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Nacque intorno al 1240 dal marchese di Monferrato Bonifacio II e da Margherita
di Savoia, poco dopo la sorella Alasina, poi moglie di Alberto di Brunswick.
È leggendaria la notizia riferita da Matteo Paris che
G., per la ribellione di suo padre a Federico II, sarebbe stato preso in ostaggio
dagli Hohenstaufen nel 1250 per farne scambio con re Enzo allora prigioniero
a Bologna.
Bonifacio, nel testamento redatto il 12 giugno 1253, nominava erede G. ponendolo
sotto la tutela della madre, alla quale affiancava il conte di Savoia Tommaso,
suo fratello, il delfino di Vienne, Giacomo Del Carretto, Giorgio ed Emanuele
di Ceva e lo zio naturale Bastardino di Monferrato, affidando inoltre terre
e vassalli alla protezione dei Comuni di Pavia e di Asti.
Il primo atto ufficiale, compiuto da G. il 12 giugno 1254, fu il rinnovo dei
giuramento di fedeltà per i luoghi che i marchesi di Monferrato tenevano
in feudo dal vescovo di Ivrea, atto che ripeté, non appena uscito di
tutela, nel gennaio 1257.
Risentì dell'influenza sabauda il matrimonio concordato
il 28 marzo 1258 con Isabella, figlia del conte Riccardo di Gloucester, un
atto essenzialmente politico che legava G., insieme con i Savoia, alle aspirazioni
imperiali allora perseguite da Riccardo d'Inghilterra. G. era ormai arbitro
delle proprie decisioni quando, il 24 marzo 1260, concluse con il Comune di
Asti un'alleanza contro il conte di Provenza Carlo d'Angiò intenzionato
a estendere la sua egemonia in Piemonte. Per quanto appena ventenne G. doveva
già aver dato sufficiente dimostrazione dì capacità e
determinazione poiché il 27 settembre i fuorusciti alessandrini chiesero
il suo aiuto per rientrare in città promettendogli il titolo ereditario
di capitano e signore. Egli realizzò le loro aspettative e il 13 dicembre,
a cose fatte, nominava podestà in Alessandria lo zio Bastardino assumendosi
il compito di difendere il nuovo regime: era il suo primo esperimento di signoria
cittadina, indice di un'aspirazione al comando che impegnò il resto
della sua vita. Poco tempo dopo, però l'emissario in Lombardia di re
Manfredi di Sicilia ripristinò la vecchia organizzazione federiciana
e in essa Alessandria fu sottoposta al vicario regio " a Papia superius
".
Il 31 luglio 1261 G. strinse con lui e con Oberto Pelavicino
signore di Piacenza un'alleanza difensiva che fu sanzionata da un progetto
matrimoniale tra Manfredino, figlio di Oberto, e Margherita, figlia di G.,
nata nel 1259. L'accordo finì però a suo danno poiché
nella primavera 1262 Alessandria venne occupata a sorpresa dal vicario di
Manfredi ristabilendo il regime precedente; G. venne estromesso e, a causa
dei suoi legami con il Pelavicino, fu anche colpito da scomunica.
Per il momento egli non fu in condizioni di reagire e rivolse la sua attenzione
ad altri obiettivi di minore impegno: il 1° maggio 1262 ottenne per dedìzione
il dominio su Lanzo e il 24 nov. 1264 su Nizza Monferrato.
Nel frattempo assunse un atteggiamento sempre più favorevole a Carlo
d'Angiò, alla Chiesa e ai loro piani di egemonia in Italia ai quali
aderì formalmente nella primavera 1264 guadagnandosi così l'assoluzione
dalla scomunica. Per tutta risposta il Pelavicino devastò in giugno,
a più riprese, le terre di G., che reagì con grande prontezza
e occupò con la forza Acqui, Tortona e Novi. Verso la fine dell'anno
si recò in Provenza forse per concordare le modalità della prossima
discesa di Carlo in Italia.
Secondo i patti, i Provenzali mandarono in suo soccorso forze
sufficienti a consentirgli di sconfiggere nuovamente, nell'agosto 1265 presso
Nizza Monferrato, il vicario del Pelavicino; nell'autunno seguente l'esercito
angioino, diretto alla conquista del Regno di Sicilia, poté attraversare
indenne le terre di Guglielmo. D'altro canto il 13 marzo 1266 egli raggiunse
un accordo con Napoleone Della Torre che aveva allora il dominio di Milano,
Novara e Vercelli: ciascuno dei due si impegnava ad assistere l'altro entro
i limiti dei Po e della Dora Baltea e a non estendere le proprie conquiste
oltre tali fiumi. Il 18 giugno 1266 G. trovò però il modo di
sottomettere alla sua piena signoria Ivrea (benché questa si trovasse
oltre la Dora), ma, venuto in conflitto col vescovo, l'anno dopo ne fu allontanato
attirandosi inoltre una nuova scomunica dalla quale fu assolto solo all'inizio
dei 1268. Ogni tentativo di rientrare a Ivrea fu inutile; G. riuscì,
tuttavia, coi favore dei fuorusciti pavesi, a insignorirsi di Tortona dove
nominò podestà, ancora una volta, lo zio Bastardino.
La crescente invadenza di Carlo d'Angiò, divenuto re di Sicilia, nell'Italia
occidentale lo indusse, dal settembre 1270, ad aderire alla politica antiangioina
rappresentata dal re dei Romani Alfonso X di Castiglia che, proclamandosi
erede di Manfredi, manifestava la sua candidatura all'Impero con l'intenzione
di attrarre a sé gli oppositori di Carlo. Nella primavera 1271 G. prese
contatto a Viterbo, per conto dì Alfonso, con un gruppo di cardinali
ostili all'Angiò, fra i quali aveva assunto un ruolo preminente Uberto
di Cocconato, originario da località in parte soggetta a Guglielmo.
In quello stesso tempo fu progettato il matrimonio fra G., rimasto vedovo,
e Beatrice, figlia del re di Castiglia che, nel luglio di quell'anno, promise
di mettergli a disposizione aiuti militari per il conseguimento dei loro comuni
obiettivi. Nell'agosto G. si recò in Spagna, accompagnato da ambasciatori
di Pavia.
Le nozze con Beatrice furono celebrate in ottobre a Murcia
e in quella occasione si definì anche il matrimonio tra la figlia di
G., Margherita, e l'infante di Castiglia, Giovanni. Il 10 novembre Alfonso
nominò G. suo vicario per la Lombardia e in tale veste egli tornò
in Italia nel gennaio 1272: si assumeva così un compito arduo nel quale,
nonostante le promesse di Alfonso, non fu poi adeguatamente coadiuvato e dovette
sostenere da solo l'offensiva che Carlo d'Angiò ben presto scatenò
contro di lui.
Nella primavera 1272 il vicario angioino in Lombardia prese
Acqui e in luglio G. perdette anche Tortona; nell'aprile seguente gli Alessandrini
si impadronirono di San Salvatore Monferrato: solo in questo caso egli fu
in grado di recuperare prontamente il luogo perduto.
In luglio strinse accordi con Pavia e Asti, rimaste antiangioine, formando
una lega cui più tardi aderì anche Genova: così sarebbe
stato possibile passare alla riscossa con l'aiuto delle forze promesse da
Alfonso di Castiglia che però, premuto da problemi interni, rinunciò
nel luglio 1273 alle ambizioni imperiali lasciando il posto alla candidatura
di Rodolfo d'Asburgo. Nell'aprile 1274 sbarcarono finalmente a Genova alcune
centinaia di soldati spagnoli seguiti mesi dopo da un più forte contingente;
G. poté allora passare all'azione nonostante una nuova scomunica di
Gregorio X. Nel giugno 1274 espugnò Occimiano, ma cambiamenti sensibili
si ebbero solo l'anno dopo quando l'attività degli antiangioini indusse
Carlo a trattare con Asti, Genova e poi con G. stesso. Non è certo
che egli abbia partecipato alla battaglia di Roccavione dove il 10 novembre
gli Angioini furono pesantemente sconfitti.
Il 28 ott. 1275 Trino Vercellese, antico dominio dei marchesi
di Monferrato, si pose sotto la protezione di G. sottraendosi all'egemonia
vercellese; nella primavera 1276 ebbe in suo potere la città di Torino,
prima posseduta da Carlo; prendendone possesso egli urtava però la
suscettibilità dei Savoia che se ne consideravano i legittimi signori.
Nel maggio batté i Tortonesi e nei mesi seguenti fu sollecitato a intervenire
nelle lotte interne di Alessandria, Pavia, Milano, Vercelli e Ivrea senza
che ciò si traducesse, per il momento, in successi duraturi.
I positivi risultati della sconfitta angioina di Roccavione cominciarono a
manifestarsi per G. nell'ottobre del 1277 allorché fu nominato difensore
e tutore della Chiesa eporediese: è solo l'annuncio di quanto doveva
verificarsi nel 1278, anno che fu per lui trionfale. Nella primavera venne
a patti il Comune di Vercelli che lo accolse come signore e capitano di guerra
per dieci anni; il 2 maggio anche il Comune di Alessandria si risolse a trattare
per conferirgli la capitania della città (non ancora, come in precedenza,
la signoria); G. vi fece il suo ingresso e venti giorni dopo ottenne poteri
che gli consentivano di fatto di spadroneggiare a suo talento: fra le condizioni
vi era anche il ritorno di Acqui sotto il suo dominio. Il 6 maggio fu eletto
capitano per cinque anni a Tortona con l'obbligo di difendere, con il Comune,
anche il vescovo e le terre dei vescovado.
Il 3 luglio fu la volta degli abitanti di Casale Monferrato che lo nominarono
capitano per cinque anni avendo però cura di fissare in termini molto
precisi i limiti della sua autorità. Anche il Comune di Ivrea, imitando
quanto aveva già fatto il vescovo di quella città, si sottomise
a G. il 23 luglio senza stabilire per lui compiti specifici né limitare
la durata della sua peraltro blanda signoria. In quello stesso mese a Vercelli
un gruppo di Comuni nominò G. suo capitano di guerra per cinque anni
- fra essi erano Milano, Pavia, Vercelli, Novara, Asti, Alba, Alessandria,
Tortona, Torino, Genova, i fuorusciti di Brescia, Lodi, Cremona, Corno, Verona
e Mantova -: egli divenne così il capo militare di una lega imperiale
opposta a un'altra lega filoangioina comprendente Piacenza, Cremona, Parma,
Reggio, Modena, Bologna e Brescia. Il 31 di luglio, infine, G. fu investito
della capitania di Pavia.
Di lì a Milano il passo fu breve: la città, dopo la vittoria
di Desio (21 genn. 1277), era governata dall'arcivescovo Ottone Visconti,
ma sempre a rischio di un possibile ritorno in forze dei Torriani insediati
poco lontano, a Lodi e sulla linea dell'Adda. Il 16 ag. 1278 G. fu eletto
capitano e due giorni dopo entrò in città. Intanto sin da maggio
era stata avviata la pratica per ottenere da papa Niccolò III l'assoluzione
dalla scomunica che fu cancellata fra agosto e settembre con l'obbligo per
lui di schierarsi solo con l'imperatore riconosciuto dalla Chiesa. All'inizio
di settembre G. dava inizio nel Lodigiano alle operazioni contro i Torriani
ritirandosi però di fronte agli ingenti rinforzi loro pervenuti.
Fatto ritorno nel Marchesato, G. autorizzava il 20 nov. 1278
da Chivasso il concentramento degli abitanti destinati a costituire il nuovo
villaggio di Borgo San Martino e stabiliva che i fossati difensivi fossero
della stessa misura di quelli del vicino borgo di Occimiano lasciando così
intendere che anche quest'ultimo era nato per suo interessamento, probabilmente
dopo che il luogo, nel giugno 1274, era stato sottratto con la forza agli
Alessandrini. L'ipotesi è confermata dallo stesso piano urbanistico
a struttura regolare che caratterizza ancora oggi entrambi i centri, segno
che G. volle imitare sulle sue terre il modello dei numerosi borghi a impianto
preordinato fondati in precedenza dai Comuni di Vercelli e di Asti.
Pur senza aver ottenuto contro i Torriani i successi militari sperati (e forse
proprio per questo) G. percepì che l'occasione era favorevole per aspirare
alla signoria assoluta su Milano. L'accordo non fu facile: su invito del Visconti
(che in ottobre a Gorgonzola era sfuggito a un attacco dei Torriani) rientrò
in Milano il 4 dicembre con le sue truppe, e il 21 dicembre il Consiglio generale
del Comune lo nominò signore assoluto per dieci anni con pieni poteri,
a cominciare dal 1° genn. 1279. Per le necessità della difesa,
oltre e per attendere all'ordinaria amministrazione del Comune, egli soggiornò
in Miilano senza interruzione sino al luglio seguente, e fu in tale lasso
di tempo che nacque il figlio Giovanni.
Nel gennaio del 1279, dopo aver combattuto, ancora con scarsa
fortuna, i Torriani sull'Adda, offrì loro una tregua considerata dai
Visconti troppo benevola, ma che comunque, dopo lunghe trattative, fallì:
la ripresa della guerra vide nel luglio G. battuto e salvato solo per l'intervento
di Ottone Visconti. Egli continuò, quanto signore, a occuparsi della
politica intera dei Comune di Milano. Nel frattempo, scomparso il pericolo
angioino e cresciuta a dismisura la potenza di G., risorgevano nei suoi confronti
le diffidenze del Comune di Asti che cercò l'alleanza dei conte di
Savoia.
Lasciato il governo di Milano a un vicario, in Novembre G.
si trasferì ad Alessandria dove il 26 genn. 1280 si fece riconoscere
come signore dal Consiglio del popolo. Nella stessa data Pietro Aragona, che
preparava la conquista della Sicilia, gli scrisse chiedendogli di intercedere
in suo favore presso il suocero Alfonso di Castiglia. Nel maggio, affidato
il Marchesato a Tomaso di Saluzzo, si avviò verso la Spagna con la
moglie e la figlia, a suo tempo promessa all'infante di Castiglia. Il viaggio
si svolse regolarmente sino alla Provenza ma qui, mentre attraversava le terre
dei vescovo di Valence e di Die, fu da costui catturato, per conto di Tommaso
III Savoia, a Saint-Maurice de Rotherens.
L'8 giugno, appena la notizia giunse a Niccolò III,
questi fece pressione sul vescovo per ottenere il rilascio di G.; poco dopo
Filippo III Francia intervenne allo stesso scopo presso Tommaso di Savoia,
ma per essere liberato G. dovette sottostare a tutte le condizioni che gli
furono imposte: il 21 giugno promise la restituzione di Torino con la casa
forte che vi aveva costruito, il ponte sul Po con le relative fortificazioni
e i centri minori di Grugliasco e Collegno, dopo di che 30 cavalieri per ciascuna
delle due parti avrebbero giurato la pace; 6000 lire dovettero essere depositate
come pegno della rinuncia a ogni azione di vendetta contro il covo di Valence.
Solo nella prima metà di agosto, quando i patti avevano già
avuto esecuzione, G. fu liberato. Giunto, in ottobre, alla corte di Pietro
di Aragona, animato dalla volontà di rivalersi per l'affronto subito,
pianificò con lui una spartizione delle terre sabaude, ma il progetto
non ebbe poi effetto pratico.
All'inizio del 1281 fu celebrato a Burgos il matrimonio di Margherita con
Giovanni Castiglia e l'intervento di G. si rivelò decisivo nel determinare,
nel febbraio seguente, l'auspicata adesione di Alfonso alla causa aragonese
ottenendo per sé la promessa di nuovi aiuti militari. La riuscita della
missione fu però turbata dalla sopravvenuta morte della moglie Beatrice.
Su una nave genovese G. approdò a Genova il 16 luglio
seguito da un contingente di soldati castigliani; sostò in quella città
a spese dei Comune e ivi contrasse un prestito che fu estinto sei mesi dopo:
il mantenimento di un esercito e di una corte adeguata, nonché la necessità
di frequenti viaggi, provocavano un continuo bisogno di denaro che non era
sempre facile soddisfare. Nel settembre G. dovette intervenire per ristabilire
la pace in Vercelli e quindi tornò a combattere a Lodi contro i Torriani
senza troppo successo. Il 22 luglio i suoi domini si accrebbero con la dedizione
del borgo di Biandrate che lo dichiarò vicario, podestà e signore.
Continuava intanto l'attività amministrativa condotta a Milano in nome
di G., definito nei documenti "dominus civitatis et districtus Mediolani
"; di essa sono rimaste testimonianze del luglio 1280 e poi dei luglio,
novembre e dicembre dei 1281. Né i suoi domini cessarono di crescere:
nel marzo 1282 egli fu infatti proclamato capitano per dieci anni a Corno.
In giugno iniziò una campagna contro Cremona in cui cercò prudentemente
di évitare ogni scontro; anche quella guerra fu occasione di nuovi
ingrandimenti poiché la sua signoria si estese su Crema e Soncino.
A Milano andava però maturando il dissidio con Ottone Visconti ormai
desideroso di ristabilire il suo prestigio: il 25 agosto egli trattò
direttamente la pace con Cremona, Piacenza e Brescia in lesione dei diritti
che sarebbero spettati a G. come signore. D'altra parte questi fu impegnato
in settembre per sedare nuovi sanguinosi contrasti scoppiati tra le fazioni
alessandrine dei Lanzavecchia e dei Dal Pozzo; passò in seguito a Vercelli
e, appunto mentre si trovava in questa città, il 27 dicembre Ottone
Visconti destituì il podestà eletto in Milano da G. e diffidò
quest'ultimo dal mettervi ancora piede; G. non ebbe per il momento modo di
reagire alla brusca esautorazione.
Quasi a parziale compenso della perdita subita gli venne offerta
il 26 genn. 1283 la signoria ereditaria su Alba e sul suo territorio, ma l'anno
appena iniziato si annunciava burrascoso, da un lato per la crescente ostilità
mostratagli da Asti e dal conte di Savoia, dall'altro per i contraccolpi dei
fatti milanesi che mettevano in pericolo la sua signoria su Vercelli, Alessandria,
Tortona e Corno. Lasciando da parte quest'ultima città, G. combatté
nel gennaio 1284 per ritogliere il castello di Mongrando ai fuorusciti vercellesi
e per impadronirsi di Pontecurone divenuto rifugio dei dissidenti alessandrini;
attaccò poi Tortona che venne però difesa dai Viscontei ormai
schierati contro di lui, e per far loro fronte dovette quindi cercare l'alleanza
dei Torriani.
Nel giugno di quell'anno accompagnò personalmente a
Finalmarina la figlia undicenne Violante diretta a Costantinopoli per sposare
l'imperatore Andronico Il Paleologo: portava in dote i diritti ancora vantati
dagli Aleramici sul Regno di Tessaglia, in cambio della promessa di aiuti
in uomini e in denaro.
Accordatosi con i fuorusciti di Tortona capeggiati dalla famiglia
Montemerlo, il 30 Ottobre entrò in città di sorpresa uccidendo
e incarcerando gli avversari. Lo stesso vescovo Melchiorre Bussetti, arrestato,
ammise la sua complicità nella ribellione e il 9 novembre fu condotto
nel contado perché inducesse alla resa gli ostinati difensori dei castelli
vescovili; ma della scorta faceva parte il suo nemico personale Negro di Montemerlo
che approfittò della circostanza per colpire a morte il vescovo. G.
si affrettò a separare la sua responsabilità da quel grave fatto
di sangue, ne fece arrestare gli autori e ordinò per l'ucciso solenni
funerali cui partecipò portando egli stesso il feretro. Naturalmente
l'avvenimento fu sfruttato dai suoi avversari: egli venne chiamato a Roma
per discolparsi di fronte al papa, ma ne fu poi esentato per le difficoltà
politiche in cui si trovava. Provata la sua estraneità al delitto,
tuttavia scontò la colpa di aver imprigionato il vescovo sottoponendosi
a numerosi atti di penitenza.
Stabilita il 10 genn. 1285 una tregua col conte di Savoia sempre
minaccioso, G. nel febbraio era ad Alba, in aprile conquistò Borgo
San Dalmazzo con Tommaso di Saluzzo; solo il Ticino in piena gli impedì
poi di portare aiuto ai Torriani e ai Comaschi. Il 25 ottobre ristabilì
la pace a Vercelli e vi riaffermò la sua signoria. Il 1286 fu un anno
di tregua: il 3 aprile il Comune di Milano si impegnò a pagargli lo
stipendio arretrato e gli permise il passaggio verso Corno a patto che non
pernottasse sul territorio milanese. Nell'agosto ricevette in enfiteusi dal
monastero di S. Mauro i diritti che questo ancora possedeva in valle di Lanzo
allargando così il potere della sua casa in quella zona. Solo verso
la fine dell'anno, e poi nei corso del successivo, gli avversari di G. si
rafforzarono ricevendo l'adesione dei conte di Savoia e di Genova: l'accerchiamento
dei suoi domini fu cosi quasi completo. Con un nuovo capovolgimento di alleanze
egli cercò allora un appoggio esterno con il progetto di matrimonio
- stabilito prima dei 26 sett. 1289 - tra il figlio Giovanni, allora undicenne,
e Bianca, figlia di Carlo II d'Angiò; piano non malvisto da papa Niccolò
IV che concesse la necessaria dispensa.
Fu G. stesso a fare la prima mossa contro i suoi avversari:
intromettendosi nelle lotte intestine tra le fazioni, riuscì a rientrare
nel giugno 1289 in Pavia, dove fu nominato capitano generale per 10 anni e
poi - su proposta di Marifredo Beccaria - signore assoluto ed ereditario.
Nel frattempo tramava segretamente per rimettere piede anche in Milano con
la complicità dell'abate di S. Celso Bonifacio della Pusterla, ma il
complotto fallì. I Milanesi risposero attaccando senza successo Pavia
dove però Manfredo Beccaria passò nel campo avversario. G. assediò
quindi il suo castello di Montù, nell'Oltrepò, ma i Piacentini
intervenuti lo respinsero. Nel novembre anche Asti entrò nella già
forte lega antimarchionale,
Dopo una scorreria condotta nel gennaio del 1290 in territorio piacentino,
G. saccheggiò ripetutamente, in marzo e in maggio, l'Astigiano presto
soccorso dal conte di Savoia. Nei mesi seguenti dovette quindi operare su
due fronti rivolgendosi alternativamente contro gli Astigiani e i Sabaudi,
che devastavano a loro volta il Monferrato e l'Alessandrino, e contro i Piacentini
e loro alleati che minacciavano da vicino Pavia, respingendo gli attacchi
degli uni e degli altri. Mentre combatteva in territorio milanese in difesa
di Pavia una fazione del borgo di Vignale, corrotta dagli Astigiani con l'esborso
di 10.000 fiorini d'oro, uccise il castellano monferrino che governava il
luogo e il 20 agosto lo sottomise agli Astigiani i quali si impadronirono
del grandioso padiglione marchionale ivi conservato asportandolo come trofeo
di grande valore simbolico.
Poco dopo in Alessandria gli Astigiani corruppero la popolazione con la promessa
di 85.000 fiorini d'oro e la predisposero a sollevarsi contro il marchese.
Le fonti che ricordano l'episodio non sono sempre concordi riguardo alla cronologia
e allo svolgimento dei fatti, ma sarà certo da accettare quanto riferiscono
le cronache più vicine nel tempo e nello spazio: avuto sentore della
trama contro di lui, G. si presentò alle porte di Alessandria il io
settembre per chiederne conto, i cittadini lo avrebbero rassicurato covincendolo
a entrare in città accompagnato solo da una modesta scorta. Fu facile
allora catturarlo. G. fu poi rinchiuso in una gabbia di legno dove fu costretto
a passare il resto dei suoi giorni.
Della vasta compagine di città soggette al suo dominio
gli rimasero fedeli solo i Comuni di Ivrea, Acqui e Casale, nonché
i consanguinei conti di Biandrate e i marchesi di Saluzzo. Le terre dei Marchesato,
pur difese dai suoi sudditi, subirono l'attacco dei Comuni di Alessandria
e di Asti, di Matteo Visconti e del conte di Savoia. L'erede Giovanni fu inviato
per sicurezza nel Marchesato di Saluzzo e poi presso Carlo II d'Angiò
in Provenza.
G. morì dopo un anno e circa cinque mesi di prigionia in Alessandria
il 6 febbr. 1292 forse per il dolore e l'avvilimento.
Il suo corpo, restituito ai sudditi, fu tumulaio nell'abbazia
cistercense di S. Maria di Lucedio dove era già sepolto il padre: l'obituario
lo ricorda come " fundator huius monasterii ", appartenente cioè
alla famiglia dei fondatori.
Nonostante la frenetica attività cui G. era costretto dai molteplici
impegni politici e militari, non trascurò le terre del suo Marchesato:
si adoperò, per esempio, nel 1287 per la definizione dei confini fra
le Comunità di Gassino e di Castiglione Torinese; e nel 1282, mentre
si trovava in Pavia, nominò i castellani di Vignale. Non particolarmente
intenso fu invece, per quanto ne sappiamo, il suo interesse per le fondazioni
religiose anche se dal 1256 al 1287 sono attestati suoi interventi in favore
dei due monasteri di famiglia: le monache di S. Maria di Rocca delle Donne
e i cistercensi di S. Maria di Lucedio; si conosce inoltre una salvaguardia
concessa ai cistercensi di S. Maria di Casanova, presso Carmagnola, cui si
aggiunge la conferma dei privilegi e delle donazioni fatte dal padre e dall'avo
al monastero femminile di S. Maria di Brione, presso Torino.
Il cronista alessandrino G.A. Claro, scrivendo circa due secoli
dopo i fatti, riteneva che i suoi concittadini non avessero agito saggiamente
nei confronti di G. perché "il marchesato di Monferrato è
dignità naturale che non può in alcun modo venire meno ",
e i discendenti non avrebbero dimenticato l'offesa subita. G., peraltro, non
aveva affatto inteso allargare il Marchesato includendovi le città
sottoposte al suo dominio, ma si era sforzato di dare forma a un governo forte
e stabile che superasse le lotte di fazione da cui erano allora dilaniati
i Comuni cittadini; e se la costruzione, da lui messa in piedi con accorgimenti
politici e attività di uomo di guerra, ebbe fondamenta troppo malferme
per reggere a lungo, offrì comunque un modello che fu imitato dai signori
successivi. I suoi rapporti con Manfredi, con Carlo d'Angiò, Alfonso
di Castiglia e con Pietro d'Aragona gli assegnano comunque - come scrisse
A. Bozzola -" un posto cospicuo nella vita italiana del secolo XIII ".
FONTI E BIBL.:
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stor. italiano, s. 4, VIII (1881), p. 374; Cartario dell'abazia di
Casanova..., a cura di A. Tallone, Pinerolo 1903, doc. 453; Cartario
del monastero di S. Maria di Brione.... a cura di G. Sella, Pinerolo 1913,
doc. 60; O. Nicodemi, Gli antichi statuti di Borgo San Martino (Monferrato),
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di Monferrato, in Riv. di storia, arte, archeol. per le prov. di Alessandria
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di Monferrato e Carlo I d'Angiò, in Arch. stor. per le provincie
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G. Franceschini, La vita sociale e politica del Duecento, in Storia
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