Il manierismo

 

A. HAUSER, Storia sociale dell’arte, I,

Einaudi 1974 (1955), pp. 383-391.

E. H. GOMBRICH, La storia dell’arte raccontata da,

Einaudi, 1974 (1966), pp. 352-379.

CESERANI-DE FEDERICIS, Il materiale e l’immaginario, 5,

Loescher 1980, pp. 401-406; 417-418.

F. ABBATE, Il manierismo, in Storia universale dell’arte, 21,

Fratelli Fabbri Editori 1966, passim.

 

Il termine era usato dal Vasari in senso positivo (“maniera” è la forma propria dell’artista, il suo stile), ma già nel Seicento indica una pratica d’arte ricercata, stereotipa, riducibile ad un formulario (“maniera” è lo stile affettato, innaturale; è imitazione artificiosa, “retorica”, dello stile dei grandi del Rinascimento; i “manieristi” sono dei cattivi imitatori del classicismo rinascimentale). La critica moderna si è sbarazzata dell’accezione negativa, ed ha indicato nel manierismo l’espressione di una spiritualità nuova, insoddisfatta del classicismo rinascimentale, tesa in una ricerca (di nuove forme, nuovi modi, nuovi effetti) che sfocerà poi nel barocco.

 Ci si riferisce ad artisti che operano nella seconda metà del ’500 (Rosso Fiorentino, Pontormo, Parmigianino, Bronzino, Beccafumi, Tintoretto, Greco, Bruegel, ecc.), ma già in Michelangelo e Raffaello sono presenti i germi della dissoluzione della compostezza classica (del primo si possono indicare, nella parte bassa della volta della cappella Sistina, le inquietanti figure raffiguranti gli antenati di Cristo; o il cartone della Battaglia di Cascina; del secondo, nelle Stanze Vaticane, La cacciata di Eliodoro, per il grande dinamismo, sottolineato anche dai panneggi gonfi ed agitati; e La Trasfigurazione - olio su tavola, nella Pinacoteca Vaticana - dove le figure si dispongono secondo un movimento centrifugo e i loro gesti si fanno concitati e teatrali).

La novità consiste in una sorta di forzatura o accentuazione del classicismo: arricchendo l’aspetto coloristico ed ornamentale del quadro (si veda, nella Deposizione di Volterra del Rosso, 1521, l’audace accostamento di colori vivi e stridenti, ben diverso dall’armonioso accordo caro al classicismo); creando una fitta trama di linee mosse (la “linea serpentina” da alcuni[1] è stata indicata come caratteristica della “maniera”: si veda l’affresco di Francesco Salviati, Betsabea si reca da David, 1552-54, dove non solo la scala a spirale, ma la stessa posa in torsione delle tre figure femminili riproduce la linea serpentina[2]); forzando, fino all’inverosimile, le pose dei personaggi (si veda nella Deposizione del Rosso sopracitata come le figure siano tutte in posizione precaria e il corpo del Cristo tenda a non avere né peso né sostanza; e si veda ancora La Trasfigurazione di Raffaello); gonfiando i panneggi; privilegiando la minuta rappresentazione delle masse muscolari (riprendendo ed esasperando certo Michelangelo: si veda, del Rosso, Mosé che difende le figlie di Ietro, 1523-27).

Viene altresì dissolta la struttura rinascimentale dello spazio, quell’armonia realizzata attraverso una equilibrata connessione delle parti; l’effetto finale è il movimento di figure reali in uno spazio irrazionale, costruito arbitrariamente: si veda sempre la Deposizione del Rosso (la scena si svolge in uno spazio astratto, geometrico, spezzato in  angolature taglienti e “cubiste”; il corpo del Cristo non è al centro della composizione e tutti i personaggi, tranne uno, guardano in altre direzioni); ma si veda anche la Madonna dal collo lungo (1535) del Parmigianino: il corpo della Vergine è innaturalmente allungato, le figure riempiono lo spazio in maniera disarmonica (si affollano su un lato; si riducono ad un’unica figura sull’altro lato), la figura del profeta è così ridotta (con un esagerato effetto prospettico) da non raggiungere nemmeno le ginocchia della Vergine.

In letteratura, il manierismo indica una esasperata attenzione per gli aspetti tecnico-formali del fare artistico. Anche in questo caso si può parlare di una forzatura, più che di una rottura, del classicismo: si resta all’interno di quei canoni, ma li si rende così minuziosi e capziosi che l’opera si trasforma in una prova di abilità formale, di eleganza intellettualistica, diretta ad (ed apprezzabile da) un pubblico di iniziati, di specialisti. Ed anche: si esasperano le regole fino a deformarle, mutando l’armonia in disarmonia, la misura in dismisura, l’equilibrio in eccesso. Caratteristici sono inoltre il gusto del particolare, il privilegio accordato alla figura retorica dell’elenco e dell’enumerazione, la tensione verso l’eroico e il magniloquente (il corrispettivo delle “pose” forzate nella pittura), l’accentuazione ossessiva di alcuni elementi decorativi.

 

 

 



[1]da M. Praz, L’armonia e la linea serpentina (in Mnemosine  ecc., Mondadori 1971) e Bilancio critico del manierismo  (in Il giardino dei sensi  ecc., Mondadori 1975). Si sostiene, fra l’altro, che, mentre in Michelangelo la linea serpentina, già presente,  è mezzo per esprimere “tensione tragica” ed “energia bloccata”, nei suoi seguaci ed imitatori (nei “manieristi”) è solo ornamento.

 

[2]Un motivo simile si può vedere anche nel Giuseppe in Egitto  del Pontormo (1515-17; pannello alla National Gallery)