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Figlio di Giangiacomo, marchese di Monferrato dal 1418, e di Giovanna di Savoia,
sorella del duca Amedeo VIII, nacque nel castello di Pontestura, presso Casale
Monferrato, il 24 giugno 1413, primo di quattro fratelli e due sorelle.
Nel terzo decennio del secolo, ancora adolescente, partecipò in prima
persona insieme con il padre, in quanto designato alla successione, ai drammatici
avvenimenti che misero a repentaglio la vita stessa dei Marchesato, stretto
fra i concentrici appetiti del potente duca di Milano Filippo Maria Visconti
e dello zio di G. (il machiavellico Amedeo VIII di Savoia), i quali perseguivano
entrambi una politica di espansione priva di scrupoli, in antagonismo, ma
nello stesso tempo in collusione, fra loro.
Quando il duca di Milano nel 1432 invase la parte occidentale
del Marchesato di Monferrato per rifarsi dei rovesci subiti in Lombardia a
opera dei Veneziani, Amedeo VIII offrì al cognato Giangiacomo la sua
interessata protezione inducendolo a sottoscrivere un trattato capestro che
metteva di fatto nelle sue mani quanto rimaneva delle terre marchionali. Il
31 genn. 1432, tra i pochi fidi che accompagnarono Giangiacomo alla corte
sabauda di Thonon era anche G., che fu dunque presente il 13 febbraio seguente
alla stipulazione di quel patto segreto.
Quando, il 2 maggio, il padre partì per mettersi sotto la protezione
veneziana, G. tornò a Chivasso, dove si era rifugiata la madre insieme
con i numerosi figli più giovani: la parte del Marchesato non occupata
dal Visconti era ormai passata nelle mani del capitano generale sabaudo residente
in Moncalvo; la marchesa e il commissario veneziano in Monferrato avevano
formalmente libertà d'azione ma nessuna autorità di fatto.
Con ingenuità che si può ascrivere all'ancor giovane età, G. credeva davvero di poter contare sull'aiuto dello zio per resistere contro i Viscontei; annunciò quindi che il padre era in viaggio verso Venezia e parlò apertamente del patto stipulato a Thonon provocando la diffidenza tanto dei Milanesi quanto dei Sabaudi, mentre il Monferrato occupato veniva scosso da numerose ribellioni antisabaude e i Viscontei continuavano a premere da Oriente. G. e la madre vennero invitati ad astenersi dal combattere e a sottoscrivere la fittizia pace stabilita a Ginevra sin dal 5 giugno, ma comunicata loro solo il 28, provocando da parte di G. una protesta scritta.
Nel febbraio
dell'anno successivo, mentre la marchesa rifiutava di consegnare i registri
amministrativi richiesti dalle autorità sabaude di occupazione, G.
teneva informato il padre esule a Venezia del trattamento cui era sottoposto.
Quando, nell'aprile 1433, venne firmata le pace di Ferrara, con la solita
ingenuità credette davvero che le traversie fossero finite e ordinò
alle Comunità del Marchesato processioni e fuochi di gioia. Cessate
le ostilità, il Visconti fu costretto a restituire le terre da lui
occupate
Giangiacomo ritornò dall'esilio veneziano, mentre permaneva la "protettrice"
occupazione sabauda di cui si prometteva, la rimozione solo mediante il pagamento
di un indennizzo di 300.000 fiorini e il rispetto dei patti stipulati a Thonon.
Al fine di avviare le pratiche Amedeo VIII già nel febbraio dei 1434
propose che G. lo raggiungesse a Chambéry, proposta che Giangiacomo
respinse adducendo lo scarso tempo a disposizione e il costo del viaggio,
ma in realtà per non concedere di fatto il figlio in ostaggio al cognato.
Nel maggio Amedeo rinnovò le sue ingiunzioni: il marchese e il figlio
erano invitati a presentarsi personalmente. Giangiacomo resistette ancora
alle pressioni e cercò, senza trovarne, appoggi politici. Infine, non
avendo altra scelta, il 21 nov. 1434 G., autorizzato a trattare in nome del
padre, fu inviato a Torino insieme con quattro diplomatici, molti cavalieri,
servi e 60 cavalli. Egli continuava a dare prova di non grande accortezza
politica: il 10 dicembre si recò ad Avigliana incontro a Ludovico,
figlio ed erede di Amedeo VIII inviato in Piemonte come luogotenente per condurre
in suo nome le trattative. I due tornarono insieme a Torino discorrendo evasivamente
di cacce e di falconi senza affrontare gli argomenti che scottavano.
Il 13 dicembre
G. venne ricevuto ufficialmente a palazzo e trattato con ogni riguardo. Fu
invitato a escursioni nei dintorni di Torino e ricevette doni che ricambiò,
ma le proposte avanzate dai diplomatici monferrini il 31 dicembre venero respinte
e si richiese imperiosamente le presenza di Giangiacomo mentre i sabaudi mobilitavano
truppe destinate a marciare, si disse, contro i Tizzoni, signori di Crescentino;
G. premurosamente si offrì di ospitarle nei suoi luoghi di Settimo
e di Chivasso senza comprendere che in realtà quelle forze erano dirette
contro di lui.
Capì meglio il 7 genn. 1435 allorché, dato il bando a ulteriori
cerimonie, egli venne arrestato e trattenuto come ostaggio mentre l'esercito
sabaudo occupava Settimo e assediava Chivasso. Giangiacomo chiese al presidio
di resistere a oltranza e ordinò: "Anche se nostro figlio fosse
condotto dinanzi alle mura, vogliamo che piuttosto di cedere Chivasso lo lasciate
uccidere, ne abbiamo degli altri" (Cognasso, 1918, pp. 414 s.), ma il
suo messaggio fu intercettato. Solo allora il marchese si decise a raggiungere
Torino e, insieme con il figlio, sottoscrisse il 24 gennaio i gravosi impegni
che gli erano imposti, soltanto lievemente attenuati per il benigno intervento
dei diplomatici viscontei: tutte le terre a sinistra del Po e a destra del
Tanaro furono cedute al duca di Savoia il quale le concesse in feudo a G.,
ma Chivasso e altre località canavesane furono definitivamente annesse
al Ducato sabaudo. Ci si preoccupò anche del futuro: il 2 febbraio,
prima di lasciare Torino, G. dovette promettere l'omaggio per eventuali futuri
acquisti territoriali in Lombardia a danno del duca di Milano.
Salvato a stento dalla completa rovina il Marchesato, né
G. né Giangiacomo mostrarono di sentire come una grave umiliazione
i patti iugulatori che i Savoia avevano fatto loro sottoscrivere. In quello
stesso sanno G. ricevette dal padre il titolo di signore di Trino (la più
importante località che era riuscito a conservare a destra del Po)
da trasmettere ai primogeniti destinati alla successione, e con tale titolo
G. sottoscrisse il 12 giugno successivo con Ludovico di Savoia un vero e proprio
patto di alleanza che prevedeva un circostanziato progetto di spartizione
della Lombardia alla morte di Filippo Maria Visconti, destinato naturalmente
a rimanere sulla carta.
Il 29 nov. 1440
G., secondo il convenuto, depose nelle mani di Ludovico - succeduto nel frattempo
ad Amedeo VIII nella dignità ducale - l'atto di aderenza per le terre
oltre Tanaro, e il 4 dicembre ricevette l'investitura per le terre cedute
cinque anni prima. Né l'atteggiamento di rispetto verso i Savoia subì
mutamenti dopo il 12 marzo 1445 allorché, alla morte dei padre, G.
gli succedette nel governo del Marchesato lasciando il titolo di signore di
Trino al fratello minore Guglielmo. Egli prestò anche allora il prescritto
omaggio a Ludovico, al quale donò inoltre il luogo di Diano d'Alba
riottenendolo subito in feudo.
Durante la guerra del Finale, combattuta fra Genova e Milano, G. si mantenne
estraneo alla lotta, pur favorendo il fuoruscitismo genovese sulle sue terre.
Per tutto il 1446 fu intento a dare disposizioni per il ripristino delle fortificazioni
nel Marchesato, attività in cui era assistito dal luogotenente generale
Ludovico di Saluzzo; a tale scopo fu costretto a richiedere nuovi contributi
in denaro ai sudditi che avevano già dato - egli ammetteva in una sua
lettera -"roba, figloli et moglere, et chi più la persona per
noy ect lo stato nostro" (Moriondo, I, col. 502).
Nel frattempo il fratello minore Guglielmo, divenuto condottiero
di ventura, si era messo in urto con il collega Carlo Gonzaga il quale, per
rivalersi, il 6 sett. 1446 saccheggiò inopinatamente le località
monferrìne di Cerro, Valmacca e Frassineto restituendole a G. soltanto
dietro il pagamento di un riscatto, episodio che rivela una volta di più
l'intrinseca debolezza di Giovanni IV.
L'anno dopo, la morte senza eredi di Filippo Maria Visconti scatenò in Italia una nuova ondata di guerre cui nemmeno G. poté esimersi dal partecipare, coltivando speranze di ingrandimento sui territori di Asti e di Alessandria; ma più di lui vi fu coinvolto in prima persona Guglielmo di Monferrato, il quale agiva ambiguamente ora come condottiero in proprio, ora anche per conto del marchese suo fratello, spesso messo in ombra dalla sua ingombrante presenza. Non è naturalmente possibile tenere dietro a tutta la mutevole serie di avvenimenti che allora si susseguirono: il 15 dic. 1447 G. aderì a una lega difensiva con Rainaldo di Dresnay, luogotenente in Italia di Carlo d'Orléans, che, rioccupata Asti, aspirava anch'egli alla successione milanese.
Il 1° nov. 1448, dal canto suo, Guglielmo si mise al servizio di Francesco Sforza con la promessa di avere Alessandria, il suo territorio e quanti altri luoghi, già soggetti in passato ai marchesi di Monferrato, egli sarebbe stato in grado di conquistare; si riservava nondimeno la facoltà di accorrere in aiuto del fratello se il Marchesato fosse stato minacciato.
L'ultima fase
della guerra del Finale vide G. schierato contro i Genovesi a fianco dello
Sforza, e fu per la sua mediazione che il 7 ag. 1451 le terre del Finale furono
restituite a Giovanni Del Carretto. I buoni rapporti tra i Monferrato e lo
Sforza vennero presto a guastarsi a causa del possesso di Alessandria.
La città aveva fatto atto di dedizione a Guglielmo di Monferrato il
10 genn. 1449, ma Francesco Sforza, ormai al potere in Milano, lo fece arrestare
con un pretesto e detenere per oltre un anno in Pavia, costringendolo così
a riscattarsi con la cessione della città.
Da quel momento G. e il fratello si volsero contro lo Sforza aderendo nel
1451 all'alleanza guidata da Venezia. Guglielmo tentò di riprendere
Alessandria ma invano, poiché gli fu contrapposto Bartolomeo Colleoni;
nel 1452, inoltre, venne giustiziato il condottiero sforzesco Giovanni Della
Noce, accusato di intrigare con Giovanni IV. L'intervento di Renato d'Angiò
ottenne infine la riconciliazione fra lo Sforza e i Monferrato e si giunse
così alla pace di Lodi (9 apr. 1454) nella quale essi figurano come
confederati di Venezia; ma ciò non risparmiò loro condizioni
molto dure, poiché il 17 luglio 1454 furono costretti a restituire
al duca di Milano tutte le località del territorio alessandrino nel
frattempo occupate; di esse soltanto Felizzano e Cassine vennero date in feudo
a Guglielmo.
La cessazione delle guerre nell'Italia settentrionale era stata
favorita anche dalla notizia della caduta di Costantinopoli in mano ai Turchi,
ma dopo la prima forte impressione i signori italiani erano rimasti per lo
più inerti. Nonostante i Paleologi di Monferrato, per la loro stessa
origine, avessero una tradizione ben radicata di rapporti con gli imperatori
d'Oriente, tanto G. quanto i fratelli rimasero indifferenti di fronte all'invito
di partecipare a una crociata espressamente predicata nelle loro terre dal
francescano Roberto Caracciolo da Lecce: le recenti umiliazioni subite e le
condizioni stesse del Marchesato non incoraggiavano certo progetti di avventure
orientali.
G., ormai quarantenne, manifestò solo allora preoccupazione per la
continuità della dinastia e decise di prendere in moglie Margherita,
figlia di Ludovico di Savoia e di Anna di Cipro, sua cugina in secondo grado;
la sposa gli portò in dote 100.000 scudi esigendo di vincolare come
controdote Trino, Morano, Borgo San Martino e Mombaruzzo, ma le nozze furono
sfarzosamente celebrate a Casale soltanto nel dicembre del 1458.
G. non aveva trascurato i tradizionali rapporti della sua casa
con l'Impero: nel 1451 Federico IIII lo invitava a partecipare alla sua incoronazione
romana, invito che allora non poté essere accolto; in compenso l'imperatore
lo incaricò più tardi di dirimere in suo nome la "controversia
Teutonici", una causa che riguardava l'eredità di un mercante
tedesco morto alcuni anni prima nella colonia genovese di Pera: il processo
venne infatti discusso a Casale a partire dal 1456.
Nonostante il
nuovo legame parentale contratto di fresco con i Savoia, venne maturando in
G. l'intenzione di staccarsi politicamente dalla lunga fedeltà verso
di loro. Tra 1459 e 1460 promise aiuto ai conti di Valperga, ribellatisi al
duca Ludovico, e rifiutò di far parte del tribunale imperiale che doveva
giudicarli. Non a caso proprio in quest'ultimo anno G. richiese a Federico
III un diploma che annullasse ufficialmente la soggezione cui il padre e lui
stesso erano stati costretti nel 1435, ma la pratica fu lunga e il desiderato
documento - semplice, costosa formalità giuridica - giunse soltanto
l'8 genn. 1464, quando G., ammalato, era ormai inabile a esercitare il potere.
Morì in Casale Monferrato il 19 genn. 1464 alle 9 di sera, senza lasciare
alcun figlio legittimo. Fu sepolto accanto al padre nella chiesa di S. Francesco
di Casale.
Galeotto Del
Carretto, che potè conoscere G. di persona, ne lasciò un breve
profilo nelle sue cronache in prosa e in versi, descrivendolo (col. 1232)
come " signore elegantissimo de bellezze, alquanto di color rosso, non
grande come Guglielmo e Bonifacio, né di tanto buona complexione quanto
loro"; non meno notevoli di quelle fisiche appaiono le sue doti intellettuali
e morali: ospitale e caritatevole, alieno da odi e rancori, "viver ben
con tutti fuo suo stile", non solo, ma fu "eloquentissimo et real
signore, liberalissimo sopra tutti i principi soi contemporanei" nonché
"de grande et perspicace ingegno"; per quanto non fosse mai uscito
dai suoi domini (affermazione che non è però da prendersi alla
lettera), era assai curioso di notizie relative a paesi lontani e così
informato su di essi da poterne parlare come se ci fosse stato di persona.
Benvenuto Sangiorgio (p. 325) conferma che fu "munifico,
gentile e benignissimo signore" e volle al suo servizio soltanto gentiluomini.
Lodi che, per quanto sappiamo, non risulta facile estendere alla sua attività
politica; soltanto in occasione della guerra del Finale è possibile
dire che egli fu, in senso positivo, "uno dei protagonisti della vicenda"
(Olgiati, 1993, p. 138).
Sede abituale del suo governo fu Casale, dove, riprendendo progetti già
propri del genitore, caldeggiò l'unificazione degli ospedali in un
unico ente e protesse gli studi umanistici.
Ebbe rapporti con Antonio Astesano, che gli dedicò un'epistola poetica;
intorno al 1450 chiamò a corte Guiniforte Barzizza che l'anno, dopo,
alle esequie in onore di Amedeo VIII, pronunciò in suo nome un'apprezzata
orazione funebre. Giovanni Mario Filelfo soggiornò alla corte di G.
tra il maggio del 1457 e l'ottobre del 1458. Sia nel caso degli ospedali casalesi,
sia nei rapporti con gli umanisti si tratta però solo di "semi
gettati" (Vinay, p. 129), che fruttificarono poi al tempo del successore
Guglielmo VIII.
Si conoscono dieci monete battute a suo nome e provvedimenti legislativi da
lui presi riguardo ai delitti commessi dai giovani non ancora emancipati (15
genn. 1459) e contro i falsificatori di monete papali e imperiali operanti
nel suo dominio (21 sett. 1455).
FONTI E BIBL.: G. Simonetta, Rerum gestarum Francisci Sfortiae Mediolanensium ducis commentarii, a cura di G. Soranzo, in Rer. Ital. Script., 2a ed., XXI, 2, pp. 185, 192, 278, 351, 381s., 400s., 407, 491; J.C. Lüni,. Codex Italiae diplomaticus, I, Francofurti-Lipsiae 1725, coll. 1377-1388; B. Sangiorgio, Cronica, a cura di G. Vernazza, Torino 1780, pp. 312, 319, 321-323, 325-347; G.B. Moriondo, Monumenta Aquensia, I, Taurini 1789. docc. 378 col. 405, 90 col. 522; II, ibid. 1790, doc. 121 coll. 620s.; S. Ventura, Memoriale, a cura di C. Combetti, in Monumenta historiae patriae, V, Augustae Taurinorum 1848, col. 834; G. Del Carretto, Cronica di Monferrato, a cura di G. Avogadro, ibid, col. 1232; Paralipomeni di storia piemontese dall'anno 1285 al 1617, a cura di L. Scarabelli, in Archivio storico italiano, s. i, XIII (1847), pp. 271 s., 308; Cronachette astesi, a cura di V. Promis, in Miscellanea di storia italiana, IX (1870), p. 181; G. Giorcelli, Cronaca del Monferrato in ottava rima del marchese Galeotto Del Carretto..., in Rivista di storia, arte, archeologia per le provincie d''Alessandria e Asti, VI (1897), p. 213; F. Gabotto, Istruzioni degli ambasciatori monferrini a Carlo VII re di Francia (8 apr. 1453), in Boll. Storico-bibliografico subalpino, IV (1899), pp. 151-163; A. Colombo, Tre documenti milanesi del 1450 relativi alla pace fra Lodovico di Savoia e Francesco Sforza, ibid., X (1906), pp. 355-368; Corpus nummorum Italicorum, II, Piemonte-Sardegna, Roma 1911, pp. 98 s. tav. VIII; F. Gabotto, La politica di Amedeo VIII in Italia dal 1431 al 1435 nei documenti dell'Archivio di Stato di Torino (carte Monferrato e Milano), in Boll. Storico-bibliografico subalpino, XX (1916), pp. 81-235, 298-365; G.A. Irico, Rerum patriae libri III, Mediolani 1745, pp. 150, 174, 194s., 200-205, 208; V. De Conti, Notizie storiche della città di Casale e del Monferrato, IV, Casale 1839, pp. 181, 185, 209, 212, 223; V. Promis, Monete dei Paleologi marchesi di Monferrato, Torino 1858, pp. 22 s.; F. Gabotto, Lo Stato sabaudo da Amedeo VIII ad Emanuele Filiberto, 1453-1467, Torino-Roma 1892, pp. 19s., 23s., 52s.; E. Colombo, Re Renato alleato del duca Francesco Sforza contro i Veneziani (1453-54), in Archivio storico lombardo, XXI (1994), pp. 79-136, 361-398; L. Rossi, Lega tra il duca di Milano, i Fiorentini e Carlo VII re di Francia (21 febbr. 1452), ibid., XXXIII (1906), pp. 246-298; F. Cognasso, L'alleanza sabaudo-viscontee contro Venezia, ibid, XLV (1918), pp. 157-236, 357-426; Id., Di alcune relazioni sabaudo-viscontee dopo l'alleanza di Milano, in Boll. della Soc. Pavese di storia patria, XXI (1921), p. 162; Id., La questione del Monferrato prima dei lodo di Carlo V, in Annali dell'Istituto superiore di magistero del Piemonte, III (1929), pp. 350, 353, 355s, 363; Id., Amedeo VII (1383-1451), Torino 1930, I, p. 57; II, pp. 131, 154-156, 167; F. Fossati, Rapporti tra Milano, Monferrato e Francia nel 1452, in Rivista di storia, arte, archeologia per le provincie d'Alessandria e Asti, XLIII (1934), pp. 5-100; G. Vinay, L'umanesimo subalpino nel secolo XV, Torino 1935, pp. 124-127; G. Salvi, Galeotto I Del Carretto marchese del Finale e la Repubblica di Genova, Genova 1937, ad ind.; F. Cognasso, Il Ducato visconteo da Gian Galeazzo a Filiippo Maria, in Storia di Milano, VI, Milano 1955, pp. 410 s.; G. Balbi, Uomini d'arme e di cultura nel Quattrocento genovese, in Atti della Società ligure di storia Patria, LXXVI (1962), pp. 151,159, 162-165, 167, 180-183, 194; G.A. Ricaldone, Annali del Monferrato (951-1708), II, Torino 1972, pp. 482-486; A. Angelino - A. Castelli, Indagini sulla storia urbana di Casale. Dal borgo di S. Evasìo alla città di Casale (1350-1500), in Studi piemontesi, VI (1977), p. 283; G. Olgiati, La "controversia Teutonici": l'eredità di Giovanni Tillmann dinanzi al tribunale dei Monferrato, in Rivista di storia, arte, archeologia per le provincie d'Alessandria e Asti, XCVIII (1989), pp. 131-148; Id., Le relazioni tra Genova ed il Monferrato all'epoca delle due guerre del Finale (1437-1451), in Atti del Congresso internazionale "Dai feudi monferrini e dal Piemonte ai nuovi mondi oltre gli oceani", a cura di L. Balletto, I, Alessandria 1993, pp. 131-141; J. Paviot, Le Montferrat dans l'Europe du XVe siècle, ibid., pp. 143-151; W. Haberstumpf, Dinastie europee nel Mediterraneo orientale. I Monferrato e i Savoia nei secoli XII-XV, Torino 1995, pp. 138 s.
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