La Chiesa comprese immediatamente l’importanza della nuova situazione,
e in parte la favorì e in parte curò addirittura d’incrementarla.
Non proprio tutto, nella leggenda dei “terrori dell’anno mille” e nel mito
storiografico derivatone, è frutto esclusivo di fantasia: in effetti
quell’età ferrea ch’era stata il secolo X - le strutture ecclesiastiche
in piena crisi, gli epigoni dell’impero carolingio crollati, gli arabi
padroni del Mediterraneo - aveva conosciuto un rafforzarsi delle attese
escatologiche cristiane e un effettivo espandersi del millenarismo. Abbone
di Fleury, che scriveva nel 998, “aveva ascoltato da giovane, a Parigi,
un predicatore annunziare per l’anno mille la fine del mondo, subito seguita
dal Giudizio Universale” (H. Facillon). Notizie e paure del genere correvano
per l’Europa; opuscoli annunzianti il prossimo regno dell’Anticristo e
la successiva Seconda Venuta del Cristo si moltiplicavano, e spingevano
i fedeli alla penitenza. Ben presto i movimenti penitenziali erano divenuti
un fatto abituale, una pratica generale che la Chiesa - guidata soprattutto
dal più attivo e intelligente ordine monastico del tempo, quello
di Cluny - era riuscita a disciplinare incanalandola soprattutto entro
due forme: la costruzione di nuove chiese e il pellegrinaggio.
La costruzione di chiese nuove fu un fatto di eccezionale importanza
nella vita del secolo: “Era - scrive un cronista del tempo, Rodolfo Glabro
- come se il mondo si fosse scosso e, liberandosi della sua vecchiaia,
si fosse rivestito di un candido manto di chiese”. La chiesa - e soprattutto
la cattedrale, centro e simbolo della risorta vita cittadina - veniva si
costruita da maestranze specializzate, ma con pietre recate (spesso a braccia)
dai penitenti. Essa diveniva così il simbolo effettivo della pace
e della riconciliazione tra i cristiani, era la Gerusalemme Celeste in
terra, la copia della Città di Dio eretta grazie a un collettivo
sforzo di purificazione. Si cercavano anche da lontano reliquie che potessero
renderla celebre e degna di essere visitata dai pellegrini; alla sua ombra
cresceva la prosperità dei cittadini perché la festa del
santo cui era dedicata si faceva coincidere con un mercato (“fiera” da
feria = festività sacra).
Contemporaneamente, la pratica della visita a luoghi particolarmente
sacri della cristianità diveniva sempre più diffusa: contribuivano
a rendere popolare il rinato bisogno di spostarsi da un luogo all’altro,
connesso sia alle necessità economiche di visitare questo o quel
mercato, sia al desiderio di trovare terre più fertili e lavoro
più redditizio; oppure, era il richiamo di una scuola famosa per
i suoi maestri e i suoi codici a suggerire il viaggio. Si andava in pellegrinaggio
per pregare, per ammirare un santuario, per implorare una grazia, ma ci
si poteva anche andare per commerciare o per imparare; la Chiesa favoriva
il movimento aprendo ospizi, dichiarando la persona del pellegrino sotto
la sua protezione, caldeggiando l’apertura e la manutenzione di strade
e il restauro delle antiche vie di comunicazione che tornavano a essere
usate dopo secoli semiabbandono. Talvolta si viaggiava in sconto di peccati
particolarmente gravi: era la peregrinatio paenitentialis.
Il peregrinus poteva quindi essere di tutto: un devoto, un mercante,
uno studioso, un criminale pentito, un uomo in cerca di lavoro, un predicatore
itinerante, un bandito o un parassita. Ma la sensibilità del tempo
ne faceva prima di tutto un “cercatore di Dio”: la vita stessa erta un
viaggio della cui meta la chiesa o la tomba del santo presso la quale si
pellegrinava era solo un simbolo inadeguato, un pallido riflesso. Ancora,
il pellegrino era, per definizione, un “povero”.
Fu, quello, il tempo dei grandi santuari
e delle città-santuario: Santiago de Campostela, Mont-Saint-Michel,
Chartres, Roma, San Michele del Gargano, Gerusalemme. Lungo le strade che
portavano a questi luoghi si ordinavano una lunga serie di tappe minori,
di stationes: ciascuna col suo santo, la sua reliquia miracolosa, la sua
chiesa dove lucrare indulgenze; ospizi e mercati si susseguivano. Il viaggio
del pellegrino si svolgeva sotto la costante difesa della pax Dei; la sua
persona e i suoi averi erano sacri, e i distintivi che portava indosso
(signa super vestes) erano il simbolo esteriore della meta e quindi del
rispetto che la Chiesa imponeva nei suoi confronti a tutti i cristiani
: la conchiglia per Santiago, la croce per Roma o per Gerusalemme, la palma
per Gerusalemme.
L’ordine cluniacense si era fatto soprattutto promotore del pellegrinaggio
verso Santiago, e ben presto il culto dell’Apostolo aveva assunto caratteri
particolari, di tipo militare. La Spagna era difatti terra di contesa fra
cristiani e mori, e Santiago era destinato a divenire il simbolo della
Reconquista che la Chiesa incoraggiava offrendo ai combattimenti in ciò
impegnati indulgenze analoghe a quelle che si accordavano ai pellegrini.
L’idea del pellegrinaggio si fuse e quindi ben presto con quella di salvezza
ultraterrena da un lato, di lotta contro l’infedele dall’altro.
La celebre Chanson de Roland, della seconda metà del secolo
XI, vede Rolando cadere a Roncisvalle. Il passo di Roncisvalle è
la via battuta dai pellegrini di Santiago.
Così disse Rolando: - Qui subiremo martirio
e ora so bene che non ci resta molto da vivere.
Ma sarà fellone chi non si venderà caro.
Colpite, signori, con le spade forbite,
e disputate la vostra morte e la vostra vita,
sì che la dolce Francia non sia disonorata.
Quando Carlo, il mio signore, verrà su questo campo
e vedrà un tale massacro di saraceni
che per uno dei nostri ne troverà morti quindici,
non potrà non benedirci.
Chanson de Roland, vv. 1922-1931.
Tutta l’Europa conosceva questi versi, tra i più commoventi dell’epopea
rolandiana, che si cantavano di mercato, di castello in castello: quanti
pellegrini, sul cammino di Spagna, avranno scoperto la vocazione alla crociata!