Ovidio - Metamorfosi
Liber VIII

vv. 183-200 - Dedalo e Icaro

Daedalus interea Creten longumque perosus
exilium tactusque loci natalis amore,
clausus erat pelago."Terras licet" inquit "et undas
obstruat, at caelum certe patet.Ibimus illac;
omnia possideat, non possidet aera Minos".
Dixit et ignotas animum dimittit in artes
naturamque novat.
Nam ponit in ordine pennas,
a minima coeptas, longam breviore sequenti,
ut clivo crevisse putes; sic rusticam quondam
fistula disparibus paulatim surgit avenis.
Tum lino medias et ceris alligat imas
ut veras imitetur aves.
Puer Icarus una
stabat et, ignarus sua se tractare pericla,
ore renidenti modo, quas vaga moverat aura,
captabat plumas, flavam modo pollice ceram
mollibat lusuque suo mirabile patris
impediebat opus.

Nel frattempo, avendo Dedalo in odio Creta, preso da amore per la terra natia, era chiuso dal mare."Chiuda pure la terra e il mare, ma il cielo almeno rimane aperto; ce ne andremo per di lā;anche se Minosse possiede tutto, non possiede il cielo. Cosė disse e si dedica ad arti sconosciute e rinnova la natura. Infatti dispone in ordine le penne, incomonciando dalla pių piccola, a una pių breve che segue una lunga, in modo da credere ad un ordine crescente; cosė talvolta viene su la rustica zampogna a poco a poco con canne differenti.Allora lega le penne centrali con il filo e con la cera quelle pių in basso e dopo averle cosė disposte vi imprime una leggera curvatura, per imitare gli uccelli veri. Era con lui, il figlio Icaro e, ignorando di maneggiare gli strumenti della sua rovina, ora col volto sorridente toccava le piume che erano mosse dalla brezza errabonda, ora con il pollice ammorbidiva la bionda cera e con i suoi scherzi impediva l'opera mirabile del padre.