Il libro & l'intervista

In viaggio con Manu Chao: intervista all’autore
a cura della redazione di www.feltrinelli.it

Hai seguito le tournée di Manu Chao per molto tempo. Ti aspettavi una scelta come quella, recente e poco nota, di suonare in posti piccoli sotto falso nome?
"L'imprevedibilità fa parte del personaggio, come ho avuto modo di appurare durante i quasi due anni in cui ho seguito i suoi tour con Radio Bemba. È stato proprio alla fine di quella lunghissima serie di concerti che Manu ha messo a punto il progetto estemporaneo di suonare nei piccoli spazi. Con il nome di Jai Alai & Katumbi Express: insieme a lui c’era una parte dei musicisti di Radio Bemba e Fermin Muguruza, il musicista e cantante basco che un tempo militava nei Negu Gorriak e prima ancora nei Kortatu. Hanno deciso di fare questo giro di concerti ‘segreti’, nel senso che venivano pubblicizzati soltanto con il passaparola e ufficialmente non si sapeva chi fossero i componenti della band. Per quasi un mese di seguito si sono esibiti in locali di capienza medio-piccola in Spagna, poi hanno suonato anche in Italia, a Roma, al Villaggio Globale, e a Frascaro, in provincia di Genova, nella comunità di don Gallo, al quale Manu è molto legato. I concerti duravano più di tre ore, con una parte importante di improvvisazione e sound-system. Chi li ha visti ha assistito a esibizioni molto più energiche, in un clima di festa. Ancora più punk quindi, rispetto a quello che si era visto con Radio Bemba. In qualche modo penso che sia stata un’esigenza naturale, per un musicista come Manu, che mal sopporta la rigidità e la programmazione delle grandi tournée e che d'altronde deve ormai fare i conti con una grandissima popolarità in tutta Europa e non solo. L’idea stessa di suonare in posti piccoli è stata spiegata da lui come la voglia di testimoniare il suo legame con club e bar dove – sono parole sue – ‘possono trovare spazio le poche alternative musicali di questi tempi’. Quella è stata anche l'occasione, per Manu e gli altri, di esprimere il rifiuto radicale nei confronti della guerra, affermando che ‘il terrorista più sanguinario in attività nel pianeta è il Denaro, che vive in una grande casa bianca a Wahington DC…’"

Il precedente tour fu nel 2001, a cavallo del G8 a Genova, e Manu Chao riempì con 120.000 persone Piazza del Duomo a Milano. Come giustifichi quel successo? C’entra la politica? Forse Manu Chao è una bandiera del movimento no-global?
"Lo è diventato, suo malgrado, un po’ per la situazione in cui si è trovato a suonare in Italia nel periodo del G8 con relativa esposizione mediatica e molto per il suo modo di essere musicista di successo, affermatosi in maniera non convenzionale. Ma soprattutto, credo, per la sua capacità di esprimere semplicità, sia nella musica, sia nelle parole. Non a caso molti hanno azzardato un paragone impegnativo, con Bob Marley. Ecco, credo che Manu sia quanto di più vicino abbia espresso la musica europea al maestro del reggae giamaicano: non tanto musicalmente, perché la matrice rock'n'roll di Manu continua a essere evidente, soprattutto dal vivo, ma per il carisma e l'abilità di schierarsi naturalmente dalla parte delle minoranze e di chi lotta politicamente e socialmente per un'ideale di libertà e uguaglianza. Oltretutto riesce a far passare concetti semplici ma efficaci attraverso le sue canzoni, anche quelle che possono sembrare più commerciali. D'altronde Manu non ha mai nascosto la sua voglia di rivolgersi a più gente possibile e politicamente rifugge etichette e definizione."

Manu viene percepito come cantante "impegnato" dovunque suoni?
"No. In Italia siamo abituati ad avere un'immagine molto 'politica' di Manu Chao, ma non è così dappertutto. In Germania, per esempio, la sua musica è stata etichettata come 'exotic', in Inghilterra è stato premiato come 'artista più innovativo della world music', mentre in Francia, complice il grande successo riscosso ai tempi della Mano Negra, la sua fama è più paragonabile a quella di un grande artista pop. Questi sono esempi europei, raccontati e descritti nelle tappe del libro, ma c'è anche spazio per una divagazione personale in Centro America dove si trova conferma della percezione di quei luoghi. Lì Manu è molto conosciuto, come in Sudamerica del resto, e spesso si ignora che sia europeo, c'è chi pensa sia argentino o messicano…".

Cosa c'è di diverso tra il suo modo di andare in tournée e quello delle altre rockstar?
"Tutto, o quasi. Viaggiando con lui e il resto della banda, trovandomi dietro le quinte e in mezzo alla gente, in posti e situazioni diversissime tra loro, ho trovato molte affinità con quello che avevo provato sulla mia pelle, tanti anni fa, suonando nel circuito punk. Con la differenza che Manu riesce a mantenere quel tipo di immediatezza e spontaneità a livelli di popolarità pari a quelli di Madonna o dei Rolling Stones… quindi rivelando anche la sua capacità di mediare con apparati e strutture organizzative da cui pretende il rispetto del suo modo di essere e concepire la musica. La sua è una carovana nomade, più che una band in tour: in ogni posto in cui suona vuole avere tempo e modo per cercare un contatto con la gente, suonare in strada, fare festa e parlare, ascoltare. Tutto questo avviene però mantenendo un livello di professionalità altissima per quanto riguarda i concerti, impeccabili anche dal punto di vista tecnico. Per fare esempi concreti, a parte i momenti di ‘riunione’ poco prima e subito dopo lo spettacolo, da parte di Manu e dei suoi musicisti non c'è mai la tendenza a isolarsi dalla gente che è, invece, abitudine consolidata dei gruppi più famosi. Ovvio che in questo modo i tour diventano più impegnativi e si spiega anche perché lui rifiuti l'idea di stare in giro per mesi e mesi…"

Come si rapporta Manu Chao con la "sua" Barcellona?
"È un rapporto intenso, in cui direi che personale e politico si mischiano quotidianamente almeno nel quartiere in cui ha deciso di vivere, il Barrio Chino. La vita di strada è una componente fondamentale del suo modo di essere. Qualcuno a Barcellona mi ha fatto notare che Manu 'potrebbe vivere in un castello lontano da tutto e tutti, invece preferisce stare qui nei vicoli, in mezzo alla gente' ed è assolutamente vero. Lui è fatto così, che piaccia o no, e il successo e la ricchezza non mi sembra proprio che l'abbiano cambiato. Anche a Barcellona rimane però allergico alle celebrazioni ufficiali e alla popolarità del suo personaggio. Per fare un esempio, lo scorso anno ci fu una conferenza stampa in cui il Comune di Barcellona voleva in qualche modo pubblicizzare la presenza in città di musicisti famosi, protagonisti di quella 'mezcla' che viene identificata come stile musicale con Manu, Macaco, Wagner Pa e altri ancora. Una specie di colonna sonora del meticciato che caratterizza la città catalana. In quell'occasione Manu ha invitato tutti i musicisti di strada che conosceva e dopo una breve introduzione se ne è andato, lasciando i giornalisti di fronte a loro che spiegavano come la repressione a Barcellona stia rendendo sempre più difficile la loro possibilità si suonare…".

E' difficile lavorare con lui?
"Dipende… Certo, non ti puoi aspettare di impostare la tua collaborazione con lui attraverso scadenze e appuntamenti a cui risulta allergico, quindi in qualche modo si tratta di lavorare sul campo e cogliere i momenti giusti, le opportunità. Senza fretta, né pressioni. Ci sono stati momenti in cui ho pensato che il progetto del libro stava diventando un'impresa impossibile, poi invece la sua disponibilità è stata decisiva. Tra cronaca, racconto e una serie di lunghissime chiacchierate, oltre alle interviste, il materiale su cui lavorare è diventato tantissimo. La cosa che più ho apprezzato in Manu è stato senza dubbio il rispetto reciproco che si è stabilito e la sua maniera di porsi rispetto al mio progetto, senza mai nemmeno tentare di condizionare il mio punto di vista".

Nel libro un intero capitolo è dedicato a Joe Strummer, recentemente scomparso…
"Il cantante e chitarrista dei Clash è stato un punto di riferimento, un amico, un esempio e molte altre cose per Manu. Non a caso, il capitolo di intitola 'Zio Strummer', una definizione suggerita dallo stesso Manu, che racconta e ricorda aneddoti, avvenimenti e incontri spesso inediti da quando conobbe Joe Strummer fino all'ultima volta in cui l'ha visto, prima della sua morte."

All’interno del libro c’è un inserto fotografico in cui sono state raccolte le immagini di Manu e degli altri componenti di Radio Bemba. Gli scatti sono di B-Roy, il fisarmonicista: stupende foto di Manu Chao e dei componenti del gruppo. Qual è il loro rapporto?
"Sono una specie di strana famiglia… Alcuni di loro si conoscono e suonano insieme da una vita, come nel caso di Gambit, il bassista, e David, il batterista, ma anche B-Roy, fisarmonicista e fotografo, viene da quella scena musicale francese in cui si affermò la Mano Negra. Altri sono invece musicisti di Barcellona, incontrati da Manu negli ultimi anni, piuttosto che durante tour e viaggi. Nel libro racconto la loro storia, il modo inedito di essere un gruppo che si scioglie al termine di ogni tour e la loro relazione con Manu, che ha l'indubbia capacità di mettere insieme persone così diverse e farle 'suonare' come un'orchestra…".

! da vedere...

www.negazione.com !

ciao Marco ;-)

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