MARCELLO MURTAS

TRADIZIONI DI SARDEGNA

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SARDEGNA : FRA LEGGENDA E REALTA’.
 

La leggenda
Milioni di anni fa, quando l’Italia non era ancora spuntata dal mare, esisteva un piccolo continente chiamato Tirrenide. Era una terra felice: c’erano grandi boschi, monti alti e superbi, fiumi, laghi, animali di ogni specie e gente buona e pacifica. Ma un brutto giorno accadde un tremendo terremoto e tutte quelle terre furono distrutte, quel paradiso terrestre sparì. La terra si mise a tremare, i monti si spaccarono, i fiumi uscirono dagli argini e il mare mandò le sue onde rabbiose a travolgere il piccolo continente, che incominciò a sprofondare negli abissi del Mar Tirreno. La gente era disperata e chiese un aiuto a Zeus re degli Dei che in quel momento litigava con la moglie Era. C’é chi racconta che quel terribile terremoto l’avesse provocato proprio lui in un momento di malumore. A questo punto Tirrenide stava sprofondando nel mare, e siccome una piccola parte di essa emergeva ancora, Zeus le pose sopra il piede e riuscì a trattenerla prima che i flutti la inghiottissero. Così, dalla grande Tirrenide non rimase che quell’ impronta solitaria in mezzo alla grande distesa d’acqua : sì chiamò Ichnusa cioè orma di piede.

La realtà
La Sardegna è un’isola interamente circondata dal mare, la sua forma ricorda l’impronta di un sandalo. I primi a disegnare sulle carte geografiche la forma dell’isola, furono i greci che la chiamarono proprio Ichnusa, che deriva da una parola greca“ Ichnon” che vuol dire “orma”. Altri la chiamarono “Sandaliotis”, cioè “isola avente forma di sandalo”.
Con molta probabilità il nome Sardegna deriva dal nome che diedero i Fenici all’ isola: Šardan. Questo nome risulta dalle iscrizioni ritrovate nella città Fenicia di Nora, presso Cagliari, considerata la più antica città dell’isola.

I MAMUTHONES
Nascondono la loro sembianza dietro la maschera, sa bisera, è nera, di legno con naso, mento e zigomi fortemente pronunciati e con due fori per occhi e bocca. La testa è coperta da un fazzoletto marrone annodato sotto il mento. Sa bisera priva di qualsiasi carattere antropomorfo, è immagine di silenzio e impassibilità. Su pelli nere di pecora che nascondono il consueto abito di velluto marrone, i mamuthones portano sa garriga, un sonoro groppo di campanacci (su ferru), trenta chili di strepito che neutralizzano il silenzio dei volti. Davanti, poi, un grappolo di campane, tenute insieme da cinghie di cuoio. I mamuthones si muovono solitamente a gruppi di dodici, procedono appaiati e balzano grevemente, facendo risuonare i loro campanacci con impeccabile sincronia. E'una "processione danzata", un incedere ritmico distinto in balzi singoli che si chiudono regolarmente con una triplicazione del balzo stesso.
Si può pensare che la loro esibizione celebri la vittoria dei pastori di Barbagia (gli issohadores) sugli invasori saraceni fatti prigionieri e condotti in corteo (i mamuthones). Oppure vi si può leggere "un rito totemico di assoggettamento del bue", o una processione rituale fatta dai nuragici in onore di qualche nume agricolo e pastorale.
I mamuthones, dunque, come una torma di buoi ammansiti dagli issohadores loro mandriani o, ancora, i mamuthones come uomini imbovati, pastori che si immedesimano nel bove coprendo il volto con una maschera che ne riproduce le fattezze, come segno di venerazione quasi mistica per un animale così utile e prezioso per l'uomo.
Secondo Dolores Turchi, studiosa di tradizioni popolari, i Mamuthones hanno origine in tempi ancora più remoti : sarebbero da mettere in relazione con ancestrali riti di fertilità, riconducibili a culti dionisiaci diffusi in tutto il Mediterraneo.
Altre autorevoli interpretazioni hanno visto nella mascherata la rappresentazione della pratica mitica del geronticidio (l'uccisione del vecchio), altre ancora vedono nella maschera del mamuthone l'effige di un qualche spirito demoniaco.
Maschere simili ai mamuthones di Mamoiada (così come i boes di Ottana, i mamutzones di Samugheo e altri) si ritrovano anche in altre zone d'Europa, soprattutto nelle comunità agricole e pastorali dell'Europa mediterranea:
le maschere dei geros, nell'isola greca di Skyros, i kalogeroi di Viza, in Tracia, gli Zvoncari dell'Istria, alcune maschere
slovene. Tutte ricorrono all'uso di pelli di pecora e campanacci.

JANAS
le piccole fate delle rocce che vivono in buchi scavati nelle rocce (le cosiddette domus de janas). Escono solo di notte, affinché i raggi del sole non rovinino la loro candida pelle. Quando, nelle notti senza luna, si spostano per andare a pregare presso i templi nuragici, sono costrette a percorrere
sentieri ripidi e ricoperti di rovi. Per evitare le spine, le janas diventano luminose: questo chiarore segnala la loro presenza. Sono specializzate in ogni tipo di lavoro domestico: tessono splendide stoffe e preparano un pane più leggero dell'ostia. Secondo la leggenda, possiedono telai d'oro, setacci per la farina fatti d'argento. Ma non solo: esse custodiscono un immenso tesoro, fatto di oro, perle, diamanti. A difesa di queste ricchezze sono poste le cosiddette muscas maceddas, orribili creature con testa di pecora, un occhio solo al centro della fronte, denti aguzzi, ali corte e, sulla coda, un pungiglione velenoso. Le muscas si trovano nascoste dentro una cassa, mischiata a tante altre contenenti il tesoro. Le janas accompagnano il loro lavoro con un bellissimo canto: la melodia si spande nell'aria e nelle notti silenziose da conforto ai viandanti solitari.

SÙRBILES
Le sùrbiles sono donne-vampiro che succhiano il sangue dei neonati, specialmente se non ancora battezzati. Ungendosi con oli vegetali, le sùrbiles sono capaci di trasformarsi in specie di mosche e penetrare nelle camere dei neonati attraverso il buco della serratura. Agiscono col buio, fra la mezzanotte e le tre. Per evitare che entrino nelle stanze, si devono utilizzare come amuleti degli oggetti ben precisi: ad esempio una scopa, che però deve essere posta con le chiome all'insù, oppure un mazzo di foglie d'issopo ed arancio, da appendere sul muro, oppure un paio di scarpe
collocate a capo del letto, che devono essere abbinate ad un fazzoletto da testa messo ai piedi dello stesso.

PANAS
Sono donne morte di parto che tornano temporaneamente fra i mortali con le stesse sembianze che avevano da vive. Essendo morte in un momento particolare della loro esistenza (considerato "impuro"), sono condannate a lavare i panni della loro creatura per un tempo che varia dai due ai sette anni. Le panas possono essere viste lungo i ruscelli posti ai crocevia, fra l'una e le tre del mattino, mentre lavano e cantano una tristissima ninna-nanna. La loro condanna implica l'assoluto divieto di parlare o di interrompere il lavoro: se questo accade, esse devono ricominciare daccapo il tempo della penitenza. Pertanto, se vengono disturbate da qualcuno mentre sono intente a lavare, le panas si vendicano spruzzando addosso acqua, che brucia come fuoco.

LUXIA RABIOSA
Era una donna tanto ricca quanto avara, che possedeva terre e campi di grano di cui era estremamente gelosa. Per questa sua avarizia fu punita da Dio, che trasformò in pietra lei ed anche gli oggetti che la riguardavano. Ed è per questa ragione che ancora oggi è possibile vedere nell'isola strane rocce dalle forme più bizzarre.

SA FILONZANA
E’ la Parca sarda. In mano tiene il fuso e fila in continuazione un filo sottile, il filo del nostro destino che lei conosce molto bene. Veste di nero e ha una gobba tanto pronunciata che quasi la spezza in due. Ha il volto coperto da una maschera orribile, cattiva e ambigua. Fila di continuo e quello che tutti temono è il filo che tiene fra le mani, temono che si spezzi. La gente ha paura di lei e la rispetta ma non la gradisce; ha infatti una gran brutta fama, anche se nessuno sa da dove derivi. La notte dei tempi, forse, l'ha vista nascere ma i racconti popolari non ne hanno conservato l'origine. Sa filonzana è una maschera tipica del carnevale sardo: spesso compare alla fine della sfilata, quasi un monito dopo la baldoria tipica della festa.
 

 


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Ultimo aggiornamento: 06-02-09.