Seneca - De otio

III

 [...] Epicurus ait: "Non accedet ad rem publicam sapiens, nisi si quid interuenerit". Zenon ait: "Accedet rem publicam, nisi si quid impedierit". Alter otium ex proposito petit, alter ex causa. Causa autem illa late patet: si res publica corruptior est quam ut adiuuari possit, si obscurata est malis, non nitetur sapiens in superuacuum nec se nihil profuturus impendet; si parum habebit auctoritatis aut uirium nec illum erit admissura res publica, si ualetudo illum impediet, quomodo nauem quassam non deduceret in mare, quomodo nomen in militiam non daret debilis, sic ad iter quod inhabile sciet non accedet. Potest ergo et ille cui omnia adhuc in integro sunt, antequam ullas experiatur tempestates, in tuto subsistere et protinus commendare se bonis artibus et illibatum otium exigere, virtutum cultor, quae exerceri etiam quietissimis possunt. Hoc nempe ab homine exigitur, ut prosit hominibus: si fieri potest, muoltis; si minus, paucis; si minus, proximis, si minus, sibi. Nam, cum se utilem ceteris efficit, commune agit negotium: quomodo qui se deteriorem facit non sibi tantummodo nocet, sed etiam omnibus iis quibus, melior factus, prodesse potuisset, sic quisquis bene de se meretur hoc ipso aliis prodest, quod illis profuturum parat.

[...] Dice Epicuro: "Il saggio non si deicherà alla vita politica a meno che non sarà intervenuta una qualche necessita". Dice Zenone: "Il saggio si dedicherà alla vita politica a meno che qualcosa non lo impedisca". Il primo cerca l'ozio volutamente, l'altro per necessità, e del resto questa necessità si estende vastamente. Se lo Stato è troppo corrotto per poter essere aiutato, se è invaso dai mali, il saggio non si affaticherà inutilmente né si sacrificherà se è destinato a non recare alcuna utilità; se avrà scarsa autorevolezza e poche forze, se lo Stato non lo vorrà accettare, se la salute gli impedirà, come non farebbe scendere in mare una nave sconquassata, come non darebbe il proprio nome per il servizio militare se fosse debole, allo stesso modo non intraprenderà un cammino che saprà impercorribile. Pertanto può anche colui al quale ancora tutto è integre, può prima di sperimentare qualche pericolo, fermarsi al sicuro e immediatamente dedicare tutto se stesso alle virtù e condurre un ozio illibato come cultore di quelle virtù che possono essere coltivare anche dalle persone più miti. Certamente da un uomo si chiede ciò che sia di giovamento agli uomini se possibile a molti, se non proprio a molti a pochi, se non proprio a pochi ai vicini, se non proprio ai vicini a sé. Infatti quando si rende utile a tutti gli altri si dedica ad un compito comune. Come colui che si rende peggiore nuoce non soltanto a se stessi, ma anche a tutti quelli ai quali avrebbe potuto giovare se fosse diventato migliore, allo stesso modo chiunque benemerita di se stesso, per questo stesso fatto, giova agli altri, perché prepara una persona destinata a giovare agli altri.

IV

 [...] Solemus dicere summum bonum esse secundum naturam vivere: natura nos ad utrumque genuit, et contemplationi rerum et actioni.

[...] Siamo soliti dire che il bene più grande è vivere secondo natura: la natura ci ha generato per entrambe queste cose, ia per la contemplazione delle cose, sia per l'azione.

V

Nunc id probemus quod prius diximus. Quid porro? Hoc non erit probatum, si se unusquisque consuluerit quantam cupidinem habeat ignota noscendi, quam ad omnes fabulas excitetur? Navigant quidam et labores peregrinationis longissimae una mercede perpetiuntur cognoscendi aliquid abditum remotunque. Haec res ad spectacula populos contrahit, haec cogit praeclusa rimari, secretiora exquirere, antiquitates evolvere, mores barbararum audire gentium. Curiosum nobis natura ingenium dedit et, artis sibi ac pulchritudinis suae conscia, spectatores non tantis rerum spectaculis genuit, perditura fructum sui si tam magna, tam clara, tam subtiliter ducta, tam nitida et non uno genere formosa solitudini ostenderet. Ut scias illam spectari voluisse , non tantum aspici, vide quem nobis locum dederit: in media nos sui parte constituit et circumspectum omnium nobis dedit; nec erexit tantummodo hominem, sed etiam, habilem contemplationem factura, ut ab ortu sidera in occasum labentia prosequi posset et vultum suum circumferre cum toto, sublime fecit illi caput et collo flexili imposuit. Deinde, sena per diem, sena per noctem signa perducens, nullam non partem sui explicuit, ut per haec quae obtulerat oculis eius cupiditatem faceret etiam ceterorum. [...]

Ora dimostriamo ciò che abbiamo detto come prima cosa. Che cosa inoltre? Ciò sarà dimostrato se ciascuno si sarà domandato quanto desiderio ha di conoscere le cose ignote, e quanto si ecciti a tutti i racconti fantastici? Alcuni viaggiano per mare e sopportano coraggiosamente le fatiche di un lunghissimo viaggio con una sola ricompensa per conoscere qualcosa di nascosto e lontano. Questa condizione raduna le folle a guardare gli spettacoli, costringe a spiare tutte le realtà nascoste, a cercare le cose più nascoste, a srotolare le antichità, ad apprendere i costumi delle genti barbariche: la natura ci diede un intelletto avido di conoscenza e consapevole della sua arte e bellezza, non (ci) generò spettatori per i così grandi spettacoli della natura, poiché avrebbe sprecato il frutto del proprio lavoro se avesse mostrato alla solitudine (opere) tanto grandi, tanto illustri, tanto squisitamente elaborate, tanto splendide e belle non di un solo genere (di bellezza). Affinché tu sappia che quella ha voluto essere contemplata non solo essere guardata, osserva in quale parte ci ha collocato: ci ha collocato nella parte centrale di sé e ci ha dato la possibilità di vedere tutto all'intorno; e non solo ha fatto l'uomo in posizione eretta, ma coll'intenzione di renderla anche adatto alla contemplazione, cosicché potesse seguire con lo sguardo le stelle che scorrono nel cielo da oriente ad occidente, affinché potesse far girare il proprio volto con tutto l'universo, gli fece una testa sublime e la collocò su un collo pieghevole; poi conducendo sei costellazioni di giorno e sei di notte svelò ogni parte di sé affinché attraversi queste bellezze che aveva offerto ai suoi occhi suscitasse il desiderio delle rimanenti bellezze. [...]

VI

 [...] Quo animo ad otium sapiens secedit? Ut sciat se tum quoque ea acturum per quae posteris prosit. Nos certe sumus qui dicimus et Zenonem et Chrysippum maiora egisse quam si duxissent exercitus, gessissent honores, leges tulissent: quas non uni civitati, sed toti humano generi tulerunt. Quid est ergo quare tale otium non conveniat viro bono, per quod futura saecula ordinet nec apud paucos contionetur, sed apud omnes omnium gentium homines quique sunt quique erunt? Ad summam, quaero an ex praeceptis suis vixerint Cleanthes et Chrysippus et Zenon. Non dubie respondebis sic illos vixisse quemadmodum dixerant esse vivendum. Atqui nemo illorum rem publicam administravit. - Non fuit, inquis, illis aut ea fortuna aut ea dignitas quae admitti ad publicarum rerum tractationem solet -. Sed iidem nihilo minus non segnem egere vitam: invenerunt quemadmodum plus quies illorum hominibus prodesset quam aliorum discursus et sudor. Ergo nihilo minus hi multum egisse visi sunt, quamvis nihil publice agerent.

[...] Con quale animo il saggio si isola nell'otium? In modo che sappia che anche allora compirà azioni che giovino alla posterità. Siamo senza dubbio che sia Zenone sia Crisippo hanno fatto cose più grandi che se avessero comandato eserciti, svolto cariche pubbliche, promulgato leggi: poiché queste non le promulgarono per una sola città ma per l'intero genere umano. Che ragione c'è, dunque, perché ad un uomo retto non convenga siffatta vita contemplativa, attraverso la quale regoli le generazioni future e non parli a pochi, ma ad ogni uomo d'ogni popolo quanti sono e quanti saranno? Insomma mi domando se siano vissuti secondo i loro insegnamenti Cleante, Crisippo e Zenone. Indubbiamente risponderai che quelli sono vissuti nel modo in cui avevano detto che si doveva vivere: eppure nessuno di quelli amministrò lo stato. Ma tu dici: "Quelli non ebbero o quella fortuna o quella autorità che suole essere richiesta per il governo dello stato". Ma allo stesso tempo tuttavia condussero una vita non inerte: scoprirono che giova agli uomini più la loro calma che il correre qua e là ed il sudore degli altri. Quindi ciononostante questi sembrarono aver fatto molto, benché non facessero nulla nella vita pubblica.