Questo periodo storico e filosofico che inizia nel
'400 per proseguire nel '500, si apre con il tramontare definitivo delle
istituzioni universalistiche del Papato e dell'Impero. Sul piano sociale ed
economico, vi è il fenomeno della civiltà urbana e l'affermazione di un economia
aperta in contrapposizione con quella chiusa del Medioevo. Tale economia è
incarnata da una borghesia attiva e industriosa, impegnata nei traffici e tesa
al guadagno. Culturalmente, la Chiesa perde il predominio nell'organizzazione e
nella direzione, che passa ai laici, ovvero alla stessa borghesia sopra citata.
Il Rinascimento viene inteso come ritorno al principio, ovvero un ritorno ai
classici. L'uomo nel Rinascimento: il nucleo dell'antropologia rinascimentale
risiede nell'affermazione "homo faber ipsius fortunae", seconda la quale
la prerogativa specifica dell'uomo risiede nel forgiare se medesimo e il proprio
destino nel mondo. Ma tutto sommato, i rinascimentali, pur concependo l'uomo
come il forgiatore di sé stesso tramite la virtù, appaiono tutti consapevoli del
fatto che gli individui sono condizionati da una serie di forze reali, casuali e
soprannaturali, che se non annullano la libertà, quantomeno la circoscrivono.
L'uomo e Dio, questa è la posizione filosofica dei rinascimentali nei confronti
della religione, che quindi si differenziano da un umanesimo ateo (il mondo
senza Dio) e dalla religiosità ascetica medievale (Dio senza il mondo). Per cui,
ecco come l'uomo viene inteso microcosmo, copula dell'universo e per questo
sintesi vivente del Tutto e centro del mondo, cioè la creatura in cui si
concentrano le varie caratteristiche degli enti del mondo. Per i rinascimentali,
l'uomo non è un ospite di passaggio, ma un essere profondamente radicato sulla
terra, destinato in primo luogo a giocarsi la propria sorte nel mondo. Da ciò
l'elogio di ciò che è utile e della vita attiva nei confronti di quella
speculativa. Il naturalismo rinascimentale: - l'uomo non è un ospite provvisorio
della natura, ma un essere naturale lui stesso; - la natura non è un ombra
sbiadita di un mondo ideale, ma una realtà piena, costituita da un insieme di
forze vitali, di cui l'uomo è partecipe; - l'uomo, come essere naturale, ha sia
l'interesse, sia la capacità di studiare la natura. Divario tra Medioevo e
Rinascimento: tratto saliente della civiltà medievale era stato l'universalismo,
poiché in esso unitaria era la lingua, unitario l'Impero, unitaria la Chiesa e
la visione del mondo. Di conseguenza aveva realizzato lo scibile intorno alla
teologia, concependo le varie discipline come ancillae theolagiae (=
ancelle della teologia) e realizzando un'enciclopedia del sapere di tipo
piramidale, con la teologia in cima.
Il Rinascimento, invece, rifiuta tale
enciclopedia. Si ha infatti una laicizzazione del sapere, in virtù della quale
le varie attività e discipline umane cominciano a rivendicare ognuna la propria
libertà operativa. Questo processo di laicizzazione ed autonomizzazione del
sapere affonda le sue radici nella mentalità di intellettuali che non essendo
ecclesiastici sono maggiormente portati a riconoscere le varie autonomie.
Un
altro dibattito si sviluppa nell'affrontare le relazioni che sussistono tra
questi periodi. Da una parte vi è la teoria della frattura, sostenuta da
Burckhardt: secondo lui vi è una serie di opposizioni nette tra
religiosità-irreligiosità, spiritualismo-sensitismo, astrattezza-realismo,
dogmatismo-scetticismo che giustificano la tesi di un Medioevo trascendentista,
teocentrico e universalista, al contrario di un Rinascimento immanentista,
antropocentrico ed individualista. Dall'altra parte vi è la teoria della
continuità, sostenuta da Burdach. Alla fine si è finito per sostenere una specie
di via di mezzo tra le due tesi con la cosiddetta originalità della continuità.
Rinascimento e Platonismo: in questo periodo si ha una
vera e propria riscoperta di Platone, che prende corpo nel cosiddetto platonismo
rinascimentale. I motivi per cui si amò tale autore furono molteplici;
probabilmente perché lo si considerò come il filosofo più vicino allo spirito
religioso del Cristianesimo e come il più consono ad esprimere il rapporto tra
Dio e il mondo.
Uno dei massimi esponenti di tale movimento fu… Niccolò
Cusano: il punto di partenza della sua filosofia è una precisa
determinazione della conoscenza. La possibilità della conoscenza risiede nella
proporzione tra l'ignoto e il noto. Si può giudicare ciò che non si conosce solo
in relazione con ciò che si conosce; ma questo è possibile solo se ciò che non
si conosce possiede una certa proporzionalità con ciò che si conosce. Da qui,
Cusano giunge ad enunciare la teoria della dotta ignoranza, basata sul principio
socratico del sapere di non sapere.
La concezione di Dio: la dotta
ignoranza è l'unico atteggiamento possibile di fronte a Dio. Egli è infatti il
massimo grado dell'essere, è ciò di cui niente può essere maggiore. Dio è
l'infinito, e tra l'infinito e il finito non vi è proporzione. L'uomo può
avvicinarsi alla verità per gradi successivi della conoscenza; ma siccome questi
gradi saranno sempre finiti e la verità infinita, essa sfuggirà alla
comprensione. Tra la conoscenza e la verità vi è lo stesso rapporto che
intercorre tra i poligoni inscritti e circoscritti e la circonferenza:
moltiplicando i lati di tali poligoni, essi si avvicineranno alla circonferenza,
ma non si identificheranno mai con essa. La verità sarà sempre al di là della
conoscenza. Ma se Dio e quindi la verità è al di là della ragione, egli si
troverà oltre il principio di non contraddizione e in uno stato di opposizione
degli opposti. Noi che viviamo nel relativo e nel finito, possiamo distinguere e
contrapporre le cose. Ma nell'assoluto e nell'infinito non può avvenire perché
il concetto di massimo assoluto coincide con quello di minimo assoluto.
Con
questa teoria, Cusano vuole quindi ribadire che la vita divina si svolge al di
là dei limiti e delle contrapposizioni del mondo finito, e quindi al di là dei
parametri umani di giudizio. Dopo aver separato Dio dal mondo ponendolo in un
piano superiore, il filosofo spiega i rapporti tra l'Assoluto e la realtà
ricorrendo ai concetti di complicatio, implicatio e
contractio: Il mondo è un Dio contratto, cioè un Dio che si è determinato
in un molteplice di cose singole. Dio è in sé stesso unità assoluta; l'universo
è Dio che si è differenziato e moltiplicato nelle cose. In Dio tutte le cose
esistono nella loro complicazione perché in lui tutte si uniscono e fanno uno;
ma Dio è pure explicatio, il dispiegarsi dell'unità nelle cose diverse e
molteplici, tramite la creazione. In Dio dunque coincidono gli opposti: la
complicazione e l'esplicazione, il creare e il creato. Dio è anche inteso come
possibilità di tutto ciò che c'è.
Riguardo la conoscenza che l'uomo ha di
Dio, essa non è unica bensì molteplice. In particolare il volto di Dio non è
determinato né secondo il tempo né secondo lo spazio; è la forma assoluta, il
volto di tutti i volti. L'uomo non può guardare Dio se non attraverso la sua
soggettività. Perciò egli non può né deve uscire dalla sua soggettività per
conoscere Dio: deve anzi rafforzarla e approfondirla. La fisica: Cusano nega in
primo luogo che una parte del mondo possegga una perfezione assoluta. Per lui
non sussiste la divisione tra sostanza celeste e sostanza composta: tutte le
parti del mondo hanno lo stesso valore: ma nessuna raggiunge la perfezione che è
propria solamente di Dio. Il mondo non ha un centro e una circonferenza, ma ha
centro dappertutto e la circonferenza in nessun luogo, giacchè circonferenza e
centro sono Dio stesso, che è dappertutto e in nessun luogo. Il mondo è privo di
confini e di limiti e non essendovi centro, la terra non è al centro di esso: è
una nobile stella che ha luce e calore come le altre stelle.
Umanesimo e Aristotelismo: altra corrente molto
importante che ripropone la ripresa di un altro filosofo dell'età antica è
proprio l'aristotelismo che si sviluppò a Padova. L'aristotelismo rinascimentale
si spaccò in due tronconi: - gli averroisti, che sostenevano l'esistenza di un
unico intelletto separato e immortale mentre concepivano l'individuo concreto
come mortale; - gli alessandristi, che consideravano l'individuo non solo
mortale, ma negavano anche l'esistenza di un intelletto separato e immortale,
giudicando che niente esiste o sopravvive al corpo, essendo l'anima una funzione
dell'organismo, legato ad esso. Ma più che sulle differenze, i critici si sono
fermati sulle varie affinità di queste due correnti. Entrambe infatti presentano
una medesima mentalità naturalistico-razionalistica, portata a vedere nella
natura il campo privilegiato della filosofia e nella ragione l'unico metodo
della ricerca. Entrambe inoltre si occupavano della gnoseologia e del problema
dell'anima. Ma uno dei tratti più importanti di unione fra averroisti ed
alessandristi è la radicale separazione fra il campo della fede e quello della
ragione e la congiunta teoria della doppia verità.
Questa teoria si basa sul
fatto che una tesi può essere nello stesso tempo vera in filosofia e falsa in
teologia per cui un individuo pur ritenendo vere alcune cose come filosofo, come
teologo è tenuto a negarle. Successivamente fu data una più sottile
interpretazione di tale teoria volendo significare che un idea può essere più
probabile secondo la ragione, nonostante l'opposto debba essere accettato per
fede. In ogni caso tale tesi della doppia verità rappresentò per molti studiosi
una possibilità di difendersi dagli Inquisitori e professare con una certa
libertà le nuove dottrine.
Uno dei maggiori filosofi di tali correnti e
fondatore della scuola degli alessandristi fu… Pietro Pomponazzi: l'intento
fondamentale di questo filosofo è quello di mostrare che il mondo ha un ordine
razionale necessario. Nell'opera Gli incantesimi, egli non nega
l'esistenza di fatti eccezionali o miracolosi. Ci sono incantesimi, magie,
stregonerie ecc.
Ma tali fatti non sono contrari alla natura e fuori
dall'ordine del mondo; si dicono miracoli solo perché accadono raramente e a
lunghi intervalli. In realtà sono fatti naturali, che si spiegano in base
all'ordine necessario della natura e con l'azione degli astri. Dio non agisce
direttamente sulle cose naturali, ma sono i corpi celesti che fungono da tramite
dell'azione di Dio sul mondo. Nell'opera massima di Pomponazzi Sull'immortalità
dell'anima, egli include nell'ordine naturale del mondo anche l'attività
spirituale dell'uomo. L'anima umana non può esistere né operare senza corpo: -
l'anima sensitiva ha bisogno del corpo sia come soggetto, perché ha bisogno di
organi corporei, sia come oggetto perché può percepire soltanto cose corporee; -
l'anima intellettiva non ha bisogno del corpo come soggetto perché non ha organi
corporei, ma ha bisogno del corpo come oggetto, perché può conoscere le cose
corporee dalle quali è mossa ad intendere; - l'intelligenza angelica non ha
bisogno del corpo né come soggetto né come oggetto. Ma l'anima umana non è e non
può diventare intelligenza angelica. E se l'anima umana è inseparabile dal
corpo, la sua immortalità diventa dubbia e impossibile a dimostrarsi. Ma dopo
tutto ciò si annulla la vita morale dell'uomo? No, perché essa è garantita dalla
condizione naturale dell'anima stessa. Nell'opera "Il destino, la libertà e la
predestinazione", Pomponazzi affronta il problema della conciliazione tra
libertà umana e prescienza(prerogativa di Dio di conoscere il futuro). Egli, pur
ritenendo innegabile la libertà umana e conciliabile con la prescienza, la
ritiene inconciliabile con l'onnipotenza divina L'opinione con la quale
Pomponazzi andava d'accordo era quella degli Stoici, che ammisero il fato, cioè
la necessità dell'ordine cosmico stabilito da Dio.