L’uomo è bramoso di conoscenza

 

Tantus est innatus in nobis cognitionis amor et scientiae, ut nemo dubitare possit quin ad eas res hominum natura nullo emolumento invitata rapiatur. Mihi quidem Homerus huius modi quiddam vidisse videtur in iis, quae[1] de Sirenum cantibus finxerit. Neque enim vocum suavitate videntur aut novitate quadam et varietate cantandi revocare eos solitae[2], qui praetervehebantur, sed quia multa se scire profitebantur, ut homines ad earum saxa[3] discendi cupiditate adhaerescerent. Ita enim invitant Ulixem. Vidit Homerus probari fabulam non posse, si cantiunculis tantus irretitus vir teneretur; scientiam pollicentur[4], quam non erat mirum sapientiae cupido patria esse cariorem. Atque omnia quidem scire[5], cuiuscumque modi sint, cupere curiosorum, duci vero maiorum rerum contemplatione ad cupiditatem scientiae summorum virorum est putandum.

 

Cicerone, De finibus bonorum et malorum (V, 18)

 

NOTE

[1] In iis quae: è un neutro plurale che sta da solo, concordato con niente. Dunque in italiano bisognerà trovare un sostantivo appropriato, che renda il concetto.

[2] Videntur …. solitae (esse): il soggetto sottinteso è le Sirene.

[3] Sono gli scogli dove, secondo la narrazione di Omero, stavano le Sirene (e dove si incagliavano le navi).

[4] Il soggetto sottinteso è sempre le Sirene.

[5] Dipende dal verbo servile cupere; quest’ultimo, a sua volta, è un infinito sostantivato, come il successivo duci (ed ambedue fungono da soggetto di  “est putandum”)

Traduzione

 

C’è, innnato in noi, un amore così grande della conoscenza e della scienza che nessuno può dubitare che la natura umana sia spinta (attratta, trascinata) verso queste cose (cioè, la conoscenza e la scienza) senza essere allettata da alcun guadagno. E a me sembra senz’altro che Omero abbia visto qualcosa di questo genere in quei versi che ha composto sui canti delle Sirene. E infatti sembra che non fossero solite (solitae esse è un infinito perfetto, quindi non siano solite) richiamare coloro che passavano di lì (qui praetervehebantur, lett. coloro che venivano trasportati, s’intende per nave) grazie alla soavità delle voci o ad una certa novità e varietà del canto, ma poiché dichiaravano di sapere molte cose, cosicché gli uomini si incagliavano ai loro scogli per bramosia d’imparare. Così infatti invitano Ulisse. Omero vide che la storia non poteva essere accettata (approvata, apprezzata), se un uomo tanto grande fosse (stato) trattenuto, irretito da delle canzonette; (le Sirene) promettono la scienza, che non era sorprendente che fosse più cara della patria (ablativo di paragone) ad un (uomo) desideroso di sapienza. E desiderare di conoscere tutte le cose, quali che siano (lett.: di qualsiasi genere siano), deve essere ritenuto proprio dei curiosi, invece (vero è congiunzione avversativa) essere condotti tramite la contemplazione delle cose più grandi al desiderio della scienza deve essere ritenuto proprio degli uomini sommi.