Kant cerca di fare con la metafisica ciò che Galilei e Newton sono riusciti a fare con la fisica, ossia se la fisica ha rivelato le verità della natura, così la metafisica dovrebbe rivelare le verità su Dio e sulla creazione dell'universo. Per fare ciò Kant afferma che bisogna portare la ragione davanti a un tribunale per capire quali siano le vere possibilità che ha la ragione umana di conoscere. Ma in questo tribunale la ragione è imputato e giudice e si arriva al giudizio che quando la ragione è pura si possono formare dei ragionamenti che non portano ad alcuna verità (conoscenza valida). Questi ragionamenti detti sillogismi portano dunque all'antinomia della ragion pura: l'impossibilità di conoscere la verità su Dio, sull'anima, sul mondo.
Il passaggio dall'estetica trascendentale all'analitica trascendentale cerca di proporre un'esperienza più profonda dei fenomeni naturali di quanto possa fare l'esperienza sensibile. Si arriva perciò ad una conoscenza razionale e scientifica dei fenomeni naturali. Vengono in questa parte della Critica ripartite le categorie in quattro gruppi: quelle concernenti la quantità, che sono unità, pluralità e totalità; quelle concernenti la qualità, che sono realtà, negazione e limitazione; quelle concernenti la relazione, che sono causalità e azione reciproca, e quelle concernenti la modalità, che sono possibilità e impossibilità, esistenza e non esistenza e necessità. Affinché la ragione riesca a produrre conoscenza partendo dalle forme a priori viene presupposto l'io penso. Kant considerò gli oggetti del mondo materiale come fondamentalmente inconoscibili (cose in sé); mentre la porzione di realtà conoscibile viene detta "fenomeno" (dal greco phainómenon = ciò che appare) e noumeno (ens rationis) ciò che io posso pensare ma non può apparire. Kant partendo dall'uomo e dalle sue capacità conoscitive ed organizzative e non dal mondo come è fatto in sé rende l'uomo stesso legislatore dell'universo fenomenico. "noumenorum non datur scientia" (dei noumeni non si dà scienza) (Kant)
In modo simile ad alcuni filosofi precedenti, Kant differenziò le modalità del pensiero in giudizi analitici, o a priori, e giudizi sintetici, o a posteriori. Un giudizio analitico è una proposizione nella quale il predicato è contenuto nel soggetto, come nell'asserzione: "i corpi sono estesi". La verità di questo tipo di proposizioni, che rispettando il principio di identità sono universali e necessarie, è evidente: asserire il contrario sarebbe autocontraddittorio. Tali giudizi sono quindi definiti "analitici", perché la verità è scoperta grazie all'analisi del concetto stesso, ma sono anche considerati infecondi sul piano conoscitivo, in quanto non estendono il sapere. I giudizi sintetici, invece, sono le proposizioni cui non si può giungere grazie alla pura analisi razionale, come nell'enunciato: "i corpi sono pesanti". In questo caso il giudizio è fecondo, poiché il predicato "pesanti" amplia la nostra conoscenza relativa al soggetto "i corpi", ma non è universale e necessario, in quanto dipende dall'esperienza. Tutte le proposizioni che risultano dall'esperienza sensibile sono pertanto dette "sintetiche". Nella Critica della ragion pura Kant afferma che è possibile formulare giudizi sintetici a priori, ossia fecondi ma nel contempo universali e necessari. Un esempio di giudizio sintetico a priori è sicuramente la legge di gravitazione universale in quanto necessaria e universale, ma riferendosi all'esperienza sensibile ci propone un predicato che non era contenuto nella definizione (es. legge = G*m1m2/d2). Da qui parte il dibattito intorno all'esistenza , ossia che l'esistenza non è predicato del concetto (attacco alla ratio anselmi, attraverso la ratio essendi e la ratio cognoscendi. Es.: i 100 talleri). Continuando su questo percorso bisogna soffermarci sul significato di connotazione e denotazione, ovvero del dare le caratteristiche di una determinata cosa e dell'indicarne un esemplare.
Nella filosofia pratica si esalta l'uso regolativo della ragione. "Nihil est in intellectu quod prius non fuerit in sensu nisi intellectum ipse" Nel campo della filosofia morale (pratica) la ragione umana riesce a fare ciò che non era riuscita a fare nella filosofia speculativa (della conoscenza). È questo il carattere formale dell'etica kantiana al quale si legano le tre domande fondamentali che Kant si pose per tutta la vita:
A queste domande Kant cerca di dare una
risposta. Partendo dal fatto che l'uomo può conoscere solo il mondo fenomenico
alla domanda "che cosa devo fare?" Kant risponde che esiste una legge
morale dentro di noi che mi indica la forma della mia azione morale a
prescindere completamente dalle circostanze e dal contenuto pratico della mia
azione morale, dunque solo la ragione pura può dirmi cosa debbo
fare.
"La ragion pura è di per se stessa pratica e dà all'uomo una
legge universale che noi chiamiamo legge morale" (Kant)
Se l'antinomia della ragion pura era l'impossibilità di conoscere la verità su Dio il mondo e l'uomo, invece l'antinomia della ragion pratica è il conflitto tra la virtù e la felicità. Secondo Kant la sua legge morale e l'antinomia della ragion pratica si poteva spiegare anche a un bambino di 10 anni attraverso una piccola storiella.
Per Kant esistono due tipi di imperativi: quello ipotetico e quello categorico. L' imperativo categorico è la legge morale che ci detta la ragione a prescindere dalla situazione empirica; l'imperativo ipotetico è la legge morale adattata alla situazione empirica (se... allora...). "Agisci unicamente secondo quella massima in forza della quale tu puoi volere nello stesso tempo che essa divenga una legge universale". "Agisci in modo da trattare l'umanità , tanto nella tua persona quanto nella persona dell'altro, sempre nello stesso tempo come un fine, e mai unicamente come un mezzo". "Che la tua volontà possa, in forza della sua massima, considerare se stessa come istituente nello stesso tempo una legislazione universale" (Kant)
Secondo Kant esistono 3 postulati della ragion pratica:
"Il legno storto dell'umanità", "Il cielo stellato sopra di me, la legge morale in me" (Kant).
Kant definisce l'umanità come un legno storto a causa del male che è in essa radicato. Infatti esiste per Kant un male radicale nell'uomo che non è altro che quella tendenza dovuta alla finitezza e alla fragilità dell'essere umano, ad adottare una massima di comportamento contraria alla legge morale, pur essendo consapevole di questa.
Per Kant esistono due tipi di giudizio: il giudizio determinante e il giudizio riflettente. Kant intende per giudizio determinante un giudizio di conoscenza delle leggi scientifiche e mentre si dà questo giudizio si determina l'oggetto preso in esame. Si parla invece di giudizio riflettente la riflessione dell'uomo su un oggetto preso in esame. Si tratta di giudizio riflettente la riflessione dell'uomo sul meccanicismo della natura prendendo in esame le leggi della natura stessa.
Dopo il giudizio determinante l'animo umano vuole andare avanti sul piano della conoscenza non limitandosi alla conoscenza scientifica di un oggetto. L'uomo dunque vuole capire se la natura ha un fine (telos) o è solamente una cosa meccanica (automaton). La domanda che sorge ora è : che cosa posso sperare? Si può dunque sperare che l'uomo sia il fine della natura, ma c'è da sottolineare il fatto che questo è solamente un giudizio riflettente e non determinante. Kant dunque tenta di finalizzare nuovamente all'uomo quelle conquiste e conclusioni della scienza moderna che lo stesso filosofo accetta. Questo viene definito giudizio teleologico (soggettivo, ma uguale per tutti). "Lo spettacolo del mondo senza l'uomo mi appare un deserto" (Kant). Cos'è dunque l'uomo per Kant? "Sei troppo poco per essere figlio di un dio, ma troppo per essere frutto del caso" (Kant)
Secondo Kant l'uomo in una società ha nei confronti degli altri individui una "insocievole socievolezza" cioè si sente legato agli altri uomini, ma ha un impulso di dissociarsi dagli altri per inseguire la propria felicità. "Ognuno è fine a se stesso, il resto per lui è nulla" (Eagle).
Kant si chiede se l'uomo progredisce sempre verso il meglio. Ciò non può essere accertato poiché la libertà dell'uomo potrebbe portarlo a regredire in un qualsiasi momento. Ma seguendo la ragione si dovrebbe andare formando una società cosmopolita nella quale la guerra sia bandita e venga instaurata una pace perpetua che non è la conclusione di un conflitto, ma un compito che ci viene dato dalla ragione.