Le cattive notizie viaggiano rapidamente. Si era appena combattuta,
e persa, la battaglia di Hattin, e già i messaggeri si affrettavano
verso l’Occidente per informare i principi d’Europa; ben presto altri seguirono
recando l’annunzio della caduta di Gerusalemme. La cristianità occidentale
apprese, costernata, le notizie dei disastri.
I pellegrini e i cavalieri che erano stati in oriente, avevano trovato
negli stati franchi una vita più lussuosa e gaia di quanto
avessero mai conosciuto in patria. Avendo udito racconti di prodezze militari
e ammirato un commercio fiorente, non potevano capire quanto fosse precaria
quella prosperità. L’esercito cristiano era stato distrutto, la
Santa Croce, la più sacra delle reliquie della cristianità,
era nelle mani degli infedeli, e Gerusalemme stessa era stata conquistata.
In pochi mesi era crollato l’intero edificio dell’Oriente franco; per cercare
di salvare qualche cosa delle rovine bisognava mandare degli aiuti, e mandarli
presto.
L’arcivescovo salpò da Tiro alla fine dell’estate del 1187 ed
arrivò dopo un rapido viaggio alla corte di Guglielmo II di Sicilia,
il quale rimase molto amareggiato dalla notizia della distruzione, egli
si vestì e si appartò per quattro giorni, mandando delle
lettere a molti sovrani per cercare di formare una nuova crociata.
La notizia della rovina arrivò anche al papato, dove il vecchio
Urbano III, ormai malato, morì il 20 ottobre. Gli succedette il
papa Gregorio VII, il quale mandò subito delle nuove leggi ai pellegrini
e ai soldati, infatti essi dovevano digiunare, per i successivi 5 anni,
ogni venerdì ed astinenza dalla carne il mercoledì e il sabato;
la sua corte e quella dei cardinali avrebbero digiunato anche il lunedì,
ma purtroppo il papa morì due mesi dopo a Pisa lasciando il pontificato
in mano di Clemente III, intanto Federico Barbarossa andava ad incontrarsi
con il re di Inghilterra e Francia.
Si decise di fare partire una crociata, l’esercito francese avrebbe
avuto delle croci rosse, invece gli inglesi avrebbero indossato delle croci
bianche, i fiamminghi le avrebbero portate verdi.
Dopo la morte del vecchio re di Inghilterra Enrico, entrò in
carica il re Riccardo, il quale era già in oriente per adempiere
ai compiti della fede che gli chiedevano di combattere nelle crociate,
ma fu fatto subito un trattato e Riccardo, fu fatto tornare in patria per
essere incoronato a Westminser. Il fratello del Re, Giovanni, ebbe in feudo
vasti possedimenti nel sud-ovest mentre un potente bando che gli impediva
di entrare in Inghilterra per tre anni veniva revocato. Si vendettero alcune
terre della corona al fine di riempire le casse del Re.
Dopo poco tempo si seppe che i francesi stavano passando all’attacco
grazie all’aiuto dei siciliani, quindi per il re di Francia e di Inghilterra
era ora di partire.
Riccardo dopo alcuni imprevisti partì per la Palestina il 4
luglio.
Erano passati oramai più di tre anni dalla disastrosa battaglia
di Hattin, così disastrosa per il regno di Gerusalemme, ed era stato
un bene per i Franchi d’oriente non aver aspettato molto per intervenire.
Il tempestivo intervento di Guglielmo di Sicilia aveva conservato alla
cristianità Tiro e Tripoli. Guglielmo morì il 18 novembre
1189.
In settembre una flotta danese e fiamminga arrivò alle coste
siriane, e quasi allo stesso tempo giunse Giacomo, signore di Avesnes,
il più valoroso combattente delle fiandre.
Persino tra gli inglesi non si aspettavano la venuta del loro sovrano.
Ai primi di maggio del 1189 Federico partì da Ratisbona, accompagnato
dal suo secondo genito Federico di Svevia e da molti dei suoi maggiori
vassalli; il suo esercito, in quanto singolo corpo di spedizione, era il
più grande di quanti ne fossero partiti per una crociata; era ben
armato e ben disciplinato.
L’esercito tedesco aveva marciato molto lentamente attraverso i Balcani
e Federico era troppo prudente per spingersi in Anatolia durante l’inverno.
Trascorse i mesi invernali ad Adrianopoli, mentre i cittadini di Costantinopoli
temevano che gli respingesse le scuse di Isacco e marciasse contro
la loro città. Finalmente nel marzo 1190 l’intera spedizione si
mosse verso Gallipoli, e con l’aiuto dei bizantini arrivò in Asia,
con grande sollievo di Isacco e dei suoi sudditi.
Il 10 giugno il grande esercito discese nella piana di Seleucia e si
preparò ad attraversare il fiume Calicadno per entrare nella città.
L’imperatore cavalcava in testa con la sua guardia del corpo e giunse vicino
all’acqua. Che cosa sia successo allora è incerto: o scese da cavallo
per rinfrescarsi nelle gelide acque , la cui corrente li era più
impetuosa di quanto supponesse, o il suo organismo ormai vecchio non poté
sopportare la brusca reazione, o fors’anche il cavallo scivolò
gettandolo in acqua, mentre il peso dell’armatura lo faceva affondare.
Quando l’esercito giunse al fiume il suo cadavere era stato recuperato
e giaceva sulla riva.
Il pericolo era stato grande per l’Islam e Saladino aveva ragione di
vedere nella morte dell’imperatore la propria salvezza. Sebbene un certo
numero di soldati fosse perito e qualche equipaggiamento perduto nella
difficile marcia in Anatolia, tuttavia l’esercito era ancora formidabile.
L’esercito anche dopo la perdita del loro imperatore era molto forte
ma si sentiva smarrito, e il figlio dell’imperatore, il duca di Svevia,
provò a prendere in mano l’esercito, ma egli non aveva le stesse
capacità del padre, il duca continuò la sua marcia nella
Cilicia conservando il corpo del padre in una botte piena di aceto.
Dopo pochi tempi l’esercito cominciava a cambiare a peggiorare, i soldati
diventarono molto indisciplinati , parecchi erano affamati , altri ammalati
e tutti erano insubordinati. Il duca cadde infermo e dovette trattenersi
in Cicilia. Il suo esercito continuò la marcia anche senza di lui,
ma venne attaccato e subì gravi perdite nell’attraversare le porte
della Siria. Quella che arrivò il 21 giugno ad Antiochia era una
plebe miserabile; Federico la raggiunse alcuni giorni più tardi
dopo essersi ristabilito.
Federico in agosto decise di proseguire la sua marcia ma trovò
un esercito molto più assottigliato, intanto anche i resti del padre
si stavano decomponendo nell’aceto, ma alcune ossa furono staccate dal
corpo per far sì che proseguissero il viaggio verso Gerusalemme.
Il tragico insuccesso della crociata dell’imperatore rese ancora più
urgente la necessità che i re di Francia e d’Inghilterra arrivassero
in Oriente per prendere parte alla dura e fatale contesa che si era impegnata
sulle coste della Palestina settentrionale.
Riccardo
Cuor di Leone
Il nuovo re Inglese Riccardo Cuor di Leone era stato, negli ultimi
tempi della vita del padre, suo alleato e nemico del re di Francia. Appena
salito sul trono si accorse però di non poter più mantenere
da sovrano la linea politica assunta da principe, e si precipitò
a seguire le orme dell’azione paterna. Ma le cose erano andate ormai troppo
oltre e non fu possibile dilazionare la partenza.
Il 4 Luglio 1190 Riccardo e Filippo s’incontrarono a Vezelay; la sede
era quella, storica, della seconda crociata, ma il clima era di scarso
entusiasmo e di reciproca sfiducia.
Di là Riccardo raggiunse Marsiglia e insieme a Filippo si trovarono
in Sicilia per svernare.
Il soggiorno nella località di Messina riempì di attriti
i due sovrani, i quali si trovarono nel campo di battaglia non molto amici.
Una volta a destinazione, i crociati trovarono che la feudalità
franco-siriaca conduceva, accanto alla guerra contro il Saladino, un proprio
conflitto privato che riguardava l’interesse proprio del potere di Gerusalemme,
i due contendenti erano Corrado marchese di Monferrato e Guido di Lusignano.
Il contrasto era giunto nella sua fase più aspra sotto le mura
di Acri, che i cristiani assediavano dal settembre del 1189, quando i due
re vi giunsero nella tarda primavera del 1191. Ciascuno si proclamò
immediatamente patrono di una delle due parti: Filippo II difendeva i diritti
di Corrado e in ciò era sostenuto dai suoi ricchi amici, i genovesi;
Riccardo proteggeva Guido la cui famiglia, originaria del Poitou, era vassalla
della corona inglese e al cui fianco stavano sia i Pisani, che col re avevano
in sospeso alcuni affari economici, sia i Templari, che in Inghilterra
erano potentissimi.
Il 12 Luglio Acri capitolava: questo fu il vero e unico successo di
tutta la crociata. Il re di Francia era un politico troppo concreto e perspicace
per stare a perdere il suo tempo in una impresa che già dall’inizio
si era rilevata inconcludente mentre la patria aveva bisogno di lui; oltre
a ciò, la morte del conte di Fiandra, avvenuta proprio in quel periodo,
riapriva la questione vitale dell’egemonia francese su quella terra sempre
sospesa tra la Francia e l’Inghilterra.
Sistemato provvisoriamente il conflitto fra i due pretendenti con la
attribuzione della corona a Guido e della signoria di Tiro a Corrado, Filippo
lasciò al collega inglese- ai cui interessi europei si riprometteva
di nuocere non appena rientrato a Parigi - l’incombenza della crociata
e , adducendo come giustificazione il suo precario stato di salute, ripartì
per l’occidente poco più di tre mesi dopo il suo arrivo in Terra
Santa.
Riccardo non aveva difficoltà a comprendere le intenzioni del
rivale, la cui partenza era considerata dagli inglesi una autentica fellonia:
ma non seppe reagire. Nel suo intimo, il senso cavalleresco e la fedeltà
al voto cristiano si fondevano con l’ambizione d’esser lui il secondo liberatore
del Sepolcro, il nuovo Goffredo, e a questo sogno si aggrappava con tutta
la sua inflessiva irruenza. Guerriero eccezionale, era però un condottiero
mediocre ed un politico assai rozzo: collezionò quindi, nonostante
alcuni successi militari, una serie di umiliazioni politiche e diplomatiche,
sia col Saladino che lo costrinse alla fine a siglare una pace che era
la rinunzia alla città santa, sia con Corrado di Monferrato che
restava l’unico principe capace di reggere le sorti del reame franco e
al quale Riccardo fu obbligato a consentire che finalmente si desse la
corona.
La pace con il Saladino nel settembre del 1192 fu, tutto sommato, quanto
di meglio i cristiani potessero ottenere da quella situazione. Nelle loro
mani restavano tutte le città costiere nel territorio di a nord
di Jaffa, si assicurava che le carovane avrebbero continuato ad affluire
ai loro mercati ed ai loro porti; tutti i pellegrini che lo volessero potevano
continuare tranquillamente a visitare, a gruppi, i Luoghi Santi. Ma queste
ottime condizioni si dovettero più alla moderazione del Saladino
che alla capacità di negoziare di Riccardo. Egli si sentiva ormai
uno sconfitto, un umiliato, un fallito; rifiutò di visitare
da pellegrino, sotto scorta infedele, quel Sepolcro sul quale non aveva
potuto sciogliere il suo voto di liberatore: e partì da Acri al
principio di ottobre, il cuore traboccante di amarezza, verso il destino
di nuove umiliazioni e di lunga prigionia che lo attendevano in Europa.
Gerusalemme era perduta per sempre.