Nepote - De excellentibus ducibus exterarum gentium
XIII - Hannibal

I - Annibale e il suo odio per Roma

Hannibal, Hamilcaris filius, (erat) Karthaginiensis. Si verum est, quod nemo dubitat, ut populus Romanus omnes gentes virtute, superavit, non est infitiandum Hannibalem tanto praestitisse ceteros imperatores prudentia, quanto populus Romanus antecedat fortitudine cunctas nationes. Nam, quotienscumque cum eo congressumìs est in Italia, semper discessit superior. Quod nisi domi civium suorum invidia debilitatus esset, Romanos videtur superare potuisse. Sed multorum obtrectatio devicit unius virtutem. Hic autem velut hereditate relictum odium paternum erga Romanos sic conservavit, ut prius animam qua id deposuerit, qui quidem, cum patria pulsus esset et alienarum opum indegeret, numquam destiterit animo bellare cum Romanis.

Annibale, figlio di Amilcare, era Cartaginese. Se è vero, cosa di cui nessuno dubita, che il popolo Romano ha superato in valore tutte le genti, non si deve negare che Annibale fu superiore tanto agli altri generali in accortezza quanto il popolo Romano superò in forza tutte le altre nazioni. Infatti ogni volta che Annibale si scontrò con quello in Italia, ne uscì sempre vincitore. Se non fosse stato indebolito dall'avversione dei suoi concittadini in patria, sembra che avrebbe potuto sconfiggere i Romani. Ma l'odio di molti vinse il valore di uno solo. In lui l'odio per i Romani trasmessogli dal padre come un'eredità era così radicato, in modo tale che lasciò andare prima l'anima, tanto che non cessò mai di combattere con l'animo contro i Romani, sebbene fosse stato cacciato dalla sua patria e avesse bisogno della forza di altri.

II - Giuramento di odio eterno verso i romani.

Nam ut omittam Philippum, quem absens hostem reddidit Romanis, omnium his temporibus potentissimus rex Antiochus fuit. Hunc tanta cupiditate incendit bellandi, ut usque a rubro mari arma conatus sit inferre Italiae. Ad quem cum legati venissent Romani, qui de eius voluntate explorarent darentque operam, consiliis clandestinis ut Hannibalem in suspicionem regi adducerent, tamquam ab ipsis corruptus alia atque antea sentiret, neque id frustra fecissent idque Hannibal comperisset seque ab interioribus consiliis segregari vidisset, tempore dato adiit ad regem, eique cum multa de fide sua et odio in Romanos commemorasset, hoc adiunxit: "Pater meus" inquit "Hamilcar puerulo me, utpote non amplius VIIII annos nato, in Hispaniam imperator proficiscens Carthagine, Iovi optimo maximo hostias immolavit. Quae divina res dum conficiebatur, quaesivit a me, vellemne secum in castra proficisci". Id cum libenter accepissem atque ab eo petere coepissem, ne dubitaret ducere, tum ille "Faciam", inquit "si mihi fidem, quam postulo, dederis". Simul me ad aram adduxit, apud quam sacrificare instituerat, eamque ceteris remotis tenentem iurare iussit numquam me in amicitia cum Romanis fore. Id ego ius iurandum patri datum usque ad hanc aetatem ita conservavi, ut nemini dubium esse debeat, quin reliquo tempore eadem mente sim futurus. Quare, si quid amice de Romanis cogitabis, non imprudenter feceris, si me celaris; cum quidem bellum parabis, te ipsum frustraberis, si non me in eo principem posueris".

Infatti, per non parlare di Filippo, che Annibale pur lontano reso nemico ai Romani, a quei tempi il più potente di tutti fu il re Antioco. Accese costui di un desiderio tanto grande di combattere che tentò di far guerra all'Italia fin dal Mar Rosso. Essendo andati da lui degli ambasciatori romani, che volevano esplorare le sue funzioni, riguardo alla sua volontà e darsi da fare con intrighi occulti, per rendere Annibale sospetto al re come se Annibale la pensasse diversamente da prima, non fecero ciò invano e Annibale capì questo e si vide allontanato dalle sedute più segrete. Al momento più opportuno si presentò al re e dopo avergli ricordato molti fatti relativi alla sua fedeltà e all'odio verso i romani, questo aggiunse: "Mio padre Amilcare, quando ero un bambinetto, quando avevo non più di nove anni, partendo per la Spagna da Cartagine come comandante supremo sacrificò delle vittime a Giove Ottimo Massimo. Mentre era portato a termine questo sacrificio mi chiese se volessi partire con lui alla volta dell'accampamento. Avendo accettato volentieri questa proposta e avendo cominciato a chiederli di non esitare a condurmi, quello disse: lo farò se mi avrai dato quella fiducia che chiedo. Contemporaneamente mi portò presso l'altare dove aveva deciso di fare il sacrificio e allontanati gli altri mi ordinò di giurare che non sarei mai stato amico dei Romani. Io ho conservato quel giuramento fatto al padre fino a questa età in modo tale che a nessuno debba essere il dubbio che io non sarò dello stesso parere nel tempo rimanente. Perciò se penserai qualcosa di amichevole riguardo i Romani non agirai imprudentemente se me lo terrai nascosto. Quando in verità preparerai la guerra, ingannerai te stesso se non mi porrai in quella come guida.

III

Hac igitur, qua diximus, aetate cum patre in Hispaniam profectus est.Cuius post obitum, Hasdrubale imperatore suffecto, equitatui omni praefuit. Hoc quoque interfecto exercitus summam imperii ad eum detulit. Id Carthaginem delatum publice comprobatum est. Sic Hannibal, minor V et XX annis natus imperator factus, proximo triennio omnes gentes Hispaniae bello subegit; Saguntum, foederatam civitatem, vi expugnavit; tres exercitus maximos comparavit. Ex his unum in Africam misit, alterum cum Hasdrubale fratre in Hispania reliquit, tertium in Italiam secum duxit. Saltum Pyrenaeum transiit. Quacumque iter fecit, cum omnibus incolis conflixit: neminem nisi victum dimisit. Ad Alpes posteaquam venit, quae Italiam ab Gallia seiungunt, quas nemo umquam cum exercitu ante eum praeter Herculem Graium transierat, quo facto is hodie saltus Graius appellatur, Alpicos conantes prohibere transitu concidit; loca patefecit, itinera muniit, effecit, ut ea elephantus ornatus ire posset, qua antea unus homo inermis vix poterat repere. Hac copias traduxit in Italiamque pervenit.

Dunque a quest'età in cui abbiamo detto (sott.: che fece il giuramento), partì col padre per la Spagna, e dopo la morte di questo, nominato Asdrubale comandante al posto suo, fu popto a capo di tutta la cavalleria. Morto anche questo l'esercitò conferì a lui il supremo comando. Tale nomina fu approvata publicamente a Cartagine. Così Annibale, diventato comandante a meno di venticinque anni, nel triennio seguente sottomise in guerra tutti i popoli della Spagna, espugnò con la forza Sagunto, città alleata, preparò tre grandissimi esercito. Di questi (ne) mandò uno in Africa, lasciò il secondo col fratello Asdrubale in Spagna, condusse il terzo con sé in Italia. Attraversò il valico dei Pirenei, (e) qualunque territorio attraversasse, litigava con tutti gli abitanti: non lasciò andare nessuno se non (era stato) vinto. Dopo che venne alle Alpi, che dividono l'Italia dalla Gallia, che mai nessuno aveva attraversato con un esercito prima di lui tranne il Greco Ercole - per questo fatto è oggi chiamata catena delle (Alpi) Graie - sterminò gli abitanti delle Alpi che cercavano di impedirgli il passaggio, rese praticabili i luoghi (lett: aprì i luoghi), fortificò i percorsi, fece in modo che lì potesse andare un elefante equipaggiato, là dove prima a mala pena un uomo disarmato poteva passare strisciando. Per di là fece passare le truppe e arrivò in Italia.

IV - Dal Ticino a Canne

Conflixerat apud Rhodanum cum P. Cornelio Scipione consule eumque pepulerat. Cum hoc eodem Clastidi apud Padum decernit sauciumque inde ac fugatum dimittit. Tertio idem Scipio cum collega Tiberio Longo apud Trebiam adversus eum venit. Cum his manum conseruit, utrosque profligavit. Inde per Ligures Appenninum transiit, petens Etruriam. Hoc itinere adeo gravi morbo afficitur oculorum, ut postea numquam dextro aeque bene usus sit. Qua valetudine cum etiam tum premeretur lecticaque ferretur C. Flaminium consulem apud Trasumenum cum exercitu insidiis circumventum occidit neque multo post C. Centenium praetorem cum delecta manu saltus occupantem. Hinc in Apuliam pervenit. Ibi obviam ei venerunt duo consules, C. Terentius et L. Aemilius. Utriusque exercitus uno proelio fugavit, Paulum consulem occidit et aliquot praeterea consulares, in his Cn. Servilium Geminum, qui superiore anno fuerat consul.

Si era scontrato presso il Rodano con il console Publio Cornelo Scipione e lo aveva respinto. Si misura sempre con questo a Clastidio presso il Po e da lì lo respinge ferito e fuggitivo; per la terza volta lo stesso Scipione con il collega Tiberio Longo venne contro di lui presso il Trebbia. Quando venne a battaglia, sbaragliò entrambi (gli eserciti dei consoli), da lì attraverso (il territorio dei) Liguri attraversò l'Appennino, dirigendosi verso l'Etruria. In questo viaggio fu affetto da una malattia agli occhi grave a tal punto che in seguito non utilizzò mai bene come (prima) il destro. Benché ancora soffrisse di tale infermità e si facesse portare in lettiga, uccise presso il Trasimeno il console Caio Flaminio, tratto in un'imboscata con l'esercito, e non molto dopo (uccise) il pretore Caio Centenio con le truppe scelte mentre occupava i valichi. Da qui arrivò in Puglia: lì gli vennero incontro due consoli, Caio Terentio e Lucio Emilio. Mise in fuga gli eserciti di entrambi con una sola battaglia, uccise il console Paolo e alcuni ex consoli, (e) tra questo Gneo Servilio Gemino, che era stato console l'anno precedente.

V

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Hac pugna pugnata Romam profectus est nullo resistente. In propinquis urbi montibus moratus est. Cum aliquot ibi dies castra habuisset et Capuam reverteretur, Q. Fabius Maximus, dictator Romanus, in agro Falerno ei se obiecit. Hic clausus locorum angustiis noctu sine ullo detrimento exercitus se expedivit; Fabioque, callidissimo imperatori, dedit verba. Namque obducta nocte sarmenta in cornibus iuvencorum deligata incendit eiusque generis multitudinem magnam dispalatam immisit. Quo repentino obiecto visu tantum terrorem iniecit exercitui Romanorum, ut egredi extra vallum nemo sit ausus. Hanc post rem gestam non ita multis diebus M. Minucium Rufum, magistrum equitum pari ac dictatorem imperio, dolo productum in proelium fugavit. Tiberium Sempronium Gracchum, iterum consulem, in Lucanis absens in insidias inductum sustulit. M. Claudium Marcellum, quinquies consulem, apud Venusiam pari modo interfecit. Longum est omnia enumerare proelia. Quare hoc unum satis erit dictum, ex quo intellegi possit, quantus ille fuerit: quamdiu in Italia fuit, nemo ei in acie restitit, nemo adversus eum post Cannensem pugnam in campo castra posuit.

Combattuta questa battaglia Annibale partì per Roma senza che nessuno gli opponesse resistenza. Sostò sui monti vicini alla città. Avendo tenuto lì l'accampamento per alcuni giorni e ritornando a Capua Q. F. Massimo, dittatore Romano, gli si oppose nel territorio Falerno. Qui benchè chiuso della ristrettezza dei luoghi di notte sfuggì senza alcun danno dell'esercito e si beffò di Fabio astutissimo comandante, infatti sopraggiunta la notte appiccò il fuoco a dei cespi legati sulle corna di giovenchi e lanciò simile grande moltitudine disordinata. Con questa visione che era intervenuta provocò tanto terrore nell'esercito romano che nessuno osò uscire fuori dalla fortificazione. Non così tanti giorni dopo questa impresa costrinse alla fuga Marco Minucio Rufo, capo della cavalleria, con comando uguale al dittatore, attiratolo alla battaglia con l'inganno. Benchè lontano in Lucania uccise T. S. Gracco, due volte console, attirato in un agguato. Allo stesso modo uccise presso Venusia M. C. Marcello cinque volte console. Sarebbe lungo numerare tutte le battaglie per la qual cosa sarà sufficiente dire uno solo, dal quale si possa capire quanto grande quello fosse stato: per quanto tempo egli fu in Italia, nessuno gli resistette in battaglia, nessuno contro di lui dopo la battaglia di Canne pose l'accampamento in campo aperto.

VI - La sconfitta

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Hinc invictus patriam defensum revocatus bellum gessit adversus P. Scipionem, filium eius, quem ipse primo apud Rhodanum, iterum apud Padum, tertio apud Trebiam fugarat. Cum hoc exhaustis iam patriae facultatibus cupivit impraesentiarum bellum componere, quo valentior postea congrederetur. In colloquium convenit; condiciones non convenerunt. Post id factum paucis diebus apud Zamam cum eodem conflixit: pulsus - incredibile dictu - biduo et duabus noctibus Hadrumetum pervenit, quod abest ab Zama circiter milia passuum trecenta. In hac fuga Numidae, qui simul cum eo ex acie excesserant, insidiati sunt ei; quos non solum effugit, sed etiam ipsos oppressit. Hadrumeti reliquos e fuga collegit; novis dilectibus paucis diebus multos contraxit.

Da qui Annibale mai sconfitto, richiamato a difendere la patria fece guerre contro P. Scipione, figlio di quello Scipione, che egli stesso aveva messo in fuga per la prima volta presso il Rodano, per la seconda volta presso il Po, per la terza volta presso il Trebbia. Esaurite ormai le possibilità della patria desiderò concludere per il momento la guerra con lui affinché tornasse più forte. Ebbe un colloquio, le condizioni non concordarono. Pochi giorni questo fatto, combatté con il medesimo presso Zama. Respinto - incredibile a dirsi - giunse in due giorni e due notti ad Agrigento che dista da Zama circa 300 miglia. In questa fuga i Numidi, che assieme con lui si erano allontanati dal campo di battaglia, gli tesero un agguato, e non solo li evitò, ma anche uccise gli stessi. Riunì dopo la fuga ad Adrumento i rimanenti, e con nuove leve in pochi giorni radunò molti uomini.

VII

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Cum in apparando acerrime esset occupatus, Carthaginienses bellum cum Romanis composuerunt. Ille nihilo setius exercitui postea praefuit resque in Africa gessit [itemque Mago frater eius] usque ad P. Sulpicium C. Aurelium consules. His enim magistratibus legati Carthaginienses Romam venerunt, qui senatui populoque Romano gratias agerent, quod cum iis pacem fecissent, ob eamque rem corona aurea eos donarent simulque peterent, ut obsides eorum Fregellis essent captivique redderentur. His ex senatus consulto responsum est: munus eorum gratum acceptumque esse; obsides, quo loco rogarent, futuros; captivos non remissuros, quod Hannibalem, cuius opera susceptum bellum foret, inimicissimum nomini Romano, etiamnum cum imperio apud exercitum haberent itemque fratrem eius Magonem. Hoc responso Carthaginienses cognito Hannibalem domum et Magonem revocarunt. [...]

Mentre egli si stava occupando dei preparativi con grande impegno, i Cartaginesi posero fine alla guerra con i Romani. Ciononostante, egli in seguito conservò il comando dell'esercito e continuò la guerriglia in Africa fino al consolato di Publio Sulpicio e Caio Aurelio. Infatti durante il loro consolato vennero a Roma ambasciatori Cartaginesi per rendere grazie al senato e al popolo romano per ringraziare per aver fatto pace e per questo motivo fare loro dono di una corona d'oro, per chiedere allo stesso tempo che i loro ostaggi stessero a Fregelle, perché avessero trattato la restituzione dei prigionieri. Per decreto del senato fu a loro risposto: che gradito e accetto era il loro dono; che gli ostaggi avrebbero avuto la sede richiesta; che i prigionieri non sarebbero stati resi, poiché tenevano Annibale, il più (grande) nemico per il nome di Roma, ancora con il comando supremo presso l'esercito, per iniziativa del quale era stata intrapresa la guerra e così suo fratello Magone. Conosciuta questa risposta i Cartaginesi richiamarono Annibale e Magone in patria. [...]

XII - L'esilio e la morte

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Quae dum in Asia geruntur, accidit casu, ut legati Prusiae Romae apud T. Quintium Flamininum consularem cenarent atque ibi de Hannibale mentione facta ex his unus diceret eum in Prusiae regno esse. Id postero die Flamininus senatui detulit. Patres conscripti, qui Hannibale vivo numquam se sine insidiis futuros existimarent, legatos in Bithyniam miserunt, in his Flamininum, qui ab rege peterent, ne inimicissimum suum secum haberet sibique dederet. His Prusia negare ausus non est: illud recusavit, ne id a se fieri postularent, quod adversus ius hospitii esset: ipsi, si possent, comprehenderent; locum ubi esset, facile inventuros. Hannibal enim uno loco se tenebat, in castello, quod ei a rege datum erat muneri, idque sic aedificarat, ut in omnibus partibus aedificii exitus haberet, scilicet verens, ne usu veniret, quod accidit. Huc cum legati Romanorum venissent ac multitudine domum eius circumdedissent, puer ab ianua prospiciens Hannibali dixit plures praeter consuetudinem armatos apparere. Qui imperavit ei, ut omnes fores aedificii circumiret ac propere sibi nuntiaret, num eodem modo undique obsideretur. Puer cum celeriter, quid esset, renuntiasset omnisque exitus occupatos ostendisset, sensit id non fortuito factum, sed se peti neque sibi diutius vitam esse retinendam. Quam ne alieno arbitrio dimitteret, memor pristinarum virtutum venenum, quod semper secum habere consuerat, sumpsit.

Mentre venivano fatte queste cose in Asia, avvenne per caso che i rappresentanti di Prusia in Roma cenassero da Tito Quinzio Flaminino ex-console; e che lì, fatta menzione di Annibale, uno di essi dicesse che lui era nel regno di Prusia. Il giorno dopo Flaminino lo riferì (ciò) al senato. I senatori, i quali ritenevano che non sarebbero mai stati liberi da insidie finché Annibale era vivo, mandarono ambasciatori in Bitinia, fra i quali Flaminino, che chiedessero al re che non tenesse con sé il loro grande nemico e che lo consegnasse a loro. Prusia non osò dire di no a loro; rifiutò questo che non chiedessero che fosse fatto da lui ciò che era contrario alla legge dell'ospitalità; lo prendessero loro stessi, se potevano ; essi avrebbero facilmente trovato il luogo in cui era. Annibale, infatti, si tratteneva in una sola località, in una fortezza che gli era stata data dal re in dono, e l'aveva costruita in modo che in ogni parte dell'edificio avesse uscite, evidentemente temendo che avvenisse di fatto ciò che accadde. Essendo arrivati gli ambasciatori dei romani là, e avendo già circondato la sua casa con una moltitudine (in folla), un ragazzo guardando dalla porta disse ad Annibale che più uomini del solito apparivano armati. Questi gli ordinò che facesse il giro di tutte le porte della fortezza e che gli riferisse rapidamente se fosse assediato allo stesso modo da ogni parte. Poiché lo schiavo (gli) aveva riferito in fretta che cosa ci fosse gli aveva rivelato che tutte le uscite erano state occupate, comprese che ciò non era avvenuto per caso, ma che lui era ricercato e che la vita a lui non dovesse essere conservata più a lungo. Per non perderla all'arbitrio altrui, memore delle passate virtù, trangugiò un veleno, che sempre era solito avere con sé.