Martedì, 31 Ottobre 2000

 
MANIAGO: Piccolo laboratorio dell'umanità
Stralci di vita dalla "statistica cantonale", dalla diffidenza innata per le novita' alle lotte contro le gabelle.
Il corposo manoscritto, la Statistica del Cantone di Maniago, giaceva, in paziente attesa, al numero 953 del fondo principale, nella biblioteca civica di Udine. La preziosa fonte storica della Maniago in epoca napoleonica, non priva di notizie sugli altri comune del cantone, aspettava che una mano esperta si decidesse a sollevare la polvere, compiendo quel lavoro di scavo e di inquadramento storico, senza il quale non sarebbe stato possibile riconsegnarla al nostro tempo. E attorno a quei dati straordinariamente dettagliati che, nonostante il tono burocratico, compongono un articolato affresco del territorio e permettono di allargare l'orizzonte su quel complesso periodo di grandi mutamenti che va dagli ultimi decenni del Settecento ai primi anni dell'Ottocento - aleggiava grande curiosità.

Del resto, il giovane conte Fabio II di Maniago (1774-1842), podestà della città dei coltelli, aveva risposto con zelo e con grande soddisfazione delle autorità dell'epoca al "questionario dei cento quesiti", con il quale, il 14 settembre 1807, il prefetto Teodoro Somenzari chiese a tutti i comuni del dipartimento di Passariano di tracciare, entro quindici giorni, il quadro della vita sociale ed economica delle comunità.

Il documento che così efficacemente descrive un angolo del Friuli negli anni napoleonici, preceduto da un accurato lavoro di studio e ricerca curato da Dino Barattin e da un saggio introduttivo che traccia la figura di Fabio di Maniago e la sua esperienza di podestà affidato ad Alberta Maria Bulfon (edizioni Libraria), viene riportato alla luce dalla pubblicazione che s'intitola appunto "1807 Statistica del Conte di Maniago". A sollecitare Barattin, studioso di storia friulana già autore di varie pubblicazioni, sono stati gli attualicolleghi del conte, gli amministratori del Comune pedemontano (che all'epoca di Fabio, «era una struttura esile, composta da segretario, copista straordinario e cursore»), editore del volume che oggi verrà presentato a Maniago, alle 18, nella sala convegni dell'ex Filanda.

Barattin invita a riflettere sugli obiettivi con i quali nasceva allora un' operazione come la statistica, che «insieme a relazioni, dispacci e decreti - scrive - rappresentava l'essenza del modello di governo imposto dal dominio napoleonico in Italia. Le statistiche, in particolare, erano ritenute tra i documenti più significativi di quel tipo di cultura amministrativa, per la quale conoscere le caratteristiche di un territorio significava dominarlo fino in fondo».

La Maniago descritta si presenta come un grosso borgo sviluppatosi nei secoli lungo la strada che corre ai piedi del monte Jôf e ha il suo fulcro commerciale nella piazza, dove ogni lunedì si svolgeva un grande mercato verso il quale confluivano gli abitanti delle valli Cellina e Colvera. Nel 1805 la popolazione ammontava a 3382 persone: 2207 a Maniago Grande, 210 a Fratta, 214 a Campagna, 756 a Maniago Libero. Dal punto di vista demografico, tra il 1797 e il 1807 il territorio sentì il contraccolpo delle invasioni straniere e il conseguente aumento della pressione fiscale, degli oneri derivanti dalla fornitura di derrate alimentari. Gli anni più critici furono il 1801 e 1802: crollo delle nascite, dei matrimoni, altissima mortalità infantile, specialmente nel 1802, a causa di un'epidemia di vaiolo che portò a centinaia di decessi tra bambini.

Scorrendo ancora gli appunti del conte, si scopre che la durata della vita media era di sessant'anni, che «i figli incominciano ad essere di sollievo ai genitori dall'età di anni dodici alli quattordici», che i maschi «dagli anni venti alli venticinque e le femmine dalli diciotto alli ventiquattro sogliono unirsi in matrimonio, che in paese vi sono sessanta mendicanti, «tutti miserabili e impotenti». La base della popolazione traeva sostentamento dalla terra e a possedere il maggior numero di terreni coltivabili - 1240 su un totale di 2030 campi - era la famiglia nobiliare dei di Maniago (e qui Barattin si sofferma sulle lotte scatenate dall'esercizio di decime, censi o altri aggravi).

Man mano che la Statistica scorre, tra appunti dedicati alle scarse attivià commerciali e alla necessità di importare grandi quantità di derrate alimentari, resoconti sull'attività produttiva di sette battiferri e della fabbrica di tele così come sull'emigrazione o sulla limitatissima vita sociale dei maniaghesi, si delinea anche la figura di un amministratore moderno e aperto.La sua sensibilità gli fa annotare lo stato di abbandono in cui vengono a trovarsi i bambini in età scolastica, l'assenza di strutture per l'insegnamento (soltanto «alcuni sacerdoti tengono scuole onde insegnare a fanciulli a leggere, scrivere, l'abaco e ilLimen Gramaticum»), la preoccupazione per la grave situazione sanitaria, la diffidenza contro la quale dovette combattere il medico fisico Nicolò Antonini per promuovere la vaccinazione. L'esauriente profilo di Fabio II tracciato dalla Bulfon nel libro ne è conferma: il conte, anche attraverso numerosi viaggi grazie ai quali era riuscito a sfuggire all'angusto orizzonte locale, aveva assimilato una cultura di stampo illuministico che lo fece distinguere, per atteggiamento e carattere, da una certa nobiltà friulana chiusa e refrattaria alle novità e che lo portò ad essere premuroso e caritatevole verso i più poveri, a rivestire alcune funzioni pubbliche nei convulsi momenti legati al mutevole contesto politico.

È questa la nuova luce sotto la quale Fabio II, fino a oggi noto ai più per laStoria delle belle arti friulane, opera che ha posto le basi della moderna storiografia artistica del Friuli, ora ci appare.