Kierkegaard, Søren Aabye (Copenaghen
1813-1855), filosofo danese autodefinitosi "scrittore cristiano", il cui
interesse per l'esistenza del singolo e per il valore delle scelte individuali
impresse segni profondi nella teologia e nella filosofia contemporanee, in modo
particolare nell'esistenzialismo. Fu educato in un'atmosfera rigidamente
pietista e venne assai influenzato dal padre, ricco mercante e scrupoloso
luterano dalla cupa religiosità. Studiando teologia e filosofia presso
l'università di Copenaghen conobbe la filosofia hegeliana dalla quale, tuttavia,
prese le distanze. Nel 1840 si fidanzò con la diciassettenne Regine Olsen; il
matrimonio tuttavia gli parve incompatibile con la vocazione filosofica che
sentiva crescere dentro di sé. Nel 1842 ruppe improvvisamente il fidanzamento e
contemporaneamente comprese di non voler diventare un pastore luterano.
L'eredità lasciatagli dal padre gli consentì di dedicarsi interamente
all'attività intellettuale, e nei rimanenti quattordici anni di vita portò a
termine più di venti opere. Lo sforzo che gli richiedevano l'inesauribile
attività di scrittore e le polemiche cui prese parte compromisero gradualmente
la sua salute. Nell'ottobre del 1855 fu colpito da paralisi; morì un mese
dopo.
Verità soggettiva
Contrario a ogni filosofia sistematica, egli pose l'accento sulla
natura ambigua e paradossale della condizione umana, affermando che i problemi
fondamentali della vita eludono le spiegazioni razionali e oggettive; la verità
più grande appartiene infatti al singolo, temporalmente determinato. Kierkegaard
sostenne inoltre che la filosofia sistematica considera l'esistenza umana non
soltanto da una falsa prospettiva ma, spiegando la vita in termini di necessità
logica, diviene anche un mezzo per sfuggire alla responsabilità etica. Non
esistono infatti criteri oggettivi che stabiliscano la validità incondizionata
di una scelta. Tutto questo portò dunque Kierkegaard a criticare fortemente la
filosofia di Hegel dove esistevano solo verità oggettive.
I tre stadi
Nella sua prima opera importante, Aut-aut, (1843),
descrisse due stadi dell'esistenza tra cui l'individuo può scegliere: lo stadio
estetico e quello etico. La forma di vita estetica è una sorta di
raffinato edonismo che si fonda sulla ricerca incessante del piacere e sulla
soddisfazione dei desideri, destinate però a sfociare nella frustrazione e nella
disperazione per il fatto di rimanere nel vertice delle infinite
possibilità. La forma di vita etica è caratterizzata dalle scelte
possibili dell'uomo in un intenso e appassionato impegno individuale
nell'adempimento del dovere e degli obblighi pubblici e religiosi socialmente
sanciti. Limite di questo stadio è però il peccato. In seguito Kierkegaard vide
in questa sottomissione al dovere la cessazione della responsabilità individuale
e postulò un terzo stadio, quello religioso, in cui la sottomissione alla
volontà di Dio, pur nella sua paradossale assurdità, rivela la libertà autentica
superando il peccato grazie al pentimento.
Il salto paradossale
In Timore e tremore (1843) Kierkegaard illustrò
la necessità di compiere il "salto" nella vita religiosa, che è "assurda" e
rischiosa. L'individuo vi è condotto dal sentimento dell'angoscia (Il
concetto dell'angoscia, 1844), che è fondamentalmente timore del nulla ma
nel contempo apertura di un orizzonte di libertà. Questa decisione del salto
paradossale è però la decisione del singolo che "proprio lui, il suo Io" sta
davanti a Dio, è questa la conquista dell'infinità che non si raggiunge se non
attraverso la disperazione (stato comune a tutta l'umanità).
Essenza e esistenza
Kierkegaard pone l'accento sulla differenza fra essenza
e esistenza. Infatti per il filosofo danese l'essenza era qualcosa che
caratterizza l'essere umano, quindi è universale e oggettiva; al contrario
l'esistenza è quel modo in cui io interpreto il mio essere umano, è particolare
ed è caratterizzato dalle scelte, dal suo venir fuori dall'essenza generale
dell'uomo, è un progetto personale.