di cui egli si fosse impadronito. Un anno dopo Alessandria si sottopose al suo dominio, ma il 1° maggio 1449, mentre G. era a Pavia per fare visita - si dice - a Bianca Maria Visconti, moglie dello Sforza, questi lo fece arrestare e lo tenne prigioniero in quel castello sino al 26 maggio 1450. Per riottenere la libertà fu costretto a recarsi a Lodi e a sottoscrivere, in presenza dello Sforza, un documento con il quale rinunciava al dominio di Alessandria e a fare guerra contro di lui per almeno sei mesi. Il 7 giugno successivo, appena ritornato nelle sue terre, a Trino fece mettere per iscritto una solenne protesta contro il trattamento ricevuto, disconoscendo i patti che era stato obbligato ad accettare.


Dopo aver tenuto in esercizio gli uomini della sua compagnia impegnandoli nel Canavese contro i contadini ribelli ai conti di Valperga, ben presto G. aderì, insieme con il marchese Giovanni IV, suo fratello, alla nuova lega che nel 1451 si era venuta formando contro lo Sforza, ormai al potere in Milano. Egli attaccò nell'Alessandrino e spinse i suoi saccheggi sino al Tortonese e alla Lomellina assediando Cassine dove nel luglio fu sorpreso e sconfitto da Corrado Sforza. Reagì costringendo il nemico a chiudersi in Alessandria e agì su Giovanni Della Noce, altro condottiero sforzesco, per indurlo a consegnargli la città, ma il complotto venne scoperto e Della Noce impiccato.


Nella previsione di una nuova guerra contro Milano G. il 9 apr. 1452 passò al servizio di Venezia, ma i Monferrato furono indotti l'8 luglio a rimettersi all'arbitrato dei re di Francia, pur non desistendo dal favorire le forze della lega antisforzesca. Con il fratello Bonifacio riconquistò nell'Alessandrino numerosi luoghi mettendo in fuga a Quargnento lo stesso Bartolomeo Colleoni; questi e Corrado Sforza si rivalsero entrando per tradimento in Borgo San Martino. Nel 1453 l'intervento di Renato d'Angiò, delegato dal re di Francia, ottenne infine la riconciliazione tra Sforza e Monferrato, ma la pace di Lodi (9 apr. 1454) pose a questi ultimi condizioni molto dure: essi dovevano rinunciare ad Alessandria e al suo territorio accontentandosi di Felizzano e Cassine concessi in feudo dallo Sforza. G. si recò personalmente in Francia per protestare contro la sentenza, ma, non avendo ottenuto soddisfazione, scelse infine di adattarsi alla situazione e di riaccostarsi allo Sforza: nell'ottobre del 1454 egli figura a sua disposizione con 200 cavalli.


Sotto l'impressione prodotta in Occidente dalla caduta di Costantinopoli (1453) G. e i fratelli furono sollecitati da papa e imperatore a partecipare a una crociata contro i Turchi, ma, presi dalle preoccupazioni del momento, non aderirono all'invito. In questo periodo Sara, figlia naturale di G., sposò Niccolò Piccinino.


Con la morte del fratello marchese Giovanni IV, avvenuta il 19 genn. 1464, G. gli subentrò nel governo dei Marchesato. In maggio l'imperatore Federico III confermò a G. privilegi imperiali comprendendovi anche le terre di cui i Monferrato erano stati privati dai Savoia nel 1435.


Provvide intanto a maritare Lucrezia, altra figlia naturale, a Bartolomeo Del Carretto e, preoccupato di non avere discendenza maschile, nell'ottobre 1465 si sposò ad Alba con Maria di Foix, che gli portò in dote 40.000 scudi. Conservò intanto il suo posto di condottiero al soldo del duca di Milano, del quale si studiò di coltivare l'amicizia e, quando (il 10 marzo 1466) Francesco Sforza morì, offrì la sua protezione alla vedova e al figlio Galeazzo Maria. Il 25 febbr. 1467 strinse con essi una lega contro i Savoia, ai quali rifiutò l'omaggio dovuto in base ai trattati dei 1435. L'anno seguente G., rispondendo a scorrerie di confine, si impadronì nell'ottobre di Balzola, Ronsecco e Gassino, ma in seguito alla pace, firmata il 14 novembre tra Savoia e Sforza, fu costretto a restituire le terre conquistate ottenendo la sola Balzola. Da Federico III, con il quale conservava ottimi rapporti, ricevette nel 1469 nuovi diplomi di conferma.
In seguito alla morte di Maria di Foix, dalla quale era nata la figlia Giovanna, nel 1468, per propiziare la nascita di un erede maschio, fece voto di costruire in Casale una chiesa dedicata a S. Domenico e il 18 luglio 1469, ormai quarantanovenne, si risposò ad Abbiategrasso con la tredicenne Elisabetta Maria, figlia di Francesco Sforza, che gli portò in dote 100.000 fiorini garantiti sui redditi di Alba, San Damiano Nizza e Mombaruzzo. Dal matrimonio nacque l'anno dopo un'altra femmina, Bianca Maria (futura moglie di Carlo di Savoia), ma il 1° sett. 1472 morì anche Elisabetta.
Vedovo per la seconda volta, chiese in moglie una figlia di Amedeo IX di Savoia alla vedova di questi, Iolanda di Francia, che reggeva allora il Ducato, ma ne ebbe risposta negativa. In quell'anno fu posta la prima pietra della chiesa di S. Domenico, una delle numerose iniziative edilizie intraprese per dare nuova dignità al borgo di Casale, che, con l'appoggio dello Sforza e del fratello Teodoro, divenuto cardinale, venne elevata a sede di diocesi da papa Sisto IV l'11 maggio 1474.

Nel settembre si sposò per la terza volta con la francese Bernarda di Brosse. Intanto il contratto di condotta con lo Sforza era stato periodicamente rinnovato con l'assegnazione, nel 1472, di uno stipendio di 12.000 ducati in tempo di pace elevabili in tempo di guerra a 50.000. Negli anni 1472-74 G. figura nell'organico dell'esercito ducale al comando di 3000 cavalli; nel gennaio del 1473 gli fu chiesto di esprimere per scritto il suo parere su un piano di guerra preparato contro i Veneziani, e il 1° genn. 1475 ricevette la nomina a capitano generale con la provvigione di 5000 ducati.


Caduto il 26 dic. 1476 Galeazzo Maria Sforza sotto i pugnali dei congiurati milanesi, G. esercitò un'azione equilibratrice durante la reggenza della duchessa intervenendo nel 1477 presso il condottiero ribelle Roberto Sanseverino rifugiatosi in Asti, e rimase nel contempo in buoni rapporti con i Savoia. Negli anni immediatamente seguenti fu in corrispondenza con Lorenzo de' Medici, uscito indenne dalla congiura dei Pazzi, e con papa Sisto IV per la questione turca. Nel giugno del 1478 si parla di lui come uomo in grado di assumere il comando unificato di tutti gli eserciti della lega in caso di guerra contro il papa. I Milanesi, in quegli anni di ristrettezze, gli fecero spesso sospirare il pagamento dello stipendio pattuito.
Nel dicembre 1479, disperando ormai di avere discendenza maschile, maritò la figlia Giovanna a Ludovico di Saluzzo col patto (che poi non ebbe effetto) di succedergli nel Marchesato in mancanza di figli maschi. In quell'anno, chiamato a intervenire con la sua compagnia contro i Veneziani, temporeggiò a lungo dicendosi malato, ma non è chiaro se lo fosse davvero. Nel 1481 inviò in sua vece contro i Rossi di Parma il genero Ludovico di Saluzzo, segno evidente che la sua salute era ormai realmente minata.
Morì a Casale Monferrato il 27 febbr. 1484, mentre si preparava a intervenire nella guerra di Ferrara; fu sepolto in S. Francesco di Casale e il governo del Marchesato passò al fratello Bonifacio III.


G. viene giudicato dal cronista Galeotto Dei Carretto " signor virtuoso et de sottile et perspicace ingegno e de grand'animo ", nonché " eloquentissimo et de grande prudentia fra tutti gli principi ". Particolarmente positivo il giudizio sulle sue qualità di condottiero espresso da Francesco Sforza, che gli riconosce tutte le virtù desiderabili in un buon capitano, qualità in parte confermate nel 1478 da un ambasciatore dei Del Carretto che ne loda la "prudentia e integrità" nonché " la longa experientia dei mesterio de le arme". Elogi evidentemente non del tutto immeritati dal momento che i duchi di Milano lo ebbero per tanti anni al loro servizio.
Altri meriti si guadagnò nel governo del Marchesato poiché non solo lo liberò dagli oppressivi obblighi assunti da suo padre verso i Savoia, ma con un'accorta politica di equilibrio seppe assicurare anni di pace, che egli dedicò al ripristino della sicurezza con il restauro di mura e fortificazioni e l'allestimento di moderne artiglierie; i suoi provvedimenti consentirono inoltre un aumento delle entrate per molte migliaia di ducati. Molte cure dedicò al borgo di Casale, divenuto definitivamente capitale del Marchesato, elevandolo al rango di città dopo importanti interventi di miglioramento urbanistico. Fuori città il suo interessamento si estese al santuario di S. Maria di Crea, ricostruito e affidato ai canonici lateranensi. Né si trattò di una devozione formale poiché volle che alla sua corte dominasse una forte religiosità, di cui diede l'esempio col comportamento.
In gioventù era stato forse verseggiatore; divenuto marchese radunò a Casale poeti e umanisti quali Giovanni Mario Filelfo, Paolo Spinosa, Piattino Piatti e Ubertino Clerico. Grazie al mecenatismo di G., quest'ultimo, proveniente da Pavia, nel 1480 professò a Casale l'arte oratoria. Il novarese Martino Nibbia, autore di un commento a Dante, fu per 27 anni al suo servizio come oratore; tra i suoi medici furono Pantaleone da Confienza e Baverio Maghinardo de Bonetti. Si dilettò di astrologia e introdusse la stampa a Casale. Tra le altre riforme amministrative creò l'organo giudiziario del Senato di Monferrato. Si conoscono 11 monete coniate dalla Zecca di Casale sotto il suo governo. L'immagine di G., accompagnato dai familiari e dai dignitari di corte, rimane dipinta o scolpita in S. Maria di Crea, in S. Domenico di Casale e in alcuni corali della curia vescovile.


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