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SARDEGNA : FRA LEGGENDA E
REALTA’.
La leggenda
Milioni di anni fa, quando l’Italia non era ancora spuntata dal mare,
esisteva un piccolo continente chiamato Tirrenide. Era una terra felice: c’erano
grandi boschi, monti alti e superbi, fiumi, laghi, animali di ogni specie e
gente buona e pacifica. Ma un brutto giorno accadde un tremendo terremoto e
tutte quelle terre furono distrutte, quel paradiso terrestre sparì. La terra si
mise a tremare, i monti si spaccarono, i fiumi uscirono dagli argini e il mare
mandò le sue onde rabbiose a travolgere il piccolo continente, che incominciò a
sprofondare negli abissi del Mar Tirreno. La gente era disperata e chiese un
aiuto a Zeus re degli Dei che in quel momento litigava con la moglie Era. C’é
chi racconta che quel terribile terremoto l’avesse provocato proprio lui in un
momento di malumore. A questo punto Tirrenide stava sprofondando nel mare, e
siccome una piccola parte di essa emergeva ancora, Zeus le pose sopra il piede e
riuscì a trattenerla prima che i flutti la inghiottissero. Così, dalla grande
Tirrenide non rimase che quell’ impronta solitaria in mezzo alla grande distesa
d’acqua : sì chiamò Ichnusa cioè orma di piede.
La realtà
La Sardegna è un’isola interamente circondata dal mare, la sua forma ricorda
l’impronta di un sandalo. I primi a disegnare sulle carte geografiche la forma
dell’isola, furono i greci che la chiamarono proprio Ichnusa, che deriva da una
parola greca“ Ichnon” che vuol dire “orma”. Altri la chiamarono “Sandaliotis”,
cioè “isola avente forma di sandalo”.
Con molta probabilità il nome Sardegna deriva dal nome che diedero i Fenici all’
isola: Šardan. Questo nome risulta dalle iscrizioni ritrovate nella città
Fenicia di Nora, presso Cagliari, considerata la più antica città dell’isola.
I MAMUTHONES
Nascondono la loro sembianza dietro la maschera, sa bisera, è nera, di legno
con naso, mento e zigomi fortemente pronunciati e con due fori per occhi e
bocca. La testa è coperta da un fazzoletto marrone annodato sotto il mento. Sa
bisera priva di qualsiasi carattere antropomorfo, è immagine di silenzio e
impassibilità. Su pelli nere di pecora che nascondono il consueto abito di
velluto marrone, i mamuthones portano sa garriga, un sonoro groppo di campanacci
(su ferru), trenta chili di strepito che neutralizzano il silenzio dei volti.
Davanti, poi, un grappolo di campane, tenute insieme da cinghie di cuoio. I
mamuthones si muovono solitamente a gruppi di dodici, procedono appaiati e
balzano grevemente, facendo risuonare i loro campanacci con impeccabile
sincronia. E'una "processione danzata", un incedere ritmico distinto in balzi
singoli che si chiudono regolarmente con una triplicazione del balzo stesso.
Si può pensare che la loro esibizione celebri la vittoria dei pastori di
Barbagia (gli issohadores) sugli invasori saraceni fatti prigionieri e condotti
in corteo (i mamuthones). Oppure vi si può leggere "un rito totemico di
assoggettamento del bue", o una processione rituale fatta dai nuragici in onore
di qualche nume agricolo e pastorale.
I mamuthones, dunque, come una torma di buoi ammansiti dagli issohadores loro
mandriani o, ancora, i mamuthones come uomini imbovati, pastori che si
immedesimano nel bove coprendo il volto con una maschera che ne riproduce le
fattezze, come segno di venerazione quasi mistica per un animale così utile e
prezioso per l'uomo.
Secondo Dolores Turchi, studiosa di tradizioni popolari, i Mamuthones hanno
origine in tempi ancora più remoti : sarebbero da mettere in relazione con
ancestrali riti di fertilità, riconducibili a culti dionisiaci diffusi in tutto
il Mediterraneo.
Altre autorevoli interpretazioni hanno visto nella mascherata la
rappresentazione della pratica mitica del geronticidio (l'uccisione del
vecchio), altre ancora vedono nella maschera del mamuthone l'effige di un
qualche spirito demoniaco.
Maschere simili ai mamuthones di Mamoiada (così come i boes di Ottana, i
mamutzones di Samugheo e altri) si ritrovano anche in altre zone d'Europa,
soprattutto nelle comunità agricole e pastorali dell'Europa mediterranea:
le maschere dei geros, nell'isola greca di Skyros, i kalogeroi di Viza, in
Tracia, gli Zvoncari dell'Istria, alcune maschere
slovene. Tutte ricorrono all'uso di pelli di pecora e campanacci.
JANAS
le piccole fate delle rocce che vivono in buchi scavati nelle rocce (le
cosiddette domus de janas). Escono solo di notte, affinché i raggi del sole non
rovinino la loro candida pelle. Quando, nelle notti senza luna, si spostano per
andare a pregare presso i templi nuragici, sono costrette a percorrere
sentieri ripidi e ricoperti di rovi. Per evitare le spine, le janas diventano
luminose: questo chiarore segnala la loro presenza. Sono specializzate in ogni
tipo di lavoro domestico: tessono splendide stoffe e preparano un pane più
leggero dell'ostia. Secondo la leggenda, possiedono telai d'oro, setacci per la
farina fatti d'argento. Ma non solo: esse custodiscono un immenso tesoro, fatto
di oro, perle, diamanti. A difesa di queste ricchezze sono poste le cosiddette
muscas maceddas, orribili creature con testa di pecora, un occhio solo al centro
della fronte, denti aguzzi, ali corte e, sulla coda, un pungiglione velenoso. Le
muscas si trovano nascoste dentro una cassa, mischiata a tante altre contenenti
il tesoro. Le janas accompagnano il loro lavoro con un bellissimo canto: la
melodia si spande nell'aria e nelle notti silenziose da conforto ai viandanti
solitari.
SÙRBILES
Le sùrbiles sono donne-vampiro che succhiano il sangue dei neonati, specialmente
se non ancora battezzati. Ungendosi con oli vegetali, le sùrbiles sono capaci di
trasformarsi in specie di mosche e penetrare nelle camere dei neonati attraverso
il buco della serratura. Agiscono col buio, fra la mezzanotte e le tre. Per
evitare che entrino nelle stanze, si devono utilizzare come amuleti degli
oggetti ben precisi: ad esempio una scopa, che però deve essere posta con le
chiome all'insù, oppure un mazzo di foglie d'issopo ed arancio, da appendere sul
muro, oppure un paio di scarpe
collocate a capo del letto, che devono essere abbinate ad un fazzoletto da testa
messo ai piedi dello stesso.
PANAS
Sono donne morte di parto che tornano temporaneamente fra i mortali con le
stesse sembianze che avevano da vive. Essendo morte in un momento particolare
della loro esistenza (considerato "impuro"), sono condannate a lavare i panni
della loro creatura per un tempo che varia dai due ai sette anni. Le panas
possono essere viste lungo i ruscelli posti ai crocevia, fra l'una e le tre del
mattino, mentre lavano e cantano una tristissima ninna-nanna. La loro condanna
implica l'assoluto divieto di parlare o di interrompere il lavoro: se questo
accade, esse devono ricominciare daccapo il tempo della penitenza. Pertanto, se
vengono disturbate da qualcuno mentre sono intente a lavare, le panas si
vendicano spruzzando addosso acqua, che brucia come fuoco.
LUXIA RABIOSA
Era una donna tanto ricca quanto avara, che possedeva terre e campi di grano di
cui era estremamente gelosa. Per questa sua avarizia fu punita da Dio, che
trasformò in pietra lei ed anche gli oggetti che la riguardavano. Ed è per
questa ragione che ancora oggi è possibile vedere nell'isola strane rocce dalle
forme più bizzarre.
SA FILONZANA
E’ la Parca sarda. In mano tiene il fuso e fila in continuazione un filo
sottile, il filo del nostro destino che lei conosce molto bene. Veste di nero e
ha una gobba tanto pronunciata che quasi la spezza in due. Ha il volto coperto
da una maschera orribile, cattiva e ambigua. Fila di continuo e quello che tutti
temono è il filo che tiene fra le mani, temono che si spezzi. La gente ha paura
di lei e la rispetta ma non la gradisce; ha infatti una gran brutta fama, anche
se nessuno sa da dove derivi. La notte dei tempi, forse, l'ha vista nascere ma i
racconti popolari non ne hanno conservato l'origine. Sa filonzana è una maschera
tipica del carnevale sardo: spesso compare alla fine della sfilata, quasi un
monito dopo la baldoria tipica della festa.
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