Conseguenze di Spagnoli e Portoghesi in sud America  
Gli ultimi trentatré minuti
 

Quando nel 1527 l’Inca Capac morì senza designare un successore, l'impero si divise tra i due suoi figli, Huascar e Atahualpa, che cominciarono a combattersi tra di loro. Già due anni prima Francisco Pizarro aveva preso contatto con un avamposto, s'era informato per benino, ed era partito per la Spagna a preparare la sua spedizione di conquista. Il tredici maggio 1532 Atahualpa aveva vinto sul fratellastro e si preparava al sua ingresso trionfale nella capitale per l'incoronazione a unico Inca, quando i suoi messaggeri gli portarono le notizie dello sbarco degli Europei. Sulla scorta delle antiche leggende che parlavano, anche per gli Incas, di un mitico Dio - civilizzatore chiamato Tici Viracocha che se n'era andato su una nave promettendo di ritornare, Atahualpa pensò appunto al ritorno degli Dei. Comunque egli si apprestò ad incontrarli. Il dialogo impossibile avvenne al vespro del 16 novembre 1532. L'Inca , nel furore della sua dignità e potenza divina, venne portato in lettiga, circondato da una guardia del corpo onorifica e disarmata, al cospetto di Pizarro  e dei suoi soldati. Un frate, fray Vincente, andò fino alla portantina dell'imperatore e gli disse per mezzo degli interpreti : Io sono un sacerdote di Dio, e ora vengo anche ad istruire voi. Quello che insegno è quello che Dio ci ha detto ed è scritto su questo libro. E gli porse una Bibbia che Atahualpa, dopo aver sfogliato un momento scagliò a qualche passo di distanza. Poi fece rispondere al frate che non si sarebbe mosso finché non gli venissero restituite le vesti e le altre cose rubate ai suoi funzionari lungo la strada. Furono i pochi allucinanti minuti di quello che il Von Haghen chiama "Un dialogo di sordi fra un prete cristiano e il Dio Inca". Poi ricevuta la risposta sdegnosa Pizarro cinse un mantello, si spinse con quattro uomini fino alla sacra persona dell'Inca, gli pose senza timore una mano sul braccio sinistro e gridò: Santiago! Allora i colpi partirono, le trombe squillarono, fanti e cavalieri iniziarono la carica… il governatore si recò col suo prigioniero nel proprio quartier generale. Era meraviglioso vedersi come un così gran personaggio, che si era presentato con tanta potenza, fosse stato fatto prigioniero in così breve tempo. In poco più di mezz'ora, davanti a 170 soldati Spagnoli, era crollato il fondamento gerarchico e spirituale di un impero che aveva governato con mano di ferro popoli diversi per due secoli su uno spazio di 5000 Km. Ancora una volta, per il maleficio delle antiche profezie, per un'impossibilità di comprensione tra due culture, la sorte dell'America Latina era segnata.

Il segreto degli Aztechi. La loro fine.
 

Quando gli Spagnoli vennero a contatto con gli Aztechi e le altre civiltà Precolombiane, fu proprio come se si incontrassero due popoli di due pianeti diversi. Essi non avevano nulla in comune, se non la lontana origine Asiatica. Essi pensavano in modo diverso; la loro morale, la loro visione del mondo, la loro realtà era differente.
Ed ognuno dei due popoli traeva dall'interno del proprio modello culturale la chiave di interpretazione per giudicare l'altro. Se per gli Europei si trattava semplicemente di straordinari popoli primitivi, infedeli, idolatri, giunti a un certo grado di civiltà e impossibilitati di andare innanzi senza ricevere il battesimo e l'illuminazione delle verità cristiane, prede com'erano di Dei demoniaci e di magie e stregonerie incomprensibili, che cos'erano invece questi strani Europei per gli Aztechi? Qui sta il più profondo segreto di quel popolo, la ragione della sua vertiginosa e angosciosa decadenza di fronte a un nemico tanto meno numeroso e potente, seppur bene armato. Essi cedettero agli Spagnoli per una ragione magica, o se vogliamo psicologica: era venuta meno la loro certezza interiore, si trovavano in piena crisi spirituale e si attendevano catastrofi e palingenesi a compimento di un'antica profezia. Come predisse la profezia, Cortes apparve sulle rive del Golfo del Messico nel 1519: molti credettero che fosse lui il Dio.
Questo antico mito buono che gli Aztechi avevano mutuato da altri popoli, era in aperto contrasto con il loro mito nazionale, quello del Dio Guerriero e feroce Huitzilopochtli, il figlio della vergine che aveva profetizzato alla piccola tribù di Uomini Nudi. Il nodo di questa contraddizione intima dell'anima Azteca non venne mai sciolto, ma anzi si strinse intrecciando in maniera inestricabile le due diverse tradizioni, e lasciando aperto, tra le maglie della dura filosofia del potere applicata dai Figli del Sole una lontana promessa di redenzione. La nascita di questa tradizione (viaggio del Vichingo) si pose in tale contrasto con l'impalcatura ideologica dell'impero Azteco, da determinare una profonda crisi spirituale di cui Montezuma II° rappresenta il dramma. Per una crudele ironia del destino il Dio venne identificato in Cortes e nei suoi conquistadores. Invece del Dio arrivarono pochi uomini, individualisti, educati a una scuola di durezza, e religiosi incapaci di comprendere una mitologia diversa. Gli ultimi anni dell'impero di Montezuma furono funestati da presagi negativi. Intanto i messaggeri in arrivo dalla costa portavano l'annuncio dei primi viaggi di uomini bianchi lungo il Golfo. Cortes fu accolto da doni e trattato come un Dio ma purtroppo per gli Aztechi era un comune mortale. Il popolo si sollevò contro la durezza della soldataglia Spagnola, mentre Montezuma li considerava inviati del Buon Dio. Così egli morì, colpito da una pietra lanciata  dai  suoi  stessi  sudditi   mentre  da  un  balcone  si  adoperava   per  calmare  gli  animi.  Il
13 Agosto 1521 la conquista Spagnola era terminata. Tesori d'arte, palazzi, documenti, tutto fu implacabilmente saccheggiato o dato alle fiamme. Oreficerie per un valore di miliardi furono distrutte, le poche che si salvarono diventarono lingotti d'oro. Questa mancata cooperazione tra le due diverse civiltà fu forse la più drammatica occasione mancata nella storia del mondo, e ancora oggi tutta l'America Latina ne porta il marchio.

La disperata difesa
 

Primi ad entrare in contatto con i bianchi provenienti dall'Europa, i Maya, popolo guerriero, si batterono furiosamente a difesa della loro civiltà e della loro cultura; Ferdinando Cortes, che andava in cerca d'oro, evitò  la loro penisola inospitale. Altri conquistadores ci lasciarono la pelle. Ma venne anche per loro il momento dello scontro fatale della cultura che non poteva comprenderli ne integrarli, solo distruggerli: nell'anno 1527 arrivò nello Yucatan il condottiero Francisco de Montejo, con 380 uomini e 57 cavalli: dopo otto anni di guerriglia, non c'era più un solo bianco in tutta la penisola; i Maya si erano rivoltati con inaudita fierezza e avevano scacciato gli spagnoli. Nel 1542 i Conquistadores ritornarono in forze, e sterminarono con spaventose carneficine le tribù locali che avevano rifiutato la resa. Mezzo milione di uomini venne ridotto in schiavitù, e poi mandato a lavorare come servo della gleba in Europa. Tuttavia un piccolo contingente di Maya resistette per qualche anno ancora, arroccato nelle regioni umide dello Peten, non lungi dalle antiche rovine della città di Tikal. Essi vi restarono indisturbati fino al 1618: poi per alcune diecine di anni dovettero difendersi dalle successive incursioni spagnole, finché, nel Marzo del 1697, furono obbligati a capitolare. Fu una fine certo meno tragica e grandiosa di quella degli Aztechi, ma una perdita altrettanto dolorosa per la storia della civiltà, che oggi potrebbe forse annoverare, se non una nuova Atlantide, forse almeno una diversa e più umanamente rigogliosa America centrale.