Per introdurre un discorso sulla Psicoanalisi,
nulla appare più degno della allocuzione che T. Mann scrisse in onore degli 80
anni di Freud.
"Anche se il futuro plasmerà o modificherà questo o quel
risultato delle sue ricerche, mai più potranno essere messi a tacere gli
interrogativi che S. Freud ha posto all'Umanità; le sue scoperte scientifiche
non si possono né negare né occultare. I concetti che egli ha formulato, le
parole che ha scelto per esprimerli sono già entrati con naturalezza nella
lingua vivente. In tutti i campi delle scienze e dello spirito, nelle indagini
sulla letteratura e sull'arte, nella storia delle religioni e nello studio della
storia, della mitologia, del folklore e nella pedagogia, e non da ultimo nella
stessa creazione artistica, la sua opera ha lasciato un'impronta profonda, e
siamo certi che, se mai alcuna impresa della nostra specie umana rimarrà
indimenticabile, questa sarà proprio l'impresa di Freud, che ha penetrato le
profondità dell'animo umano. Noi tutti non potremmo immaginare il nostro mondo
spirituale senza la coraggiosa opera che Freud ha svolto nell'arco della sua
esistenza".
Poiché abbiamo appena celebrato il 1° centenario della
nascita della psicoanalisi, che si vuole datata all'anno della pubblicazione di
"L'interpretazione dei sogni", si è ormai prodotta la distanza necessaria per
considerare la Psicoanalisi in una prospettiva storica.
Eppure si impone una
domanda: "È possibile una Storia della Psicoanalisi?"
Da Freud ai
giorni nostri, la psicoanalisi ha prodotto:
Pertanto, la Psicoanalisi ha rischiato, e
rischia, di smarrire identità e senso univoci.
Unica costante è uno stile
cognitivo unitario; ed è in questo che consiste la sua debolezza ed insieme la
sua forza: intaccare ogni certezza, abbandonare il noto per l'ignoto, tentare
l'impossibile, cercare di comprendere l'inspiegabile, il casuale.
Oggi, nella
civiltà occidentale, elementi di lessico ed atteggiamenti psicoanalitici hanno
pervaso la nostra vita, perdendo così la loro originaria funzione e
problematicità Riportarli alla loro origine storica significa sottrarli alle
ovvietà ed alla acriticità con cui termini e teorie sono stati trattati.
È
innegabile che "storicizzare" la Psicoanalisi sia, di per sé, un'operazione
anti-psicoanalitica.
Potremmo, anzi, dire che costituirebbe una negazione
dello stesso statuto epistemologico della Psicoanalisi, in quanto essa presenta
una "resistenza strutturale" alla dimensione storica.
Oggetto della
Psicoanalisi è, originariamente, l'Inconscio, e carattere costitutivo dell'ES è
l'atemporalità, in quanto esso è non-coscienza.
Non dimentichiamo che Freud
attribuisce all'Inconscio le caratteristiche dell'irrazionalità, della
pulsionalità, della fantasia, della creatività,
dell'inconsapevolezza.
Tuttavia, la Psicoanalisi non è:
Pertanto, il sapere psicoanalitico si configura:
Proprio perché lo statuto epistemologico del
sapere psicoanalitico è in continua evoluzione, manca una tradizione
storiografica in ambito psicoanalitico.
Una tradizione che, invece, si è
consolidata in altri ambiti del sapere.
Mi riferisco, naturalmente,
all'ambito delle cosiddette scienze umane, in quanto conosciamo già le
resistenze che le scienze fisico-matematiche hanno tuttora nei confronti della
storicità. Infatti, nonostante la novecentesca "crisi dei fondamenti", la
ricostruzione di tale dimensione storica è, ancora una volta, affidata alla
Filosofia!
A questo punto urge un'altra fondamentale domanda: "È la
Psicoanalisi una scienza?"
Naturalmente, per rispondere a questa domanda,
dovremo riproporci, ancora una volta, la domanda: "Cosa fa di un sapere un
sapere scientifico?"
Siamo abituati a ritenere che un sapere viene definito
scientifico (cioè oggettivo, universalmente valido ed insieme fecondo) quando ha
un preciso oggetto, un preciso campo di indagine, moduli concettuali, strumenti
interpretativi e stili cognitivi (metodo) "dati" una volta per
tutte.
Tuttavia, la "crisi dei fondamenti" della matematica e della fisica ci
ha indotti a ritenere che è necessario andare oltre il modello
rinascimentale-illuministico-positivistico di scienza.
Quanto Freud sia,
nonostante tutto, ancora dentro quel modello, è rilevabile nella convinzione che
esista un "determinismo psichico" che rende tutto l'agire dotato di senso,
conoscibile e modificabile sulla base della scoperta di "nuove leggi" della
Psiche.
Dagli sviluppi ulteriori della Psicoanalisi non verrà altra risposta
se non quella già data da Freud: la Psicoanalisi è "Scienza dell'uomo" sul piano
teorico, ma è sul piano delle applicazioni che se ne potrà verificare la
scientificità, dal momento che teoria e prassi hanno un nesso profondo, si
correggono a vicenda, crescono di pari passo.
Ricordiamo la celebre
affermazione di Freud: "La mia vita è la Psicoanalisi".
Questa
affermazione sintetizza l'esperienza unica di una disciplina che si costituisce
come teoria-prassi, in perpetuo scambio. Non a caso nelle opere di Freud non è
possibile, mai, separare il momento applicativo dall'elaborazione teorica
(esemplari sono, in tal senso, non solo la collaborazione e poi l'allontanamento
tanto da Charcot che da Breuer, ma anche la costante autoanalisi e la
sperimentazione in prima persona del transfert da parte di Freud nei confronti
dell'amico e collega Fleiss).
Ma "Come definire la
Psicoanalisi?"
Freud, che ne è il padre, parlò piuttosto di "Psicologia
del Profondo", tuttavia, nel 1922, nel "Dizionario di Sessuologia", egli ne
diede la seguente definizione:
"Psicoanalisi è il nome:
La Psicoanalisi si pone così sia come una
"scienza sperimentale" fondata sul confronto dinamico delle ipotesi teoriche con
la terapia, sia come una "scienza dell'uomo" che si pone come una "scienza delle
tracce", varcando così il confine tradizionale tra "scienze umane" e "scienze
esatte". A tal proposito, Freud chiarisce che l'interpretazione psicoanalitica
ha un duplice scopo: sia "ricostruire" che "costruire".
Quanto alla
"ricostruzione", occorre dire che l'interpretazione psicoanalitica non è una
"maieutica", in quanto la verità non precede la ricerca, né tanto meno un puro e
semplice "svelamento" del contenuto latente di atti, parole, silenzi, sogni,
sintomi.
Pur configurandosi inizialmente come "anamnesi", cioè come un lavoro
"archeologico" di ricostruzione del passato, la Psicoanalisi va oltre.
Scopo
della ricostruzione è dare voce al desiderio inconscio, esplicitare il fantasma
in cui il desiderio si rappresenta ed inscriverlo nella storia personale del
soggetto, dando forma all'informe, ordine al caos, senso al casuale, così che il
ricordo possa essere riconosciuto, riappropriato e rivissuto.
Quanto alla
"costruzione", l'interpretazione, scrive Freud, è ricerca di tracce, di indizi
(alla Sherlock Holmes), di dettagli secondari che conducano all'originale (come
il critico d'arte Morelli per l'attribuzione delle opere iconografiche). Le
implicazioni teoriche più forti consistono nell'abolizione del dualismo
vero-falso (i contenuti psichici hanno un senso manifesto che ne sottende uno
latente) e di quello tra corpo ed anima (il corpo si psicologizza e la psiche si
fa corpo), della corrispondenza tra verità e realtà e della coincidenza della
realtà con la fattualità (anche l'immaginario è reale).
Si tratta di una vera
e propria "rivoluzione epistemica", il cui percorso è complesso e non del tutto
compiuto, che induce Freud a scrivere nel 1925:
"Probabilmente il futuro
stabilirà che l'importanza della Psicoanalisi come scienza dell'inconscio
oltrepassa di gran lunga la sua importanza terapeutica".
(È evidente che
già in Freud si prefigura l'odierno problematico rapporto tra teoria e pratica
terapeutica, e si pone in nuce la questione dell'ortodossia).
Occorre
aggiungere che La Psicologia del Profondo ha inteso costruire un "codice di
lettura" non solo della psiche umana, dei comportamenti, del modo di essere e
relazionarsi dell'individuo, ma anche delle produzioni culturali, travalicando
gli angusti ambiti della psichiatria.
In occasione dell'istituzione a
Budapest della prima cattedra universitaria di Psicoanalisi, nel 1918, Freud
scriveva:
"Nell'indagine dei processi psichici e delle funzioni
intellettuali, la psicoanalisi segue un suo metodo specifico. L'applicazione di
tale metodo non è affatto confinata al campo dei disturbi psicologici, ma si
estende anche alla soluzione di alcuni problemi nell'ambito dell'arte, della
filosofia e della religione: In tale direzione la psicoanalisi ha prodotto
parecchi punti di vista nuovi e si è rivelata in grado di fornire delucidazioni
preziose su temi come la storia letteraria, la mitologia, la storia delle
civiltà e la filosofia delle religioni. Un corso di psicoanalisi generale
dovrebbe quindi essere accessibile anche agli studenti di tutte queste materie
di studio".
Inoltre, nel 1921, in "Psicologia delle masse ed analisi
dell'Io", egli affermerà che le conoscenze apprese nella terapia del sintomo
individuale possono estendersi all'indagine delle formazioni sociali. Non che la
Psicoanalisi possa dire tutto di tutto, divenire un discorso onnipotente
(nonostante il tentativo fatto, ma poi abbandonato da Freud di costruire una
"metapsicologia", capace di spiegare anche il soprannaturale come una proiezione
verso l'esterno di moti psichici).
Essa può, soprattutto con la sua capacità
di decostruzione, mettere in moto alcune domande, far scricchiolare elementari
certezze, apportare una maggiore consapevolezza della complessità degli scambi
dell'uomo con l'uomo e dell'uomo col mondo.
Così, la comunicazione che
intratteniamo con noi stessi e con gli altri perde la sua illusoria limpidezza,
in quanto, all'occhio psicoanalitico, il rapporto intrasoggettivo e quello
intersoggettivo, la relazione con l'alterità, interiore ed esteriore, si
rivelano non solo come prodotto di processi cognitivi, ma anche e soprattutto
come prodotto di dinamiche irrazionali profonde, che sono oltre la sfera
dell'intenzionalità.
Persino l'osservazione scientifica, considerata
l'estremo baluardo della conoscenza obiettiva e neutrale, si dimostra
attraversata da dinamiche affettive che entrano in campo all'insaputa dello
scienziato.
Occorre, perciò, che la conoscenza riconosca le zone d'ombra, le
commistioni che la ragione intrattiene con l'irrazionale. Ma per far questo è
necessario porsi in un nuovo vertice, in una posizione che collochi colui che
conosce nella posizione di "oggetto tra gli oggetti", in un'ottica che situi il
soggetto conoscente dentro e fuori il suo campo di indagine.
Di qui il
mutamento del punto di vista anche nel rapporto medico-paziente, e del rapporto
del terapeuta con se stesso.
La medicina ufficiale ottocentesca si muoveva
in un orizzonte teorico di tipo positivistico-materialistico. Pertanto la
psichiatria del tempo interpretava tutti i disturbi della personalità in chiave
somatica. Era "scienza del corpo", non "scienza dell'uomo", "reificava" il
malato, riducendolo al sintomo, all'effetto patologico di una causa
organica.
L'isteria diveniva così un problema irrisolvibile, dal momento che
in essa non erano rintracciabili lesioni organiche corrispondenti ai sintomi
nevrotici.
Non è un caso che tutta l'elaborazione teorico-terapeutica di
Freud prenda l'avvio dallo studio dell'isteria.
L'isterica è la grande
protagonista della clinica psichiatrica di fine Ottocento.
"Di fronte ai
fenomeni isterici - scrive Freud - tutta la scienza, tutta la anatomo-fisiologia
è sterile". L'isteria, in quanto mima tutte le malattie, è una sfida per la
medicina del tempo: le si sottrae come oggetto. L'isterica parla col corpo, col
sintomo, benché in assenza di lesioni organiche. Recatosi a Parigi, grazie ad
una borsa di studio, Freud conobbe Charcot, uno psichiatra che aveva adottato la
tecnica dell'ipnosi come metodo terapeutico dell'isteria. Mediante l'ipnosi,
Charcot era riuscito ad inibire, per suggestione, i sintomi isterici. Tornato a
Vienna, Freud divenne collaboratore di Breuer, che utilizzava il metodo ipnotico
non come strumento di repressione del sintomo, ma come strumento di rievocazione
di avvenimenti penosi dimenticati. Infatti, egli aveva notato che il superamento
delle amnesie circa i fatti spiacevoli del vissuto personale passato consentiva
una liquidazione delle cariche emotive connesse ad essi e quindi l'eliminazione
dei sintomi. Freud e Breuer scoprono così il valore liberatorio (e non
repressivo-suggestivo) della parola e mettono a punto il "metodo catartico". Il
distacco da Charcot è segnato proprio dalla scoperta del potere liberatorio
della parola. La rievocazione indotta ipnoticamente, provocava una scarica
emotiva (abreazione) capace di liberare il paziente dal disturbo nevrotico.
Emblematico è il caso di Anna O., una colta e facoltosa giovane viennese,
paziente di Breuer, che aveva sviluppato i sintomi isterici dopo essersi
dedicata per mesi all'assistenza del padre, poi deceduto dopo lunga malattia.
Fra gli altri sintomi (paralisi motorie, turbe della vista e dell'udito, tosse
nervosa, afasia, anoressia), vi era pure una accentuata idrofobia. Mediante
l'ipnosi, Breuer aveva scoperto che la paziente aveva "rimosso" un avvenimento
della sua infanzia: Anna aveva visto il cane della sua governante (verso la
quale nutriva forte ostilità) bere in un bicchiere. La rievocazione di
quell'episodio aveva fatto scomparire i sintomi idrofobici. Ma ben presto Freud
si distacca anche da Breuer.
I motivi di tale distacco sono essenzialmente
tre:
Infatti, Freud, procedendo autonomamente
rispetto a Breuer, giunge alla scoperta che la causa delle nevrosi è da
ricercarsi in un conflitto tra forze psichiche inconsce, ossia operanti al di là
della sfera di consapevolezza del soggetto, i cui sintomi risultano quindi
psicogeni, cioè non derivanti da disturbi organici. È proprio la scoperta
dell'Inconscio a segnare l'atto di nascita della Psicoanalisi, che si configura
così come "Psicologia del profondo", dell'abissale. Prima di Freud si riteneva
che la psiche si identificasse con la coscienza, Freud invece ritiene che il
conscio sia solo la manifestazione visibile di una realtà profonda, non
cosciente, costituita da elementi psichici rimossi. Dopo aver verificata la
scarsa efficacia del metodo ipnotico nell'opera di rievocazione, dal momento che
esso "forzava" il paziente, egli elaborò il metodo delle libere associazioni,
capace di rilassare il paziente (di qui l'idea del divano) e consentirgli di
abbandonarsi al corso dei propri pensieri, così che ne derivassero delle catene
associative collegate con il materiale rimosso da portare alla luce. Il rimosso,
infatti, funziona come una sorta di campo gravitazionale in grado di attrarre i
pensieri. Questo metodo, inoltre, richiede un nuovo rapporto tra paziente (colui
che parla) e terapeuta (colui che ascolta), in quanto esclude ogni manipolazione
da parte del secondo. La necessità della non manipolazione fu suggerita a Freud
da una sua paziente, Emma Von N., nel 1888, che gli disse: "Non mi parli, stia
zitto! Non mi tocchi". Il terapeuta, così, ascolta, di parola in parola, il
fluire del discorso, fino al blocco della catena associativa, all'interruzione
della sequenza, interruzione che indica la via al rimosso. Necessario
presupposto teorico di tale metodo è che tutto l'agire, anche il non
intenzionale, è dotato di senso, un senso che è latente e può essere reso
manifesto.
La Psicoanalisi si configura, già al suo esordio, come una
"scienza delle tracce", resa possibile dal principio del "determinismo
inconscio": negando allo psichico ogni causalità, tutti i nostri atti (verbali e
non) risultano collegati in una ferrea catena associativa (limite
"positivistico" di Freud, nonostante la rivoluzionaria concezione della psiche
come unità complessa e conflittuale).
Questo metodo, pur avendo la capacità
di aggirare più facilmente censure e rimozioni (operate dal Super Io, dirà in
seguito Freud), presenta tuttavia, nella concretezza dell'analisi, notevoli
difficoltà, che solo lo sforzo solidale del paziente e dello psicoterapeuta sono
in grado di superare. Nasce così il fenomeno del "transfert", o translazione
affettiva, che consiste nel trasferimento, sulla persona del terapeuta, di stati
d'animo ambivalenti (di amore e di odio), provati dal paziente nei confronti
delle figure genitoriali durante l'infanzia. Esso ha un aspetto positivo ed un
aspetto negativo. Nel suo aspetto positivo (guadagnare l'approvazione del
genitore) implica una sorta di attaccamento amoroso verso il terapeuta, che
funge da condizione preliminare per il successo dell'analisi. Infatti, lasciando
in disparte l'intento razionale di guarire e di liberarsi delle sofferenze, l'Io
indebolito diventa forte sotto l'influenza della translazione e riesce a fare
cose che altrimenti gli sarebbero impossibili, fa cessare i sintomi per amore.
Nel suo aspetto negativo, il transfert si manifesta come rifiuto, opposizione.
Ovviamente, l'induzione di quella che Freud chiama una "nevrosi da transfert"
implica il distacco emotivo del terapeuta, perché sia feconda. È questo un
importante motivo del distacco da Breuer, il quale non avendo compreso la natura
ed il valore del transfert, rifiutò di continuare il rapporto terapeutico con
Anna O. a causa dell"innamoramento" della donna nei suoi confronti.
Ma non
ultima, in importanza teorico-pratica, risulta la scoperta dell'eziologia
sessuale dei sintomi nevrotici. Ai suoi esordi, l'esplorazione dell'Inconscio
mette in luce esperienze senza sapere, avvenimenti senza storia,
rappresentazioni senza spazio, consequenzialità senza causa. Il tutto con un
radicamento nel corpo e nelle "pulsioni" (non istinti), che ne svela
l'inequivocabile coinvolgimento con la sessualità. La scoperta è talmente
perturbante da ammutolire lo stesso Freud, che inizialmente allude alla
sessualità usando il termine "die Sache" ( la Cosa). Ciò che costituiva
scandalo non era parlare di sessualità o di patologia sessuale, lo scandalo era
la stretta connessione della sessualità con il pensiero, con la fantasia, con la
parola. Per la medicina tradizionale la sessualità coincideva con il processo
riproduttivo. Era considerata una funzione corporea che aveva inizio con la
pubertà ed era esclusivamente finalizzata alla generazione. Ogni comportamento
erotico, che non fosse finalizzato alla procreazione, era considerato anormale.
Tale concezione restrittiva della sessualità produceva una molteplicità di
patologie sessuali, di perversioni (siamo in epoca vittoriana).
La novità di
Freud è il separare sessualità e meccanismo generativo e riconoscere che la
sessualità non è riducibile a parti anatomiche o a funzioni organiche, ma è
un'energia vitale che informa tanto il corpo che la psiche: è "Libido". In
quest'ottica, cade il dualismo tra corpo ed anima.
Il corpo parla (Freud
definisce il sintomo isterico come "linguaggio d'organo"), e la parola può
curare, perché sia il corpo che la parola sono animati da una medesima energia
sessuata. La parola può svelare o velare, modificare o deformare le pulsioni
sessuali (questo distingue l'uomo dagli altri appartenenti alla specie animale).
Nel suo organizzarsi, la società civile affida alla famiglia un compito di
"riproduzione sociale", che richiede una regolamentazione della
sessualità.
La "camera dei genitori" diviene, allora, il luogo dove la
sessualità si rappresenta legittimamente, bollando come illegittima ogni forma
di espressione sessuale esterna al suo perimetro. In questo modo la sessualità
viene socialmente amministrata, incanalata, finalizzata. Nell'Inconscio Freud
ritrova rappresentato questo modello sociale e lo definisce come la "scena
primaria", che fissa per sempre la coppia parentale (la quale esclude ed
include, al tempo stesso, il figlio) quale unico modello "normale" e "normativo"
della sessualità.
La sessualità sterile, "pre-genitale" (il bambino è
asessuato) non ha spazio sociale legittimo, è "anormale". Diviene, dunque, una
patologia e la medicina ne fa oggetto del suo sapere, e pertanto del suo potere.
L'isterica, per Freud, rappresenta, così, il "sesso non sessualizzato", e perciò
canonicamente non traducibile in discorso. A lei, donna borghese e colta,
l'educazione, la morale, il costume non permettevano l'assunzione degli aspetti
sessuali della sua personalità. La sessualità le era interdetta non solo in
quanto sterile, ma in quanto femminile. Al carattere "notturno", "demoniaco"
della sessualità femminile, la cultura del tempo contrapponeva "l'angelicità"
della donna, incastonata nella fissità dei suoi ruoli familiari: figlia,
sorella, moglie, madre. L'anatema che cade sulla sessualità femminile ne blocca
la normale espressione e la incanala nelle forme patologiche, ma socialmente
accettate, del sintomo. E Freud vede nel sintomo il bandolo terminale di una
matassa da dipanare sino al suo estremo: il "trauma".
Il trauma è un trauma
della "seduzione del padre" (complesso edipico), che ha origine nella prima
infanzia ed è quasi sempre non fattuale, ma vissuto, pensato, immaginato nella
sfera psichica profonda, e diviene fonte di patologia solo in età postpuberale
in occasione di avvenimenti riattualizzanti. Grande rilevanza ha, in tal senso,
la "scoperta della sessualità infantile", di cui parleremo in seguito. Per ora,
è importante sottolineare che Freud non legge nella famiglia una causa patogena,
né riconosce la specificità della condizione femminile. Ma non dobbiamo
dimenticare che egli stesso è condizionato dalla cultura dominante del
tempo.
Abbiamo già individuato un primo limite "positivistico" di
Freud nel suo determinismo psichico, che lo aveva indotto a ritenere che nella
mente ogni evento è prodotto necessario di una causa: grazie alla scoperta di
"nuove leggi" della psiche, diviene, così, conoscibile, e pertanto modificabile,
ciò che prima sembrava dominato dal caos.
Un ulteriore influsso positivistico
è riscontrabile nella sua concezione "astorica" della famiglia, e nella
convinzione che la dimensione biologica e l'opposizione
maschio-attivo/femmina-passiva sono ribadite e riflesse nella dimensione
psichica, oltre che sociale. In tal senso è possibile comprendere il
"maschilismo" di Freud, nel suo disconoscere la specificità della
sessualità femminile.
Una prima, doverosa considerazione è che le
caratteristiche tradizionalmente attribuite al femminile (irrazionalità,
sessualità, fantasia, creatività, inconsapevolezza) sono le stesse che Freud
attribuisce all'Inconscio. Ma c'è ben altro. Anticipiamo qui temi che poi
riprenderemo, e sui quali il discorso non può che rimanere aperto e
problematico. La femmina è, per Freud, un "maschio mancato", evirato. È indubbio
che egli abbia inaugurato un nuovo, importante punto di vista sulla sessualità,
tuttavia oggetto privilegiato della sua osservazione è il bambino maschio, sia
come protagonista di uno sviluppo sessuale volto al primato del fallo, sia come
perno delle relazioni familiari nella triangolazione edipica. Infatti,
nell'analizzare i momenti di sviluppo della sessualità infantile, egli sostiene
una "originaria bisessualità psichica di tutti gli esseri umani", poi, in fase
fallica, il "complesso di castrazione si manifesta nel maschio come "paura di
evirazione" e nella femmina come "invidia del pene". Una volta scoperta la
diversità corporea, il bambino vede nel corpo della coetanea la conferma dei
propri timori di castrazione, mentre la bambina sperimenta, con vergogna, un
senso di inferiorità organica (perfino il clitoride è visto come l'omologo
imperfetto del pene).
Da questo primo scambio di sguardi, il maschietto si
sente autorizzato a disprezzare la femminilità, la bambina, invece, è spinta
alla protesta virile. Come vedremo (v. gli stadi della sessualità infantile, ed
in particolare la fase fallica), l'esperienza della castrazione ha un valore
strutturante opposto per il maschile ed il femminile. Mentre il bambino è
indotto dal timore di perdere la propria identità anatomica ad uscire
dall'Edipo, ad abbandonare la contesa con il padre, la bambina, di contro, entra
nell'Edipo proprio nel momento in cui si riconosce biologicamente deprivata. Se
fino a quel momento anche lei, come il maschio, aveva avuto come oggetto l'amore
della madre, ora se ne allontana con ostilità, attribuendole la responsabilità
della propria insufficienza somatica. È per questo che nella femmina, secondo
Freud, non essendoci una minaccia di castrazione, i legami edipici col padre non
saranno mai spezzati del tutto, rimarrà pertanto dipendente dall'autorità, priva
di iniziativa, con deboli interessi sociali e scarsa capacità di
sublimazione.
Combattuta tra protesta virile e desiderio di appagamento nella
maternità, la donna introietta le pulsioni aggressive dando origine alla
disposizione masochistica, passiva e ricettiva femminile, indispensabile alle
vicende riproduttive del coito, della gestazione, del parto e dell'allattamento
(funzionali sia in termine di produzione biologica che di riproduzione sociale).
All'esterno di questo quadro, per lei non c'è che la mascolinità e la nevrosi.
Non a caso, Freud propone due diversi tipi femminili: da una parte la madre,
oblativa, masochista, tutta realizzata nel suo oggetto e nella sua funzione,
dall'altra l'amante, narcisistica, autoerotica, incapace di amare e tesa solo ad
essere amata. Benché in un primo tempo gli fosse sembrato sufficiente ipotizzare
per la femmina un modello speculare a quello maschile, Freud si rende conto ben
presto della sua insufficienza ed egli stesso invita le psicoanaliste ad
occuparsi della sessualità femminile, sia sul piano teorico (arrivare dove lui
non era riuscito), sia sul piano pratico (il transfert che una donna stabilisce
con la psicoterapeuta attualizza il legame materno).