L'Ellenismo (2a parte)

La tradizione accademica

L'Accademia apre una fase nuova (detta Media) con Arcesilao di Pitane nato nel 316/5 a.C. e morto nel 241-240, scolaro di Teofrasto e Pirrone e poi di Polemone e Crantore, scolarca dal 268/4. Non scrisse nulla. Per lui l'opinione non ha nessun valore di verità ma la scienza è del tutto inattingibile dall'uomo. E' inoltre impossibile distinguere la rappresentazione catalettica stoica da altre poiché ad ogni rappresentazione se ne può opporre un'altra. Come conseguenza, il saggio dovrà sospendere ogni giudizio rispetto alle rappresentazioni ed agire secondo il ragionevole (éulogon). E' chiaro l'indirizzo scetticheggiante di questo pensiero.

La risposta di Crisippo ad Arcesilao fu criticata da Carneade di Cirene, nato nel 214-213, fondatore della Nuova Accademia che diresse fino al 137-136. Sua è la frase "Se Crisppo non ci fosse stato, neppure io ci sarei". Nel 156 a Roma con il peripatetico Critolao e lo stoico Diogene di Seleucia per Atene multata per il saccheggio di Oropo, pronunciò due orazioni riportate nel III libro del De republica di Cicerone. Lui non olaciò nulla di scritto. La
Giustizia, sostiene in una di queste orazioni, sesiste per natura, essendo universale, intangibile, modello eterno; nella seconda orazione sosteneva che essa è frutto di convenzione per difendere interessi utilitaristici e di potenza. Poiché su questa seconda conczione si fonda la politica Atene o la si sarebbe dovuta assolvere oppure si sarebbe dovuto condannare l'impero tutto.Tale effetto produssero queste idee in Roma che Catone il censore, difensore delle tradizioni romane contro le influenze esterne, ottenne che l'ambasciata venisse allontanata da Roma.
Carneade non fu però un sofista, sebbene avesse usato il discorso duplice: integròl'indirizzo scettico dell'Accademia con un probabilismo pratico-teorico. Criticò la pretesa stoica della corrispondenza tra rappresentazione e realtà, essendo essa solo più o meno probabiule a seconmda che ci persuada più o meno. Questa critica generale si specifica poi nella critica alla teologia stoica (l'attribuire predicati alla divinità), alla concezione provvidenziale, alla fede nella divinazione e all'idea del fato. Criticò il determinismo epicureo.

L'eclettismo: lo stoicismo medio e la quarta accademia

Nel II- I a.C. si verifica un avvicinamento tra stoicismo e studi dell'accademia che in modo dispregiativo è chiamato eclettismo, sottolineandone la mancanza di originalità. Esso è frutto dell'incontro tra la filosofia greca e la filosofia romana, interessata a problemi etico politici piuttosto che a problemi metafisio-dialettici.

Panezio di Rodi, nato nel 185 a.C., fondò la lo stoicismo medio. Studiò ad Atene presso gli stoici Diogene si Seleucia e Antipatro di Tarso, tra il 145 ed il 130 fu a Roma nella cerchia di Scipione Emiliano ed alla sua morte tornò ad Atene dove successe ad Antipatro quale scolarca, morendo nel 110. Delle sue opere perdute ricordiamo l?epistola ad Elio Tuberone, la Repubblica, Sulla provvidenza, Socrate ed i socratici e Sul conveniente. Esse furono molto apprezzate per lo stile.
Panezio, quale eclettico, crede nell'eternità del mondo, combatte la divinazione, sostiene il libero arbitrio, pensa che l'anima abbia una parte razionale (egemonica) propria degli uomini, una irrazionale, comuna ad animali e piante e pensa che sia immortale, non ritiene valido il dualismo saggio-virtuoso o ignorante-malvagio, preferendo pensare ad un progresso verso la virtù in cui devono collaborare tutti gli uomini. Egli fu l'ideologo del circolo degli Scipioni e del dominio diRoma, facendo dsello stoicismo la filosofia di Roma; alui si ispirano i due primi libri del De officiis ciceroniano.

Polibio (205/0-125/0), storiografo ellenistico, anch'egli nel circolo scipionico, riteneva la storia romana l'elemento unificante della storia universale e criticava la storiografia retorica di Teopompo, letteraria di Duride, la superstiziosa erudita di Timeo. Riteneva che le costituzioni si seguissero ciclicamente ed esaltò la romana, perfetto equilibrio di monarchia (consolato), aristocrazia (senato) e democrazia (comizi), sebbene oramai fosse superata dai tempi.

Posidonio di Apamea in Siria, nato nel 135, fu discpolo di Panezio; dopo aver studiato in Liguria, Gallia, Spagna, Egitto, Roma nel 96 fondò a Rodi la sua scuola. Suoi scolari Cicerona, Pompeo, Varrone. Scrisse Protreptico (modello dell'Ortensio di Cicerone), Discorso fisico, Discorso etico, Sull'ira (modello per Seneca e Plutarco), Sul conveniente, Sugli dei, Sulla mantica (queste ultime tre usate da Cicerone), commento al Timeo. Morì a Rodi nel 51.
Le sue convinzioni riguardo alla conflagrazione universale, all'immortalità dell'anima, all'astrologia ed alla mantica derivano anche dal suo interesse per l'ultimo Platone. Il mondo è un organismo in cui pulsa ovunque il logos, ragione e vita. Tra dio e la divinità vi sono innumerevoli dei divisi in sette categorie, che determinano e prevedono la vita umana. Organismo è per lui anche il complesso delle scienze e fu un ottimo scienziato. Nel campo etenologico, introducendo un'idea comparativa, riteneva che i primitivi del suo tempo passassero una fase simile a quella omerica per i greci e contrapponeva al lògos, ragionevolezza dei popoli civili il thymòs, passionalità dei barbari.
Posidonio scrisse 52 libri di Storie, da dove aveva interrotto Polibio a Silla, in cui Roma era intesa come l'incarnazione del lògos universale, mostrando un atteggiamento conservatore e contrario ai Gracchi.

Filone di Larissa, nato nel 160-59, scolarca dell'Accademia dal 110, durante la guerra mitridatica trasferitosi a Roma ove Cicerone fu suo discepolo, morto nell'85/77, abbandonò il criterio di sospensione del giudizio dell'Accademia, usando come criterio l'evidenza, che offre una convinzione sufficiente per un'ìetica valida.
Antioco d'Ascalona, nato nel 127/124, maestro di Cicerone, morto intorno al 68, ritenne che la verità fosse da trovare nel consenso dei grandi filosofi e cercò di identificare questa dottrina unanimante condivisa.

L'epicureismo a Roma

L'epicureismo, rigido nel proprio contenuto dottrinale nel II a.C. attecchì in ambiente latino e nel I a.C. in circoli campani, grazie al poeta epigrammatico Filodemo , filosofo, fiorì . Filodemo nacque a Gadara in Plaestina intorno al 110 a.C. e morì intorno al 28 a.C. Fu discepolo di Zenone di Sidene, protetto da Lucio Clpurnio Pisone Cesonino, visse quasi sempre a Roma, Napoli, Ercolano, essendo amico di Cicerone, Virgilio ed Orazio. Scrisse di etica, gnoseologia, teologia, opere importanti anche come storie della filosofia e dai papiri di Ercolano sono rinvenuti frammenti di sue pere. Tra gli altri scritti Sulla retorica, Sulla musica, Sulla opesi in cui la poesia era considerata priva di diletto e di utilità morale.

Lucrezio, vissuto nella prima metà del I a.C. scrisse il De rerum natura, poema in sei libri, in cui è esposta pregevolmente la dottrina epicurea, esaltata per la sua dote liberatrice e rasserenante: egli descrive l'evoluzione umana e l'invenzione del linguaggio, delle leggi, dei governi. Tuttavia l'epicureismo fu osteggiato dagli ambienti tradizionalisti e senatoriali ed invece favorito dalla cerchia cesariana ed in seguito dal circolo augusteo di Mecenate (Orazio e Virgilio). Nell'età imperiale, Iid.C. Diogene di Enoanda sulla parte faceva scolpire la dottrina epicurea, farmaco contro le false opinioni, Marco Aurelio, imperatore filosofo, finanziò una cattedra di epicureismo.
Nel III d.C. si perdono quasi interamente le opere della scuola epicurea.

Politica e filosofia nella Roma imperiale

Dopo la vittopria a Zama Roma si volge verso l'oriente, preoccupata che uno stato od un'alleanza turbasse l'equilibrio di quell'area, creando di fatto un protettorato. Cadono così uno ad uno i regni ellenistici fino alla battaglia di Anzio,
nel 30 a.C. Si chiude così l'età ellenistica.

Perciò dalla metà del II a.C. si intensificano i rapporti con la cultura greca. Rapporti che già si ipotizzano ai tempi della stesura delle XII tavole con la scpedizione in Grecia dei decemviri per studiare le leggi di Solone (intorno al 449 a.C.) e che si ipotizzano con la cultura etrusca da cui nasce Roma; in ogni caso nel III a.C. fiorinrono le relazioni tra Roma e le città della Magna Grecia e della Sicilia, dopo la sconfitta di Cartagine.

Livio Andronico, schiavo a Taranto, affrancato a Roma, tradusse l'Odissea nel verso latino saturnio, insegnò pubblicamente il greco e compose tragedie e compedie di modello greco. Nevio scrisse tragedie su temi nazionali (fabulae praetextae), un poema ispirato alle guerre puniche (Bellum Poenicum), in cui, mescolando leggenda e storia, trattava di Enea e della fondazione di Cartagine, dei germi della ostilità tra Roma e Cartagine.

Ennio (239-169/8) scrisse gli Annales, poema in cui in esametro latino scrive un'opera storica. Di fatto prima di lui vi erano stati solo gli annali pontificali e gli annali privati, in prosa greca (secondo tradizione ed anche perché spesso gli autori non giudicavano bene Roma come ad esempio Filino). Nel proemio Ennio dà al sogno l'interpretazione pitagorico della trasmigrazione delle anime. Altre sue opere sono l'Epicharmus, che inizia anch'esso con un sogno e che trattava dei temi orfico-pitagorici già espressi nell'Epicharmus di Empedocle; l'Euhemerus, che trattava di razionalismo religoso.

Il pitagorimo del resto era l'ideologia delle classi dominanti fin dalle origini, come testimonia Cicerone nelle Tusculanae. Ancora nel I a.c. Publio Nigidio Figulo, seguace di Pompeo, scriveva, narra Cicerone, il poemetto Empedoclea e veniva accusato di empietà: il pitagorismo aveva perso i caratteri scientifici e invece restava in piedi un apparato mistico-religioso (occultismo, magia, negromazia). Presso Porta Maggiore in Roma è una basilica sotterranea.pitagorica.

Intorno alla metà del II a.C. sorgono problemi politico sociali tra il mondo greco ed il romano: M.Porcio Catone (234-149), detto il censore, ispirò o prese provvedimenti contro la cultura straniera: il Senatusconsultus de Bacchanalibus del 186 a.C. si scagliava contro i riti stranieri, contro i misteri e i riti orgiastici, contro il lusso, contro l'ingordigia e l'immoralità, per espellere filosofi e retori (vedasi l'ambasciata ateniese di Diogene), per purgare le liste di senatori e cavalieri, per rendere più severe le gare per gli appalti.
Scipione l'Africano del resto, vincitore di Zama era l'incarnazione della commistione delle due culture e quindi di ciò che Catone combatteva, nel desiderio di ritornare alla Roma degli avi, esposta nelle Origines e nel De agricultura. Oratore di antico stampo (vir bonus dicendi peritus, dicevano gli avi), nell'esporre privo di fronzoli ed orpelli (rem tene, verba sequentur), nel Libri ad Marcum filium presentava il sapere da tramandare in opposizione alla cultura greca.

Tuttavaia la Roma di Catone non esisteva più. Gli agricoltori erano stati decimati, resi poveri dalle guerre e dal servizio militare che li teneva lontani dai campi, svendevano i loro campi per diventare massa cittadina in mano ai nobili. I nobili del resto erano i magistrati e governatori delle province, ricchi grazie agli enormi latifondi ottenuti dalle svendite dei piccoli agricoltori e dall'ager publicus confiscato ai vinti e concesso loro. I cavalieri grazie al commercio vietato ai senatori erano diventati altrettanto ricchi. Ad essi vanno aggiunti gli appaltatori di servizi pubblici, i fornitori militari. Così scopriamo aumentati il dislivello tra optimates (ricchi) e populares (poveri) e il numero degli schiavi. Quest'oligarchia era rappresentata dal senato, organo decisivo politico in mano ai nobili. In più l'ascesa dei cavalieri era resa inevitabile dall'estensione dello stato e dalla organizzaione in province, governate da pretori e proconsoli.

D'altro canto la politica espansionistica di Roma richiedeva capaci militari e politici a cui solo la cultura greca si riteneva potesse preparare. Essa forniva una preparazione oratoria ed un'ideologia necessarie a questo scopo.
Filosofia di Roma significò anzitutto lo stoicismo: nel 168 lo stoico grammatico Cratete di Mileto era giunto a Roma, nel 166 come ostaggio Polibio, poi nel circolo degli Scipioni come Panezio, circolo grazie al quale lo stoicismo diventa la filosofia del ceto dominante.
Compito della classe dirigente era di dare una nuova base etica e di definire la missione unificatrice del mondo sotto il dominio dello stato romano. Lo stoicismo offriva questi spunti: il concetto di ecumene, di monarchia universale, del monarca ragione e legge del regno, l'eleaborazione etica individuale e collettiva intorno ai concetti di giusto, conveniente, onesto, decoroso che potevano definire la virtus. Ciò confluisce nel concetto di humanitas (in Terenzio homo sum: humani nil a me alienum puto- sono uomo nulla d'umano considero estraneo).
L'età dei Gracchi vide la morte oscura di Scipione. Fallì il tentativo dei Gracchi di una riforma agraria che salvaguardasse i piccoli coltivatori, e si pose nella sua drammaticità la questione degli Italici, desiderosi della cittadinanza romana. La crisi portò alla riforma militare: l'esercito si trovò composto da nullatenenti e diventò professionale; il legame delle truppe nei confronti del comandante diventò prioritario, giacchè il comandante avrebbe dovuto ingraziarsi con i favori le proprie truppe e le truppe cominciarono a ritenere più importante il rapporto con il comandante che con lo stato. La guerra sociale, le lotte tra Mario e Silla fino a Pompeo e Cesare testimoniano quest'aspetto.

Cicerone (106-43) durante il suo allontanamento forzato dalla politica riflettè sulla situazione politica e sulla salvaguardia del patrimonio di idee del ceto senatorio, ora in crisi.
Il ceto antisenatorio inoltre si differenziava anche nel riferimento filosofico, diffondendo l'epicureismo che Cicerone critica adottando anche argomenti e tesi dell'Accademia platonica (Filone ed Antioco).
Il cittadino ideale, attivo politicamente e che affida il tempo libero all'intelletto, è disegnato da Cicerone Nell'Academica, De finis bonorum et malorum, Tusculanae disputationes, Respublica, De natura deorum, De divinatione, De fato, De officiis, De legibus), in cui traspaiono gli insegnamenti di Filone, Antioco, Posidonio. Ovviamente particolare attenzione è posta nei confronti dell'arte oratoria (De oratore, Brutus, Orator), essendo Cicerone u8n oratore: il recte loqui è espressione del recte sentire e cogitare, per recte vivere. Cicerone traduceva le opere filosofiche greche affrontando i problemi filosofici in maniera equilibrata, evitando soluzioni estreme.
Gnoseologicamente affrontava in modod accademico ed antidogmatico le questioni, evitando di discostarsi dal senso comune e dall'evidenza: ritiene necessario affermare l'esistenza degli dei, la provvidenza senza la quale non vi sarebbe convivenza, l'immortalità dell'anima, respingendo fato e divinazione. In politica segue il cosmopolitismo, l'esistenza di un diritto naturale, l'idealizzazione della repubblica romana come costituzione bilanciata; in etica sui concetti di giusto e conveniente, sullo sviluppo della persona umana, sull'equilibrio di virtù ed utilità elabora la dottrina dei doveri.
Cicerone muore quando viene costituito il secondo triumvirato, dop la morte di Cesare: oramai è evidente l'impossibilità dei senatori di tornare a guidare lo stato ma è altrettanto evidente la crisi dello stato soprattutto del programma che avrebbe voluto unire programma cesariano con le tradizioni repubblicane.

Cesare aveva tentato di trasformare lo stato romano in una monarchia greca-orientale, dando una prospettiva imperialistica attraverso la conuista dell'Oriente. Non a caso amico era ilretore alessandrino Timagene ( a Roma nel 51 a.C. come prigioniero ed interprete) che aveva scritto di Alessandro Magno e Diadochi e che auspicava la fusione tra Ropma e la civilità greco-romorientale, con la subordinazione della prima.
Ottaviano riesce però a conciliare nuovequeste nuove esigenze e la tradizione. Si garantì la collaborazione die senatori e dei cavalieri attraverso il rispetto delle loro funziponi; con distribuzioni di terre ai veterani e di viveri alla plebe, conservò il favore del popolo. Accentrò nelle sue mani tutti i poteri (tribunicia potestas, imperium proconsolare, pontifex maximus, princeps senatus), con il titolo appunto di Augustus.
Così le province senatorie governate da proconsoli nominati dal senato, province imperiali, governate da legati di Augusto imperatre, l'Egitto, possedimento personale dell'imperatore, l?italia, governata dalle magistrature romane. Era equilkibrato il rapporto tra autonomie locali e centralità del diritto romano. Il diritto pubblico incise così anche sul privato attraverso i concetti di aequitas, ius, voluntas, intentio, perona.

Venne rafforzata la disciplina dell'esercito, diminuendo le legioni ma meglio dislocandole, a Roma solo truppe secelte, pretoriani, guardia del corpo dell'imperatore, il cui prefetto avrebbe perciò acquisito sermpre maggior potere.In linea propagandistica, l'impero fu ritenuto strumento di pace universae e fu celebrato attraverso numerose opere (ara pacis, Pantheon, archi trionfali); anche le guerre furono viste in quest'ottica pacificatrice.
Riuscì attraverso Mecenate ad ottenere anche il consenso di uomini in passato di altre fazioni (virgilo e Orazio) e la cultura celebrò le campagne di Augusto, il suo impero e la pace. Venne esaltata la tradizione latia, il peso della cultura latina, da poter confrontare con quella greca; l'otium esaltato in realtà è l'estraniarsi progressivo dalle vicende politiche nella convinzione che le lotte fopssero finite per sempre.
In filosofia divenne dominante l'epicureismo, in politica filo-imperialismo, imitazione dei classici in arte con ritorno all'età aurea arcaica della letteratura greca, atticismo stilistico.
La crisi fu segnalata da alcuni avvenimenti: la disfatta di Teutoborgo segna leggendariamente la fine delle storie di Livio; corruzione e lusso sfrenato nella corte; Ovidio relegato a Tomi per ragioni moralistiche e per la vicinazna con il circolo neoterico di Messalla; l'asianesimo (rinato grazie a Teodoro di Gadara); la predicazione di Gesù di Nazareth.