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Unico figlio maschio di Teodoro I Paleologo, secondogenito d'Andronico II imperatore d'Oriente, e della genovese Argentina Spinola (sposata da Teodoro nel 1305 al momento di ereditare il Marchesato di Monferrato), nacque in un luogo a noi ignoto il 5 febbr. 1321 (come si ricava da un'annotazione augurale apposta nel Libro della catena di Nizza Monferrato).
G. aveva quindi da poco compiuto i quattro anni quando il padre,
stipulando il 1° marzo 1325 accordi con Filippo principe d'Acaia, lo designava
a sposare una delle figlie di quest'ultimo; nel contempo uno dei maschi doveva
prendere in moglie la sorella di G., Iolanda, alla quale sarebbe passato il
Marchesato di Monferrato nel caso che G. e il padre si fossero trasferiti
in Oriente. Tali accordi, rapidamente superati dalle circostanze, caddero
ben presto in dimenticanza.
Le notizie mancano per oltre un decennio e si ritorna a parlare di G. solo
il 19 ag. 1336, quando Teodoro fece testamento designandolo alla successione.
Dal gennaio successivo, benché il padre fosse ancora in vita (morì
a Trino il 21 apr. 1338), G. era già direttamente interessato alle
cure di governo, confermando investiture ai vassalli.
Il 4 febbr. 1338 prese in moglie Cecilia, figlia del conte Bernardo (VII)
di Comminges e nipote del cardinale Gian Raimondo dì Tolosa, donna
ormai anziana ma che gli portò in dote 40.000 fiorini, per i quali
G. dovette offrire in garanzia i luoghi di Chivasso, Moncalvo e Mombello,
tra i più cospicui del Marchesato.
Morto il padre, G. diede inizio a una serie di guerre volte
a sfruttare le discordie locali in vista di ingrandimenti territoriali a danno
dei potentati confinanti, per recuperare diritti già appartenuti ai
predecessori. Tale progetto, che con diversa misura, intensità e fortuna
G. perseguì per tutta la vita, si tradusse in un frenetico attivismo
e in una grande varietà di iniziative, non sempre adeguatamente sostenute
dalle risorse economiche disponibili, ma che furono fonte di sicuro prestigio.
Egli ebbe infatti tra i contemporanei la fama di principe " probus, sapiens,
moderatus et formosus nec non quietis impatiens", come lo ricorda il
cronista Pietro Azario (p. 173), e nelle sue incessanti lotte contro il principe
d'Acaia, contro i Visconti e contro la superstite potenza angioina in Piemonte,
egli si comportò da uomo audace, valente e cavalleresco " taliter
quod Hector ".
G. esordì nel maggio 1338 cogliendo a pretesto i conflitti familiari
in atto nel Canavese tra i conti di Valperga e di San Martino: in comunità
d'intenti con il marchese Tommaso di Saluzzo e i fuorusciti locali, tentò
di impadronirsi di Caluso e di Chieri ma ne fu impedito in entrambi i casi
dall'intervento di Giacomo d'Acaia. Nel 1339 fece la sua comparsa in Monferrato
il cugino di G., Ottone di Brunswick, allora appena ventenne, che fu poi costantemente
al suo fianco.
Dopo essersi distinto il 21 febbr. 1339 alla battaglia di Parabiago, contribuendo
attivamente alla vittoria contro le truppe mercenarie di Lodrisio Visconti,
G. riprese in aprile la lotta contro il principe d'Acaia. Colse il primo vero
successo il 26 settembre quando, appoggiando i fuorusciti di Asti, entrò
in città, scacciando la fazione avversa dei Solaro, e il 9 ottobre
ne venne dichiarato governatore e difensore con diritto di esercitarvi giurisdizione,
e uno stipendio di 500 lire al mese. Nel frattempo passo al suo servizio la
compagnia di ventura guidata dal tedesco Malerba, che aveva in precedenza
desolato il territorio canavesano: è il primo degli assoldamenti di
mercenari stranieri ai quali G. ricorse molte volte in seguito.
Il 29 nov. 1339 firmò con il principe d'Acaia una tregua - patrocinata
dai Visconti e dal conte dì Savoia - poi scarsamente rispettata, come
molte altre che vennero in seguito, tanto che il conflitto con il principe
durò di fatto sino al 1° apr. 1356. Contemporaneamente G. estese
la lotta in Canavese e contro gli Angioini nel Piemonte meridionale: le sue
forze erano però limitate e scarsi furono complessivamente i risultati
ottenuti; segno di debolezza anche la cessione - cui fu indotto il 9 ag. 1342
- di Asti a Luchino Visconti, signore di Milano allora suo alleato, e con
il quale rimase, almeno per alcuni anni, in buoni rapporti.
L'attività di G. fu interrotta dal maggio all'agosto del 1344 da una
grave malattia che lo immobilizzò nel suo castello di Mombello: egli
era ancora senza figli e in caso di morte l'erede designato sarebbe stato
Amedeo VI di Savoia, molto interessato perciò alla salute dei congiunto;
ma la guarigione sopravvenuta frustrò ogni sua attesa. In quell'anno,
se da un lato G. ottenne la,dedizione della città di Ivrea, il Comune
di Vercelli lo sollecitò per, contro a restituire Trino e altre importanti
località che erano nelle mani dei Monferrato da molti anni. La fortuna
fu ancora dalla sua parte nel marzo del 1345, allorché Reforza d'Agoult,
siniscalco angioino in Piemonte, attaccò i fuorusciti chieresi rifugiati
nel castello di Gamenario; G. si precipitò in loro soccorso e ottenne
il 22 aprile una brillante vittoria campale che preluse al definitivo tramonto
della potenza angioina. Benché non ricavasse sul momento grandi vantaggi,
il raggio dei suoi interessi giunse a comprendere Tortona, dove nell'estate
dei 1346 versò per ben tre volte cospicue somme ai fuorusciti.
Nel settembre 1346 intervenne in Milano al battesimo dei figli di Luchino
Visconti, con il quale proseguiva intanto la comunità d'intenti, e
l'anno successivo i loro eserciti affiancati occuparono le terre angioine
di Bra e di Alba. G. si impadronì anche di Vergnano mirando ancora
una volta a Chieri, ma questo importante Comune preferì sottomettersi
ai Savoia; il 19 giugno 1347 ottenne in compenso la dedizione di Valenza Po
e in dicembre fece propria la città d'Ivrea. Il 2 marzo 1348, sempre
con Luchino, conquistò Cuneo, ma nell'aprile avvenne fra i due la prevedibile
rottura a causa delle reciproche gelosie di potere, tanto che nell'agosto
G. dovette precipitosamente fuggire da Milano per non esservi imprigionato
dall'avversario intenzionato a sottrargli i luoghi a sinistra del Po.
Nell'ottobre 1349 G. si procurò però protettori alla corte papale
di Avignone; nel giugno 1349 attaccò in Canavese conquistando faticosamente
Caluso che conservava quando, nell'agosto, dovette venire a compromesso con
il principe d'Acaia e con il conte di Savoia restituendo buona parte delle
terre occupate, salvo la metà di Ivrea che tenne in condominio con
Amedeo VI di Savoia.
Nel dicembre dei 1349 è segnalata la presenza di G.
in visita agli Estensi a Ferrara e ai Carraresi a Padova: è forse di
questo periodo il piano di una spedizione volta alla conquista, dell!Impero
d'Oriente sul quale egli ancora vantava diritti ereditari, ed è collegabile
a tale iniziativa la richiesta, avanzata nel 1351, di poter disporre dei crisobolli
dell'imperatore Andronico conservati a Venezia. Il progetto rimase sulle carta
ma non fu mai del tutto abbandonato, poiché G. ne accennò ancora
vent'anni dopo nel suo testamento. Intanto il 2 ag. 1351, in accordo con la
fazione dei Cane, ottenne la dedizione di Casale Monferrato dove avviò
tosto la costruzione di un castello.
Per dare maggior credito alle sue aspirazioni, G. non trascurò di collegarsi
alla tradizione imperiale della sua casata. Nel gennaio 1355, in occasione
della discesa in Italia di Carlo IV di Lussemburgo, presenziò alla
cerimonia di incoronazione in Milano e quindi lo accompagnò nel viaggio
verso Roma ottenendo la conferma di numerosi privilegi che gli imperatori
avevano concesso in passato ai marchesi di Monferrato; la conferma venne così
a legittimare formalmente l'eventuale recupero di luoghi e di vassalli un
tempo soggetti ai suoi predecessori, benché essi fossero ormai nelle
mani di altri signori. Nel maggio, durante il viaggio di ritorno, mentre G.
soggiornava in Pisa con l'imperatore, contribuì con il suo energico
comportamento a reprimere una pericolosa sollevazione imprigionando alcuni
membri della famiglia Gambacorta, in seguito giustiziati.
Probabilmente anche in conseguenza di tale episodio, Carlo IV il 10 maggio
gli confermò nominativamente tutti i luoghi posseduti in passato dai
suoi antenati, gli concesse il giorno dopo lettere di assoggettamento di alcune
potenti famiglie e infine, il 3 giugno, anche il vicariato imperiale a Pavia.
L'imperatore inoltre, non a caso, esortò i Visconti a vivere in accordo
con G.: si era infatti alla vigilia di un nuovo prolungato periodo di conflitti
con Galeazzo Visconti che appunto aspirava ad allargare il suo potere in Piemonte
in competizione con Giovanni II.
Il 30 ott. 1355 aderì - a nome del Comune di Pavia e della potente
famiglia pavese dei Beccaria - all'alleanza antiviscontea comprendente i Gonzaga
e gli Estensi. In dicembre sfidò direttamente Galeazzo e il 23 genn.
1356, col favore della fazione dei Garretti, gli tolse Asti; la città
alcuni giorni, dopo fece regolare atto di dedizione nelle sue mani, in quanto
rappresentante dell'imperatore; ai primi di febbraio seguì l'omaggio
di Mondovì, Cherasco, Alba e delle terre minori dell'Astigiano. In
aprile anche Pavia riconobbe a G. l'autorità di vicario imperiale ed
egli vi pose un proprio podestà. Là città, tosto assediata
da Galeazzo Visconti, il 27 maggio riuscì a liberarsi con una vittoriosa
sortita.
In Piemonte intanto il principe d'Acaia attaccava in Canavese e riusciva per
tradimento a impadronirsi di Ivrea. G., insieme con le forze della lega antiviscontea,
si rivalse occupando a sorpresa Novara il 9 nov. 1356 e di là diresse
una spedizione nel Vercellese. Il 24 dicembre si collegò con Amedeo
VI di Savoia, che gli cedette la sua metà di Ivrea; il 7 febbraio successivo
rinnovò i patti con il Comune di Casale, ma si guastarono, per contro,
i rapporti con i Cane scacciati da Casale con l'accusa di intrigare con i
Visconti. Nuovo successo conseguì togliendo Collegno al principe d'Acaia
(con il quale nondimeno si riappacificò), occupò Voghera e in
giugno il fedele Ottone di Brunswick batté per lui i Visconti a Valenza.
Mettendosi in rotta con i potenti Beccaria creo però, nello stesso
tempo, le premesse per la perdita di Pavia.
Nel frattempo G. era rimasto vedovo e ancora senza figli: pur non rallentando
la sua frenetica attività politica e militare, egli decise quindi di
risposarsi; la scelta della moglie, decisa in Avignone da una commissione
cardinalizia, cadde su Elisabetta, figlia del re di Maiorca e nipote del re
di Aragona: il 2 maggio 1358 G. incaricò suoi delegati di iniziare
ufficialmente le pratiche: il contratto di matrimonio venne sottoscritto il
12 ottobre.
A G. spettò una dote di 70.000 fiorini, di cui 30.000 a carico del fratello della sposa e 40.000 del re di Aragona, da versare a rate annuali di 10.000 fiorini, delle quali, in realtà, sarebbe stata pagata soltanto la prima. Nel gennaio 1359 G. promise di non contravvenire alla rinuncia al trono di Maiorca cui la moglie si era impegnata. Da quel mese in poi vediamo spesso G. risiedere in Asti e rilasciare documenti in presenza della consorte, che conferì nuovo prestigio alla sua persona.
L'8 giugno 1358,
intanto, fra la lega e i Visconti fu stipulata una pace nella quale ciascun
componente si impegnava a restituire le conquiste fatte: G. perse quindi Novara
e Alba, ma falli il tentativo di sottrargli a tradimento Valenza in favore
dei signori di Milano, con i quali anzi il 22 agosto concordò una provvisoria
alleanza.
In calce a un atto del 20 genn. 1359 accanto ai dignitari di corte sottoscrissero
anche due medici, segno di evidenti problemi di salute, cui certo si accompagnarono
preoccupazioni finanziarie; benché i collegati gli avessero appena
fornito 17.000 fiorini, per averne a mutuo dai Genovesi altri 7000 impegnò
in quello stesso mese il borgo di Novi Ligure. L'urgente bisogno di denaro
coincise con la violenta ripresa della lotta contro i Visconti in modo decisamente
sfavorevole per G., dal momento che allora lo stesso imperatore Carlo IV si
schierò apertamente dalla loro parte. Anche la compagnia di ventura
del conte Lando (Corrado di Landau), assoldata da G. in primavera, passò
in ottobre al nemico, Pavia venne definitivamente espugnata dai Viscontei
il 15 nov, 1359. Non compensò certo i gravi insuccessi militari il
prestigio internazionale conferito a G. dalla richiesta, comunicatagli il
9 apr. 1359, di fungere da arbitro fra Genova e Pietro di Aragona per le loro
controversie in Corsica e in Sardegna. G. presentò prima un progetto
di compromesso ed emise sentenza il 27 marzo 1360, ma a causa del rifiuto
di sottostarvi espresso dall'Aragonese, il 28 dic. 1361 rinunciò al
suo mandato.
Si deve riportare al 1360 la nascita del figlio primogenito Secondo Ottone
o Secondotto, che infatti avrà 12 anni alla morte del padre; egli probabilmente
ebbe tale nome in onore di s. Secondo, patrono della città di Asti,
ormai considerata da G. la capitale dei suoi domini, e del fedele collaboratore
Ottone di Brunswick. S. Secondo figura anche sulle monete (" mezzi grossi"
e " bianchetti ") battute a suo nome in Asti, zecca che egli affiancò
a quelle tradizionali di Chivasso e di Moncalvo, da cui provengono altre sue
monete.
Nonostante i rovesci subiti, G. non considerò affatto chiusa la partita
con i signori di Milano, potendo contare sugli stretti rapporti stabiliti
con Genova e con papa Innocenzo VI. Già il 22 genn. 1361 assoldò
a Rivarolo una compagnia di venturieri tedeschi e nel maggio varcò
le Alpi, mettendosi ai suoi ordini, anche la famigerata Compagnia bianca formata
da inglesi al comando del tedesco Alberto Sterz, resa libera da una pausa
della guerra dei Cent'anni. Al pagamento degli stipendi contribuì il
papa con 14.500 fiorini. Nel dicembre 1361 si era intanto giunti a un primo
progetto di pace, poi non realizzato, col Visconti: esso prevedeva il matrimonio
fra Secondotto e la figlia di Galeazzo, Maria, che avrebbe portato in dote
la città di Asti.
Gli inglesi della Compagnia bianca, agendo in proprio, catturarono
in dicembre lo stesso Amedeo VI di Savoia costringendolo a pagare un ingente
riscatto; questi fu così indotto ad allearsi con i Visconti mentre
la compagnia continuava a stazionare nel Canavese e partecipo poi ad azioni
in altre località; essa rimase a disposizione di G. sino al gennaio
1365 provocando terribili guasti tanto alle terre nemiche quanto a quelle
amiche; a essi si aggiunse l'infierire di una grave pestilenza. Il 23 nov.
1363 G. venne dichiarato da Giacomo di Maiorca erede nominale del suo Regno;
intorno al 1361-62 (…) alla luce Teodoro, cui seguì l'anno dopo Guglielmo.
Il 27 genn. 1364 la pace fra G. e i Visconti fu solennemente proclamata dall'abate di Cluny: essa prevedeva lo scambio dei possessi detenuti da G. in territorio pavese con quelli viscontei nell'Astigiano accompagnato al matrimonio fra Secondotto e Caterina figlia di Bernabò Visconti, progetto che venne poi effettivamente realizzato, sanzionando così almeno un breve periodo di pace fra le due signorie. Forse approfittando di esso, nell'aprile del 1365, su ispirazione di papa Urbano V, si progettò un'alleanza comprendente, oltre a G., gli ospedalieri di S. Giovanni e i Genovesi, per preparare, in accordo con Pietro re di Cipro, una spedizione contro i Turchi che però non fu mai realizzata.
I rapporti fra G. e l'imperatore Carlo IV rimasero sempre cordiali:
da lui il 20 apr. 1361 aveva ricevuto l'autorizzazione a conferire la dignità
cavalleresca al genovese Simone Boccanegra; nel 1364 ottenne nuovi diplomi
e riconoscimenti. Nell'ottobre 1368 G. raggiunse Carlo IV a Roma e nel ritorno
si occupò per suo incarico delle discordie intestine fra i Senesi,
lo seguì poi a Lucca e a Pisa dove ottenne un diploma che gli riconosceva
una più netta superiorità sui signori di Cocconato, che indispettiti
aderirono da quel momento alla causa dei Visconti.
I buoni rapporti
con questi ultimi terminarono ben presto: nel luglio del 1369 erano già
in atto nuove ostilità nell'Alessandrino mentre G. trattava occultamente
con l'avventuriero inglese Ugo detto il Dispensiere, che aveva indebitamente
occupato Alba e Mondovì, terre dei Visconti, e ne ottenne il dominio
sborsando 16.000 fiorini. Nel 1370, per contro, Galeazzo Visconti gli strappò
Valenza e Casale e inutilmente G. assoldò sempre nuove compagnie di
mercenari, compresa nel 1371 quella famosa del conte Lucio di Lando (Gabotto,
1895, p 193): la loro presenza rinnovò l'ostilità del conte
di Savoia che solo l'intervento del Pontefice poté temperare.
Nei suoi ultimi anni, dopo una vita di guerre incessanti, G. vide crescere,
ormai in modo soverchiante, la potenza dei Visconti, e se ebbe pur sempre
all'attivo il possesso di Asti, Alba e Mondovì, importanti vassalli
lo abbandonarono e le sue terre furono (…) è la prima notizia della
malattia che poi lo stroncò. Presentendo la prossima fine incontrò
a Rivoli Amedeo VI conte di Savoia che fu nominato, insieme con Ottone di
Brunswick, tutore dei suoi figli.
Morì il 19 marzo 1372 a Volpiano, presso Torino.
Il testamento,
redatto il 9 marzo, è lo specchio dei problemi tra i quali G. si dibatteva:
ansie religiose, progetti non realizzati, desiderio di pace dopo una vita
di guerre. Egli dispose che i suoi domini fossero posti nelle mani di papa
Gregorio XI: due cardinali avrebbero ascoltato in Avignone fedeli e ribelli,
ed entro un anno avrebbero disposto secondo loro giudizio. Per i suoi "
male ablata " sarebbe stato costruito ex novo un monastero in valle Stura
e sarebbero stati restaurati in Monferrato chiese e antichi monasteri; gli
eredi, per adempiere ai voti da lui formulati, avrebbero dovuto servire per
sei mesi con 100 combattenti a San Giovarmi di Rodi e visitare il monastero
di S. Caterina del Sinai; sarebbero stati restituiti al vescovo di Vercelli
e all'abate di Fruttuaria i redditi e le terre occupate per necessità
militari; le pesanti taglie mensili imposte alle popolazioni del Marchesato
per causa di guerra sarebbero state soppresse non appena possibile.
I vassalli infedeli che avessero fatto atto di sottomissione entro tre mesi
sarebbero stati perdonati. Disposizioni speciali furono date per la successione:
erede universale fu nominato il primogenito Secondotto, ma avrebbero avuto
diritto ad appannaggi gli altri figli minori; erano contemplati anche i diritti
vantati sul Regno di Tessaglia e sull'Impero d'Oriente nel caso fosse possibile
riconquistarli, ciò che valeva anche per la città di Pavia.
Il suo corpo avrebbe dovuto essere sepolto in Asti nella nuova cappella in
S. Secondo, e se ciò non fosse stato possibile per lo stato di guerra,
in S. Francesco di Chivasso. E qui di fatto esso fini per rimanere poiché
Asti, la perla delle sue conquiste, cadde poco dopo nelle mani di Gian Galeazzo
Visconti.
FONTI E BIBL.:
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docc. 8 marzo 1339, 30 maggio 1346; Torino, Bibl. della Provincia, ms. b.24
(frammento di registro delle Reformazioni del Comune di Rosignano Monferrato
dei 1351); Guillelmus de Cortusiis, Chronica de noitatibus Padue et Lombardie
a cura di B. Pagnin, in Rer. Ital. Script., 2a ed., XII, 5, p. 125;
A. Astesano, De eius vita et fortuna varietate carmen, a cura di A.
Tallone, ibid., XIV, i, pp. 148s.; Chronicon Estens cum additamentis
usque ad annum
1478, a cura di G. Bertoni - E.P. Vicini, ibid., XV, 3, p. 167;
Cronaca senese di Donato di Neri e di suo figlio Neri a cura di A.
Lisini - F. Iacometti, ibid, XV, 6, pp. 622s., 626s.; (…) Iohannes
Porta de Annoniaco, Liber de coronatione Karoli IV imperatoris, a cura
di R. Salomon, in Mon. Germ. Hist., Script. rer. Germ., XXXV, Harmoverae-Lipsiae
1913. pp. 107-110, 124; J.C. Lünig, Codex Italiae diplomaticus,
I, Francofurti-Lipsiae 1725. coll. 1349-1360; L.A. Muratori, Delle antichità
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Cronica di Monferrato, a cura di G. Avogadro, in Monumenta historiae
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ibid. 1854, doc. 917 (con data errata 1259 anziché 1359); II, ibid,
IX, ibid, 1857, docc. 216-218, 220-228, 230-231, 253; Chronicae illorum
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di Monferrato, in Boll. storico-bibliograflco subalpino, LXXXIII
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Giovanni Tabacco, Torino 1985, pp. 85-121; W. Haberstumpf, Dinastie
Europee nel Mediterraneo orientale. I Monferrato e i Savoia nei secoli XII-XV,
Torino 1995, pp. 102,105-107, 215, 221; A. Angelino, Il castello di Casale
alle origini e nel confronto tra comunità locale e principe, in
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